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Le radici cattoliche della democrazia italiana

Authors:
EUROPA
Antonio Magliulo
Le radici cattoliche della democrazia italiana
1. Introduzione
Nel 1943, al culmine della seconda guerra mondiale, Jacques
Maritain scriveva: “La tragedia delle democrazie moderne consiste
nel fatto che esse non sono ancora riuscite a realizzare la democra-
zia”. Non vi sono riuscite perché hanno rinnegato il cristianesimo
che, nobilitando popolo e persona, aveva posto il basamento su cui
costruire la stessa democrazia: “Lo stato d’animo democratico non
solo deriva dalla ispirazione evangelica, ma non può sussistere sen-
za questa”1.
Settant’anni dopo, nel 2014, al culmine dell’apparente trionfo
della democrazia, l’autorevole ed in•uente settimanale inglese «The
Economist» così titolava la copertina del primo numero di marzo:
What’s gone wrong with democracy (Cosa è andato storto con la
democrazia).
Nei paesi di antica tradizione democratica secondo
l’«Economist» si ha l’impressione che la democrazia sia ormai
una cosa in vendita (“democracy is for sale”): il consenso popolare
può essere infatti “acquistato” da scaltri politici che, col sostegno
di potenti lobby !nanziarie, avanzano promesse sempre più grandi
e dif!cili da mantenere. Il rimedio proposto è ridurre le promesse e
cioè le funzioni dello Stato lasciando più spazio alla partecipazione
dal basso di individui e comunità. Nelle nuove democrazie si scopre
1 J. Maritain, Cristianesimo e democrazia, Vita e Pensiero, Milano 1977, pp. 19
e 51 (ed. orig. 1943).
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che è più facile cacciare un dittatore, distruggendo l’ancien régime,
che costruire un nuovo ordine democratico. Il rimedio proposto è
prestare maggiore attenzione ai presupposti culturali necessari per
esercitare il diritto al voto. Vecchie e nuove democrazie sono poi
accomunate dal progressivo sgretolamento degli Stati nazionali in
cui si è fino ad oggi svolta la vita democratica.
La democrazia è il governo del popolo e per il popolo. Kelsen ha
chiarito, forse in maniera definitiva, che l’essenza della democrazia
è un governo del popolo, sia perché solo il popolo, attraverso i suoi
rappresentanti, può stabilire qual è il proprio bene sia perché anche
un governo autocratico potrebbe ambire a perseguire il bene del po-
polo. Tocqueville ha chiarito, in modo altrettanto persuasivo, che un
governo del popolo, eletto nel pieno rispetto delle prescritte regole
procedurali, potrebbe non agire per il popolo degenerando in una
tirannide della maggioranza. Che cosa può dunque consentire ad un
governo del popolo di agire per il popolo?
Intorno a questo interrogativo – che è poi il cuore della perenne
crisi o fragilità della democrazia – si affannano studiosi di varie di-
scipline. Gli economisti cercano di mostrare che un miglioramento
del benessere economico avrebbe un salutare effetto anche sul be-
nessere democratico. I giuristi progettano le istituzioni di una nuova
democrazia transnazionale. I filosofi argomentano che non di sole
istituzioni vive la democrazia che, oggi più mai, ha innanzitutto bi-
sogno, per vivere, di uno spirito pubblico.
Agli storici spetta il compito, non meno impegnativo, di tene-
re desta la memoria aggiornando il diario di viaggio: a che punto
siamo nel secolare cammino della democrazia? Quali ostacoli sono
stati superati e quali si intravedono all’orizzonte? Quali scelte siamo
chiamati a compiere? La storia può aiutarci a capire meglio l’ori-
gine e la natura della crisi che stiamo attraversando. Una crisi, al
fondo, antropologica, che richiede, per essere superata, un nuovo
umanesimo.
Questo scritto si occupa della storia della democrazia in Italia
ed in particolare del contributo dei cattolici. Si tratta di un tema
ancora controverso. Se Maritain ha sostenuto che senza il cristia-
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nesimo anche la democrazia decade, altri autorevoli studiosi – per
esempio Bobbio – hanno affermato che la Chiesa e i cattolici hanno
ostacolato e ritardato l’approdo alla democrazia di molti paesi ed in
particolare dell’Italia.
Il lavoro, in un arduo tentativo di sintesi, è articolato in tre parti.
Esamineremo il contributo dei cattolici alla costruzione della demo-
crazia in Italia, rispettivamente, nell’età liberale, nell’epoca fascista
e nel momento fondativo della Repubblica.
2. Nell’Italia liberale: la svolta della Rerum Novarum e la “de-
mocrazia cristiana” di Toniolo
Nel 1861, quando l’Italia si unisce, la Biblioteca dei Classici del-
la Democrazia contava già numerosi e imprescindibili volumi.
Aristotele, Machiavelli e Montesquieu avevano spiegato che la
democrazia è innanzitutto una forma di governo: è il governo del
popolo o dei tanti contrapposto al governo di uno o di pochi.
A metà Ottocento Constant e Mill avevano chiarito che la de-
mocrazia moderna, a differenza di quella antica, è rappresentativa e
non diretta. Per gli antichi, la democrazia è la libertà (riconosciuta a
pochi) di esercitare direttamente il potere di gestire la cosa pubblica.
Per i moderni, è la libertà (riconosciuta a tanti) di delegare ad alcuni
il compito di gestire gli affari comuni.
Sempre a metà Ottocento Tocqueville aveva aggiunto che la de-
mocrazia moderna è innanzitutto nazionale e associativa. La sovra-
nità appartiene a popoli composti da individui e gruppi sociali che
vivono all’interno di territori nazionali. Tocqueville aveva sollevato
un duplice e fondamentale quesito: chi rappresentare? Solo gli in-
dividui o anche le associazioni? E come evitare che il governo del
popolo si risolva nella “tirannide della maggioranza”?
Ancora a metà Ottocento Marx e Mill avevano osservato che la
democrazia è non solo politica ma anche economica. Il governo del
popolo o dei tanti dovrebbe potersi esercitare anche nei luoghi di la-
voro. Mill guardava con simpatia alla partecipazione dei lavoratori
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alla gestione delle imprese capitalistiche e alla diffusione di imprese
cooperative governate da soli lavoratori ovvero ad una estensione
della democrazia rappresentativa in ambito economico. Marx pen-
sava a forme di autogoverno dei produttori sul modello dei Consigli
Operai della Comune di Parigi ovvero ad una ripresa, in ambito eco-
nomico, della democrazia diretta.
Nel 1863, in una celebre frase, Abramo Lincoln aveva riassunto
l’ideale di una democrazia compiuta, formale e sostanziale, econo-
mica e politica. Aveva detto: “che l’idea di un governo di popolo,
dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra”2.
