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The Master of Celano Pelumi: retrieving an identity through new studies on commissions

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Abstract and Figures

The article is focused on an anonymous Emilian artist, who is mainly known for the altarpiece with Madonna and Child with St. Sebastian and St. Gregory the Great depicted around 1515 for Celumi Chapel in the Benedectine church of St. Peter in Modena and who also painted the Madonna with St. Faustino and St. Giovita in the parish church of St. Faustino of Rubiera in Reggio Emilia. Scholars have long since acknowledged the importance of these works in the artistic context of early sixteenth century Modena, also spotting the stylistic links with other centers such as the Mantua of Leonbruno and the Ferrara of Dosso Dossi. The personality of the artist, however, has always eluded every attempt of identification. The article hails from studies carried out on archival documents and heraldic emblems on the frame of the Rubiera altarpiece, which suggest the two works were commissioned from Mantuan personalities: the St. Peter abbot “Vincentius de Mantua” for the painting in Modena and Ludovico Guidi di Bagno, prominent member of the entourage of Cardinal Ippolito d'Este, for the Rubiera work. These elements, along with stylistic considerations, lead to think of a provenance from the city of Gonzaga also for the artist.
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Nella chiesa del monastero benedettino di San Pietro a
Modena si conserva una pala d’altare raffigurante la Ver-
gine con Bambino e i Santi Sebastiano e Gregorio, con
due scene delle Storie di San Sebastiano nella predella
(figg. 1-2). L’opera venne realizzata per la seconda cap-
pella a sinistra, intitolata a San Sebastiano, che i bene-
dettini concessero nel 1513 al modenese Celano Pelumi.
Costui era figlio di Giovanni, che nel proprio testa-
mento, datato 15 luglio 1512, aveva disposto la fonda-
zione di una cappella nella chiesa di San Pietro dedicata
alla Vergine e a San Sebastiano. Il rogito con cui i be-
nedettini concessero la cappella a Celano risale al 15
giugno 1513. Nell’atto “Colan Pelumo paga come erede
e figlio di Zoane lire 300: lire 200 per fabbrica di una
cappella e lire 100 per ufficiatura di essa. Di più lire 140
per fare l’ancona e lire 35 per ornare la capela”.1Se-
condo le diposizioni che il monastero benedettino pre-
vedeva per l’ornamentazione delle cappelle, questa do-
veva assolutamente essere compiuta entro i due anni
successivi la cessione al privato titolare, pena il decadi-
mento del suo diritto sulla cappella medesima.2La rea-
lizzazione della pala d’altare dovrebbe, pertanto, collo-
carsi tra il 1513 e il 1515.
Ad oggi i documenti d’archivio non hanno fornito al-
cuna identità per l’autore della tavola e nessuno dei
nomi avanzati dalla letteratura storico-artistica è risul-
tato pienamente convincente. Dopo le prime attribu-
zioni al Garofalo3e a Battista Dossi,4Adolfo Venturi
pensò al parmense Francesco Rondani sulla base di un
confronto con la Madonna col Bambino e i Santi Ago-
stino e Girolamo, unica opera firmata dal Rondani ed
eseguita per la cappella Sozzi nella chiesa parmense di
San Luca degli Eremitani (fig. 3).5Tale dipinto presenta
un’ampia apertura paesaggistica pervasa da una calda
luminosità e un cromatismo morbido e soffuso, tutti ele-
menti che ritroviamo anche nella Pala Pelumi, soprat-
tutto nel piviale di San Gerolamo e nei colori pastello
del gruppo della Madonna con il Bambino.
Augusta Ghidiglia Quintavalle6parlò di anonimo artista
di provenienza ferrarese operante tra il 1520 e il 1530.
La personalitá dell’artista ha continuato tuttavia a re-
stare avvolta nell’ombra e ulteriori proposte identifica-
tive sono state avanzate anche in tempi recenti.7
In un fondamentale intervento del 1982 Massimo Fer-
retti rilevò che la Pala Pelumi “è interessante anche per
i collegamenti con la situazione padana, centrata su
Mantova, in cui Longhi volle riconoscere la prima fase
del Correggio”.8
Il contributo longhiano delineava la produzione dell’Al-
legri nel momento compreso tra la sua prima opera
certa, la Pala di Dresda del 1514-15 e gli affreschi nella
Camera di San Paolo del 1519.
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VALENTINA BORGHI
Il Maestro di Celano Pelumi: nuovi studi sulla
committenza per ricostruire un’identità
L’articolo di Valentina Borghi torna sulla figura del “Mae-
stro di Celano Pelumi”, così denominato dal committente
della pala dipinta intorno al 1515 per un altare nella
chiesa del monastero benedettino di San Pietro a Mo-
dena. Un artista importante nel contesto artistico mode-
nese, secondo il giudizio della critica, dall’identità sfug-
gente, anche se oggetto di ipotesi, e dall’attività limitata,
legata a soli due dipinti d’altare, la pala di Modena, in re-
altà realizzata sotto la supervisione dell’abate del mona-
stero, e la Madonna e Santi nella pieve di San Faustino a
Rubiera. Su un aspetto ad oggi meno indagato, la com-
mittenza, si concentra in particolare il presente contri-
buto: nuove ricerche d’archivio, facendo emergere l’ap-
partenenza all’ambiente mantovano dell’abate di San
Pietro, “Vincentius de Mantua”, e del nobile Ludovico
Guidi di Bagno, detentore dal 1514 al 1535 del beneficio
della pieve di Rubiera, sembrano suggerire il possibile
luogo di provenienza anche del pittore. Irene Graziani
Il gruppo di opere rinvenuto aveva come perno la Sacra
Famiglia con Santa Elisabetta e il Battista nella colle-
zione milanese Orombelli (fig. 4) e aveva il suo vertice
qualitativo nella pala con i SS. Elena, Sebastiano, Dome-
nico e Pietro Martire (fig. 5).9Myron Laskin jr.10 e David
Alan Brown11 individuarono tuttavia nell’autore dei di-
pinti un artista diverso dal Correggio, soprannominato
“Orombelli Master”.
Renato Berzaghi è riuscito infine ad assegnare un’iden-
tità a questo artista recuperando dall’oblio il nome del
mantovano Giovan Francesco Tura documentato dal
1524 al 1542. Berzaghi riteneva che la formazione del
Tura doveva essersi svolta “nell’ambiente tardomante-
gnesco, su cui influì in modo determinante la cultura
ferrarese di Lorenzo Costa”.12
In seguito il catalogo delle opere ricondotte a Giovan
Francesco Tura è stato sia più volte sezionato distinguendo
mani diverse,13sia ricompattato sotto un’unica paternità,14
rivelando una notevole complessità per la critica d’arte.
