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RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA E PSICOLOGIA
DOI: 10.4453/rifp.2015.0022
ISSN 2039-4667; E-ISSN 2239-2629
Vol. 6 (2015), n. 2, pp. 245-248
Empatia e Teoria della Mente: un unico meccanismo
cognitivo
Arianna Dalsant1, Anna Truzzi1, Peipei Setoh2 & Gianluca Esposito1,2
Ricevuto: 28 gennaio 2015; accettato: 11 giugno 2015
█ Riassunto La Teoria della Mente (ToM) è definita come la capacità di attribuire stati mentali agli altri e
di riconoscere che le menti altrui hanno credenze, desideri e intenzioni differenti da quelle delle proprie.
La ToM è un fenomeno multilivello che prende avvio in stadi precoci e avanza verso elaborazioni più
complesse, con la mediazione di cognizioni di ordine superiore e che si sviluppa con la socializzazione.
Tradizionalmente intesa come concetto proprio del dominio della psicologia cognitiva, noi intendiamo
sostenere che la capacità della ToM possa essere meglio definita come empatia. Proponiamo un modello
per indagare come l’attribuzione di stati mentali agli altri e a se stessi dovrebbe essere valutata su molte-
plici livelli, cominciando con le determinanti fisiologiche per giungere all’interazione con l’ambiente psi-
cologico, sociale e culturale.
PAROLE CHIAVE: Teoria della mente; Empatia; Approccio bioecologico; Neuroni specchio.
█ Abstract Empathy and Theory of Mind: One Underlying Cognitive Mechanism – Theory of Mind (ToM)
is defined as the ability to attribute mental states to others and to recognize that other minds have beliefs,
desires, and intentions which are different from one’s own mind. ToM is a multilevel phenomenon that
progresses from early beginnings to more complex elaborations, mediated by higher order cognition and
develops with socialization. Traditionally thought to be a concept within the domain of cognitive psy-
chology, we argue that ToM ability may be better defined as empathy. We propose a model to study how
attributing mental states to others and oneself should be assessed from multiple levels, beginning with
physiological determinants to interacting with the psychological, social, and cultural environment.
KEYWORDS: Theory of Mind; Empathy; Bioecological Approach; Mirror Neurons.
IN L’EVOLUZIONE DELLA TEORIA DELLA
MENTE Grazia Attili descrive il concetto di Teoria della Mente (dall’inglese Theory of
Mind, ToM), individuandone le funzioni bio-
Studi
Creative Commons - Attribuzione - 4.0 Internazionale
1 DiPSco - Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive, Università di Trento, Palazzo Fedrigotti, Corso
Bettini, 31 - 38068 Rovereto (I)
2 Division of Psychology, School of Humanities and Social Sciences, Nanyang Technological University,
50 Nanyang Avenue - 639798 Singapore (SI)
E-mail:
arianna.dalsant@unitn.it; anna.truzzi91@gmail.com; psetoh@ntu.edu.sg;
gianluca.esposito@unitn.it ()
Dalsant, Truzzi, Setoh & Esposito
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logiche, la filogenesi, e ponendo in evidenza
come lo stile relazionale cui un soggetto è
esposto influenzi lo sviluppo della capacità di
comprendere gli stati mentali altrui. Infine,
l’Autrice conclude adducendo delle argomen-
tazioni riguardo la possibilità che non solo gli
esseri umani abbiano sviluppato una ToM,
ma che ne siano provviste anche altre specie
animali. Il merito del testo è quello di consi-
derare la ToM non in termini meramente co-
gnitivi, ma spostandone il centro sull’aspetto
interattivo.
È tuttavia lecito continuare a chiamare
ToM la capacità di cui parla l’Autrice? Oppu-
re, dato che la definizione originaria della
ToM è di carattere cognitivo, la capacità de-
scritta dall’Autrice dovrebbe essere denomi-
nata e definita diversamente?
Quando si parla di Teoria della Mente si
indica la capacità di rappresentarsi i propri e
gli altrui stati mentali, in termini di pensieri e
credenze, ma anche di desideri, richieste e
sentimenti con lo scopo di poter prevedere e
spiegare il comportamento. Sin dalle sue
prime caratterizzazioni, la ToM è definita in
termini squisitamente cognitivi. Gli stessi
Premack e Woodruff nel pionieristico studio
del 1978 teorizzarono la presenza di un mo-
dulo cognitivo specializzato nella rappresen-
tazione degli stati mentali.