Nel 1861 la giovane classe dirigente italiana probabilmente co-
nosceva i Classici della Democrazia ma era impegnata nella difficile
impresa di costruire un reale Stato democratico.
La storia dell’Italia liberale è segnata dalla svolta, avvenuta nel
1876, tra la Destra e la Sinistra Storica3.
Nel 1861 la Destra di Cavour si ispira al modello inglese di un
governo per il popolo. Le scelte sono conseguenti. Il diritto di voto
viene riconosciuto a poco più di 400 mila ricchi possidenti su un
totale di oltre 26 milioni di cittadini. Il Codice Penale sardo, che
vietava il diritto di sciopero e di associazione sindacale, il Codice
di Commercio, che ignorava l’impresa cooperativa, e la tariffa do-
ganale liberoscambista vengono estesi all’intero territorio nazionale
mentre la Lira, convertibile in oro, diventa la valuta nazionale. Una
2 Su storia e teorie della democrazia, cfr. G. Sartori, Democrazia. Cos’è, Riz-
zoli, Milano 1993; N. Bobbio, Stato, governo e società, Einaudi, Torino 1985;
Id., Democrazia, in Dizionario di politica, a cura di N. Bobbio, N. Matteucci,
G. Pasquino, Utet, Torino 1990, pp. 287-297; Id., Il futuro della democrazia,
Einaudi, Torino 1995 (I ed. 1984), Id., Eguaglianza e libertà, Einaudi, Torino
2009; M.L. Salvadori, Democrazie senza democrazia, Laterza, Roma-Bari
2009; M. Cartabia e A. Simoncini, a cura di, La sostenibilità della democrazia
nel XXI secolo, Il Mulino, Bologna 2009.
3 Sulla storia politica dell’Italia liberale restano fondamentali i volumi di G. Can-
deloro, Storia dell’Italia moderna, vol. V, La costruzione dello Stato unitario
1860-1871, Feltrinelli, Milano 1994, III ed. (I ed. 1968); vol. VI, Lo sviluppo
del capitalismo e del movimento operaio, Feltrinelli, Milano 1994, IV ed. (I
ed. 1970); vol. VII, La crisi di fine secolo e l’età giolittiana, Feltrinelli, Milano
1989, III ed. (I ed. 1974).
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democrazia poco rappresentativa, non economica, e sostanziale nei
propositi (ma quale governo dichiara di non operare per il bene del
popolo?).
Nel 1876 la svolta. La Sinistra di Depretis e poi di Crispi e Gio-
litti si ispira al modello tedesco di un governo anche del popolo. Le
scelte sono conseguenti. La riforma principale è quella elettorale:
nel 1882 il diritto di voto viene riconosciuto ad oltre 2 milioni di
cittadini e nel 1912 viene esteso, col suffragio universale maschile,
ad oltre 8 milioni di uomini. La riforma elettorale era stata prece-
duta da altre importanti leggi. Nel 1877 la Legge Coppino, renden-
do obbligatoria l’istruzione elementare, aveva posto una premessa
fondamentale all’esercizio del diritto di voto. Nel 1882, il nuovo
Codice di Commercio aveva riconosciuto e disciplinato l’impresa
cooperativa governata in base al principio (democratico) “una testa,
un voto”. Nel 1889 il nuovo Codice Penale, voluto da Zanardelli,
aveva abolito, primo in Europa, la pena di morte e riconosciuto,
seguendo l’esempio di altri paesi, il diritto di sciopero. Nel 1890 la
Legge Crispi aveva riformato l’assistenza pubblica con la naziona-
lizzazione di molti istituti religiosi. Nei primi anni del nuovo seco-
lo, Giolitti, nel tentativo di fermare l’avanzata socialista evitando
derive reazionarie, aveva fatto approvare dal Parlamento una serie
di leggi a favore di sindacati e cooperative. Con la Sinistra la de-
mocrazia italiana diventa più formale e sostanziale ma anche meno
associativa e trasparente. Da un lato vengono riconosciuti nuovi e
fondamentali diritti: voto, sciopero, istruzione, assistenza. Dall’al-
tro, quegli stessi diritti vengono violati o disattesi: il voto diventa
una merce di scambio, gli scioperanti più attivi vengono arrestati, i
figli di molti contadini disertano le aule di scuola e restano nei cam-
pi, l’assistenza diventa un affare di Stato.
Anche la presenza pubblica dei cattolici nell’Italia liberale è se-
gnata da una svolta, non meno importante di quella rappresentata
dal passaggio dalla Destra alla Sinistra Storica. La svolta avviene
nel 1891 con la pubblicazione della Rerum Novarum4.
4 Sulla storia del movimento cattolico in Italia dall’Unità alla Repubblica, cfr.
G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Editori Riuniti, Roma 1972,
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Fino ad allora la presenza dei cattolici era stata connotata da due
avvenimenti. Nel marzo del 1871 la Penitenzieria di Pio IX aveva
emesso il non expedit che, dopo i fatti di Porta Pia, vietava ai fede-
li di partecipare alle elezioni politiche dell’unificato Stato italiano.
Nel giugno del 1874 si era riunito a Venezia il Primo Congresso
Cattolico e l’anno successivo, a Firenze, il Secondo Congresso ave-
va deliberato di istituire un’associazione denominata “Opera dei
Congressi e dei Comitati Cattolici in Italia”. In pochi anni l’Opera
aveva costruito una fitta rete di opere sociali sull’intero territorio
nazionale. Un’inchiesta, voluta proprio dal governo in vista dell’ap-
provazione della Legge Crispi del 1890, aveva censito oltre 22.000
strutture riconducibili al movimento cattolico comprensive di ospe-
dali, orfanatrofi, scuole, società di mutuo soccorso, casse rurali.
All’interno dell’Opera si era poi sviluppato un vivace dibattito
sul ruolo dei cattolici nella società italiana. Si erano formati due
contrapposti schieramenti. I “transigenti” chiedevano la concilia-
zione tra cattolicesimo e liberalismo e tra Stato e Chiesa. Gli “in-
transigenti” rifiutavano la logica dei fatti compiuti e consideravano
il cattolicesimo una dottrina in compiuta, che non aveva biso-
gno di alcun apporto esterno. Per gli intransigenti, il liberalismo,
distruggendo le comunità intermedie, aveva aperto la questione so-
ciale. Il socialismo ed il sindacalismo, esaltando la lotta di classe,
rappresentavano una errata reazione all’imperante individualismo
liberale. L’unica e radicale soluzione alla questione sociale era la
III ed.; F. Fonzi, I cattolici e la società italiana dopo l’Unità, Studium, Roma
1977, III ed. (I ed. 1953); P. Scoppola, La democrazia nel pensiero cattolico
del Novecento, in Storia delle idee politiche, economiche e sociali, vol. VI, Il
secolo ventesimo, Utet, Torino 1989, III ed. (I ed. 1972), pp. 109-190; G. Formi-
goni, L’Italia dei cattolici. Fede e nazione dal Risorgimento alla Repubblica, Il
Mulino, Bologna 1998; P. Barucci (a cura di), I cattolici, l’economia, il mercato,
Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2008; M.G. Rossi, Il movimento cattolico
tra Chiesa e Stato, in Storia d’Italia, vol. 5, Liberalismo e democrazia (a cura
di G. Sabbatucci e V. Vidotto), Editori Laterza – Il Sole 24 Ore, Milano 2010
(ed. orig. 1995), pp. 199-247. Sul rapporto tra cattolicesimo e democrazia, cfr.
