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Appreciative Inquiry. Una metodologia che rivoluziona la ricerca-azione

Authors:

Abstract and Figures

The appreciative inquiry represents the conjugation between generative paradigm and the research action. It is a ‘positive revolution’; methodology and epistemology, that which does not solely observe the transformation of the components but also includes the possibility of the generative change for people and organizations(Cooperrider & Whitney, 2005; Cooperrider, Zandee, Godwin, Avital & Boland, 2013). The intent of this article is to further shed light upon how the appreciative inquiry represents a proceduralization of the research-action for the formation and eventual funding of a new paradigm for the school.
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Appreciative Inquiry.
Una metodologia che rivoluziona la ricerca-azione
Appreciative Inquiry:
A methodology revolutionizing action-research
ABSTRACT
The appreciative inquiry represents the conjugation between generative
paradigm and the research action. It is a ‘positive revolution’; methodology
and epistemology, that which does not solely observe the transformation of
the components but also includes the possibility of the generative change
for people and organizations(Cooperrider & Whitney, 2005; Cooperrider,
Zandee, Godwin, Avital & Boland, 2013). The intent of this article is to fur-
ther shed light upon how the appreciative inquiry represents a procedural-
ization of the research-action for the formation and eventual funding of a
new paradigm for the school.
L’appreciative inquiry (AI) rappresenta la coniugazione tra il paradigma gen-
erativo e la ricerca-azione. Si tratta di una “rivoluzione positiva”, metodolog-
ica e epistemologica, che non guarda alla sola trasformazione dei comporta-
menti ma alla possibilità di cambiamento generativo per persone e organiz-
zazioni (Cooperrider & Whitney, 2005; Cooperrider, Zandee, Godwin, Avital &
Boland, 2013). L’intento di questo articolo è far comprendere come l’appre-
ciative inquiry rappresenti una proceduralizzazione della ricerca-azione per
la formazione e fondi un nuovo paradigma per la scuola.
KEYWORDS
Action Research, Appreciative, Positivity, Generativity.
Action Research, Appreciative, Positività, Generatività.
Nadia Dario
Università Ca’ Foscari, Venezia
nadia.dario@unive.it
339
Formazione & Insegnamento XIII – 2 – 2015
ISSN 1973-4778 print – 2279-7505 on line
doi: 107346/-fei-XIII-02-15_36 © Pensa MultiMedia
Introduzione
La ricerca-azione è una metodologia di ricerca empirica, un’attività di risoluzione
razionale di problemi che seguendo uno schema prestabilito tende a oggettività,
coerenza ed efficacia (Baldacci, 2007). Il suo modello classico nasce nel 19461,
grazie al lavoro di Kurt Lewin. Questi, sulla base delle teorie della psicologia
sociale e della Gestaltpsychologie2, pensa tre momenti di un processo circolare
che conduce al cambiamento sociale. Abbiamo un momento di pianificazione,
uno di esecuzione e uno di inchiesta/valutazione. Nel primo, si sviluppa l’analisi
minuziosa della situazione problematica di partenza che permette lo sviluppo del
piano globale di azione; nel secondo, si esegue quanto pianificato; nel terzo,
attraverso l’inchiesta, si procede a stabilire se l’azione sia corrispondente alle
aspettative, se le tecniche d’azione siano state valide e/o inefficaci, si forniscono
le basi per il piano successivo.
Un’importante peculiarità della ricerca-azione rimane tuttavia la condivisione
delle finalità: il fatto che tutti i soggetti siano messi nella condizione di condividere
gli scopi della ricerca. In particolare il ricercatore è “in situazione”, non si isola dal
contesto ma si configura come formatore e agente di cambiamento in esso. Non
è possibile, infatti, svolgere questo tipo di ricerca senza un livello di
familiarizzazione di tutti i membri con il problema. La presa di coscienza a tutti i
livelli della sua presenza è fondamentale perché altrimenti difficilmente il vertice
di un’organizzazione lascia piena libertà di ricerca ad uno sperimentatore.
Come anticipato, la portata rivoluzionaria della ricerca-azione di Lewin
consiste nel riunire in un processo circolare che potrebbe non avere mai fine, due
momenti peculiari: quello della conoscenza teorica a quello dell’azione per il
cambiamento del gruppo o sociale (Trombetta & Rosiello, 2000).