1
In effetti, a oggi
l’ipotesi maggiormente accredita è che si trat-
ti di una capacità cognitiva innata dell’essere
umano, il cui processo di sviluppo potrebbe
essere influenzato dal contesto culturale in
cui l’individuo è inserito ed essere indipen-
dente dal livello intellettivo.
2
Da un punto di vista evoluzionistico, è
stato ipotizzato che una Teoria della Mente di
sé e degli altri sia emersa nel corso dell’evolu-
zione come una risposta adattiva ad un am-
biente sociale diventato più complesso.
3
Pro-
prio per questo, gli individui con maggiori
capacità nella lettura degli stati mentali al-
trui, sarebbero maggiormente dotati nelle re-
lazioni sociali, e questo li porterebbe ad un
maggiore successo riproduttivo.
4
La Teoria
della Mente possiede quindi delle funzioni
individuabili in due macro categorie, la fun-
zione sociale e quella adattiva. La prima è ri-
ferita al fatto che la mentalizzazione aiuta a
comprendere i comportamenti altrui dando
un senso alle azioni osservate anche senza
una spiegazione specifica da parte dell’a-
gente.
5
Oltre a ciò, possiamo individuare an-
che degli altri obiettivi più specificamente di
tipo sociale come il poter essere un partner
comunicativo competente e comprendere i
segnali che attestano, nel ricevente, l’ambi-
guità o la chiarezza del proprio messaggio,
così da poterlo modificare. Per quanto ri-
guarda le funzioni adattive, c’è da notare co-
me riuscire ad attribuire significato alle altrui
azioni possa permettere di prevedere un de-
terminato comportamento, ma anche e so-
prattutto, permette di attuare delle riflessioni
circa i propri stati mentali e di raggiungere
nuove consapevolezze.
6
L’Autrice presenta interessanti evidenze
che permettono di individuare le funzioni
biologiche e la filogenesi della ToM. Inoltre,
l’articolo riporta una serie di studi, dai quali
emerge come lo stile relazionale a cui un sog-
getto è esposto (per esempio lo stile relazio-
nale della madre), influenzi lo sviluppo della
capacità di comprendere gli stati mentali al-
trui. Questa considerazione sposta la defini-
zione da un piano puramente cognitivo a un
piano di matrice più interattiva e relazionale.
In questo senso la ToM non è più intesa
tanto come il prodotto del meccanismo co-
gnitivo ipotizzato da Premack e Woodruff,
7
ossia alla stregua della capacità di alto livello
di elaborare una teoria vera e propria circa la
mente altrui, ma assume le sembianze di una
capacità più di base, di carattere non propo-
sizionale che consiste nel riuscire a “immagi-
nare” i propri e gli altrui stati mentali. In altri
termini si passa da una abilità teorica a una
empatica.
Questo cambio di prospettiva permette,
fra l’altro, anche di fornire più agevolmente
una spiegazione di quelli che possono essere i
meccanismi fisiologici alla base della capacità
di rappresentare i propri e altrui stati menta-
li. Infatti, mentre la concezione originaria
della ToM come una struttura cognitiva mo-
Empatia e Teoria della Mente
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dulare non ha trovato alcun supporto nei ri-
sultati sperimentali (a più di tre decadi dallo
studio di Premack e Woodruff non si è anco-
ra rintracciata nessuna struttura cerebrale
che assolva le funzioni del modulo cognitivo
ToM), numerosi studi suggeriscono l’esi-
stenza di un sistema fisiologico in grado di
spiegare in termini meccanicistici la capacità
di comprendere gli stati mentali altrui.
Anche in termini evoluzionistici, appare
poco parsimonioso ipotizzare la presenza di
uno specifico sistema modulare evolutosi per
la comprensione degli stati mentali altrui. In
effetti, pare più plausibile ipotizzare che dei
sistemi già presenti a livello cerebrale siano
stati riadattati per svolgere anche l’attività di
comprensione degli stati mentali altrui. Un
possibile candidato a divenire nel tempo par-
te della capacità di comprensione delle inten-
zioni degli altri è un sistema in grado di capi-
re le azioni che gli altri stanno compiendo e,
quindi, di prevedere ciò che faranno o po-
trebbero fare nei momenti successivi.