U. Lodovici, Religione e democrazia. Il contributo di Jacques Maritain, Mi-
mesis Editore, Milano 2011 e M. Borghesi, Critica della teologia politica. Da
Agostino a Peterson: la fine dell’era costantiniana, Marietti, Genova 2014.
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restaurazione dell’antico ordine medievale con corporazioni miste
composte da lavoratori e imprenditori.
Nel 1889, alla vigilia della pubblicazione della Rerum Novarum,
l’intransigente Giovanni Battista Paganuzzi viene eletto Presidente
dell’Opera.
Leone XIII avrebbe potuto avvalorare la prospettiva di un no-
stalgico ritorno al passato oppure perorare un’apertura della Chiesa
verso il moderno liberalismo. Aprì invece una terza prospettiva. La
responsabilità principale della questione sociale ricadeva ancora sul
liberalismo che, smantellando le antiche corporazioni, aveva lascia-
to gli operai soli “in balìa della cupidigia dei padroni e di una sfre-
nata concorrenza”. Il socialismo restava un “falso rimedio” perché,
proclamando la lotta di classe e l’abolizione della proprietà privata,
minava le basi morali della paci!ca convivenza. Ma il “vero rime-
dio” non poteva essere un ritorno al passato con la restaurazione
dell’ordine medievale. La soluzione della questione sociale era la
giusta collaborazione tra classi sociali. Le classi sociali, nella visio-
ne del Papa, sono rappresentate o da associazioni miste, composte
da lavoratori e imprenditori, o da associazioni semplici composte da
soli lavoratori o soli imprenditori. La collaborazione tra classi so-
ciali dev’essere equa e cioè fondata su una Carta di reciproci diritti
e doveri che il Papa stesso concorre a delineare indicando nel giusto
salario e nella riduzione dell’orario di lavoro due irrinunciabili di-
ritti. La svolta è nell’esplicito riconoscimento del sindacato ovvero
di associazioni composte da soli operai, e avviene senza particolari
enfasi, quasi per inciso. Scrive Leone XIII nella Rerum Novarum:
“Vediamo con piacere formarsi ovunque associazioni di questo ge-
nere, sia di soli operai sia miste di operai e padroni, ed è desiderabile
che crescano di numero e di operosità”5.
La Chiesa si svincola da un modello di corporazioni miste e ob-
bligatorie. Ciò che conta è la giusta collaborazione tra libere asso-
ciazioni rappresentative di forze sociali. A lungo i cattolici conti-
nueranno a parlare di corporazioni semplici intendendo con questa
5 Leone XIII, Rerum Novarum, 1891, in I documenti sociali della Chiesa, a cura
di p. R. Spiazzi o.p., Massimo, Milano 1988, vol. I, p. 135.
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espressione le unioni professionali o i sindacati e ciò darà luogo a
molti equivoci sul loro presunto, persistente, corporativismo6.
Dopo la Rerum Novarum, Giuseppe Toniolo diventa la figura
centrale di riferimento del movimento cattolico. Nel 1892 presie-
de il Primo Congresso dell’Unione Sociale di Studi Cattolici. Nel
1893 fonda, insieme a Giuseppe Talamo, l’autorevole «Rivista In-
ternazionale di Scienze Sociali». Nel 1894 scrive, e l’Unione So-
ciale approva, il Programma dei cattolici di fronte al socialismo (il
cosiddetto Programma di Milano).
Il Programma declina il messaggio della Rerum Novarum in una
serie di operative proposte di riforma sociale. Lo scopo è antico:
ricongiungere capitale e lavoro. Lo strumento è nuovo: una libera
e giusta collaborazione di classe. Nel settore agricolo, si tratta di
riavvicinare un proprietario, spesso assenteista, a braccianti quasi
sempre estromessi dalla gestione e dagli utili dell’impresa. Tonio-
lo propone di applicare una serie di contratti giuridici – la colonia
parziaria, l’enfiteusi e il piccolo affitto che consentirebbero al
lavoratore di partecipare alla conduzione e agli utili dell’impresa.
Nel settore industriale, si tratta di riavvicinare, al tempo stesso,
un capitalista, spesso rentier, ad imprenditori quasi sempre sprov-
visti dei necessari capitali di rischio, e un imprenditore, spesso
autoritario, a lavoratori ancora estromessi dalla gestione e dagli
utili dell’impresa. Toniolo propone di diffondere nuovi strumenti
giuridici: la società in accomandita, in cui il capitalista, confe-
rendo i necessari capitali, condivide il rischio e l’opera dell’im-
prenditore, e la partecipazione dei lavoratori agli utili e quindi al
destino dell’impresa. Ovunque propone di costituire corporazio-
ni, se possibile miste, se necessario semplici. Scrive: “Che se le
classi superiori dei proprietari e capitalisti ripugnino ad entrare in
sodalizi misti colle classi inferiori (ciò che compone l’ideale della
organizzazione dei cattolici propugnata), in tal caso questi accet-
6 Cfr. A. Magliulo, L’apporto della cultura cattolica alla formazione dell’identità
italiana (1871-1948), in A. Magliulo, L. Orabona, U. Parente, Cattolicesimo
e identità nazionale in Italia, Editrice Apes, Roma 2011, in particolare le pp.
58-64.
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tano che i lavoratori si stringano in unioni professionali esclusi-
vamente operaie e procedano per la via di una legale resistenza
alla rivendicazione dei propri diritti, senza però di regola chiudere
l’adito all’accoglienza nel loro seno delle classi, ora riluttanti ed
avverse, nell’avvenire. In altre parole: sposando la causa dei la-
voratori noi non perderemo mai di vista l’intera società ed il suo
assetto normale”7.
