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Patrum erga filiam amor luctuosus. L’espressione funebre dell’amore familiare nella poesia di Giovanni Pontano e Jan Kochanowski. Paralleli e ispirazioni

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Abstract

Patrum erga filiam amor luctuosus: Mournful Expression of Family Love in the Poetry of Giovanni Pontano and Jan Kochanowski. Parallels and Inspirations The early modern tradition of poetry dedicated to family love was started by Giovanni Pontano. He used the tradition of Roman love elegy in order to write the collection De amore coniugali (On Conjugal Love). Some of the poems were addressed to Pontano’s wife, Ariadna, while others were elegies and lullabies (Naeneiae) addressed to his children and suffused with powerful emotions. The subject of family love reverberates also in his mournful poetry, for instance in the collection Tumuli consisting of mournful epigraphic elegies. There is significant evidence indicating that Jan Kochanowski had Pontano’s poetry in mind when he was writing one of the most original early modern funeral cycles, Treny. The cycle was devoted to his thirteen-month- ?old daughter Urszula. In Tren II he distinctly refers to the author of Naeniae and Tumuli, even though he does not mention his name. Moreover, the influence of the astrological poem Urania becomes noticeable in the mode of using mourning topoi and the plot of Treny. Characteristically, the final part of Urania was devoted to Pontano’s daughter Lucia, who had died at the age of thirteen. The elaborate humanistic discourse on the philosophical vision of the world, which is an ideologically significant part of Kochanowski’s oeuvre, had its precedent in Pontano’s poetry. The relationship sheds new light on the range of Kochanowski’s reading and the reception of Pontano’s work in Poland. The ending of both cycles reflects the influence of Petrarch’s Canzoniere on the poets: Pontano and Kochanowski refer to the sonnets from the cycle In morte di Madonna Laura, which involve metapoetical issues.
Studi Slavistici III (2006): 65-80
Grażyna Urban-Godziek
Patrum erga filiam amor luctuosus
L’espressione funebre dell’amore familiare nella poesia
di Giovanni Pontano e Jan Kochanowski.
Paralleli e ispirazioni
Nell’arte del Rinascimento proliferano testimonianze dell’attenzione artistica verso i
figli. Sono ben conosciute e studiate le pitture che raffigurano Gesù Bambino, San
Giovanni Battista o angioletti di maestri come Raffaello, Donatello o Michelangelo. I
bambini vi sono rappresentati con tutto il loro fascino e la loro innocenza, anche se il
ruolo che svolgevano nell’ambito del messaggio ideologico dell’opera era molto serio.
Analizzando le arti figurative dal punto di vista della presenza del bambino nella
cultura dell’epoca, nonché dell’atteggiamento degli artisti e del pubblico di fronte a un
tale tema, scorgiamo che sono proprio le lapidi infantili a risultare più espressive.
Senza dubbio, i monumenti eretti in memoria dei figli morti erano un’espressione
di vero affetto e amore paterno. Le chiese rinascimentali polacche sono piene di pietre
sepolcrali raffiguranti graziosi putti, immobili nel loro sonno infantile. Per lo più veni-
vano realizzate su commissione presso le botteghe di maestri italiani come Bartolomeo
Berecci, Giovanni Maria Padovano o Girolamo Canavasi. Anche gli epitaffi che accom-
pagnano le sculture sono molto espressivi, frequentemente intrisi di dolore e di tene-
rezza. Fu Zofia Głombiowska (Głombiowska 2001: 20-22) a notare, nel contesto dei
Treny [Lamenti] di Jan Kochanowski, il particolare parallelismo di tali fenomeni nell’am-
bito delle arti figurative e della letteratura del Rinascimento. Si possono trovare diversi
esempi al proposito.
La poesia umanistica dedicata ai figli è un fenomeno culturale e letterario molto
interessante, ma pare che non sia apprezzato in modo sufficiente dagli studiosi della
storia delle idee1. I componimenti poetici, scritti dalla prospettiva del padre, esprimo-
no la sua cura, il suo affetto, ma anche il dolore incolmabile provocato dalla morte
precoce del figlio. Nell’ambito di questa poesia le opere funebri sono quelle più fre-
quenti. I frutti di questa moda letteraria si possono ritrovare in Italia, in Polonia, nei
1 Nel capitolo sull’epoca dell’Umanesimo della Histoire des pères et de la paternité
(Delumeau, Roche 1990) vi sono poche informazioni relative all’amore del padre verso i propri
figli. Non vengono presi in considerazione i testi poetici intesi come fonti per la conoscenza
della cultura dell’epoca.
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Paesi Bassi, e un’attenta ricerca di testi permetterebbe probabilmente di rintracciare
opere di carattere simile in tutte le zone dove si estendeva la cultura letteraria latina.
L’arte funebre il cui oggetto sono i figli spentisi precocemente, che vengono rap-
presentati con una cura particolare per il realismo dell’aspetto fisico, del compor-
tamento nonché dei rapporti con i genitori e con i precettori, era presente anche nella
letteratura antica. La già citata Głombiowska menziona e analizza la letteratura
dedicata al figlio di Ettore, Astaniatte (Iliade di Omero e Troiane di Euripide), a Oreste
da bambino (Corefore di Eschilo), ma anche i molti epitaffi per la morte di fanciulli e
neonati provenienti dalle antologie greche e, nell’ambito della letteratura romana, gli
epicedi di Stazio (Głombiowska 2001: 15-20). Elencando i modelli antichi della poesia
rinascimentale in memoria dei figli, pare necessario includervi anche un’altra
tradizione, che è quella dell’elegia erotica latina.
Nel periodo moderno, iniziatore di un poetare come espressione dell’amor
paterno fu Giovanni Gioviano Pontano (1429-1503), conosciuto soprattutto come
cantore della bellezza della vita, del piacere dell’amore visto dalla prospettiva dei poeti
epigrammatici e lirici. In Italia, Pontano godé fama di vate che, con una sensualità
profonda, riuscì a rendere nella poesia la bellezza dei paesaggi napoletani. Le più ori-
ginali e allo stesso tempo le più importanti paiono però le sue opere che appartengono
alla poesia funebre.
La capacità di imitare l’elegia latina permise a Pontano di creare una poesia in
grado di dare un’espressione alla sensibilità e alle emozioni della realtà moderna.