L’autore del dipinto di San Pietro a Modena presenta
alcune assonanze con il gruppo di opere di Tura: i vo-
luminosi panneggi dai contorni lineari e a volte spigo-
losi che avvolgono le figure, una connotazione inquieta
delle fisionomie, un colore luminoso e brillante. Le tan-
genze più significative riguardano a mio avviso la Ma-
donna col Bambino tra le Sante Marta e Maddalena in
Sant’Apollonia a Mantova e attribuita al Tura da Brown
(fig. 6). L’elemento di assonanza che colpisce maggior-
mente è la figura della Madonna, che nei due dipinti
sembra quasi perfettamente sovrapponibile. Affini sono
l’ombreggiatura dei volti, il modo di rendere i panneggi
con pieghe a tratti spigolose e taglienti, la dolce incli-
nazione del volto e i tratti fisionomici.
L’attività del Tura è espressione della cultura figurativa
creatasi nella città gonzaghesca all’indomani della morte
del Mantegna, e che ebbe in Lorenzo Leonbruno15 e in
Lorenzo Costa gli esponenti più significativi. Entrambi
presero parte all’impresa artistica più importante in
quegli anni, la decorazione di alcuni ambienti nel pa-
lazzo di San Sebastiano.
Irrimediabilmente rovinato dai lanzichenecchi durante
il sacco di Mantova del 1630, il complesso «doveva co-
stituire un punto di partenza obbligato per chi avesse
voluto intraprendere la carriera di pittore».16
Il palazzo fu oggetto di due campagne decorative: la
prima, tra il 1506 e il 1511, ebbe protagonista Lorenzo
Costa, autore di almeno tre cicli decorativi. La seconda
campagna, intorno al 1512, vide gli interventi di Lo-
renzo Leonbruno e del giovane Dosso Dossi.17
Ai collegamenti con Mantova e con l’area padana evi-
denziati da Ferretti per la Pala Pelumi Daniele Benati
aggiunse anche tangenze con il pittore veronese Nicolò
Giolfino, per via della gamma cromatica accesa.18 La vi-
cinanza a Giolfino è evidente nella disposizione dei per-
sonaggi nella predella effigiante la nomina di Sebastiano
a capo della guardia pretoriana, che può essere messa a
confronto con la tavola (parte della decorazione pitto-
rica di un cassone) con un episodio di storia romana nel
Lindenau Museum (fig.7).19 La capitale dei Gonzaga,
del resto, dovette esercitare una grandissima attrattiva
sugli artisti veronesi, che non potevano contare nella
città natale su una corte come fonte di committenze
In favore di un’origine veronese del pittore di Celano
Pelumi si è espresso Marco Tanzi in un intervento de-
dicato a Filippo da Verona. Scrive infatti, parlando della
Pala Mazzoni (fig. 8):
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Figura 1: Artista mantovano, Madonna con Bambino e i Santi Sebastiano e Gre-
gorio Magno, 1515 circa, olio su tavola, chiesa di San Pietro, Modena
In San Pietro a Modena […] Filippo incrocia il misterioso
“Maestro di Celano Pelumi”, che potrebbe essere – se non
mantovano – un altro conterraneo, da come mescola Ca-
roto e Giolfino, il Costa Tardo e “i” Tura mantovani nei
pochi dipinti noti a noi pervenuti.20
Lo studioso ha inoltre proposto di arricchire il catalogo
dell’artista attribuendogli un dipinto su tavola trasferito
su tela, raffigurante l’Apparizione della Vergine a San
Bernardo (fig. 9) e apparso nel 1981 fa sul mercato lon-
dinese con un’attribuzione a Francesco Torbido.21
Come spero di suggerire nel presente contributo, una
possibile pista identificativa porterebbe tuttavia in di-
rezione della città dei Gonzaga. In primo luogo nella
Pala Pelumi si riscontrano alcuni elementi stilistici che
rimandano al Mantegna, come il tratto un po’ secco, in-
cisivo, dei contorni delle figure. La figura del Bambino,
inoltre, che resta in piedi tra le ginocchia della Ma-
donna, può essere un riferimento alla Madonna della
Vittoria.
Sono però evidenti anche i punti di contatto con le ri-
cerche atmosferiche che caratterizzano la fase manto-
vana dell’attività del Costa, visibili nella pala con San-
t’Antonio da Padova tra le Sante Orsola e Caterina (fig.
10) commissionata da Alberto Pio per la sua cappella
in San Nicolò a Carpi, e con il cromatismo acceso e bril-
lante delle opere giovanili di Leonbruno antecedenti gli
affreschi nella Sala della Scalcheria. Penso soprattutto
all’Adorazione dei pastori del Tokyo National Museum
(fig. 11) da collocarsi nella seconda metà del primo de-
cennio del Cinquecento.22
Il morbido effetto di chiaroscuro che caratterizza i volti
di San Sebastiano e di San Gregorio rivela affinità con
il Leonbruno e con il giovane Antonio Allegri.
Per tali ragioni, dovremmo essere di fronte ad un artista
nato negli anni’80 del Quattrocento, che conosce i mo-
delli mantegneschi, ma che riesce anche ad aggiornarsi
sui risultati più recenti che si raggiungevano a Mantova.
Mi pare che l’opera sia interessata anche da contatti con
la pittura ferrarese, in particolare con il Dosso dei primi
anni ’10. Guardando ad esempio la parte di destra della
predella, scorgiamo nel cielo un grande alone luminoso
che si staglia con forte contrasto sull’azzurro del cielo.
Questa sorgente di luce improvvisa, forse da relazionare
con l’apparizione di un angelo a cui fanno riferimento
le agiografie, mi sembra molto vicina agli effetti che ca-
ratterizzano la Natività di Dosso Dossi, inserita come
scomparto di predella nella Strage degli innocenti del
Garofalo. Anche il modo con cui il Maestro di Celano
Pelumi tratteggia le fronde degli alberi e delinea gli ele-
menti paesaggistici risulta assai simile alla tecnica del
Dosso.
La Pala Pelumi rappresenta la prima testimonianza pit-
torica a Modena in cui i personaggi ritratti sono pervasi
da una sottile inquietudine psicologica, resa sia attra-
verso la postura del volto sia attraverso l’ombreggiatura
che lo avvolge. In questo dettaglio si può vedere forse
uno degli apporti più originali del Maestro di Celano
Pelumi, che rivela la sua piena appartenenza al clima
padano proprio grazie al cenno di spessore psicologico
che conferisce ai due Santi.