Nel 1897, il XV Congresso Cattolico, riunito a Milano, appro-
va il Programma di Toniolo. Ma in quel congresso si manifesta
anche, forse per la prima volta in modo palese, il dissenso fra i
vecchi intransigenti capeggiati da Paganuzzi e i giovani democra-
tici cristiani guidati da Romolo Murri. Il dissenso riguarda il signi-
ficato, teorico e fattuale, di una “democrazia cristiana”. I vecchi
pensano che il popolo non sia ancora maturo per autogovernarsi
e che il movimento cattolico, raccolto nell’Opera dei Congressi,
debba restare unito sotto la materna guida della gerarchia ecclesia-
stica. Per i giovani si tratta soltanto di un malcelato paternalismo
e di una malintesa figliolanza. Murri chiede che i cattolici, in una
condizione di conquistata autonomia dalle direttive ecclesiastiche,
si aprano alla modernità partecipando alla costruzione della gio-
vane democrazia italiana. Una democrazia piena: un governo del
popolo e per il popolo.
Nel 1897 Toniolo approfondisce, in un denso ed influente saggio,
il “concetto cristiano della democrazia”. Pochi anni prima, nell’Im-
mortale Dei del 1885, Leone XIII aveva chiarito che la Chiesa con-
sidera legittime diverse forme di governo, inclusa la democrazia.
Aveva scritto: “se ben si consideri, non si condanna alcuna delle
forme di governo in uso, come quelle che per se stesse nulla hanno
che ripugni alla dottrina cattolica, ed opportunamente e giustamente
applicate possono dare allo Stato un ottimo ordinamento. Anzi nep-
pure si condanna in se stessa la partecipazione, più o meno larga, dei
cittadini al governo della cosa pubblica; partecipazione, che in date
7 G. Toniolo, Programma dei cattolici di fronte al socialismo, in Id., Opera
Omnia, serie III, vol. II, Democrazia cristiana. Concetti e indirizzi, vol. I,
Città del Vaticano 1949, pp. 11-12 (ed. orig. 1894).
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Rivista di Studi Politici - S. Pio V
circostanze e con certe condizioni può essere nemica o di una giusta
tolleranza, o di quella che è vera e legittima libertà”8.
Toniolo segue lo stesso approccio. Utilizzando categorie aristote-
liche, distingue tra “sostanza” e “accidente”. La democrazia, nel suo
significato sostanziale o essenziale, e dunque stabile o permanente,
è un governo per il popolo ed in particolare per le classi popolari.
Nel suo significato accidentale, e dunque conseguente e cangian-
te, è un governo del popolo e possibilmente di tutto il popolo. Nel
primo significato la democrazia “deve essere accettata da tutti i cat-
tolici”. Nel secondo significato può essere propugnata senza che
diventi “argomento di discordia”. Scrive: “Il concetto essenziale e
più ampio di democrazia è pur sempre quello di una cospirazione
di forze sociali, giuridiche ed economiche particolarmente rivolte
a proteggere, rispettare, elevare il popolo. Altri concetti accidentali
e più ristretti, per esempio quello stesso politico, ne sono una sem-
plice conseguenza razionale e storica. Affrancato, onorato, elevato,
educato il popolo, è naturale che presto o tardi anche politicamente
il popolo acquisti importanza e trovi il suo posto nel governo, sino
ad affrettare, se si voglia, in certi casi, un tipo di governo repubbli-
cano”9.
Toniolo affronta i principali aspetti del controverso rapporto tra
democrazia formale e democrazia sostanziale. Può esserci un gover-
no del popolo che non opera per il bene del popolo. Per esempio, la
Monarchia di Luigi IX, il Re Santo che esercitava un potere assoluto
nell’interesse del popolo, a giudizio di Toniolo, era più democratica
della Repubblica di Cromwell, il despota che opprimeva il popo-
lo in suo nome. La democrazia sostanziale normalmente precede e
prepara la democrazia formale creando i presupposti culturali per
l’esercizio del diritto di voto. Infine, l’autogoverno del popolo non
si risolve nella rappresentanza parlamentare dei singoli cittadini ma
si esprime anche col riconoscimento delle autonomie locali e delle
8 Leone XIII, Immortale Dei, 1885, in I documenti sociali della Chiesa, cit., p.
47.
9 G. Toniolo, Il concetto cristiano della democrazia, in Id., Opera Omnia, serie
III, vol. II, Democrazia cristiana. Concetti e indirizzi, vol. I, Città del Vaticano
1949, p. 52 (ed. orig. 1897).
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forze sociali. Toniolo prevede, e auspica, la ripresa e lo sviluppo di
una democrazia decentrata e multilivello. Scrive: “Anzi il popolo
politicamente, in tutti i tempi, non visse soltanto per entro ai gros-
si parlamenti, bensì piuttosto negli organismi autonomi dei Comu-
ni, delle Corporazioni, rivestite di funzioni civili, nelle università
campagnole, nelle vicinie o adunanze parrocchiali, nell’autorità fe-
conda delle consuetudini giuridico-locali. Anzi può prevedersi, con
ogni fondamento, che la democrazia nel suo aspetto politico, in un
prossimo avvenire, forse più e meglio che nella partecipazione del-
le masse alla suprema e accentrata rappresentanza parlamentare, si
esplicherà con la !oritura delle più armoniose e svariate autonomie
amministrative di classi e di località civiche, rurali, provinciali, re-
gionali, ecc.”10.
Nell’aprile del 1899 si svolgono a Ferrara i lavori del XVI Con-
gresso Cattolico. Il contrasto tra Paganuzzi e Murri si radicalizza.
Alcuni giovani seguaci di Murri, fra cui Giambattista Valente e Lui-
gi Sturzo, decidono di seguire Toniolo (e la Rerum Novarum). Nel
1901 Leone XIII promulga la Graves de communi, un’enciclica de-
dicata alla democrazia che sembra avvalorare le tesi di Toniolo.
Gli anni successivi rappresentano una lunga transizione verso un
mondo nuovo. Una transizione segnata dallo scioglimento dell’Ope-
ra dei Congressi (1904), dal prematuro discorso politico di Sturzo
a Caltagirone (1905), dall’avvio delle Settimane Sociali (1907),
dall’esperienza dei Deputati cattolici e del Patto Gentiloni (1913).
Anni in cui i cattolici restano sospesi tra astensionismo politico e
impegno sociale. Anni ancora dominati dalla imponente !gura di
Giuseppe Toniolo.
In breve, tra il 1861 e il 1918 si consuma la parabola dell’Italia
liberale: dalla Destra alla Sinistra Storica, da un progetto di moder-
nizzazione dall’alto al tentativo di partecipazione dal basso. L’Italia
scopre il duplice volto della democrazia: quello buono dei diritti
riconosciuti e tutelati e quello malvagio dei diritti disattesi o viola-
ti. I cattolici danno un contributo civile e culturale, ma non ancora
politico. Restano fuori o ai margini delle istituzioni statuali e ope-
10 Ibidem., pp. 59-60.
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rano nella società civile, impegnati a costruire opere che, tutelan-
do elementari diritti sociali, rendono più sostanziale la democrazia
italiana. Si impegnano anche ad elaborare e diffondere un’idea di
“democrazia cristiana”: quella di Leone XIII, ripresa e sviluppata da
Toniolo, e recepita da Valente e Sturzo, i fondatori, rispettivamente,
del primo sindacato e del primo partito di cattolici.