Ricorrendo al linguaggio erotico poetico sviluppato dall’elegia latina dell’epoca di Au-
gusto, nonché all’immaginario elegiaco, alla topica e ad una vasta scala di emozioni,
Pontano diede inizio alla lirica dell’amore familiare di cui un esempio notevole è
costituito dal ciclo De amore coniugali dedicato alla sua amata moglie, Ariadna2. Nel
quadro della poesia dell’amore coniugale, Pontano incluse anche elegie colme di
tenerezza e cura paterna, come si vede particolarmente in Ad uxorem de liberis educandis
o in Exultatio de filio nato (I, 9 e 10), negli epitalami per le figlie Aurelia e Eugenia (III, 3
e 4) nonché nelle naeniae, assenti nella poesia latina: naenie fu infatti un genere inventato
da Pontano3. Protagonisti infantili sono presenti anche in altre opere pontaniane. Il
poeta creò poesie latine che imitavano il linguaggio infantile (Naeniae, Quinquennius). Si
deve tuttavia notare che le opere pontaniane per i fanciulli derivano in modo diretto
dall’elegia erotica per la donna e sono una variante dell’amore realizzato4; né va
tralasciato il fatto che per finezza di emozioni, per sensibilità e per il tratteggio con cui
viene creata la protagonista e destinataria della poesia di Pontano, una notevole
2 La moglie del poeta, Adriana Sassone, fu prototipo del personaggio letterario anche
se, per motivi metrici ed eufonici, Pontano ricorse al nome mitico, Ariadna.
3 Il termine naenia fu creato da Pontano dalla parola italiana “ninnananna”, che associò
con il termine latino nenia (canto funebre, incanto magico, canto o poesia).
4 Per un’analisi più dettagliata di questo fenomeno, cf. Urban-Godziek 2005, in par-
ticolare il cap. IX (De amore coniugali).
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importanza ebbe la conoscenza, da parte dell’autore, della poesia medievale e del primo
Umanesimo – quella di Petrarca in particolare.
Siffatte forme poetiche trovarono la loro corrispondenza nella poesia funebre del
poeta italiano. La morte di Ariadna diventa l’asse portante delle opere di Pontano. Ella
è sempre presente in modo attivo, almeno come destinataria di poesie come Ariadnam
uxorem mortuam alloquitur o Ad uxorem mortuam de obitu Lucii filii deploratio (Eridanus II, 1 e
32). L’espressione più raffinata del dolore provocato dalla perdita della donna amata è
costituita dall’elegia pastorale Meliseus. Questo componimento rappresenta una visione
serena dei Campi Elisi dove Ariadna insieme al suo amato figlio, Lucio, si occupa delle
faccende domestiche come una volta nella villa Antoniana.
Molte volte quel poeta così fortemente legato alla sua famiglia dovette risentire la
presenza della morte. I motivi funebri appaiono in tutte le raccolte pontaniane e sono
presenti in tutti i generi letterari a cui ricorre come in tutte le tradizioni stilistiche a cui
attinge. Con le poesie funebri diede l’addio alla figlia Lucia Marzia, alla moglie, al figlio
– Lucio Francesco, al genero e ai nipoti. Le elegie epigrafiche tombali, Tumuli, raccolte
in due volumi, sono dedicate anche ad amici morti, a se stesso, nonché a personaggi
fittizi. Fra questi componimenti, frequenti sono le elegie epigrafiche per i figli. In
queste poesie si riflette il dolore e la disperazione, ma tutto avvolto nel silenzio
idilliaco della tomba. Anche la natura, e la flora in particolare, vi svolgono un ruolo
molto importante. I fiori, a cui è data la capacità di compassione e di partecipazione al
dolore altrui, diventano custodi delle tombe e dei morti. Essi stessi però non muoiono,
vengono raffigurati sempre crescenti e mai tagliati. La loro vitalità e il continuo
rinascere portano la speranza e la consolazione (cfr. Jambici IV-VI5 del ciclo in
memoria del figlio morto).
Un componimento molto caratteristico per tutto il ciclo dei Tumuli è Tumulus
Luciae Pontanae Filiae (Tum. II 2). Vi troviamo la poetica pontaniana del paradosso,
l’attenzione verso la dimensione sensuale della realtà e i giochi etimologici. Questa
breve poesia, dedicata alla figliuola, raccoglie in sé molti motivi che in seguito
appariranno sia nella parte finale di Urania sia in Treny di Jan Kochanowski.
Evocando il “luminoso” significato del nome della figlia, il poeta lancia una serie
di paradossi. Il padre, rimasto in vita, alla luce del sole, si china sopra la tomba nella
cui tenebrosa profondità è deposta la figlia morta. La logica della situazione viene poi
capovolta. Le tenebre circondano chi è immerso nel lutto: “Liquisti patrem in
tenebris” (v. 1), questa è la constatazione che apre e chiude la poesia, “At nos in
tenebris vitam luctumque trahemus” (v. 11)6. Allo stesso tempo, con il primo distico
appare il motivo di Persefone rapita nelle tenebre dell’oltretomba: “e luce in tenebras,
filia rapta mihi es” (v. 2). Poco dopo, Pontano nega quel concetto, sviluppando un
altro topos antico: “Sed neque tu in tenebras rapta es; quin ipsa tenebras / liquisti et
medio lucida sole micas” (vv. 3-5). Non vi è dubbio che ci troviamo di fronte ad un
5 IV Conqueritur apud rosas de morte Lucii filii; V Conqueritur cum amaraco de morte Lucii filii;
VI Cupressus loquitur.
6 Tutte le citazioni dai Tumuli provengono dall’edizione: Pontano 1948.
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katasterismos: Lucia è stata portata alle stelle (ugualmente come accade in Urania). In
seguito appaiono, però, dei dubbi che tormentano ambedue i padri in una ricerca
disperata del posto dove si trovano le loro figlie nel mondo dell’al di là (cf. Urania V
861-865, 870-875 e sgg.; Lamento X): “num, nata, parentem / aspicis? An fingit haec
sibi vana pater?” (v. 6). Questo fa pensare ad un altro concetto della vita dell’oltre-
tomba dell’uomo di cui rimangono ceneri, prive dei sensi, chiuse in una tomba: “Sola-
men mortis miserae te, nata, sepulcrum / hoc tegit; haud cineri sensus inesse potest”
(v. 7-8). Questa frase pare essere il momento culminante della poesia dopo il quale il
poeta subito arriva alla fine delle sue riflessioni, tornando ancora una volta all’idea
tralasciata prima: “siqua tamen de te superat pars, nata, fatere / felicem, quod te prima
iuventa rapit” (v. 9-10). La gioia di queste “nozze” dell’oltretomba non è tuttavia
riservata ai genitori. Il distico citato sopra, nonché quello finale dell’opera (“At nos in
tenebris vitam luctuque trahemus / hoc pretium patri, filia, quod genui”) riporta il
tema degli imenei non cantati e delle speranze deluse fortemente presente sia in
Kochanowski che in Pontano (cfr. Lamento II 29-30).