Nel dipinto modenese particolare attenzione merita
l’iconografia del San Sebastiano, che indossa una lu-
cente armatura, sorregge una freccia con la mano e
brandisce una sorta di mazza. Quest’ultima arma ri-
manda a quello che fu il vero strumento che causò la
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Figura 2: Artista mantovano, Storie di San Sebastiano, particolare della figura 1
morte di Sebastiano, secondo quanto racconta la
Passio.23 L’imperatore Diocleziano aveva dato ordine
che il cristiano fosse legato e trafitto da centinaia di
frecce «quasi ericius ita esset irsutus ictibus sagittarum”.
Dato per morto, nottetempo era stato caritatevolmente
curato dalla matrona Irene, che gli aveva sanato le ferite.
Una volta recuperate le forze, Sebastiano si era presen-
tato nuovamente al cospetto dell’imperatore, il quale
ordinò che fosse ucciso a colpi di bastone e il suo cada-
vere gettato nella Cloaca Maxima.
La rappresentazione di Sebastiano nella pala di San Pie-
tro condensa, dunque, sia l’attributo del primo che del
secondo martirio subito dal santo. La rarità di questa
scelta deve essere ricondotta a una richiesta estrema-
mente specifica da parte della committenza.
Più complessa risulta la decisione di presentare il Santo
vestito con l’armatura. Raffigurare Sebastiano come un
militare trovava sicuramente una giustificazione nel
fatto che, secondo la Passio, venne scelto per far parte
dei pretoriani e dunque percorse la carriera militare.
Nella Legenda Aurea si fa esplicito riferimento al valore
che Sebastiano stesso riconosceva alla sua armatura. Si
legge infatti: “Sebastiano […] nell’esterior abito sol-
dato, ma nell’interiore, invicibil capitano et defensore
della fede”.24 Inoltre “egli a questo solo fine portava
l’abito militare, accioche confortasse l’anime de Chri-
stiani, le quali vedeva venir meno nelli tormenti”.25La
durezza del metallo come equivalente visivo della fer-
mezza della fede in Cristo, quindi. È inevitabile pensare
al San Sebastiano con l’armatura come alla rappresen-
tazione del miles christianus, colui che milita in difesa
della Parola di Dio, giungendo fino all’estremo sacrifi-
cio.
Nella Legenda Aurea scopriamo che è lo stesso santo a
parlare di “cavalieri di Cristo”. Rivolgendosi ai giovani
Marco e Marcellino che, in procinto di essere giustiziati
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Figura 3: Francesco Maria Rondani, Madonna con Bambino e i Santi Agostino
e Gerolamo, 1519 ca, olio su tela, Galleria Nazionale, Parma
Figura 4: Gian Francesco Tura, Madonna con Bambino e Santi, olio su tavola, colle-
zione Orombelli, Milano
in quanto cristiani, stavano per essere distolti dalla fer-
mezza della fede dalle preghiere dei genitori, Sebastiano
pronuncia queste parole: “O voi fortissimi cavalieri di
Cristo, non vogliate per le misere lusinghe deponer la
corona sempiterna”. La figura del miles christianus nella
letteratura cristiana deriva da un passo della Lettera di
San Paolo agli Efesini (6, 13-17):
Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resi-
stere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver su-
perato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fian-
chi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e
avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il
vangelo dello pace. Tenete sempre in mano lo scudo della
fede, con il quale potrete spegnere i dardi infuocati del ma-
ligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello
Spirito, cioè la parola di Dio.
Se l’iconografia del santo è stata scelta dal committente,
pare però non dover essere attribuita a Celano Pelumi
direttamente. Nel contratto d’acquisto della cappella in
San Pietro si legge infatti che la pala doveva essere rea-
lizzata “ad libitum et per arbitrio prefati domini abba-
tis”.26
Tale espressione, così come il fatto che l’acquirente
abbia versato al monastero la somma di denaro neces-
saria alla costruzione della cappella e alla confezione
della tavola d’altare, inducono a pensare che Celano Pe-
lumi abbia lasciato all’abate di San Pietro l’incarico di
commissionare a un pittore di sua scelta il dipinto per
la cappella, con le relative decisioni riguardanti l’icono-
grafia dei santi.
Secondo il Soli, nel 1513 ricoprirono la dignità abba-
ziale Tommaso da Piacenza e Nicola da San Benigno,
mentre dal 1514 al 1518 resse il monastero Marco da
Arona.27 La documentazione conservata presso l’Archi-
vio di Stato di Modena tuttavia attesta che dal 1514 al
1516 l’abate era “Vincentius de Mantua”.28 Possiamo
concludere che sia stato Vincenzo l’effettivo commit-
tente della pala di Celano Pelumi. Occorso infatti un
certo lasso di tempo per l’edificazione della cappella, è
plausibile che solo nel 1514 l’abate abbia dato l’incarico
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Figura 5: Correggio (già attribuito), Sant’Elena, San Sebastiano, San Pietro Martire,
San Gerolamo, ante 1519, olio su tela, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Modena
Figura 6: Gian Francesco Tura (?), Madonna con Bambino e le Sante
Marta e Maddalena, olio su tela, chiesa di Sant’Apollonia, Mantova
di realizzare l’ancona. E, data la provenienza dell’abate
stesso, è altrettanto verosimile che si sia rivolto ad un
pittore suo concittadino.
Vincenzo da Mantova aveva compiuto la propria pro-
fessione di fede nel monastero mantovano di San Bene-
detto di Polirone il 6 gennaio del 1490 e aveva già rico-
perto la carica di abate di San Pietro a Modena tra il
1510 e il 1512.29
Dal 1420 il monastero di San Benedetto era entrato a
far parte della Congregazione di Santa Giustina di Pa-
dova, cui aveva aderito, nel 1434, anche il monastero di
San Pietro. Tale congregazione era nata, nei primi de-
cenni del Quattrocento, dalla volontà dell’abate di
Santa Giustina di Padova, il veneziano Lodovico Barbo,
il quale aveva convogliato i suoi sforzi in una radicale
riforma dell’ordine benedettino con l’intento di confe-
rirgli nuova vitalità. Barbo auspicava un ritorno ad una
più stretta osservanza della Regola benedettina, spe-
rando che questo potesse sottrarre le abbazie dalla per-
niciosa pratica della commenda, con la quale i proventi
erano assegnati ad abati che non avevano legami di
alcun tipo con la comunità monastica in questione.30 Tra
le innovazioni più significative, vi fu quella che concer-
neva la figura dell’abate.
Tale incarico, all’interno della Congregazione di Santa
Giustina, aveva una durata annuale, con la possibilità
per il prescelto di essere confermato nel ruolo anche per
l’anno seguente o di essere chiamato più volte a rico-
prire la dignità abbaziale. Inoltre, il capitolo generale
della Congregazione aveva il diritto di trasferire i supe-
riori dei monasteri da una sede all’altra secondo neces-
sità.