Attraverso la ricostruzione storica delle alterne vicende che hanno interessato
questa metodologia, è facile notare come la ricerca-azione attraversi a pieno il
novecento, il “secolo della ricerca”, della problematizzazione, del ripensamento
e della ricostruzione per vie innovative e plurali della ricerca e dei suoi metodi.
Anch’essa diviene un piano di incursione e occupazione per molti, come
testimoniano i numerosi modelli e varietà procedurali post-lewiniane3. Tra queste
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1 Gli inizi della ricerca azione si debbono rintracciare nel 1946 quando il Consiglio
direttivo dell’azienda H.M.C. si trovava di fronte al problema della sottoproduzione dei
neo-assunti: la produzione non aumentava nemmeno dopo i consueti periodi di
addestramento. Lewin fu quindi invitato a porvi rimedio. Lavorando con il gruppo e nel
gruppo di operai, comprese che il problema dipendeva dall’incapacità di questi ultimi
di considerare realizzabili le mete fissate dalla società. Pertanto suggerì alcuni metodi
per porvi rimedio: limitare le azioni di controllo individuale degli operai; trattarli come
membri di piccoli gruppi; infondere in loro la sensazione di uno standard realistico.
Questo suggerimento fu reso possibile grazie all’assunzione di vecchi operai con
esperienza che si confrontarono con gli apprendisti. Si giunse in tal modo ad aumentare
nuovamente i livelli di produzione.
2 Si fa riferimento in particolare alle teorie di dinamica individuale e di interdipendenza
individuo e ambiente (Trombetta & Rosiello, 2000).
3 I quattro modelli evidenziati da Cook, Chein e Harding e supervisionati da Lewin stesso,
sono: diagnostico atto a fotografare la situazione e a risolverla; partecipante simile ad
una tecnica d’azione, empirico intrapreso in situazioni ordinarie; sperimentale,
auspicata da Lewin perché prevede un progresso della conoscenza scientifica. Ad essi
abbiamo l’appreciative inquiry (AI), nata trent’anni più tardi, che unisce alla
creazione di nuova conoscenza, la valorizzazione personale e il cambiamento
sociale e culturale delle organizzazioni. Il suo campo di applicazione iniziale è
stato infatti lo sviluppo organizzativo ma, negli ultimi decenni, è stata ampliamente
utilizzata anche nella ricerca educativa e formativa.
Il termine inglese appreciative indica proprio il “riconoscimento del valore di”
che nel processo di ricerca in esame riferisce alla scoperta di nuove possibilità e
potenzialità nel soggetto, singolo o organizzativo.
Hammond (1996) riassume in questo modo la sua filosofia:
In every society, organisation or group, something works.
What we focus on becomes our reality.
Reality is created in the moment and there are multiple realities.
The act of asking questions of an organisation or group influences the group
in some way.
People have more confidence and comfort to journey to the future when they
carry forward parts of the past.
If we carry parts of the past forward, they should be what is best about the
past.
It is important to value differences.
The language we use creates our reality.
Nella definizione di Cooperrider & Whitney (2005) leggiamo:
Appreciative Inquiry is the cooperative, co-evolutionary search for the best
in people, their organizations, and the world around them. It involves
systematic discovery of what gives life to an organization or a community
when it is most effective and most capable in economic, ecological, and
human terms.
In AI, intervention gives way to inquiry, imagination, and innovation. Instead
of negation, criticism, and spiraling diagnosis, there is discovery, dream, and
design. AI involves the art and practice of asking unconditionally positive
questions that strengthen a system’s capacity to apprehend, anticipate, and
heighten positive potential. Through mass mobilized inquiry, hundreds and
even thousands of people can be involved in co-creating their collective
future (Cooperrider & Whitney, 2005; p. 8).
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si aggiungono i modelli procedurali di: Cunnighan per cui al termine della fase di
indagine si aggiunge una valutazione e una ripianificazione basata sulle fasi precedenti;
Taba e Noel per cui il problema viene risolto con le tappe della ricerca nomotetica
(Identificazione dei problemi, analisi e formulazione di ipotesi, sperimentazione e
azione, valutazione), senza l’ambizione di giungere alla formulazione di una legge;
Pourtois e Forgione che la utilizzano nell’educazione genitoriale e si concentrano sullo
sviluppo di competenze (registrazione filmata della relazione genitore-bambino, lettura
critica, valutazione dei comportamenti, formulazione di soluzioni di ricambio per
comportamenti educativi); Elliot con una ciclicità ricorsiva per cui la fase di esplorazione
e del piano generale (comprensione del problema e costruzione di piani di strategie)
sono seguite da quella di intervento (traduzione di quanto prodotto entro il piano),
osservazione (raccolta di informazioni per esaminare eventuali cambiamenti),
riflessione e revisione (raggiungimento della comprensione del problema o della
soluzione).