Il periodo si chiude in modo simbolico: nel 1918 termina il con-
•itto bellico e termina anche la vita terrena di Giuseppe Toniolo.
3. Nell’Italia fascista: la democrazia formale come baluardo della
democrazia sostanziale
Il 28 ottobre 1922 i fascisti marciano su Roma. Due giorni dopo,
il 30 ottobre, Mussolini forma il suo primo governo. Agli occhi del
Re, e di molti italiani, i fascisti sono ormai gli ultimi tutori di un
vacillante ordine pubblico.
La distruzione della fragile democrazia italiana avviene rapida-
mente. Nell’estate del 1923 il Parlamento approva la Legge Acerbo
che, assicurando al Partito Nazionale Fascista la maggioranza dei
seggi, prepara l’avvento della dittatura. Nel 1926 vengono appro-
vate le cosiddette Leggi Fascistissime che, limitando la sfera delle
libertà individuali, mirano a risolvere d’imperio il con•itto sociale:
i contratti collettivi possono essere stipulati solo dai sindacati le-
galmente riconosciuti, lo sciopero è vietato e ogni controversia tra
le parti sociali è risolta davanti ad una magistratura del lavoro. Nel
1934 vengono istituite le corporazioni e nel 1939 la Camera dei De-
putati è trasformata in Camera dei Fasci e delle Corporazioni11.
Nel dopoguerra i cattolici varcano la soglia delle istituzioni.
Nel marzo del 1918 nasce la Confederazione Italiana del Lavo-
ro (CIL), il primo sindacato di cattolici, presieduto da Giambattista
Valente.
11 Sul periodo fascista rinviamo ancora ai volumi di G. Candeloro, Storia dell’Italia
moderna, vol. VIII, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l’avvento del
fascismo, Feltrinelli, Milano 1996, VI ed. (I ed. 1978); vol. IX, Il fascismo e
le sue guerre, Feltrinelli, Milano 1988, II ed. (I ed. 1981).
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Il 18 gennaio 1919 Luigi Sturzo fonda il Partito Popolare Ita-
liano (PPI), il primo partito di cattolici. Nell’Appello “ai liberi e
forti” i Popolari propongono il voto alle donne e una legge elettorale
proporzionale, il riconoscimento giuridico dei sindacati e la rappre-
sentanza parlamentare dei corpi intermedi presenti nel paese, la tu-
tela di alcuni fondamentali diritti sociali (per esempio all’assistenza
nei periodi di malattia o disoccupazione). Ovvero una democrazia
piena: formale e sostanziale, politica ed economica. Si legge nel-
l’Appello: “Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare
ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo
sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare,
che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli
organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la
personalità individuale e incoraggi le iniziative private”12.
Il 30 ottobre 1922 i Popolari entrano nel I Governo Mussolini.
La scelta è fortemente sostenuta da De Gasperi che vuole difende-
re il sistema elettorale proporzionale contro la maggioritaria Legge
Acerbo. Se la sovranità appartiene saldamente al popolo – sembra
pensare De Gasperi – allora non potrà esserci un governo contro il
popolo. La democrazia formale diventa, in quel frangente storico,
un baluardo a difesa della democrazia sostanziale e a protezione
di ogni deriva autoritaria. Ma la Legge Acerbo viene approvata e
sulla giovane democrazia italiana iniziano a calare le tenebre della
dittatura.
Negli stessi mesi, nella quiete del suo studio, un giovane giurista
italiano, Giuseppe Capograssi, descrive la crisi della Moderna De-
mocrazia Rappresentativa e prevede l’avvento di una Nuova Demo-
crazia Diretta.
La Rivoluzione francese, distruggendo le comunità intermedie,
aveva reso possibile solo la democrazia rappresentativa parlamenta-
re. Ai moderni, osserva Capograssi, la democrazia diretta appare un
istituto desueto e impraticabile: come avrebbero potuto milioni di
cittadini partecipare direttamente alle deliberazioni collettive? Ma
12 L’appello ai «liberi e forti», Roma, lì 18 gennaio 1919, in A. Risso, Liberi e
forti (e bolscevichi), Effatà Editrice, Cantalupa (TO) 2009, p. 73.
39
Rivista di Studi Politici - S. Pio V
la spontanea rinascita delle formazioni sociali aveva messo in crisi
il tradizionale modello di democrazia rappresentativa (individuali-
stica e parlamentare). Capograssi coglie e descrive un duplice movi-
mento di accentramento e decentramento dell’autorità attraverso cui
si esercita la sovranità popolare. L’autorità, da un lato, si accentra
nell’Esecutivo e, dall’altro, si decentra nelle comunità locali e nelle
forze sociali. Il duplice movimento svuota o riduce la centralità del
Parlamento. Nella Vecchia Democrazia Diretta, pochi eletti gode-
vano dei diritti politici e partecipavano alle decisioni comuni. Nella
Nuova Democrazia Diretta – la sola possibile nella società moderna
– il popolo esercita la propria sovranità eleggendo Governo e Par-
lamento e partecipando attivamente alla vita delle comunità locali e
professionali. Nella Democrazia Rappresentativa gli interessi delle
parti possono essere difesi all’interno di un Parlamento più o meno
corporativo. Nella Nuova Democrazia Diretta gli interessi profes-
sionali e locali sono rappresentati all’interno di autonome comunità
territoriali e di libere forze sociali. Scrive Capograssi, che ideal-
mente si collega a Toniolo: “È necessario sempre accentuare nella
debita maniera la profonda differenza che passa tra l’istituto della
rappresentanza degli interessi concepito come il modo migliore di
risolvere il problema della rappresentanza, e il movimento che met-
te capo al tentativo che gli interessi concreti mediante e traverso le
loro organizzazioni fanno di governare loro stessi. Nel primo caso
siamo sempre dentro il sistema e la logica della democrazia rappre-
sentativa, nel secondo caso stiamo sul terreno e nella logica della
democrazia diretta”13.