Queste regolamentazioni ci aiutano a comprendere il
rapido susseguirsi dei nomi degli abati alla guida di San
Pietro a Modena e la ripetuta presenza, tra questi, pro-
prio di quel Vincenzo da Mantova che, nel 1519, sarà a
capo di San Benedetto di Polirone.31
I monaci del monastero mantovano, già a partire dalla
metà del XV secolo, divennero celebri per la loro co-
noscenza della Sacra Scrittura, dei testi dei Padri della
Chiesa, di San Paolo, della grande letteratura monastica
medievale e degli autori classici latini e greci. Si man-
tennero invece lontani dalla scolastica, che ancora do-
minava nell’ambiente domenicano e francescano. Lo
studio e l’erudizione caratteristica del cenobio manto-
vano, che poteva contare su un’ampia raccolta di codici
nella biblioteca,32 doveva sicuramente estendersi anche
alle agiografie dei principali Santi. Inoltre San Paolo era
certamente uno degli autori più attentamente studiati e
conosciuti dai monaci della Congregazione di Santa
Giustina.
Se veramente la committenza della Pala Pelumi spettò
a Vincenzo da Mantova, l’obbligo di far rappresentare
San Sebastiano per volontà testamentaria di Giovanni
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Figura 7: Nicolò Giolfino, Episodio di Storia Romana, tempera su tavola, Lindenau
Museum, Altenburg
Figura 8: Filippo da Verona, Madonna con Bambino e i Santi Geminiano e Martino,
ante 1522, olio su tavola, chiesa di San Pietro, Modena
Pelumi potrebbe avergli suggerito un’iconografia legata
ai passi paolini.
È curioso vedere che San Sebastiano è raffigurato sem-
pre come un soldato in armi, appoggiato ad un bastone,
in uno dei medaglioni della cappella a lui dedicata (la
seconda a sinistra) nella chiesa di San Benedetto Po (fig.
12).33
Originale è anche la decisione di affiancare, nella pala
modenese, San Sebastiano e San Gregorio Magno. Se il
primo è normalmente in coppia con San Rocco, con il
quale condivide i poteri taumaturgici per i quali erano
invocati nei periodi di pestilenza, il secondo compare
abitualmente insieme agli altri Dottori della Chiesa.
Secondo le biografie, Gregorio, appartenente a una fa-
miglia dell’aristocrazia senatoria romana, ammirava
profondamente la figura e l’opera di Benedetto da Nor-
cia, al punto da seguire il suo esempio e farsi monaco,
trasformando i suoi numerosi possedimenti in altret-
tanti centri monastici. In realtà non ci sono prove stori-
che per affermare con certezza che la regola prescelta
da Gregorio fosse proprio quella di Benedetto. La fi-
gura del fondatore del monachesimo occidentale fu
però fonte di grande stima e amore da parte di Grego-
rio, che dedicò a Benedetto l’intero II libro dei suoi Dia-
loghi.
Oltre al legame con l’ordine benedettino, bisogna con-
siderare che Gregorio Magno fu anche Dottore della
Chiesa, nonché il sessantaquattresimo pontefice.
Se San Sebastiano è raffigurato come il miles christianus
che affronta le traversie e i nemici armato della sua fede
nella parola di Dio, Gregorio rappresenta l’autorità pa-
pale e la tradizione patristica, di cui fu uno degli ultimi
grandi esponenti in Occidente.
Non è da escludere che le modalità di raffigurazione dei
due santi nella pala siano state influenzate dalla vici-
nanza dei monasteri benedettini alla corrente dell’evan-
gelismo pre-tridentino. Quest’ultimo, lungi dall’essere
un pensiero programmaticamente definito, era diffuso
in diverse regioni europee ed aveva tra i suoi sostenitori
l’umanista Erasmo da Rotterdam.34 L’evangelismo au-
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Figura 9: Artista veronese (?), Apparizione della Vergine a San Bernardo, primo
quarto del XVI secolo, olio su tavola trasportato su tela, ubicazione sconosciuta.
Figura 10: Lorenzo Costa, Santa Caterina d’Alessandria, sant’Antonio da Padova e
sant’Orsola, post 1518, olio su tavola, Cassa di Risparmio di Carpi, Carpi (Modena)
spicava una riforma della Chiesa che coniugasse la Fede
individuale con la conoscenza degli scritti patristici, il
rispetto delle gerarchie ecclesiastiche con l’avversione
per qualunque forma di speculazione scolastica. Mirava
a una Chiesa più spiritualizzata, che prevedesse un mag-
giore coinvolgimento del singolo fedele e, all’interno
della corrente, non mancarono punti di contatto con i
luterani.
Proprio nel cenobio di San Benedetto in Polirone que-
sto fermento spirituale ebbe uno dei suoi centri più im-
portanti nella prima metà del Cinquecento, quando fu-
rono professi Gregorio Cortese, Gian Battista Folengo,
Domenico Faucher, Luciano degli Ottoni e persino il
Benedetto Fontanini autore del discusso Beneficio di
Cristo.35
La composizione della Pala Pelumi è ispirata alla raffa-
ellesca Madonna di Foligno del 1512. Diventa proble-
matico pensare ad una esecuzione della pala subito nel
1513, che renderebbe il dipinto modenese la prima
opera nota debitrice dell’impostazione raffaellesca in
area padana. Risulta più convincente una datazione spo-
stata in avanti, intorno al 1515-16. Se infatti Celano Pe-
lumi lasciò all’abate di San Pietro l’onere di realizzare
una pala d’altare per la propria cappella, è ragionevole
pensare che in questo caso non si sia applicato il rigido
criterio che imponeva ai titolari degli altari il termine di
due anni per completare l’ornamentazione.
Il ristretto margine di tempo serviva ad evitare che la
decorazione della cappelle ad opera dei privati proprie-
tari si protraesse eccessivamente nel tempo. Nel mo-
mento in cui la committenza della pala dell’altare Pe-
lumi passò all’abate, chiaramente questo rischio era
meno sentito, in quanto era lo stesso superiore del mo-
nastero che se ne faceva carico.
Benati36 ha osservato come lo stile del dipinto in San
Pietro appartenga anche ad un’altra opera, conservata
a San Faustino di Rubiera, nella parrocchiale dei Santi
Faustino e Giovita. Il quadro di Rubiera era collocato
nell’abside della chiesa, al di sopra degli stalli lignei del
coro e raffigura L’apparizione della Madonna e del Bam-
bino ai Santi Faustino e Giovita (fig. 13). Attualmente il
visitatore lo può osservare sulla parete della navata di
destra, dove è stato affisso dopo che nella zona absidale,
nascosto sotto la sua superficie, venne rinvenuto un af-
fresco nel corso degli ultimi restauri.