Quindi, secondo i suoi iniziatori (Cooperider and Srivastva,1987), l’appreciative
inquiry aumenterebbe la possibilità di generare immagini e conoscenza scientifica
perché non seguirebbe l’impostazione lineare di Lewin (pianificazione,
esecuzione, indagine) per cui tutto appare “chiaro e distinto”, legato a una visione
della scienza deficit-based (centrata sul problema). La preoccupazione diverrebbe
quella di aprire la strada all’immaginazione, all’innovazione, energizzando nuove
idee per nuove azioni. Viene criticata quindi l’incapacità della ricerca-azione
tradizionale di generare nuova teoria e viene biasimato l’utilizzo del problem
solving dentro la ricerca. In particolare si sostiene che i ricercatori che si occupano
di action research sono troppo concentrati nel risolvere un problema da ridurre
organizzazioni e le persone ad essere considerate il problema (Figura 1).
Figura 1. Mostra lo schema presentato in Cooperrider & Whitney (2005) per motivare
come l’impostazione proposta muti il modo di considerare organizzazioni e persone.
Scrivono Bushe & Kassam (2005, p. 162):
Cooperrider and Srivastva (1987) explicitly contrast AI with problem solving,
which they describe as a deficit-based approach to change. Rather than
focusing on problems that need solving, AI focuses on the examples of the
system at its best, its highest values and aspirations, its noblest actions, and
so on.
1. L’appreciative inquiry tra generatività e positività
Quando più di trent’anni fa, Cooperrider e Srivastva (1987) lanciano il loro
progetto innovativo di ricerca-azione, si accorgono che, avviate le tradizionali fasi
di diagnosi e feedback (fissazione del problema), la situazione sembra essere
bloccata e ri-orientare le energie sul cambiamento e il miglioramento delle
situazioni problematiche rischia di diventare un’azione titanica a causa dei
sentimenti negativi dominanti presso ricercatori e lavoratori che sembrano
bloccare il processo. Si direzionano quindi verso un nuovo fondamento teorico
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che si collega alla psicologia sociale e positiva. Per questo uno dei principi
dell’appreciative inquiry (AI) diviene “inquiry begin with appreciation”.
Quanto vogliono sottolineare e superare è il paradosso del cambiamento
globale per cui diventiamo esseri umani capaci di fornire diagnosi sempre più
sofisticate in cui il mondo è trattato come un grande problema da risolvere
annientando il legame collaborativo, l’ispirazione ad organizzare, innovare e
mobilitare azioni positive in avanti. Questa lente orientata al problema appare
loro deficitaria perché finisce per governare anche la dinamica dei rapporti.
Questo significa vedere le relazioni con un senso di minaccia non solo per la
situazione attuale ma anche per quella futura.
Per questo, come sostengono Martinelli (2013), Cooperrider & Whitney (2005)
e Thatchenkery, Cooperrider e Avital (2010) non abbiamo nell’appreciative inquiry,
l’identificazione dei problemi chiave, delle carenze, per l’analisi delle cause e delle
soluzioni e per lo sviluppo di un piano d’azione ma piuttosto un’attenzione al
cuore positivo e alla generatività (Figura 1).
forcing an examination of the impact of positive emotions on change
processes, and offering generativity, instead of problem-solving, as a way to
address social and organisational issues (Bushe, 2013; p. 5).
La positività risiede per Lazlo e Cooperrider (2005) e Thatchenkery,
Cooperrider & Avital (2010), nella necessità che le azioni, le interviste4e la
semplice definizione del quadro iniziale debbano: essere qualcosa di
sorprendente, sul quale i soggetti non hanno mai riflettuto; collegarsi a memorie
e a significati profondi perché lo scopo è costruirne di nuovi e dare energia alle
azioni; abbassare alcune barriere per garantire un’apertura e l’emergere del
sogno; aiutare a produrre un rimodellamento, qualcosa di molto diverso dallo
stereotipo e dall’assunto; permettere a coloro che stanno ai margini di intervenire
e far sentire la propria voce5. In particolare nell’AI si parla di unconditional
positive question. La domanda positiva incondizionata rappresenta uno
“specchio”, consente un incontro, un confronto con la tematica, con sé stessi e
con la persona che pone la domanda. Ovviamente, questo richiede
consapevolezza nel ricercatore che la pone: deve sapere di cosa si tratta, ciò che
è essenziale, dove risiede l’energia e la conoscenza del contesto in cui mi trova.