Dopo la !rma dei Patti Lateranensi, avvenuta l’11 febbraio 1929,
si esplica un tentativo di conciliazione tra Chiesa e Stato e tra cat-
tolicesimo e fascismo. Alcuni cattolici vedono nel regime fascista
l’occasione storica per costruire un sistema economico corporativo,
alternativo al capitalismo liberista, che attenui l’antico con"itto so-
ciale tra lavoratori e imprenditori. Altri guardano con preoccupa-
zione alla violazione dei più elementari diritti umani. I cattolici si
13 G. Capograssi, La Nuova Democrazia Diretta, in Id., Opere, Giuffrè, Milano
1959, vol. I, p. 557 (ed. orig. 1922).
40 Anno XXVII - Ottobre/Dicembre 2015
dividono tra filo-fascisti e anti-fascisti. Sturzo è costretto all’esilio.
Malavasi e Malvestiti, i fondatori del movimento neoguelfo, sono
arrestati. Francesco Vito, l’economista principe dell’Università Cat-
tolica di Milano, elabora una dottrina economica del corporativismo
in linea con la tradizione cattolica e distinta da quella fascista.
Tra il corporativismo fascista e quello cattolico resta una irridu-
cibile distanza. Per il fascismo, le corporazioni sono miste, compo-
ste da lavoratori e imprenditori, tendenzialmente obbligatorie e sot-
toposte al controllo autoritario dello Stato: sono organi dello Stato.
Per i cattolici, le corporazioni sono libere e spontanee associazioni,
prevalentemente composte da soli lavoratori e soli imprenditori,
chiamate a sviluppare la collaborazione tra lavoro e capitale: sono
organi della società. Se i fascisti sembrano richiamarsi, almeno im-
plicitamente, al modello autoritario mercantilista di fine Settecento,
i cattolici si ispirano, esplicitamente, al modello delle libere e aperte
corporazioni medievali in cui si realizzava una tendenziale unità tra
capitale e lavoro14.
In breve, tra il 1919 e il 1944, l’Italia passa dalla democrazia
liberale alla dittatura fascista. I cattolici danno un contributo ancora
civile e culturale, ora anche politico, ma di minoranza. Approdano
alla democrazia formale: fondano un partito democratico e aconfes-
sionale ed entrano nelle istituzioni statuali: Governo e Parlamento.
Il rapporto tra democrazia formale e democrazia sostanziale sembra
quasi ribaltarsi: di fronte al pericolo di una deriva autoritaria la de-
mocrazia formale diventa un presupposto, un baluardo, della demo-
crazia sostanziale. Un baluardo divelto dal fascismo.
4. Alle origini dell’Italia repubblicana: un ideale di democrazia
compiuta
Il 23 luglio 1943, nell’eremo di Camaldoli, una cinquantina di
studiosi cattolici approva settantasei “enunciati” di un nuovo codi-
14 Su alcune sostanziali differenze tra il corporativismo medioevale e quello
settecentesco resta di grande utilità il volumetto di L. Einaudi, Lezioni di
politica sociale, Einaudi, Torino 1975, cap. III (ed. orig. 1946).
41
Rivista di Studi Politici - S. Pio V
ce sociale. Nessuno di loro poteva immaginare quello che sarebbe
successo due giorni dopo: crolla il fascismo ed inizia la tragica ed
esaltante stagione della liberazione dalla dittatura.
Nella clandestinità, i cattolici preparano la nuova democrazia.
Il Codice di Camaldoli viene pubblicato nel 1945 col titolo Per la
comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale a cura di un
gruppo di studiosi amici di Camaldoli. L’impronta di Capogras-
si, divenuto ormai un affermato giurista, è evidente: lo Stato non
solo non dovrà sostituirsi alla libera iniziativa di individui, famiglie
e gruppi sociali ma dovrà anche favorire la loro capacità di auto-
governarsi. Il Codice rafforza il principio di sussidiarietà che, da
strumento per difendere la società da uno Stato invadente, diventa
un’idea politica per porre lo Stato a servizio della società15.
Negli stessi mesi Alcide De Gasperi prepara i primi documenti
programmatici della nuova Democrazia Cristiana. Come gli esten-
sori del Codice di Camaldoli, pensa ad una democrazia che ricono-
sca i diritti sia degli individui che delle comunità intermedie. Come
i vecchi Popolari immagina un Senato delle professioni.
Tra le rovine della guerra, e prima che inizi la ricostruzione, i
cattolici aggiornano i modelli di democrazia formale elaborati nei
decenni precedenti: una democrazia parlamentare rappresentativa
anche delle categorie professionali o una nuova democrazia diret-
ta che riconosca l’autonomia delle comunità locali e delle forze
sociali.
Il 2 giugno 1946 si celebrano le prime elezioni politiche libere
dopo il 192416. Alle donne è finalmente riconosciuto il diritto al
voto, il suffragio è finalmente universale. Gli italiani sono chia-
mati a scegliere tra Monarchia e Repubblica e ad eleggere un’As-
semblea Costituente che dovrà elaborare la nuova carta costitu-
zionale e, contemporaneamente, svolgere compiti di ordinaria
legislazione. Gli elettori scelgono la Repubblica e l’Assemblea
15 Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale a cura di un
gruppo di studiosi amici di Camaldoli, Icas, Roma 1945, ripubblicato dalla
rivista «Civitas», 1988, n. 4, p. 46.
16 Nel marzo-aprile del 1946 si erano svolte le prime elezioni amministrative
libere e a suffragio universale.
42 Anno XXVII - Ottobre/Dicembre 2015
Costituente approva una Carta che entra in vigore il 1° gennaio
19481 7.
La Costituzione delinea un modello di democrazia compiuta: for-
male e sostanziale, politica ed economica. La democrazia formale
diventa una condizione irrinunciabile della democrazia sostanziale.
Diventa essa stessa sostanziale, nel senso di Aristotele (e Toniolo):
non più elemento accidentale, cangiante e conseguente, ma fattore
permanente e coessenziale. Non potrà più esserci un governo per il
popolo senza un governo del popolo.
La Costituzione delinea una democrazia sostanziale nel senso
che riconosce, accanto ai tradizionali diritti civili e politici, i nuovi
diritti sociali e tra questi il diritto al lavoro, ad un equo salario, al-
l’assistenza, alla salute e all’istruzione.
Delinea una piena democrazia formale nel senso che dovrà es-
serci un governo del popolo sia nella sfera politica che in quella
economica.
Nella sfera politica, la Costituzione disegna una Repubblica par-
lamentare che assegna agli individui (non alle categorie professio-
nali) il diritto di eleggere il Parlamento, la sede suprema in cui si
esprime e si esercita la sovranità popolare. La Repubblica riconosce
anche il ruolo delle formazioni sociali ove si svolge la personalità
umana (art. 2) e promuove le autonomie locali attuando il più ampio
decentramento amministrativo (art. 5).