Confrontando il quadro di Rubiera con quello di Ce-
lano Pelumi, Benati osserva come
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Figura 11: Lorenzo Leonbruno, Adorazione dei pastori, 1506 circa, olio su tavola,
National Museum, Tokyo
Figura 12: Artista mantovano (?), San Sebastiano, prima metà XVI secolo, affresco,
chiesa del monastero di San Benedetto in Polirone (Mantova)
la resa della vegetazione torni identica in entrambi i di-
pinti, così come i caratteristici sovrabbondanti panneggi
che fuoriescono dalle dalmatiche del San Gregorio nella
pala di San Pietro e dei due santi titolari della chiesa par-
rocchiale di Rubiera. Anche il modo con cui il bordo del
manto di Gregorio si offre di taglio, scandendo con net-
tezza la parte del panneggio in luce da quella in ombra, si
confronta con l’analoga stilizzazione sul braccio di Fau-
stino.37
Carlo Malagola, ottocentesco autore delle Memorie
dell’antica Pieve dei Santi Faustino e Giovita presso Rub-
biera, scrisse che “nel 1699 l’arciprete Gian Matteo
Zanni, comperato il bellissimo quadro di che già deco-
rava la chiesa dell’Ospitale presso Rubiera, posseduta
dalla famiglia dei Conti Sacrati, lo fece porre nel coro
della sua Pieve”.38 Il Malagola divulgò la notizia della
provenienza del dipinto dalla chiesa dell’Ospedale di
Rubiera, per il quale il Garofalo effettivamente lavorò
a partire dal 1542, realizzando un ciclo di affreschi e
l’ancona per l’altare maggiore.
Entrambe le informazioni fornite dal Malagola si sono
rivelate infondate. Confronti stilistici con le opere certe
del Garofalo portano ad escludere con certezza la sua
paternità per la pala della parrocchiale.
Relativamente alla provenienza del dipinto dalla chiesa
dell’Ospedale, la ricerca d’archivio39 non ha prodotto
alcuna notizia su una committenza del quadro da parte
della famiglia Sacrati, titolari dell’Ospedale.
In secondo luogo nell’Archivio della Curia Vescovile di
Reggio Emilia, presso cui si conserva l’antica documen-
tazione riguardante la Pieve dei Santi Faustino e Gio-
vita, è stato possibile consultare almeno due inventari
(redatti nel 1623 e 1647),40 che attestano la presenza del
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Figura 13: Artista mantovano, L’apparizione della Madonna e del Bambino ai Santi
Faustino e Giovita, inizio terzo decennio del XVI secolo, olio su tavola, pieve dei
SS. Faustino e Giovita, Rubiera (Reggio Emilia)
Figura 14: Stemma araldico della famiglia Guidi di Bagno, particolare della cornice
della pala con Apparizione della Madonna e del Bambino ai Santi Faustino e Gio-
vita, pieve dei SS. Faustino e Giovita, Rubiera (Reggio Emilia)
dipinto nella pieve ben prima del 1669, anno del pre-
sunto acquisto da parte dell’arciprete.
È plausibile ritenere che la pala fosse stata commissio-
nata proprio per la parrocchiale, e che quindi non abbia
mai lasciato la sua collocazione originaria. Tanto più
che lo stesso Giovan Matteo Zanni, responsabile del-
l’acquisto del dipinto secondo il Malagola, al momento
di scrivere nell’aprile del 1697 un inventario degli arredi
della chiesa, non fa accenno a un suo ruolo di compra-
tore della pala, limitandosi a darne una descrizione del
soggetto: “Dietro l’Altare sono l’Ancona, nella quale vi
è dipinto San Faustino e Giovita e la Beatissima Vergine
col Figlio e cori di Angeli; l’adornamento è di legno an-
tico con sopra il padre Eterno”.41 Del resto, avendo
come soggetto proprio i due santi titolari della pieve,
viene spontaneo pensare che il dipinto sia stato pensato
proprio per questo luogo.
Massimo Pirondini riferisce il quadro a un artista reg-
giano vicino al Soncini e al Patarazzi e influenzato dalle
prime manifestazioni della maniera moderna, possibil-
mente dopo aver visto la raffaellesca Sacra Conversa-
zione in San Sisto a Piacenza.42 Condividendo però
anche le considerazioni circa la relazione con la pala di
San Pietro, vale forse la pena di accantonare l’idea di
un’origine reggiana del nostro pittore.
A rafforzare l’idea di tale legame intervengono anche
alcuni dati provenienti da ricerche archivistiche. Dal
1514 prevosto della parrocchiale di Rubiera era il cano-
nico mantovano Ludovico Guidi da Bagno (?- 13 no-
vembre 1538).43 Costui era in strettissimi rapporti con
il cardinale Ippolito d’Este, di cui nel 1506 era divenuto
segretario. Proprio il cardinale estense risultava essere
il titolare originario del beneficio della Pieve di San
Faustino, come dimostrato dai documenti d’archivio.