Non serve a nulla quindi rendere i soggetti consapevoli della propria condizione
e realtà, con la scusa, spesso portata, della responsabilità, vale la pena invece
approfondire quanto è stato dimenticato ma positivo.
Il cuore positivo si unisce così in modo indissolubile alla generatività. Il
termine indica sia la capacità (quella di Gergen (1978, 1988) e Schön (1979) e
preoccupazione (Erikson, 1950; 1987) che produce effetti sulle interazioni sociali6;
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4 Se la base di questa ricerca-azione è l’intervista e la raccolta di storie per comprendere
le aspirazioni, individuare, confermare e rafforzare le capacità simboliche di
immaginazione, la domanda giusta rappresenta uno specchio, consente un incontro,
un confronto con la tematica, con sé stessi e con chi pone la domanda. Cooperider
sostiene come questa possa ingenerare ed energizzare tutto il processo.
5 Bushe (2010) nota come la discussione di queste storie conduca a nuove idee utili per
l’intera organizzazione.
6 Schön (1979) con la metafora generativa intende riferirsi ai processi di presa di decisione
in cui le metafore influenzano il modo di pensare ad un argomento. Sostiene che tutti
sia il potere e la funzione del generare, originare, produrre e riprodurre il
possibile sovvertendo la situazione presente, originando qualcosa di più del
processo stesso (Isaacs, 1999; Marshak, 2004; Varela, Thompson & Rosch,1991)7.
La generatività una sensazione di energia e di vitalità per le persone e
anche la possibilità di produrre conseguenze espansive e trasformative più
durature per quanto riguarda lo sviluppo di idee, lo sviluppo dei ricercatori
e delle loro pratiche e relazioni, dei loro repertori di pensiero e azione
(Carsel e Dutton, 2011; p. 15).
A generative idea is one that causes people who heard it to shift how they
think about things and opens up new possibilities. […] We can say the
outcome of an appreciative inquiry is generative when one or more new
ideas arise that compel people to act in new ways that are beneficial to them
and others. The compelling nature of the idea shows up in a number of ways:
it keep being talked about, shift the discourse, and result in new actions
(Busche, 2010; p. 2).
Secondo Isaacs (1999), Marshak (2004), Varela, Thompson & Rosch (1991), nulla
di quanto emerge come conoscenza ed esperienza è processo isolato ma sempre
autopoietico. La generatività permette infatti di lavorare secondo il principio della
simultaneità: ogni generazione per essere tale deve coniugare più che elidere,
quindi ogni mutamento o emergenza è sempre il frutto di individuo, ambiente
che agiscono insieme e lo fanno secondo un orientamento al valore cioè
valutando cosa questo comporti per sé e per il futuro, perché sono a tutti gli effetti
sistemi viventi (Varela, Thompson, & Rosch, 1991). Bushe e Paranjpey (2015)
sostengono come la ricerca agisca sia sul piano contestuale e del gruppo sia sul
piano individuale a partire dalla domanda che rappresenta un breakdown, un
salto, una perturbazione del sistema. Questa risveglia e coinvolge il piano emotivo
e razionale insieme, dimostrando come unconditional positive question risulti
più generativa di idee e piani d’azione dell’action research tradizionale (es.
brainstorming), troppo spesso concentrata sul solo problema. Pensare alla
generatività quindi non significa rinnegare le origini ma piuttosto recuperare il
pensiero di Lewin lì dove parla di “persons in contest” in quanto la nuova
conoscenza, la nuova esperienza viene prodotta nella negoziazione, nell’incontro
con l’Altro, in un processo di co-costruzione di significati.
Tuttavia, la letteratura presenta un forte sbilanciamento verso la prima
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i discorsi di politica sociale si sono concentrati su metafore che indirizzavano le
percezioni e influenzavano le narrazioni in modo specifico. Occorre quindi rendere
consapevoli i policy makers di come queste metafore guidino i loro processi decisionali.
Di natura simile è la teoria generativa di Gergen (1978, 1988) per cui quest’ultima viene
così definita perchè influenza la costruzione sociale della realtà. Nessuna teoria può
limitarsi a mappare il passato ma deve possedere una capacità generativa di
anticipazione del futuro e di sfida delle ipotesi per aprire a nuove possibilità di
modellarlo.