Le opere di Giovanni Pontano godettero di una fama notevole e duratura per
duecento anni e si diffusero dall’Italia alla Spagna e alla Francia fino ai Paesi Bassi.
Esistono testimonianze dell’influsso di queste opere sulla Pléiade francese e sulla
divulgazione del petrarchismo nella poesia latina (che a sua volta influenzò fortemente
il gongorismo). Pontano inoltre mostrò il nuovo indirizzo della poesia pastorale e fu-
nebre. Questa fama non poteva non arrivare anche nella Polonia dell’Umanesimo. La
prima testimonianza di una lettura creativa del poeta italiano è costituita probabil-
mente dalla parafrasi fatta da Andrzej Krzycki di una delle naenie di Pontano7. Si tratta
di un canto natalizio In natali sacro puerum Jesum8. Esiste anche un’edizione della raccolta
di inni elegiaci cristiani, De laudibus divinis, uscita a Cracovia nel 1520. Finora, però,
manca una dettagliata ricerca comparata in questo ambito. Esiste un solo articolo che
tratta questo argomento (mi riferisco a “Treni” e “Tumuli” di Maria Bersano Begey,
apparso sulla “Rivista di Letterature Slave” nel 1930, cf. Bersano Begey 1930).
Jan Kochanowski (1530–1584), nato quasi trent’anni dopo la morte di Giovanni
Pontano, fu il primo umanista polacco che nell’ambito della lingua polacca creò una
poesia basata sul modello della lirica latina. Il poeta, che fu homo trium linguarum, ebbe
una vasta istruzione (studiò fra l’altro a Padova) e scrisse, come molti altri autori della
Polonia dell’Umanesimo, sia in latino sia in volgare. Per la letteratura polacca fu una
grande fortuna che questo poeta, il quale per primo trasportò l’idea di imitatio (et
aemulatio) antiquorum sul suolo polacco, si rivelò un genio della poesia. Kochanowski
diede il modello per la lingua polacca a cui attinsero in seguito gli artisti di tutte le
epoche e di tutte le mode letterarie. Kochanowski, inoltre, tradusse il Libro dei Salmi di
Davide (Psałterz Dawidów [Salterio Davidico]) in cui si possono ritrovare gli echi del
sistema saffico. Continuando l’opera di Cicerone, l’umanista polacco tradusse in latino
e commentò Phainomena di Arato e lasciò anche una prova di traduzione poetica
7 Naenia secunda, De amore coniugali II 9, incipit: Ne vagi, ne, blande puer, ne, parvule, vagi.
8 Incipit: Christe puer, mellite puer, rex parvule regum.
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dell’Iliade omerica, intitolata Monachomachia Parysowa z Menelausem [Monachomachia di
Paride e Menelao]. Kochanowski è anche autore di Pieśni [Canti] scritte su modello di
Orazio, di raccolte di epigrammi: in polacco, Fraszki [Frasche] e in latino Foricoenia,
nonché di Elegie e Liricorum libellus latini. Compose anche una tragedia umanistica
intitolata Odprawa posłów greckich [Il congedo dei messi greci].
La tradizione letteraria successiva a Kochanowski si ispirò, tuttavia, a un’altra
opera del poeta. Si tratta appunto dei Treny, che fino ad oggi costituiscono il libro più
impressionante e commovente, letto durante i corsi di letteratura scolastici. È un
ampio poema filosofico, composto da ventinove poesie, dedicato alla figlioletta,
Orszula, morta a trenta mesi di vita. Lamenti, pur mantenendo legami con la tradizione
funebre antica, si presentano come un’opera eccezionale e originale in quanto ciclo
poetico di componimenti funebri (vengono a volte paragonate con i cicli poetici di
Petrarca e di Ronsard). Il dolore provocato dalla perdita della figlia ed espresso con un
lirismo e una sincerità particolari è allo stesso tempo un pretesto per una polemica
ideologica molto importante. Il ciclo costituisce, infatti, un preannuncio della lotta
barocca dell’uomo contro Dio, contro lo stoicismo, ma anche una lotta per la propria
identità filosofica e una rivalutazione dell’ottimismo rinascimentale. È una battaglia
che finisce con la vittoria del poeta.
Jan Kochanowski conosceva bene anche la tradizione poetica moderna. Non è
facile, però, rintracciare ispirazioni di questo ambito, poiché il poeta ricorreva alle
fonti letterarie in modo molto sottile. Nei suoi studi non poteva, tuttavia, mancare la
lettura di uno dei più importanti poeti lirici del Quattrocento. Il patrimonio del
napoletano si riflette sia nelle opere latine, che in quelle polacche di Kochanowski. Nel
libro III di Elegie il poeta polacco sperimenta la forma della poesia dell’amore
coniugale9. Le opere funebri di Pontano costituiscono, invece, un importante contesto
per i Lamenti di Kochanowski. Nei Tumuli pontaniani, e in particolare nella parte finale
del poema astrologico, Urania, dedicato alla figlia Lucia morta tredicenne, si può
individuare una fonte diretta di certe immagini e alcune idee del ciclo dei treni per
Orszula, la figlia del poeta polacco10.
Lo stesso Kochanowski, in Tren II, ci autorizza a interpretare tutto il ciclo in
chiave pontaniana:
Jeslim kiedy nád dziećmi piórko miał zábáwić,
Á kwóli temu wieku lekkié rymy stáwić,
Bodajżebych był ráczéj kolébkę kołysał
I z drugiémi nieważné mamkom pieśni pisał,
Którémi by dziecinki noworodné spiły
I swoich wychowáńców lámenty toliły!