17 Sul periodo della ricostruzione, cfr. G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol.
X, La seconda guerra mondiale, il crollo del fascismo, la resistenza, Feltrinelli,
Milano 1995, V ed. (I ed. 1984); Id., vol. XI, La fondazione della Repubblica e
la ricostruzione, Feltrinelli, Milano 1988, II ed. (I ed. 1986). Sulla Costituzione
italiana, cfr. E. Cheli, Il problema storico della Costituente, Editoriale Scienti-
fica, Napoli 2008 (ed. orig. 1973) e N. Occhiocupo, Liberazione e promozione
umana nella Costituzione, Giuffrè, Milano 1995. Sul contributo dei cattolici,
P. Barucci, Il dibattito sulla «costituzione economica», in G. Rossini, a cura
di, Democrazia Cristiana e Costituente, Edizioni Cinque Lune, Roma 1980,
vol. II, pp. 673-718; U. De Siervo, Il progetto democratico cristiano e le altre
proposte: scelte e confronti costituzionali, in G. Rossini, a cura di, Democrazia
Cristiana e Costituente, cit., pp. 557-671; N. Antonetti, U. De Siervo e F. Malgeri
(a cura di), I cattolici democratici e la Costituzione, Il Mulino, Bologna 1998,
3 voll.; P. Roggi, Amintore Fanfani all’Assemblea Costituente, in P. Barucci (a
cura di), I cattolici, l’economia, il mercato, cit., pp. 143-162.
43
Rivista di Studi Politici - S. Pio V
Nella sfera economica, la Costituzione delinea un originale mo-
dello di “economia sociale di mercato” e una particolare forma di
democrazia economica. Il governo non può limitarsi a proteggere il
mercato lasciando che sia la concorrenza a stabilire i livelli di occu-
pazione e la distribuzione settoriale e geografica degli investimenti
e della produzione. Non può limitarsi ad agire fuori e dopo che il
mercato ha determinato l’allocazione delle scarse risorse esistenti.
Si avrebbero assistiti e non occupati, sussidi e non salari.
Il governo deve intervenire dentro e mentre il mercato opera per
modificare, ab ovo, il processo di allocazione delle risorse e quindi per
tutelare i diritti riconosciuti. Il governo deve proteggere e orientare il
mercato. Proteggerlo da accordi collusivi che potrebbero trasformare
la concorrenza in monopolio. In particolare, il combinato disposto de-
gli articoli 41 e 43 impegna la Repubblica a predisporre “programmi
e controlli” per prevenire la formazione di monopoli e trust e, qualo-
ra questi si formino ugualmente, ad estirparli con la mano pubblica.
La Costituzione teme prevalentemente (o esclusivamente) gli accordi
collusivi, più o meno taciti, stipulati tra privati imprenditori e contem-
pla la possibilità di riservare interi settori economici di preminente in-
teresse generale “allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori
o utenti” (art. 43). Prevede cioè una molteplicità di imprese pubbliche
e non soltanto la radicale nazionalizzazione dei monopoli privati.
Ma proteggere non basta. Il mercato genera ricchezza congiunta
a squilibri e disuguaglianze. Il governo deve anche orientare il mer-
cato. Dall’alto, con programmi che mirino ad “indirizzare e coordi-
nare” l’iniziativa privata verso particolari settori e aree geografiche,
per esempio con un controllo pubblico del credito e quindi degli
investimenti. Recita il terzo comma dell’articolo 41: “La legge de-
termina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività econo-
mica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini
sociali”. E si legge nel primo comma dell’articolo 47: “La Repub-
blica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme: disciplina,
coordina e controlla l’esercizio del credito”. Dal basso, popolando
il mercato di imprese più democratiche e quindi modificando l’allo-
cazione delle risorse fin dalle fase produttiva. La Costituzione rico-
44 Anno XXVII - Ottobre/Dicembre 2015
nosce e legittima tre tipi di impresa: pubblica, cooperativa e privata.
Tutte sono chiamate a diventare più democratiche, in senso formale
e sostanziale, e cioè a perseguire un fine più grande rispetto alla
semplice massimizzazione del profitto del capitale. L’impresa pub-
blica (artt. 42-43) dovrà perseguire direttamente, sotto il controllo di
autorità politiche, un interesse generale. L’impresa cooperativa (art.
45), governata in base al principio democratico “una testa, un voto”,
dovrà tendere ad uno scopo mutualistico consentendo a fasce deboli
della popolazione di fruire di beni primari (cibo, casa, lavoro, cre-
dito) da cui sarebbero altrimenti escluse. La stessa impresa privata,
chiamata a svolgere una “funzione sociale”, dovrà essere gestita con
la partecipe collaborazione dei lavoratori (art. 46).
In Assemblea Costituente vi furono numerosi tentativi di conno-
tare la Carta in senso liberale o socialista.
Nella sfera politica, liberali e social-comunisti contrastarono
l’idea dei corpi intermedi avanzata dai cattolici: nella loro visione
esistevano soltanto lo Stato e gli individui e la Costituzione avrebbe
dovuto limitarsi a riconoscere il diritto (individuale) di associazio-
ne. In I Sottocommissione, liberali e social-comunisti avversarono
la proposta avanzata da La Pira, e difesa da Dossetti, di riconoscere
anche le formazioni sociali (art. 2), e nella Commissione per la Co-
stituente bocciarono l’emendamento presentato da Mortati (e soste-
nuto da Dossetti, Fanfani, La Pira e Moro) di istituire il Senato delle
categorie professionali.
Nella sfera economica, liberali e social-comunisti contrastarono
l’idea di uno Stato che protegge e orienta il mercato. Sull’articolo
41 il liberale Einaudi presentò un emendamento che impegnava lo
Stato a rinunciare a tutte le azioni, interne al mercato, che avrebbero
favorito la formazione dei monopoli mentre il comunista Montagna-
na propose un opposto emendamento che legittimava una politica di
piano per garantire il diritto al lavoro.
I tentativi furono respinti. Nella Costituzione approvata e vigen-
te, la Repubblica riconosce i fondamentali diritti della persona e
delle comunità intermedie e, per tutelarli, predispone un intervento
pubblico volto a proteggere e orientare il mercato.
45
Rivista di Studi Politici - S. Pio V
Una Costituzione nuova, difficilmente assimilabile a precedenti
modelli.
La Costituzione prevede la rappresentanza parlamentare dei par-
titi politici ma non delle categorie professionali, l’autonomia delle
forze sociali e locali e alcuni istituti di democrazia diretta. Non è
la democrazia individualistica dei liberali né la democrazia so-
ciale delle sinistre e neppure la democrazia corporativa di un certo
cattolicesimo. È, o si avvicina molto alla democrazia associativa e
sussidiaria proposta da Dossetti e La Pira in I Sottocommissione e
idealmente vicina alla democrazia cristiana di Toniolo.