7 Trovano collocazione quindi tutte le teorie della generatività: neurofenomenologiche
(Maturana & Varela; Thomson & Rosch, 1991) psicosociali (Erickson, 1950,1987)
epistemologiche (Gergen, 1978, 1988), dell’apprendimento e dell’insegnamento
(Wittrock, 1980).
impostazione della ricerca apprezzativa, quella sviluppata da Erikson, Schön e
Gergen dove il focus è centrato sulla cura e il riconoscimento cioè sull’interesse
che il nuovo ha per l’altro. Solo parzialmente ci si interessa a generazione e
creazione come morfogenesi o autopoiesi. Secondo Kotre (1996), McAdam & de
St.Aubin (1998) e Carsel e Dutton (2011), infatti, si può parlare di generatività e
positività all’interno dell’appeciative inquiry perché “ci invita a vedere l’intera
quantità di modi in cui l’essere umano lascia traccia nel futuro”, a “muovere il
cambiamento per l’innovazione superando i concetti di produttività e creatività”,
a produrre “qualcosa di valore per la società che trascende una morte inevitabile”.
Quest’obiettivo viene raggiunto con le quattro fasi della ricerca-azione,
Discovery, Dream, Design and Destiny (Figura 2), di cui Gheno (2010) e Martinelli
(2013) descrivono le caratteristiche:
la prima consiste nell’apprezzamento e valutazione del presente e del passato
organizzativo, per individuare aspetti positivamente distintivi e le esperienze
di successo. Si tratta di una vera fase di riconoscimento di tutte le risorse. Le
“positive questions” servono proprio ad innescare un processo rivitalizzazione
che orienta le fasi successive dell’intervento in chiave generativa.
La seconda si collega alla visione cioè all’immaginazione del futuro possibile,
desiderato e condiviso. Si tratta di un invito a elaborare ipotesi e scenari su
come il presente possa evolvere e esprimere al meglio le potenzialità e le
risorse presenti (viste nella fase precedente). Questa fase è fortemente
generativa perché volta a espandere il potenziale dei soggetti e
dell’organizzazione, sfidando lo status quo per creare sinergia e attivazione.
Qui ha inizio la co-progettazione per il futuro di tutti.
Il Design è utile alla declinazione delle prospettive generate nella fase
precedente in progetti precisi e attivabili: action plan (fase design). È il
momento cruciale per la sostenibilità del cambiamento perché unisce le
risorse identificate ai desideri emersi. Cooperrider chiama l’output del Design
“provocative propositions because he is trying to maximise generativity”.
Per destiny si intende invece la realizzazione e l’individuazione delle forze in
grado di agire, per sostenere il futuro, di fronte al cambiamento improvviso,
imprevedibile, incostante e multiforme che l’attuale situazione di complessità
rende consueto in qualunque condizione.
Figura 2. Modello tratto da Cooperrider & Whitney (2005).
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2. Implicazioni formative dell’appeciative inquiry
Il pensiero deficit based ha assunto una tale rilevanza non solo entro i confini
della scienza ma anche entro quelli delle istituzioni formative. Emergono per
questo all’interno dei documenti di programmazione ufficiale parole come
recupero e sopravvivenza degli istituti, risanamento dell’università. Tuttavia, lo
scopo della scuola non è garantire il minimo (risanando, recuperando, ecc.) ma
permettere agli alunni di dare il meglio e di raggiungere sogni, obiettivi e
potenzialità. In particolare alla scuola superiore, si chiede una cultura in cui tutti
i membri si uniscano per favorire il potenziale di ciascun studente. Essa deve
individuare e capitalizzare i punti di forza di questi ultimi e di tutti i professionisti
dell’istruzione superiore per favorire lo sviluppo delle migliori qualità dei singoli
e dell’organizzazione. La scuola ha bisogno, e lo sottolineano in molti, del
cambiamento paradigmatico della generatività e positività (Bushe, 2010). Qui più
che altrove, occorre far aumentare la qualità degli apprendimenti, riconoscendo
un “nocciolo positivo”, producendo nuove rappresentazioni di cura e
riconoscimento. La nascita di una mentalità apprezzativa vede le istituzioni come
sistemi viventi in cui occorrono gli apporti di ciascuno per apprendimento,
cambiamento e miglioramento.