Tákié frászki mnie zbieráć pożyteczniéj było
Niżli, w co mię nieszczęścié moje dziś wpráwiło,
9 Cfr. Urban-Godziek 2005: 186-192.
10 Nel commento a Treny di Jan Kochanowski (Kochanowski 1983), il nome di Pontano
appare alcune volte, ma sono soltanto i Tumuli a essere evocati come il contesto per Treny.
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Płákáć nád głuchym grobem méj wdzięcznéj dziewczyny
I skárżyć się ná srogość ciężkiéj Prozerpiny.
Álem użyć w obojgu jednákiéj wolności
Nie mógł: owom ominął, jako w dordzáłości
Dowcipu coś ránégo; ná to mię przygodá
Gwałtem wbiłá i mojá nienagrodna szkodá.
Ani mi teraz łácno dowiádáć sie o tym,
Jáka mię z płáczu mégo czeka cześć ná potym.
Nie chciałem żywym śpiéwáć, dziś umárłym muszę.11
(Tren II 1-17)
I due componimenti iniziali del ciclo di Kochanowski svolgono il ruolo dell’esor-
dio. Il primo, evocando “Wszytki płácze, wszytki łzy Heráklitowé / I lámenty, i skárgi
Symonidowé”12, si riferisce alle autorità della poesia funebre antica. Invece tutto il
frammento del Lamento II citato sopra è un omaggio reso a Giovanni Pontano e, allo
stesso tempo, una chiara indicazione del modello attinto.
Fu proprio Pontano che “nieważne mamkom pieśni pisał13. La raccolta di naenie
che rientra nell’ambito di De amore coniugali, contiene dodici ninnananne cantate dalla
nutrice, dalla madre e dal padre del piccolo Lucio di cui la nascita fu già celebrata con
un gioioso Exultatio de Filio natu. Vi sono canti che riportano il tema della nutrizione
dei neonati, dei giochi con le sorelle, dell’abbraccio del piccolo che piange e non vuole
addormentarsi. I giochi verbali si placano per dare lentamente luogo al sonno e alla
notte che man mano diventano le figure della morte14. I Tumuli possono essere
considerati una continuazione delle Naenie dal punto di vista del contenuto, dello stile
nonché quello della forma (elegie brevi). Pensiamo in particolare alle liriche dedicate ai
figli. La morte è per loro un sonno non dormito, la notte li nutre con la sua umidità e
l’urna li culla premurosamente (come leggiamo nell’epigramma funebre della schiava
Massilia: Tumulus Massilae vernulae I, 39).
11 “Se la mia penna ai bimbi dedicare dovessi / e per l’infanzia rime leggiere compo-
nessi, / oh, che piuttosto dondoli la culla come tanti / e per le bambinaie scriva facili canti, /
che i piccoli neonati addormentar potrebbero./ Meglio mi gioverebbe tale frivola cura / che
non – come m’impone oggi la mia sventura – / sul sordo avello piangere de la cara bambina /
imprecando a la perfida crudele Proserpina. / Ma, non ho avuto uguale d’elegger libertà: / l’un
modo ho ricusato, per la maturità / del genio mio leggiero; a l’altro la natura / a forza m’ha
costretto e la grande sventura, / né meditar m’è facile qual sarà mai l’onore che l’avvenir mi
serba per questo mio dolore./Cantar non volli ai vivi, ai morti debbo adesso/cantar; struggo,
piangendo la morte altrui, me stesso.” (Kochanowski 1926: 18); tutte le traduzioni di Treny
provengono dall’appena citata traduzione di Enrico Damiani. Per le citazioni del testo originale
si utilizza Kochanowski 1983.
12 “D’Eraclito le lacrime, tutti i suoi pianti, tutti / di Simonide i gemiti, e le sue pene, i
lutti” (Kochanowski 1926: 17).
13 “per le bambinaie scriva facili canti” (Kochanowski 1926: 18).
14 Cf. Vecce 1993: I, 459.
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Le opere di Pontano dovevano suscitare l’interesse e ispirare Kochanowski quale
sperimentatore che adattava la poesia latina alla realtà linguistica polacca e che tentava
le possibilità dell’espressione lirica della sua lingua materna. Sebbene scrivesse in lati-
no, il napoletano, consapevolmente, trovava legami forti con la lingua materna e la sua
letteratura. I due poeti procedevano verso la fusione della tradizione volgare della
letteratura “popolare” con quella classica. Kochanowski scrisse in polacco, nel quadro
dei generi dell’antichità, nonché introdusse i canti, provenienti dalla tradizione popo-
lare, nella poesia umanistica (gli esempi si possono trovare in Pieśń Świętojańska o Sobótce
[Canto sangiovanneo sulla Sobótka] oppure proprio nei Lamenti)15. Pontano, invece,
non si astenne dalla contaminazione del suo latino ciceroniano con il dialetto napole-
tano (Vecce 1993), ma adattò anche alle norme della lingua dei romani un genere
“popolare”, cioè la naenia. Queste caratteristiche sembrano più visibili proprio nelle
naeniae e nelle egloghe, dove ci troviamo di fronte al linguaggio poetico che imita la
lingua infantile (non menzioniamo le allusioni del Pontano al Petrarca, visto che questi
all’epoca era considerato un classico pari ai romani).
Álem użyć w obojgu jednákiéj wolności
Nie mógł: owom ominął, jako w dordzáłości
Dowcipu coś ránégo; ná to mię przygodá
Gwałtem wbiłá i mojá nienagrodna szkodá.
(Tren II 11-14) 16
“Nienagrodna szkoda” (“la grande sventura”) trova poi la sua continuazione:
“Ani mi teraz łacno dowiadać się o tym, / jaka mię z płaczu mego czeka cześć na potym”
(vv. 16-18)17.
Nel commento ai Treny dell’edizione nazionale delle opere di Kochanowski (Ko-
chanowski 1983), in riferimento alle parole di Tadeusz Sinko, Jerzy Axer indica Silva V
5 di Stazio (Epicedion in Puerum Suum) come il contesto per la seconda parte del Lamento
II. Stazio scrisse alcuni epicedi. Nel menzionato componimento il poeta piange la
morte del suo schiavo liberato, amato più del figlio. Uno dei motivi principali dell’o-
pera staziana che chiude il ciclo delle Silvae, è da una parte il bisogno di esprimere il
proprio dolore, dall’altra, un’avversione cosciente per la composizione delle parole del
lamento nei metri sofisticati che, scritte su commissione, lo coprivano di gloria.
hoc quoque cum nitor, ter dena luce peracta
adclinis tumulo planctus in carmina uerto18,
15 Nei tempi passati nacquero molti studi sui motivi slavi in Kochanowski.
16 “Ma, non ho avuto uguale d’elegger libertà: / l’un modo ho ricusato, per la maturità /
del genio mio leggiero; a l’altro la natura / a forza m’ha costretto e la grande sventura”
(Kochanowski 1926: 18).