Nel 1501 Ippolito cedette tale beneficio a Giulio Cesare
Cantelmo, vescovo di Nizza, che si premurò di far re-
digere subito un inventario dei beni della pieve, men-
zionando anche di aver ricevuto il titolo di Arciprete e
Commendatore perpetuo in seguito a cessione da parte
del cardinale Ippolito d’Este.44 Nel luglio del 1503 il
Cantelmo morì, con il conseguente ritorno della titola-
rità del beneficio nelle mani di Ippolito.45
Il nome del Da Bagno è noto essenzialmente per il le-
game di amicizia che lo legò a Ludovico Ariosto. En-
trambi facevano parte dell’entourage del cardinale Ip-
polito. Quando nel 1517 il prelato decise di recarsi nella
sua sede vescovile di Agria, in Ungheria, Ludovico Da
Bagno e Alessandro Ariosto, fratello dell’autore dell’Or-
lando Furioso, scelsero di seguirlo, mentre il poeta ri-
nunciò. La benevolenza di cui Ludovico godette sem-
pre da parte dell’augusto prelato gli permise di ottenere
un buon numero di benefici ecclesiastici. Il 13 gennaio
del 1504 venne nominato, per concessione di Ippolito,
rettore della chiesa parrocchiale di Santa Maria di Me-
lara, nella diocesi di Ferrara. Sempre nel ferrarese, il 5
marzo ottenne il beneficio della chiesa di Santa Maria
detta de Canizeli.46 Nella stessa capitale dello stato
estense riuscì, nel 1513, ad essere nominato priore di
San Michele. Risale al 1514 la registrazione, presso i Re-
gistra Lateranensia, della concessione a Ludovico del
plebanato di San Faustino e Giovita presso Rubiera.47
Quando Ippolito morì nel 1520, Ludovico, potendo
contare sull’amicizia di Casa Gonzaga, divenne uomo
di fiducia del cardinale Ercole Gonzaga. A partire dal
1530 nei documenti può fregiarsi del titolo di decano
della cattedrale mantovana.48
Per tornare al beneficio della pieve di Rubiera, è parti-
colarmente interessante una lettera rinvenuta da Carlo
Malagola nell’Archivio di Stato di Modena. Il giorno 11
giugno 1543 Francesco Diolo, governatore di Rubiera
per conto degli Estensi negli anni 1542-1543, scriveva
al duca Ercole II di aver fatto prendere possesso
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Figura 15: Stemma araldico della famiglia Guidi di Bagno, affresco, Corridoio degli
Stemmi, Palazzo Guidi di Bagno (ora Palazzo della Provincia), Mantova
[...] a nome dell’Ill.mo et Rev,mo Sig.r Cardinale d’Este,
fratello di V. Ecc. nello Beneficio della Pieve di Santo Fau-
stino, territorio costì di Rubbiera, subbito all’havuta del-
l’aviso della morte del patrone di detta pieve messer Hip-
polyto da Bagno nobile mantovano; et perché jo son stato
prima d’altri a far pigliare tal tenuta, et con commissionj
grandi che quelli homini et capellano di detto luoco d’essa
pieve non habbino a rispondere di riconoscere altro pa-
trone se non l’Ill.mo et Rev.mo Sig. Cardinale Signore no-
stro, et così detta tenuta si tenghi. A loro nome, mi par che
doppoi sonno andati molti cavalli similmente a nome del-
l’Ill.mo et Rev.mo Cardinale Santa Croce, per esse patrone
d’essa diocesi di Reggio, et il prete del luoco non gli ha-
vendo pottuto ressistere, gli ha bisognato dare ancor loro
ditta tenuta, et doppoi spartitisi; il che tutto è stato fatto
senza punto sapputa mia [...] onde mi è parso del tutto
darne aviso all’Ill.ma et Ex.ma Ducale S.V., la quale inten-
derà come anco ne ho dato aviso al Magnifico M. Scipione
Boleo, come agente di S. Rev.ma Signoria, la quale se havrà
ragione alcuna in ditto beneficio per essere stato già della
Ill.ma et Rev.ma Buona Memoria dell’Ill.mo et Re.mo Sig.
Cardinale Hippolyto primo [...] che poi ne fece dono al
quondam Magnifico M. Lodovico da Bagno suo charis-
simo.49
Da questa lettera si evince che il giuspatronato del be-
neficio della pieve apparteneva al casato estense, ai cui
membri ritornava in caso di morte di colui al quale era
stato ceduto.
Sappiamo dunque che il cardinale Ippolito I aveva con-
cesso il beneficio dei Santi Faustino e Rubiera al man-
tovano Ludovico da Bagno. Questi sopravvisse al pre-
lato e, ad un certo momento, dovette concedere la
titolarità del medesimo beneficio a un suo congiunto,
l’Ippolito da Bagno menzionato da Malagola. Morto
questi nel 1543, gli Estensi tornarono nuovamente in
possesso della Pieve.
Sicuramente il committente della pala deve essere indi-
viduato in Ludovico, il quale fino al gennaio del 1535 ve-
niva chiamato Arciprete di San Faustino.
Nell’archivio di Montebello è custodito un documento,
datato 8 gennaio 1535, in cui il da Bagno, con rogito del
notaio mantovano Girolamo Cizoli, nomina Guglielmino
Saluschi di Correggio suo procuratore ad litem per una
causa riguardante alcune proprietà della pieve.50
Colui che godeva di un beneficio parrocchiale non
aveva, a queste date, l’obbligo di risiedervi. Suo dovere
era solamente quello di stipendiare un cappellano che
officiasse il servizio divino e farsi carico, dal punto di
vista economico, della manutenzione degli edifici e delle
suppellettili e degli arredi che ornavano l’interno. Que-
sto significa che ricadevano su di lui eventuali commis-
sioni di opere d’arte e pale d’altare.
Sicuramente la conferma del coinvolgimento di un
membro della famiglia da Bagno nella committenza
della pala di Rubiera ci viene proprio dalla cornice di
quest’ultima. Nei basamenti delle due lesene laterali
sono ancora visibili due stemmi araldici; a sinistra uno
scudo “inquartato in decusseavente i triangoli supe-
riore ed inferiore giallo chiaro e i due laterali blu scuro,
per l’appunto lo stemma della famiglia mantovana dei
Guidi Da Bagno (fig. 14). Un raffronto ce lo offre lo
stemma dipinto ad affresco proprio in una delle sale del
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Figura 16: Stemma araldico della famiglia d’Este, particolare della cornice della
pala con Apparizione della Madonna e del Bambino ai Santi Faustino e Giovita,
pieve dei SS. Faustino e Giovita, Rubiera (Reggio Emilia)
palazzo di famiglia a Mantova (fig. 15). Sul basamento
di destra, invece, la componente pittorica è molto più
deteriorata, ma non impedisce di riconoscere lo stemma
di casa d’Este (fig. 16). Alla luce delle notizie sul giu-
spatronato estense della Pieve, la sua presenza nella cor-
nice non deve meravigliare.
Proprio lo stemma estense può forse aiutare nel fissare
cronologicamente la realizzazione del dipinto, che do-
vette essere ultimato nella prima metà degli anni ’20.
Ritornato dall’Ungheria nell’estate del 1520, Ippolito
era morto poco dopo e il dipinto potrebbe porsi come
un segno commemorativo verso il cardinale, al quale
Ludovico doveva tantissimo.
In alternativa dobbiamo ricordare che nel 1512 Rubiera
e il reggiano vennero sottratti al dominio estense dalle
truppe pontificie di Giulio II; fu solo nel 1523 che il
duca di Ferrara Alfonso I riuscì a rientrare in possesso
dei territori perduti.51La presenza dello stemma degli
Este nella cornice potrebbe suggerire una realizzazione
immediatamente successiva a quest’ultimo evento, quasi
a celebrare il ritorno di Rubiera sotto il legittimo deten-
tore.
Il riconoscimento dello stemma dei Da Bagno consente
di ritenere che la cornice in questione sia quella origi-
nale della pala. Nel catalogo della mostra Arte in Emilia
la Quintavalle non menzionava gli stemmi araldici e fa-
ceva riferimento ad una targa con il nome di Don Zanni
affissa sulla cornice. Un successivo intervento ha ri-
mosso lo strato di pigmento che era stato in precedenza
(forse proprio su incarico di Don Zanni) applicato alla
cornice e ha recuperato i
pochi lacerti di pittura originale.