Sono numerose le applicazioni dell’appreciative inquiry nella scuola:
dall’inserimento di alunni stranieri (Morsillo & Fisher, 2007; (McAdam & Mirza,
2009) al miglioramento degli apprendimento (Yballe & O’Connor, 2000; Filleul &
Rowland, 2006); al rafforzamento delle pratiche di insegnamento (Clarke et al.,
2006); alla partecipazione di tutti gli attori (Agnesa, 2013), alla valutazione dello
sviluppo e della conoscenza di sé (Tosati, Lawthong e Suwanmonkha, 2015).
Le evidenze empiriche quindi dimostrano come lappreciative inquiry applicata
al mondo della scuola comporti sia un aumento della conoscenza sia una
cambiamento dei comportamenti e degli atteggiamenti. Abbiamo infatti:
Una modificazione del linguaggio. Proprio perché gli studenti come gli
insegnanti sono bombardati da rappresentazioni negative e incomplete di sé
stessi, il ciclo dialogico delle 4d modifica il modo di guardare alla realtà lungo
l’intero processo: “fortunately, ai exists as a tool for calibrating the lenses
through which we experience a phenomenon” (Harrison & Hasan, 2013; p.67).
Contrasta inoltre con la mentalità tradizionale con cui lavora la scuola e la
formazione: valutare cosa è, dire come dovrebbe essere, cercare di colmare il
gap. Qui si pensa invece a: estendere il nucleo positivo ed aumentare il
potenziale di cambiamento.
Una valutazione formativa che non guarda al passato (a quanto l’alunno ha
appreso) ma alla futura performance. L’AI richiede di uscire dalla regola dello
stabilito, del “definisco quanto hai appreso con un voto”, per un trattamento
degli studenti e del loro lavoro come fosse un work in progress. La valutazione
va fatta mentre si lavora con gli studenti e non come somma finale (Harrison
& Hasan, 2013). Glu studenti devono avere l’opportunità di imparare
dall’azione, all’interno del processo in atto, sviluppando al contempo un
pensiero valutativo (come elaborare domande di valutazione, identificare i
metodi migliori, ecc.) E uno apprezzativo (comprendere l’importanza e la
funzione della narrazione, dell’ascolto attivo, del linguaggio, ecc.). Il ricorso
alla narrazione e l’enfasi sugli elementi positivi, inoltre, non solo riducono
ansie, ostilità e paure spesso rivolte alla valutazione ma agevolano la riflessione
e la mediazione personale sull’apprendimento (Tosati, Lawthong E
Suwanmonkha, 2015), espandendo le possibilità che i soggetti riescono a
intravvedere nelle diverse situazioni.
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Un mutamento della pratica di insegnamento. Lappreciative inquiry può infatti
fornire un paradigma alternativo per creare esperienze di insegnamento
generative e positive. Gli insegnanti migliori, secondo Bain (2004), finiscono
per essere coloro che costruiscono insieme ai propri studenti la conoscenza
a partire da un nuovo atteggiamento: pensano lo studente come un soggetto
attivo e hanno verso di lui grandi aspettative. Per questo si attua quella che
viene chiamata la profezia che si auto-adempie (quanto si crede, accade).
Questi insegnanti lavorano per fornire agli studenti strumenti per avere
successo, secondo un’ottica abilitativa, piuttosto che disfattista.
Un coinvolgimento maggiore degli studenti. Agnesa (2013) dimostra come vi sia
uno spostamento da processi critico-prescrittivi e critico-collaborativi verso
processi apprezzativo-collaborativi per lo sviluppo di competenze. “e’ una
formazione che premia più che correggere, che sostiene l’empowerment più
che “raddrizzare” i comportamenti indesiderati”(p. 8). In particolare in questo
modo l’azione didattica viene costantemente ricalibrata dall’insegnante e si
risponde alle esigenze del singolo rendendolo partecipe e coinvolto. Gli
studenti si sentono parte di un progetto pensato da loro e per loro.
Martinelli (2013), Doveston e Keenaghan (2006), aggiungono che ciò è ancor
più valido quando nell’esperienza sono coinvolti alunni con disabilità, DSA o BES:
questi risentono di condizionamenti originati dalle loro situazioni particolari. Con
essi, ancor più che con ogni altro, la standardizzazione e l’appiattimento degli
interventi può risultare inefficace: se ciò è vero per tutti, infatti, lo è ancor di più
per chi è in maggiore difficoltà ad adattarsi alle richieste di un educatore o di un
insegnante, in quanto i condizionamenti provocano ancor maggiori problemi e
complicazioni allo sforzo di adeguarsi alle richieste di un intervento estraneo, che
non tiene conto delle caratteristiche del soggetto e così via. L’Appreciative Inquiry,
in altri termini, consente un intervento più sensibile e rispettoso delle
caratteristiche individuali. (Martinelli, p. 32).