La Costituzione delinea un modello di “economia sociale di mer-
cato” che legittima un intervento del governo interno al mercato ma
compatibile con le sue istituzioni: un controllo pubblico del credito,
imprese pubbliche che operano soltanto nei settori di preminente
interesse generale, imprese cooperative che perseguono uno scopo
mutualistico e imprese capitalistiche gestite con la collaborazione
dei lavoratori. Non è né lo Stato minimo dei liberali né lo Stato mas-
simo dei social-comunisti. È, o si avvicina molto alla democrazia
economica proposta da Fanfani in III Sottocommissione18.
In breve, tra il 1943 e il 1948, l’Italia si libera dalla dittatura fa-
scista e adotta un modello di democrazia compiuta che deve molto
al contributo dei cattolici.
5. Conclusioni
Negli anni dello Stato liberale, dal 1861 al 1918, l’Italia è impe-
gnata nella esaltante e difficile opera di costruire una democrazia
che progressivamente riconosca e tuteli i fondamentali diritti civili
18 Per ulteriori dettagli, cfr. A. Magliulo, La costituzione economica dell’Italia
nella nuova Europa. Un’interpretazione storica, in «Studi e note di economia»,
3 (1999), pp. 161-189; Id., Il contributo di Dossetti e Fanfani alla Costituzione
economica italiana, in «Il pensiero economico italiano», 2 (2009), pp. 67-84;
Id., L’economia sociale di mercato e la Costituzione italiana, in Le regole della
libertà. Studi sull’economia sociale di mercato nelle democrazie contempo-
ranee, Centro Tocqueville-Acton, Annale 2010, pp. 113-124.
46 Anno XXVII - Ottobre/Dicembre 2015
e politici. Il governo passa dalla Destra alla Sinistra Storica, da una
illuminata modernizzazione dall’alto, ad una popolare partecipazio-
ne dal basso. La democrazia italiana diventa più formale e sostan-
ziale ma scopre anche il potenziale contrasto tra le due dimensioni:
vi sono diritti che, o non sono riconosciuti, o lo sono solo formal-
mente. I cattolici sono fuori dalle istituzioni liberali, ma dentro la
società civile, impegnati a costruire opere educative e assistenziali
che assicurano ed estendono fondamentali diritti sociali e comunita-
ri. Non condannano la democrazia formale ma la considerano con-
seguente alla democrazia sostanziale. Toniolo è la figura centrale
di riferimento, intorno a cui convergono tanti cattolici e tra questi
Valente e Sturzo, i fondatori del primo sindacato e del primo partito
di cattolici.
Negli anni del fascismo, dal 1919 al 1943, l’Italia regredisce da
un’incompiuta democrazia alla dittatura. I cattolici entrano nelle
istituzioni liberali. Sturzo fonda il Partito Popolare Italiano e Va-
lente la Confederazione Italiana del Lavoro. I Popolari siedono nel
Parlamento e nel Governo. Difendono la democrazia formale contro
il rischio di una deriva autoritaria. Ma sono sconfitti. Negli anni del
regime alcuni cattolici vedono nel fascismo l’opportunità storica per
restaurare un ordine corporativo mentre altri si oppongono aperta-
mente alla violazione dei fondamentali diritti umani. Tra il corpora-
tivismo cattolico e quello fascista resta un’irriducibile distanza.
Infine, tra il 1943 e il 1948, l’Italia torna alla democrazia e appro-
va una Costituzione che delinea una democrazia compiuta, formale
e sostanziale, politica ed economica. Una Costituzione scritta col
concorso delle grandi famiglie culturali del paese ma soprattutto di
quella cattolica.
Complessivamente, dal 1861 al 1948, i cattolici danno un contri-
buto rilevante alla costruzione della democrazia in Italia. Prima alla
dimensione sostanziale, con opere che assicurano ed estendono fon-
damentali diritti sociali e associativi. Poi alla dimensione formale
con una difesa, sia pure vana, del sistema elettorale proporzionale.
Infine, contribuendo a scrivere una Carta costituzionale che consi-
dera coessenziali, inscindibili, le due dimensioni della democrazia.
47
Rivista di Studi Politici - S. Pio V
Nella società moderna solo un governo del popolo può essere per il
popolo.
Certo, nell’azione dei cattolici non sono mancati ritardi e con-
traddizioni con l’incombente rischio di scivolare verso un paterna-
lismo che, in nome del popolo, avrebbe potuto legittimare il potere
di oligarchie o dittatori autoproclamatisi illuminati. Di più. Se l’es-
senza della democrazia, come sostiene Kelsen, è un governo del po-
polo, non vi è dubbio che i cattolici sono diventati democratici con
deplorevole ritardo. Ma la democrazia, come hanno sostenuto altri
autorevoli studiosi e come è emerso dalla stessa esperienza storica,
è qualcosa di più di un governo del popolo. Il governo del popolo è
una condizione necessaria ma non sufficiente per avere un governo
per il popolo e cioè una democrazia piena.
La democrazia ha bisogno di alcuni presupposti culturali e isti-
tuzionali senza dei quali il consenso popolare può essere facilmente
manipolato. È necessario garantire istruzione, libertà di pensiero,
pluralità di partiti e associazioni, ma soprattutto c’è bisogno di uno
spirito pubblico, di un ethos, che induca a ricercare costantemente
il bene di tutti e di ciascuno, riconoscendo il valore imprescindibile
della persona.
In fondo Maritain, affermando che senza il cristianesimo anche
la democrazia decade, non aveva torto.
48 Anno XXVII - Ottobre/Dicembre 2015
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Sul contributo dei cattolici, P. Barucci, Il dibattito sulla «costituzione economica
  • Id
  • La Xi
  • Della Repubblica E La Ricostruzione
  • Milano Feltrinelli
Id., vol. XI, La fondazione della Repubblica e la ricostruzione, Feltrinelli, Milano 1988, II ed. (I ed. 1986). Sulla Costituzione italiana, cfr. E. Cheli, Il problema storico della Costituente, Editoriale Scientifica, Napoli 2008 (ed. orig. 1973) e N. Occhiocupo, Liberazione e promozione umana nella Costituzione, Giuffrè, Milano 1995. Sul contributo dei cattolici, P. Barucci, Il dibattito sulla «costituzione economica», in G. Rossini, a cura di, Democrazia Cristiana e Costituente, Edizioni Cinque Lune, Roma 1980, vol. II, pp. 673-718;
Il progetto democratico cristiano e le altre proposte: scelte e confronti costituzionali
  • U De Siervo
U. De Siervo, Il progetto democratico cristiano e le altre proposte: scelte e confronti costituzionali, in G. Rossini, a cura di, Democrazia Cristiana e Costituente, cit., pp. 557-671;