17 “né meditar m’è facile qual sarà mai l’onore che l’avvenir mi serba per questo mio
dolore” (Kochanowski 1926: 18).
18 Corsivi dell’autrice (G. U.-G.).
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discordesque modos et singultantia verba;
molior orsa lyra: [vis] est, atque ira tacendi
impatiens.
(Silv. V 5, 24-28) 19
Nil iam placidum manabit ab ore (ivi, v. 37) costituisce una particolare realizzazione
del topos di recusatio.
Frequenti sono gli echi di questa silva molto personale in Treny di Kochanowski.
Pare, tuttavia, che con il citato distico del Lamento II Kochanowski evochi l’idea sta-
ziana filtrata da un’altra tradizione. “Áni mi teraz łácno dowiádáć sie o tym, Jáka mię z
płáczu mégo czeka cześć na potym” è infatti una parafrasi delle parole “pianger cercai,
non già del pianto onore”. Questa frase proviene ovviamente dalla canzone del ciclo
In morte di Madonna Laura. Nel citato sonetto CCXCIII (S’io avesse pensato che sí care)
nonché in quello precedente si vedono le tracce dell’idea di Stazio anche se assumono
una forma leggermente diversa. Nell’epicedio leggiamo planctus in carmina verto, nel
sonetto CCXCII (Gli occhi di ch'io parlai si caldamente):
Or sia qui fine al mio amoroso canto:
Secca è la vena de l’usato ingegno
E la cetera mia rivolta in pianto.
(CCXCII 12-14)20
Stazio non intendeva dare alle parole di dolore una veste che gli facesse
conquistare il favore del pubblico21. Petrarca dichiara invece che con la morte di Laura
la vena poetica è finita e che non sa più scrivere bei versi. Componendo i sonetti dopo
la morte di Laura non voleva che dare sfogo alla sua disperazione. Il poeta italiano
ricorre così al motivo della vena spentasi, dell’infermità creativa e del silenzio poetico.
E certo ogni mio studio in quel tempo era
pur di sfogare il doloroso core
in qualche modo, non d’acquistar fama;
pianger cercai, non già del pianto honore:
or vorrei ben piacer, ma quella altera
tacito, stanco dopo sé mi chiama.
(CCXCIII 9-14)
19 Cit. da Stazio 1961.
20 Le citazioni da Petrarca provengono da Petrarca 2004.
21 “[...] nec eburno pollice chordas / pulso, sed incertam digitis errantibus amens /
scindo chelyn. Iuuat heu iuuat inlaudabile carmen / fundere et incompte miserum laudare dolorem”
(Silv. V 31-34; corsivi dell’autrice).
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Kochanowski sembra non prendere in considerazione questa riflessione metalet-
teraria considerandola non adatta, poco importante oppure impossibile da prevedere
in questo momento “Ani mi się łacno....”
“Nie chciałem żywym śpiéwáć, dziś umárłym muszę22. I due poeti italiani, evo-
cati nel Lamento II senza che siano menzionati i loro nomi, scrissero poesie per le
persone che amavano sia quando erano ancora in vita sia dopo la morte. Si vede però
un chiaro ritorno all’autore delle naenie. Non volevo scrivere ninnananne, devo scrivere
tumuli. Infatti le tracce della lettura dei Tumuli pontaniani si possono ritrovare nella
parte successiva del Lamento II. Pur essendo topoi tipici della poesia funebre antica e
rinascimentale, tali tracce sono molto caratteristiche anche per la poetica del
napoletano (non menziono più le allusioni a Stazio).
Non sarà un’esagerazione constatare che nel Lamento II, come anche nel Lamento
I, l’autore si rivolge ai due poeti “non antichi”, che scrissero cicli di poesie funebri
piene d’amore, dedicate alle persone che gli furono più care, e li chiama perché
diventino padroni dei Lamenti.
Kochanowski, scrivendo i Lamenti, aveva in mente, oltre ai Tumuli, un’altra opera
pontaniana: la già menzionata Urania, soprattutto negli ultimi 180 versi. Urania è un
grande poema astrologico in cinque libri. L’astrologia fu una scienza a cui Pontano si
interessò molto. Compose inoltre Meteororum liber (1490) e De rebus coelestibus (1494).
Questa tematica è presente anche nel dialogo Aegidus (1501) che costituisce una testi-
monianza della svolta filosofico-religiosa che il poeta napoletano subì negli ultimi anni
della sua vita influenzato da Egidio da Viterbo, un monaco diventato in seguito cardi-
nale. L’opera è una rassegna delle concezioni dell’oltretomba secondo varie scuole di
filosofia, inclusa quella cristiana che Pontano prima rifiutava. Si vedono anche delle
prove per la conoscenza dell’astrologia e dell’ermetismo filosofico.
Urania (1476) è un poema astrologico che nacque per il figlio Lucio Francesco.
L’autore si rivolge frequentemente a lui e gli dedica l’intera opera. Pontano, come
sostenitore dell’epicureismo, sviluppa la sua opera secondo il modello offertogli da
Lucrezio in De rerum natura. Il napoletano rifiuta però l’ateismo lucreziano visto che, in
Urania, la materia diventa viva e i corpi celesti costituiscono una personificazione della
divinità pagana, essendo mondi meravigliosi di cui il poeta spiega l’origine, raccon-
tando leggende policrome, storie d’amore e proponendo delle metamorfosi degne di
Lucrezio.
Vi appare fra l’altro il topos di katasterismos che consiste in una trasformazione
dell’uomo in stella. Nel libro I ci troviamo di fronte alla storia di Virgo che si trovò nei
cieli proprio in questo modo soprannaturale23. La parte finale del poema racconta la
metamorfosi in stella della figlioletta dal nome “luminoso”. Pontano vi racchiuse un
ampio poema funebre per la figlia morta. L’introduzione a questa parte è costituita
dalla storia di Ercole, tratta da Valerio Flacco, che cerca invano e piange Illa, rapito
durante il sonno nelle profondità della fonte. L’eroe inerme, disperato dal dolore
22 “Cantar non volli ai vivi, ai morti debbo adesso / cantar;” (Kochanowski 1926: 18).