Conclusione
Per concludere, nella formazione si avverte un progressivo affrancarsi della
riflessione dalla mera dimensione di propedeuticità/strumentalità per il
cambiamento di apprendimento e insegnamento al riconoscimento della valenza
formativa che la prospettiva appreciative possiede8. I modelli che si rifanno a tale
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8 La visione costruttivista, la psicologia positiva e l’applicazione dell’appreciative inquiry
permettono addirittura la nascita di un’appreciative education. Essa sviluppa un
framework interattivo e generativo che guida le interazioni di individui e organizzazioni.
Le sei fasi dell’appreciative education sono: disarm o riconoscimento dell’importanza di
costruire ambienti in cui ciascuno si senta al sicuro e possa esprimersi/farsi sentire;
discover o scoperta delle potenzialità individuali e organizzative attraverso valutazioni
cognitive, metacognitive e affettive (ancora una volta si pone attenzione all’interrogazione
a come si pone la domanda); dream o sogno per cui ogni nostra azione deve concorrere
alla realizzazione del visione di ciascuno e dell’organizzazione; design o piano d’azione
utile alla realizzazione di quanto emerge in precedenza; deliver o fase di resilienza in cui
insieme si realizza affrontano ostacoli e difficoltà quanto stabilito; don’t settle o positiva
agitazione nata dalla scoperta del passato (potenzialità) e dal sogno futuro che emergono
dalla situazione presente.
impostazione ricorrono ad una costruzione sociale della realtà, abbracciano i
sistemi valoriali e stimolano la riflessione sulle potenzialità. Secondo l’approccio
apprezzativo stanno emergendo nuove esperienze e buone pratiche. Si pensi
all’influenza che esso sta avendo entro le organizzazioni sull’orientamento delle
strategie (SOAR (strenghts, opportunities, aspiration and results)9sta
soppiantando SWOT (strenghts, weaknesses, opportunities and threats)), sulla
percezione della leadership, vista sempre più come collettiva/orizzontale.
Ora, immaginiamo solo per un momento di cambiare il nostro modo di
interrogarci sulla dispersione chiedendoci non perché gli studenti se ne vanno
ma, secondo un approccio apprezzativo, perché gli studenti rimangono. Cosa
cambierebbe? Si creerebbe una scuola che si interroga su come rendere i propri
studenti partecipi e entusiasti di stare entro quel contesto. Si svilupperebbero
processi di interazione positiva in cui insegnanti e allievi costruirebbero
attivamente idee e concetti, consentendo alla formazione di allargare il suo
respiro all’intera comunità; agli studenti di proiettarsi verso il futuro e facendo
scorgere, come affermano Thatchenkery e Metzker (2007), la “quercia nella
ghianda”.
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Nadia Dario
348
9 SOAR (strengths, opportunities, aspirations, and results) is a strategic planning
framework for eliciting thoughtful responses from stakeholders regarding the most
positive and valuable aspects of their organization. In practice, SOAR could be used to
evoke conversations among stakeholders about what they want to discover or learn
about within their organization, their desired future for the organization, and how they
want to see the organization grow and flourish. These conversations are critical in
developing affi rmative topics that ultimately set the agenda for “learning, knowledge
sharing, and action” (Cooperrider and Whitney, 2005, p. 17)
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Nadia Dario
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Article
Full-text available
Appreciative inquiry (AI) theorists claim AI is a more generative form of inquiry than problem solving; this study uses a classical field experiment to test that claim. We test three different processes for producing generative ideas defined as new ideas that motivate new actions. Why AI may be better at producing such ideas is explored and a method for amplifying those qualities (synergenesis) is described. Hypotheses are tested by assessing ideas produced from groups of employees at an urban transit organization. Synergenesis-based groups scored significantly higher than either of the other groups on ratings of generative ideas. Examination of participant’s pre- and post semantic maps show predictable differences in the effects of problem solving and appreciative approaches on engagement of employees in the ideation phase of a change process, consistent with AI claims. Implications for practitioners and suggestions for future research are discussed.
Article
Full-text available
This chapter presents a conceptual refiguration of action-research based on a "sociorationalist" view of science. The position that is developed can be summarized as follows: For action-research to reach its potential as a vehicle for social innovation it needs to begin advancing theoretical knowledge of consequence; that good theory may be one of the best means human beings have for affecting change in a postindustrial world; that the discipline's steadfast commitment to a problem-solving view of the world acts as a primary constraint on its imagination and contribution to knowledge; that appreciative inquiry represents a viable complement to conventional forms of action-research; and finally, that through our assumptions and choice of method we largely create the world we later discover.