La figura di Ludovico Da Bagno non era sconosciuta
agli storici dell’arte, essenzialmente per via del suo
lungo carteggio con Isabella. Ad oggi, tuttavia, le carte
d’archivio non ci hanno restituito l’immagine di un Lu-
dovico grande mecenate, collezionista o almeno inte-
ressato all’arte. L’impressione complessiva è quella di
un uomo intento soprattutto ad accumulare cariche e
benefici, non possiamo dire se con l’intento di accre-
scere anche il prestigio della famiglia d’appartenenza.
Per tale ragione, nel momento in cui scelse di far ornare
la Pieve di Rubiera con una nuova pala, si rivolse ad un
pittore suo concittadino che doveva conoscere, visti i
ripetuti legami con la Casa Gonzaga.
I caratteri stilistici individuati dalla critica nelle due
opere sinora concordemente ricondotte al Maestro di
Celano Pelumi ci indirizzano verso un artista calato
nella situazione mantovana di inizio Cinquecento e, al
contempo, aggiornato anche sui fatti ferraresi. È inte-
ressante considerare che le due influenze artistiche che
si combinano nell’anonimo maestro fanno capo alle due
città tra le quali si svolse la parte più considerevole della
vita di Ludovico da Bagno: mantovano di nascita, a
lungo residente a Ferrara presso Ippolito d’Este e infine
nuovamente nella sua città natale.
Mantova e Ferrara, dunque. Le due piccole capitali
dell’arte in area padana di primo Cinquecento fecero
anche da sfondo alle vicende biografiche e artistiche dei
membri di una grande famiglia di pittori, quella dei
Costa.
Muovendo da questi presupposti e considerando il re-
lativo prestigio di committenti e le destinazioni delle
due opere analizzate, sarebbe affascinante pensare che
il Maestro di Celano Pelumi sia un membro di questa
grande dinastia di artisti, sempre al centro delle relzioni
tra Ferrara, Mantova e Bologna.
Se Lorenzo Costa nel 1483 risulta trasferito a Bologna
e dal 1506 è artista di corte presso i Gonzaga, il fratello
Michele, secondo i documenti, restò a Ferrara per quasi
tutta la sua vita.
A partire dal 1504 fino al 1512 Michele ricevette diversi
pagamenti per la decorazione della chiesa di Santa
Maria degli Angeli, in cui lavora a fianco di Ludovico
Mazzolino.52 Sempre nel 1507 viene pagato per pitture
nel palazzo ducale di Ferrara.53 Malgrado delle sue
opere non sia rimasta alcuna traccia, Michele Costa era
evidentemente uno degli artisti più apprezzati dalla casa
d’Este, come dimostra la sua attività in alcuni dei can-
tieri più prestigiosi dell’epoca.
All’interno della rete dei rapporti familiari potrebbe
dunque essersi mosso il Maestro di Celano Pelumi, il
quale, pur influenzato dai fatti mantovani, visitando
Ferrara poteva certamente essere aggiornato sulle opere
degli artisti più in voga, Dosso, Garofalo, e l’Ortolano.
Note
1. G. Soli, Chiese di Modena, a cura di G. Bertuzzi, Aedes Muratoriana,
Modena 1974, vol. III, p. 114.
2. Ivi, p. 110.
3. M. A. Lazzarelli, Pitture delle chiese di Modana, ed. a cura di O. Ba-
racchi Giovanardi, Aedes Muratoriana, Modena 1982, p. 113.
4. G. F. Pagani, Le pitture e sculture di Modena (1770), rist. anast., A.
Forni, Bologna 1974, p. 59.
5. A. Venturi, Storia dell’arte italiana, Hoepli, Milano 1926, pp. 702-703.
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6. A. Ghidiglia Quintavalle, Arte in Emilia, catalogo della mostra a cura
di A. e C. Quintavalle, Parma, Soprintendenza alle Gallerie di Parma,
Piacenza, Modena, Reggio, 1960, pp. 60-61.
7. Si veda in particolare A. De Marchi, Gian Gherardo dalle Catene, in
A. Bellandi, M. Vezzosi, a cura di, Vetera et nova, Polistampa, Firenze
2005, p. 102. De Marchi ha proposto di vedere nella pala di San Pietro
una testimonianza dell’attività giovanile del modenese Gian Gherardo
delle Catene.
8. M. Ferretti, Ai margini di Dosso (Tre altari in San Pietro a Modena),
“Ricerche di storia dell’arte”, n. 17, 1982, p. 72, n. 20.
9. R. Longhi, Le fasi del Correggio giovine e l’esigenza del suo viaggio ro-
mano, “Paragone”, n. 101, 1958, pp. 34-53.
10. M. Laskin jr., The early work of Correggio, Doctoral Dissertation,
New York University, 1964, pp. 104-114.
11. D. A. Brown, The young Correggio and his Leoanrdesque sources, Doc-
toral Dissertation, Yale University, 1973, pp. 217-242.
12. R. Berzaghi, Tre dipinti e un nome per il “Maestro Orombelli”, in P.
Piva e E. Del Canto, a cura di, Dal Correggio a Giulio Romano. La com-
mittenza di Giulio Cortese, catalogo della mostra, Casa del Mantegna,
Mantova 1989, pp. 171-192.
13. A. Conti, Sfortuna di Lorenzo Leonbruno, “Prospettiva”, n. 77, 1995,
p. 45, n. 2.
14. M. Danieli, scheda n. 74 Madonna con Bambino e le Sante Maria e
Maddalena, in M. Lucco, a cura di, Mantegna a Mantova 1460-150, cata-
logo della mostra, Skira, Milano 2006, p. 214.
15. L. Ventura, Un pittore a corte nella Mantova di primo Cinquecento,
Bulzoni, Roma 1995.
16. E. Negro e N. Roio, Lorenzo Costa, Artioli, Modena 2001, p. 21.
17. C. Brown, A. M. Lorenzoni, The Palazzo di San Sebastiano (1506-
1512) and the Art Patronage of Francesco II Gonzaga, fourth Marquis of
Mantua, “Gazette des Beaux-Arts”, aprile 1997.
18. D. Benati, Francesco Bianchi Ferrari e la pittura a Modena fra Quattro
e Cinquecento, Artioli, Modena 1990, p. 138.
19. R. Örtel, Frühe Italienische Malerei in Altenburg, Henshelverlag, Ber-
lin 1961, p. 264.
20. M. Tanzi, Filippo da Verona, affini e omonimi, in La pittura veneta
negli stati estensi, Banca popolare di Verona-Banco S. Geminiano e S.
Prospero, Verona 1996, pp. 119-134.
21. Sotheby’s, 8 luglio 1981, lotto 61, pp. 61-62.
22. L. Ventura, Lorenzo Leonbruno, cit., pp. 149-150.
23. F. Danieli, La freccia e la palma, Edizioni Universitarie Romane,
Roma 2007, p. 16
24. Jacobus de Voragine, Legenda Aurea, a cura di G. P. Maggioni, Si-
smel, Firenze 2007, p. 196.