23 Cf. Klecker 1997: 221-244.
Grażyna Urban-Godziek
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provocato dalla perdita del giovane amico, ricorda al poeta la morte della propria figlia.
“Mihi nata seni, mihi filia patri / Eripitur” (Ur. V 802). Queste parole interrompono
bruscamente la storia dell'eroe. “Niémász cię, Orszulo mojá”; così comincia il suo
lamento un altro padre (l’epitaffio per Orszula Kochanowska).
Pontano, come Stazio, scaccia sia le muse sia la padrona della sua opera, Urania,
poiché esse erano già pronte a cantare imenei nuziali. “Funera nos lacrimaeque
decent”. Si rivolge però ad un’altra dea, Aurora. Il poeta condivide il dolore di Aurora
che piange la perdita di suo figlio, Mennone sconfitto da Achille a Troia. Come
racconta Omero, quando Aurora con Tetide prima della lotta tra Achille e Mennone,
si recarono da Zeus, questi posò sulla bilancia divina il destino degli eroi e presagì la
sconfitta di Mennone. Non potendo chiederne la vita, Aurora chiese per suo figlio
almeno l’immortalità. Le lacrime sparse allora diventarono le gocce di rugiada che
appaiono al mondo ogni mattina insieme ad Aurora. Pontano invoca i venti perché
moltiplichino le voci del lamento. Essi sono probabilmente gli altri figli di Aurora:
Zefiro, Bora e Noto.
Anche questa opera, come tante altre di Pontano, imita con la sua forma la
convulsione del pianto. Tale procedimento non è qui tanto visibile come ad esempio
nelle forme liriche brevi. La parte finale del poema è composta da interrotti e ripetuti
lamenti, gemiti e rimproveri. Frequenti sono i mezzi stilistici quali l’allitterazione, la
ripetizione degli stessi predicati (a volte con significati diversi) in posizione anaforica.
Si ripetono soprattutto i verbi come: eripio (“eripuit tete” – ti rapirono a me) e relin-
quo (“Liquisti luctum et lacrimas atque aera nigrum” – ci lasciasti la disperazione nera
e le lacrime e esalasti l’ultimo respiro).
Il padre si lamenta continuamente poiché voleva ascoltare un altro canto e i dolci
imenei dovevano consolare il vecchio genitore: una serie di domande rimane senza
risposta. “Hoc meruit pater infelix?” (Ur. V 825)24. “Á miásto pociech, któré winná z
czásem byłá / Rodzicom swym, w ciężkim je smutku zostáwiłá” (Tr. II 29-30)25. “O
uanum desiderium et spes patris inanes: En tabes.” (Ur. V 829).
In Urania è presente anche un altro motivo che appare poi in Kochanowski: un
ampio canto della madre che ha già preparato le vesti coniugali per la ragazza. Le
parole “Deliciae matris miserae? Tibi dona parabat / et lusus dignos hymeneo et
coniuge uestes” ci fanno venire in mente “Nieszczęsné ochędóstwo, żáłosné ubiory /
Mojéj namilszéj cory” (Tren VII 1-2)26. Lo stesso concetto riprese Pontano in un altro
epicedio: Hadriana Mater Queritur ad Luciae Filiae Tumulum. La madre, che sta vicino alla
tomba, dà alla figlia gli oggetti d’uso quotidiano: un cestino di lana da filare, una
24 Pontano 1902 (cito dalla pagina web: Poeti d’Italia in lingua latina <157.138.65.54:8080/
poetiditalia/>).
25 “E invece de le gioie che avrebbe loro porto, / i genitori lascia nel più nero
sconforto.” (Kochanowski 1926: 18).
26 “O infelici indumenti, o panni desolati, / ch’ella aveva indossati!” (Kochanowski
1926: 23).
Patrum erga filiam amor luctuosus
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scatola per libri. Le dà anche “uploteczki […] i paski złocone”27, ma ogni dono viene
accompagnato dalle lacrime:
nata, cape hos calathos depexae et munera lanae,
cum lana et calathis accipe et has lacrimas;
nata, et acus et fila cape et cape linea texta,
cumque his atque illis accipe et has lacrimas;
(Tum. II 3, 1-4)
Fortemente presente, e per lo più in una forma complessa, è anche il topos
dell’invidia divina per la bellezza, la gioventù e le virtù della ragazza. Questa morte
pare essere una rapina soprannaturale:
Non mihi te belli rabies, non aspera ponti
Tempestas, non missa polo flagrante ruina
Eripuit, tellusue graui concussa tremore,
Aut quae sunt miseris discrimina plurima terris:
(Ur. V 847-850)
“Ták wielé cnót jéj młodość i tákich dziélności / Nie mogłá zniéść: upádłá od
swéj[że] bujności, / Żniwá nie doczekawszy” (Lamento XII 21-23)28.
Ipse mihi flos aetatis speciesque pudorque,
Et grauitas generosa, oculisque afflata uenustas
(Heu, quod, iuncta simul dum sunt, bona plurima certant)
Eripuit tete. Ipsa sibi probitasque decorumque
Iniecere manum, et fato sua iura dedere.
Quae, superi, quae saeuities!
(Ur. V 851-856)
I ritorni ripetuti della disperazione e dei dubbi vengono sempre più frequen-
temente interrotti da una visione della figlia viva che appare piena della sua grazia gio-
vanile. Il padre le si avvicina, la vuole stringere fra le braccia, baciare e allora si rende
conto che tutto non è che un’illusione.
Anne mihi ante oculos grata obuersatur imago […]?
Laetantem amplexu excipio et patria oscula iungo;
Affaris iam blanda senem, officiosa parentem;
Excutiunt mihi iam lacrimas noua gaudia. Demens,
(Ur. V 862, 867-869)
27 “L’aurea cinta, i nastrini...” (Kochanowski 1926: 23).
28 “Il suo rigoglio stesso spezzò la gioventù, / che sopportar non seppe tante doti e
virtù. / O mia spiga adorata, ancor pria che matura / tu fossi, senza attendere nè pur la
mietitura” (Kochanowski 1926: 28).