Tale sistema potrebbe essere rappresentato
dal sistema dei neuroni specchio descritto da
Rizzolati e colleghi dall’inizio degli anni ’90. Se-
condo gli studi di Rizzolati e colleghi la com-
prensione delle intenzioni e delle azioni altrui
sarebbe mediata da una tipologia di neuroni
piuttosto che da una modulo cognitivo specia-
lizzato. Questa ipotesi sostiene che i neuroni
specchio sono una classe di neuroni che si atti-
vano selettivamente sia quando si compie
un’azione, sia se la stessa azione è osservata
mentre viene compiuta da altri (in particolare
da conspecifici).
8
Originariamente scoperti in un settore del-
la corteccia motoria della scimmia (area F5),
studi successivi hanno indicato la presenza di
un sistema a specchio anche nell’uomo, nella
porzione rostrale anteriore del lobo parietale
inferiore, nel settore inferiore del giro pre-
centrale, nel settore posteriore del giro fronta-
le inferiore e nella corteccia motoria e premo-
toria.
9
A partire dalle ricerche di Rizzolati e
colleghi si è sviluppato un importante filone di
ricerca intorno a questi temi.
A oggi questa ipotesi è ritenuta la più ve-
rosimile poiché si basa su un meccanismo
neurale relativamente semplice che permet-
terebbe di comprendere le intenzioni che sot-
tendono le azioni altrui in maniera sponta-
nea, automatica e irriflessa. Inoltre offre una
spiegazione di come l’abilità di imitare le
azioni degli altri possa essere evoluta nella
capacità di simulare gli stati mentali altrui.
10
Purtroppo l’esistenza di un sistema a
specchio nell’uomo non è stata ancora univo-
camente confermata e anzi alcuni studi la
mettono radicalmente in discussione.
11
Ulte-
riori studi sono dunque necessari per sfatare
ogni dubbio e approfondire il modo di fun-
zionamento di tale sistema. Nel frattempo, è
possibile tuttavia avanzare delle considerazio-
ni generali sulla Teoria della Mente e sul suo
possibile modo di funzionamento che ne met-
tono in discussione la definizione classica.
La capacità di rappresentarsi i propri e gli
altrui stati mentali che l’autrice denomina,
secondo la dicitura cognitiva classica, Teoria
della Mente, ma che secondo alcuni autori si
basa su un meccanismo empatico,
12
è un
principio base della cooperazione e della vita
nei gruppi sociali. Questa sua centralità ri-
spetto alla vita umana rende tanto più impor-
tante approfondirne il funzionamento, anche
e soprattutto attraverso la comprensione del-
le basi fisiologiche sottostanti. Da questo
punto di vista, la Teoria della Mente può esse-
re intesa alla stregua di un processo che fa
parte di un sistema più vasto (che potrebbe
essere definito “ecologico” secondo la teoria
bioecologica di Bronfenbrenner).
13
In questa ottica, il processo che va sotto il
nome di Teoria della Mente è composto da un
piano fisiologico che interagisce con i molte-
plici livelli dell’ambiente esterno, altresì defi-
nito ecosistema (dal microsistema, cioè il li-
vello di interazione sociale diadica, al macro-
sistema, cioè l’insieme delle categorie sociali
complesse quali per esempio le istituzioni, i
valori sociali e culturali, la sua cultura e
all’interazione del soggetto con questi).
Approfondire le nostre conoscenze circa
le strutture fisiologiche alla base delle nostre
capacità di rappresentare gli stati mentali al-
Dalsant, Truzzi, Setoh & Esposito
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trui e le interazioni fra i vari livelli dell’eco-
sistema permetterebbe di gettare luce sia
sull’ontogenesi sia sulla filogenesi di tale ca-
pacità creando modelli esplicativi che tenga-
no conto di come questa si interfacci con la
cultura e l’ambiente circostanti all’individuo,
e di come il risultato di questa interazione
vada a influenzare le dinamiche tra differenti
gruppi sociali.
In generale, considerazioni quali quelle
proposte sia in questo commento, sia nel te-
sto cui si rivolge, insinuano il dubbio che non
sia più opportuno descrivere la capacità di
rappresentarsi i propri e gli altrui stati men-
tali come Teoria della Mente, ma che questa
sia meglio definibile come capacità empatica.