Book
This classic book, first published in 1991, was one of the first to propose the “embodied cognition” approach in cognitive science. It pioneered the connections between phenomenology and science and between Buddhist practices and science-claims that have since become highly influential. Through this cross-fertilization of disparate fields of study, The Embodied Mind introduced a new form of cognitive science called “enaction," in which both the environment and first person experience are aspects of embodiment. However, enactive embodiment is not the grasping of an independent, outside world by a brain, a mind, or a self; rather it is the bringing forth of an interdependent world in and through embodied action. Although enacted cognition lacks an absolute foundation, the book shows how that does not lead to either experiential or philosophical nihilism. Above all, the book’s arguments were powered by the conviction that the sciences of mind must encompass lived human experience and the possibilities for transformation inherent in human experience. This revised edition includes substantive introductions by Evan Thompson and Eleanor Rosch that clarify central arguments of the work and discuss and evaluate subsequent research that has expanded on the themes of the book, including the renewed theoretical and practical interest in Buddhism and mindfulness. A preface by Jon Kabat-Zinn, the originator of the mindfulness-based stress reduction program, contextualizes the book and describes its influence on his life and work. © 1991, 2016 Massachusetts Institute of Technology. All rights reserved.
Article
Appreciative Inquiry (AI) is a process that strives to create a better future by inquiring into, identifying and further developing the best of an organisation (Coghlan et al., 2003). As part of the authors' systemic work in schools, AI was used as a framework for children to investigate how 'talking and listening' in a primary mixed Year 2 and 3 class could be improved. Whilst the broad focus of 'talking and listening' was donated by the teacher, this pilot project involved the children, class teacher, teaching assistant (TA) and educational psychologists collaborating in a genuine inquiry regarding the children's best experiences of talking and listening. The goal was to develop the children's ideas and 'dreams' into new ways of functioning in the classroom. Participants gave feedback regarding the AI process generally, and how they could improve 'talking and listening' specifically.
Book
How is it that some people seem to have great relationships and success in their lives while others do not? Why are some organizations successful at sustaining positive change while others make a great start but let it fade away? It rests on the dynamics of their relationships. Creating positive dynamics and sustained success requires continuous awareness and informed appreciative action. Dynamic Relationships: Unleashing the Power of Appreciative Inquiry in Daily Living invites us to step into the appreciative paradigm where the principles governing our actions and relationships offer a means for increased value and meaning in our lives and our communities of work and play. Dynamic Relationships offers us the opportunity to practice these principles through cycles of reflection and action in ways that empower us to become a force for creating and sustaining life-affirming relationships and success in daily living.
Article
This chapter challenges the contemporary narrative that suggests higher education and student learning are in decline. Prescriptions for strengthening pedagogical processes by adapting principles from appreciative inquiry are also discussed.
Chapter
Metaphor and Thought, first published in 1979, reflects the surge of interest in and research into the nature and function of metaphor in language and thought. In this revised and expanded second edition, the editor has invited the contributors to update their original essays to reflect any changes in their thinking. Reorganised to accommodate the shifts in central theoretical issues, the volume also includes six new chapters that present important and influential fresh ideas about metaphor that have appeared in such fields as the philosophy of language and the philosophy of science, linguistics, cognitive and clinical psychology, education and artificial intelligence.
Article
Taking a positive view is a fruitful way to prompt educators to reflect on and to develop their practice. Teachers, teacher educators and children bring a wide range of ideas that provide a powerful basis for developing understanding of the complexities of classroom practice. Using appreciate inquiry the authors show how they developed their understanding of professional development as they worked with groups of teachers who investigated their science teaching practice with young children and produced case studies of practice. The authors also show how the roles and ideas of themselves as university tutors were challenged and emerged to suit the range of contexts involved. Their view of Continuing Professional Development was influenced by the lived experiences of the teachers and themselves. They worked to systematise learning through identifying commonalities of experience and reflection along four dimensions: creating spaces for growth; working with emergent purposes; action research as rhizomatic growth; and collaborative and collective action. The rich variety of outcomes shows the value of creating space for growth for children and for adults. The energy and enthusiasm liberated motivated the participants to explore their worlds in ways that were difficult to predict at the start of the project.