25. Ibidem.
26. ASMO, ANM, Notaio Giovan Battista Scodobio, b. 1503, n. 174.
27. G. Soli, Le chiese di Modena, cit., p. 114.
28. ASMO, Soppressioni Napoleoniche, Benedettini, Libro in pergamena
di instrumenti, b. 2658.
29. F. G. B. Trolese, P. Golinelli, a cura di, Polirone nella Congregazione
di Santa Giustina di Padova (1420-1506), Patron, Bologna 2007, p. 54.
30. M. Zaggia, Tra Mantova e la Sicilia nel Cinquecento. La Congregazione
benedettina cassinese nel Cinquecento, Leo S. Olschki, Firenze, 2003, pp.
401-412.
31. Ivi, p. 54.
32. C. Corradini, P. Golinelli, G. Z. Zanichelli, a cura di, Catalogo dei
manoscritti polironiani, Patron, Bologna 1998.
33. G. Spinelli, Iconografia e iconologia della chiesa giuliesca, in P. Piva e
M. Berro, a cura di, I secoli di Polirone committenza e produzione artistica
di un monastero benedettino, catalogo della mostra, San Benedetto Po
(Mn), Monastero Benedettino, Mantova 1981, vol. I, p. 270
34. M. Rosa e M. Verga, Storia dell’età moderna, Bruno Mondadori, Mi-
lano 1998, pp. 72-74.
35. P. Piva, Tra Evangelismo e Riforma cattolica: Gregorio Cortese, in Id.,
Correggio giovane e l’affresco ritrovato di San Benedetto in Polirone, To-
rino, Allemandi, 1988.
36. D. Benati, Francesco Bianchi Ferrari, cit., p. 135.
37. Ibidem.
38. C. Malagola, Memorie dell’antica Pieve dei Santi Faustino e Giovita
presso Rubbiera, “Atti e memorie delle Reali Deputazioni di storia patria
delle province dell’Emilia”, VII, 1, 1881, p. 25.
39. O. Baracchi, F. Milani, L’Ospitale di Rubiera. I Sacrati : carità, storia
e arte, Artioli, Modena 1987.
40. Archivio della Curia Vescovile di Reggio Emilia, Parrocchie, San Fau-
stino, filza 96.
41. Ibidem.
42. M. Pirondini, La pittura del Cinquecento a Reggio Emilia, F. Motta,
Milano 1985, pp. 35-37.
43. M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto ricostruita su nuovi documenti,
Leo S. Olschki, Genève 1930, p. 193.
44. ASMO, Giurisdizione Sovrana, Giurisdizione ecclesiastica su beni di
giuspatronato estense, b.21, Inventario dei Beni Mobili ed Immobili spet-
tanti alla Pieve dei SS. Faustino e Giovita nel territorio di Rubiera.
45. Lettera del 25 luglio 1503 al segretario del Cardinale Thome Fusco, ivi.
46. Archivio di Bagno di Montebello [AdBM], cass. 3, fasc. 12: Privilegi
e benefici di Ludovico da Bagno.
47. Ibidem.
48. Ibidem.
49. C. Malagola, Memorie dell’antica pieve, cit., pp. 39-40.
50. AdBM, cass. 3, fasc. 12.
51. A. Namias, Storia di Modena e dei paesi circostanti (1894), A. Forni,
Bologna 1980, vol. I, pp. 282-290.
52. A. Ballarin, Il Camerino delle pitture di Alfonso I, vol. 5, Bertoncello,
Padova 2007, p. 75.
53. Ivi, pp. 70-72.
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Arte in Emilia, catalogo della mostra a cura di
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A. Ghidiglia Quintavalle, Arte in Emilia, catalogo della mostra a cura di A. e C. Quintavalle, Parma, Soprintendenza alle Gallerie di Parma, Piacenza, Modena, Reggio, 1960, pp. 60-61.
The young Correggio and his Leoanrdesque sources, Doctoral Dissertation
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D. A. Brown, The young Correggio and his Leoanrdesque sources, Doctoral Dissertation, Yale University, 1973, pp. 217-242.
74 Madonna con Bambino e le Sante Maria e Maddalena, in M. Lucco, a cura di, Mantegna a Mantova 1460-150, catalogo della mostra
  • M Danieli
M. Danieli, scheda n. 74 Madonna con Bambino e le Sante Maria e Maddalena, in M. Lucco, a cura di, Mantegna a Mantova 1460-150, catalogo della mostra, Skira, Milano 2006, p. 214.
Le fasi del Correggio giovine e l'esigenza del suo viaggio romano
  • R Longhi
R. Longhi, Le fasi del Correggio giovine e l'esigenza del suo viaggio romano, "Paragone", n. 101, 1958, pp. 34-53.
Tre dipinti e un nome per il " Maestro Orombelli
  • R Berzaghi
R. Berzaghi, Tre dipinti e un nome per il " Maestro Orombelli ", in P. Piva e E. Del Canto, a cura di, Dal Correggio a Giulio Romano. La committenza di Giulio Cortese, catalogo della mostra, Casa del Mantegna, Mantova 1989, pp. 171-192.
Memorie dell'antica Pieve dei Santi Faustino e Giovita presso Rubbiera Atti e memorie delle Reali Deputazioni di storia patria delle province dell'Emilia
  • C Malagola
C. Malagola, Memorie dell'antica Pieve dei Santi Faustino e Giovita presso Rubbiera, " Atti e memorie delle Reali Deputazioni di storia patria delle province dell'Emilia ", VII, 1, 1881, p. 25.
Tra Mantova e la Sicilia nel Cinquecento. La Congregazione benedettina cassinese nel Cinquecento
  • M Zaggia
M. Zaggia, Tra Mantova e la Sicilia nel Cinquecento. La Congregazione benedettina cassinese nel Cinquecento, Leo S. Olschki, Firenze, 2003, pp. 401-412.
Il Camerino delle pitture di Alfonso I
  • A Ballarin
A. Ballarin, Il Camerino delle pitture di Alfonso I, vol. 5, Bertoncello, Padova 2007, p. 75.
Correggio giovane e l'affresco ritrovato di San Benedetto in Polirone
  • P Piva
  • Tra Evangelismo E Riforma Cattolica
P. Piva, Tra Evangelismo e Riforma cattolica: Gregorio Cortese, in Id., Correggio giovane e l'affresco ritrovato di San Benedetto in Polirone, Torino, Allemandi, 1988. 36. D. Benati, Francesco Bianchi Ferrari, cit., p. 135. 37. Ibidem.