Grażyna Urban-Godziek
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Dopo le parole nova gaudia (parallele alla parte iniziale del frammento dedicato a
Lucia – Crescat dolor et noua cura resurgat, 803) segue una delusione dolorosa.
Ac demens pater infelixque parensque senexque,
Funde nouas lacrimas, ne te iam ludat imago
Et sensus memor et mentis spes credula uanae.
Nil, heu, nil reliquum iam Lucia. Cessit in auras,
(Ur. V 870-873)
Il grido pieno di dolore “Nil, heu, nil reliquum iam Lucia. Cessit in auras, / Vel
somno similis, vel inani corporis umbre; / Aut iacet in parua tantum cinis abditura
urna” (874-5) nacque già nella prima versione di Urania quando Pontano era ancora
sostenitore dell’epicureismo che negava l’esistenza dell’oltretomba. E. Percopo, autore
della biografia di Pontano, sostiene che il poeta italiano, influenzato da Egidio da
Viterbo, aggiunse un altro frammento che dava la speranza dell’incontro del padre con
la figlia per la felicità eterna (Percopo 1938: 212). Questo pare però improbabile dal
punto di vista della composizione. Il katasterismos di Lucia, insieme alla successiva
apoteosi del padre-poeta, costituisce un perfetto coronamento del grande poema. Il
passo è inoltre preceduto alla trasformazione di Virgo in stella (libro I) e bisogna
notare che una tale metamorfosi risulta abbastanza lontana dalla tradizione cristiana.
La prima visione di Lucia non è accompagnata dalla speranza. La ragazza appare
in cielo, ma appare irraggiungibile e muta.
Ah diras patrum spes et solatia dira;
Ne coelo, ne diis pietas. An forte nec ipso
Splendescis coelo, tenebrisque adoperta profundis
Caligas nigricans? Pereat lux, omnia noctem
Ingeminent, tenebraeque cauo dominentur olympo!
(Ur. V 885-889)
È solo Aurora a consolare il padre. Dall’interno della veste di Aurora, che corre
sul suo carro, appare Lucia. La ragazza, felice e sorridente, chiama suo padre e gli
tende le braccia. “Nie lza, nie lza, jedno si zá tobą gotowáć, / Á stopeczkámi twámi
ciebie nászládowáć. / Tám cię ujźrzę, da Pan Bóg, á ty więc z drogiémi / Rzuć sie ojcu
do szyje ręczynkámi swémi” (Tren III 11-14)29.
Nell’ultimo Lamento, la Madre del poeta, così come Aurora, arriva con la piccola
Orsola in braccio. Sebbene in Kochanowski la visione cristiana vinca, vi è anche una
traccia di katasterismos: “Á tu więc tákim ci sie kształtem ukazáłá, / Jákoby sie śmier-
telnym oczom poznáćłá / Ále między ánjoły i duchy wiecznémi / Jáko wdzięczna
29 “E nulla, nulla posso, null’altro che disporme / a seguirti e seguir de’ tuoi piedini
l’orme. / Là ti vedrò, ed allora, Dio lo vorrà, gettare / potrai del padre al collo le vaghe braccia
care.” (Kochanowski 1926: 19).
Patrum erga filiam amor luctuosus
77
jutrzenká świéci” (Tren XIX 33-35). Questo topos viene poi realizzato da Kocha-
nowski con più audacia nell’epicedio per Jan Tarnowski, Elegie IV 230.
La trasformazione in stella, raffigurata da Pontano, assume invece una forma
molto più complessa:
[…] Iam, filia, fulges
Insuetum iubar, ardescunt iam tempora, iam iam
In radios abeunt crines; en fulgidus ora
Accendit splendor, micat en lux ignea circum
Perque genas, totoque nitor se fundit olympo.
Exoritur iam sol. Radiis en Lucia solis
Excipitur, roseoque sinu complexa nitentem
Illustratque diem, et super aethera fulget apertum,
Atque nouum coelo decus et noua lumina terris
Diffundit: lucem inde aurae sensere recentem,
Clarior et solito diffulxit ab aethere Titan.
(Ur. V 901-1001)
L’immagine dell’uomo che guarda il cielo in cerca della sua amata figlia di cui la
presenza viene avvertita da Aurora (pur non essendo raffigurata tanto esplicitamente
come vediamo nelle opere dei due poeti rinascimentali), sembra trovare le sue fonti
anche nel Petrarca. La canzone CCXCI che precede i sonetti già citati in questo
articolo, comincia con le parole: : “Quand'io veggio dal ciel scender l'Aurora / con la
fronte di rose et co’ crin’ d’oro [...]: Ivi è Laura ora.” (1-2, 4). Il poeta, pallido d’amore,
guarda il cielo come se fosse il vecchio Titone che aspetta la sua divina consorte.
Quanto più felici sono gli amanti immortali! Lui sa quando appare Aurora e lei non
sente ripugnanza verso il vecchio decrepito. L’uomo mortale, per vedere la persona
che ama, deve morire. Non vi è la speranza di vedere all’alba la donna amata di cui al
mondo è rimasto soltanto il nome. Petrarca permetterà una tale possibilità solo nella
visione onirica che costituisce un’ispirazione per Kochanowski nel Lamento XIX.
L’immaginario petrarchesco è ovviamente una fonte diretta per le contrappo-
sizioni paradossali della luce e delle tenebre nel Pontano; la luce appartiene al mondo
dei morti, mentre i vivi sono immersi nel buio. Nella canzone CXXXI si cerca Laura
lì, dove appare Aurora e il poeta, rimasto in vita, confessa: “Le mie notti fa triste, e i
giorni oscuri” (12).
La contrapposizione della luce e delle tenebre si trova anche nell’immagine
pontaniana della propria tomba.
Ergo ubi postremum in cinerem squalentiaque ossa
Soluerit, et longo tempus me absumpserit aeuo,
Quaeque leuis tumulos circum obuersabitur umbra,
Abscondet nox, et nube obdensarit opaca,
(Ur. V 912-915)
30 Cf. Urban-Godziek 2003.
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Le tenebre della tomba saranno forse illuminate un giorno dalla stella brillante
della figlia. Tutto il cielo sarà allora coperto dalla splendente gloria che darà luce di
fama ai meriti nobili del padre.