Tuttavia, trovare una denominazione ade-
guata è soltanto la prima fase di un percorso
di ricerca che deve prevedere un’analisi su
più livelli che ci permetta di comprendere
come tale capacità sia utilizzata nella vita
quotidiana e come si sia evoluta.
█ Note
1
Cfr. D. PREMACK, G. WOODRUFF, Does the Chim-
panzee Have a Theory of Mind?, in: «Behavioral
and Brain Sciences», vol. I, 1978, pp. 515-526.
2
Cfr. P.C. FLETCHER, F. HAPPÈ, U.FRITH, S.C.
BAKER, R.J. DOLAN, R.S. FRACKOWIAK, C.D.
FRITH, Other Minds in the Brain: A Functional
Imaging Study of Theory of Mind in Story Compre-
hension, in: «Cognition», vol. LVII, n. 2, 1995,
pp. 109-128.
3
Cfr. L. BROTHERS, B. RING, A Neuroethologycal
Framework for the Representation of Mind, in:
«Journal of Cognitive Neuroscience», vol. IV, n.
2, 1992, pp. 107-118.
4
Cfr. P.C. FLETCHER, F. HAPPÈ, U.FRITH, S.C.
BAKER, R.J. DOLAN, R.S. FRACKOWIAK, C.D.
FRITH, Other Minds in the Brain: A Functional
Imaging Study of Theory of Mind in Story Compre-
hension, cit.; R.I.M. DUNBAR, The Social Brain
Hypothesis, in: «Evolutionary Anthropology»,
_
vol. VI, n. 5, 1998, pp. 178-190.
5
Cfr. R.I.M. DUNBAR, The Social Brain Hypothesis,
cit.; C.D. FRITH, R. CORCORAN, Exploring Theory
of Mind in People with Schizophrenia, in: «Psycho-
logical Medicine», vol. XXVI, n. 3, 1996, pp. 521-
530; M. MARRAFFA, L. SURIAN, Teoria della mente e
architettura cognitiva, in: F. FERRETTI (a cura di),
La mente degli altri. Prospettive teoriche sul-
l’autismo, Editori Riuniti, Roma 2003, pp. 107-126.
6
Cfr. C. FRITH, D. M. WOLPERT, The Neuroscience of
Social Interaction: Decoding, Imitating and Influen-
cing the Actions of Others, Oxford University Press,
New York 2004; O. LIVERTA SEMPIO, A. MARCHET-
TI, F. LECCIO, Teoria della mente. Tra normalità e
patologia, Raffaello Cortina, Milano 2005.
7
Cfr. D. PREMACK, G. WOODRUFF, Does the
Chimpanzee Have a Theory of Mind?, cit.
8
Cfr. G. RIZZOLATTI, L. CRAIGHERO, The Mirror-
neuron System, in: «Annual Review of Neurosci-
ence», vol. XXVII, 2004, pp. 169-192.
9
Cfr. M. FABBRI DESTRO, G. RIZZOLATTI, Mirror
Neurons and Mirror System in Monkeys and Hu-
mans, in: «Physiology», vol. XXIII, n. 3, 2008,
pp. 171-179.
10
Cfr. M. IACOBONI, I. MOLNAR-SZAKACS, V.
GALLESE, G. BUCCINO, J.C. MAZZIOTTA, G. RIZ-
ZOLATTI, Grasping the Intentions of Others with
One’s Own Mirror Neuron System, in: «PLoS Biol-
ogy», vol. III, 2005 - doi: 10.1371/journal.pbio.
0030079
11
Cfr. A. LINGNAU, B. GESIERICH, A. CARAMAZZA,
Asymmetric fMRI Adaptation Reveals no Evidence
for Mirror Neurons in Humans, in: «Proceedings
of the National Academy of Sciences», vol. CVI,
n. 24, 2009, pp. 9925-9930.
12
Cfr. C. TREVARTHEN, K.J. AITKEN, Brain Devel-
opment, Infant Communication, and Empathy Dis-
orders: Intrinsic Factors in Child Mental Health,
in: «Development and Psychopathology», vol.
VI, n. 4, 1994, pp. 597-633.
13
Cfr. U. BRONFENBRENNER, Developmental Ecol-
ogy Through Space and Time: A Future Perspective,
in: P. MOEN, G.H. ELDER, JR, K. LUSCHER (eds.),
Examining Lives in Context: Perspectives on the
Ecology of Human Development, APA, Washing-
ton (DC) 1995, pp. 619-647.