Forsitan e coelo aspiciens, nec passa parentem
[…]
Effundet rutilantem alto de culmine lucem,
Et totum in radios clara inflammabit olympum,
Illustrans monumenta patris decora inclyta fama.
Fama ipsa assistens tumulo cum uestibus aureis,
Ore ingens, ac uoce ingens, ingentibus alis
Per populos late ingenti mea nomina plausu
Vulgabit, titulosque feret per secula nostros,
Plaudentesque meis resonabunt laudibus aurae;
Viuet et extento celeber Iouianus in aeuo.
(Ur. V 916, 920-928)
Il poema finisce con un’apoteosi di Pontano come poeta e politico che porta la
pace31. Gli ultimi 52 versi di Urania costituiscono una magnifica descrizione poetica
relativa alla letteratura e fatta dalle anime dei morti.
Vale la pena di notare che il grande poeta del Quattrocento voleva legare la sua
fama poetica all’opera scritta in memoria della figlioletta morta. Sarà lo splendore della
figlia a dare luce alle opere opere del padre, quando egli si estinguerà nelle ceneri mute
(929). In Kochanowski troviamo una simile situazione. Nel Lamento II il poeta polacco
dichiara la sua indifferenza nei confronti della fama che le poesie funebri per Orsola
gli potrebbero guadagnare. Lui deve, però, essere consapevole che un’opera così
perfetta e originale (nonostante tutta la tradizione letteraria a cui attinge), gli assicurerà
l’immortalità poetica. Anche in questo caso la stella della figlia, spentasi precocemente,
illuminerà il genio del padre.
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31 La politica costituì l’attività principale di Pontano che fu ministro presso la corte
aragonese di Alfonso il Grande e di Ferdinando II.
Patrum erga filiam amor luctuosus
79
Klecker 1997: E. Klecker, Mista propago. Der Katasterismos der Virgo in Giovanni
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Urban-Godziek 2005: G. Urban-Godziek, Elegia renesansowa. Przemiany gatunku w Polsce i
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Di Girolamo (a cura di), Manuale di letteratura italiana. Storia per
generi e problemi, Vol. I: Dalle origini alla fine del Quattrocento, Torino
1993.
Grażyna Urban-Godziek
80
Abstract
Grażyna Urban-Godziek
Patrum erga filiam amor luctuosus: Mournful Expression of Family Love in the Poetry of Giovanni
Pontano and Jan Kochanowski. Parallels and Inspirations
The early modern tradition of poetry dedicated to family love was started by Giovanni
Pontano. He used the tradition of Roman love elegy in order to write the collection De amore
coniugali (On Conjugal Love). Some of the poems were addressed to Pontano’s wife, Ariadna,
while others were elegies and lullabies (Naeneiae) addressed to his children and suffused with
powerful emotions. The subject of family love reverberates also in his mournful poetry, for
instance in the collection Tumuli consisting of mournful epigraphic elegies.
There is significant evidence indicating that Jan Kochanowski had Pontano’s poetry in
mind when he was writing one of the most original early modern funeral cycles, Treny. The
cycle was devoted to his thirteen-month- ?old daughter Urszula. In Tren II he distinctly refers
to the author of Naeniae and Tumuli, even though he does not mention his name. Moreover,
the influence of the astrological poem Urania becomes noticeable in the mode of using
mourning topoi and the plot of Treny. Characteristically, the final part of Urania was devoted to
Pontano’s daughter Lucia, who had died at the age of thirteen. The elaborate humanistic
discourse on the philosophical vision of the world, which is an ideologically significant part of
Kochanowski’s oeuvre, had its precedent in Pontano’s poetry.
The relationship sheds new light on the range of Kochanowski’s reading and the
reception of Pontano’s work in Poland. The ending of both cycles reflects the influence of
Petrarch’s Canzoniere on the poets: Pontano and Kochanowski refer to the sonnets from the
cycle In morte di Madonna Laura, which involve metapoetical issues.
... La studiosa sottolinea poi anche alcune importanti divergenze tra i Τreny di Kochanowski e il ciclo in morte di Laura dei RVF, nonché con il secondo libro in morte dell'amata Maria di Les Amours di Ronsard, escludendo quindi anche un influsso petrarchesco e petrarchista, che Picchio aveva invece suggerito. Sui rapporti con Petrarca e il petrarchismo si veda almeno il classico Brahmer (1927) nonché Skwarczyńska (1970) e Urban-Godziek (2006). scribendi epigrammatis spectant explicatio, che a mio giudizio ha influenzato non poco il poeta polacco, non solo nella scrittura dei suoi epigrammi latini (Foricoenia), ma anche in alcuni passaggi degli Elegiarum Libri Quattuor. ...
Urban-Godziek, Jana Kochanowskiego elegia żałobna dla Jana Tarnowskiego – epicedium zaprzeczone
  • Urban-Godziek
Urban-Godziek 2003: G. Urban-Godziek, Jana Kochanowskiego elegia żałobna dla Jana Tarnowskiego – epicedium zaprzeczone, in: M. Hanczakowski, J. Niedźwiedź (a cura di), Lektury polonistyczne. Retoryka a tekst literacki, vol. II, Kraków 2003.
Urban-Godziek, Elegia renesansowa. Przemiany gatunku w Polsce i w Europie
  • Urban-Godziek
Urban-Godziek 2005: G. Urban-Godziek, Elegia renesansowa. Przemiany gatunku w Polsce i w Europie, Kraków 2005 (in particolare, il cap. IX: De amore coniugali).
Manuale di letteratura italiana. Storia per generi e problemi
  • Di Girolamo
Di Girolamo (a cura di), Manuale di letteratura italiana. Storia per generi e problemi, Vol. I: Dalle origini alla fine del Quattrocento, Torino 1993.
Klecker, Mista propago. Der Katasterismos der Virgo in Giovanni Pontanos Urania
Klecker 1997: E. Klecker, Mista propago. Der Katasterismos der Virgo in Giovanni Pontanos Urania, " Wiener Studien ", CX, 1997, pp. 221-244.
Treny Jana Kochanowskiewgo wobec konwencji gatunku i literackiej mody
Głombiowska 2001: Z. Głombiowska, " Treny " Jana Kochanowskiewgo wobec konwencji gatunku i literackiej mody, in: Z. Głombiowska, W poszukiwaniu znaczeń. O poezji Jana Kochanowskiego, Gdańsk 2001, pp. 20-22.