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Infanzia e adolescenza, 14, 3, 2015
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La sensibilità alla fairness come dimensione
dello sviluppo morale
ELISABETTA LOMBARDI1, ILARIA CASTELLI2, ANTONELLA MARCHETTI1
1Unità di Ricerca sulla Teoria della Mente, Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano
2Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università degli Studi di Bergamo
infanzia
e
adolescenza
Giudizio morale e comportamento morale: un inquadramento
in prospettiva evolutiva
Edoardo (5 anni e 10 mesi) ed Emma (3 anni) stanno guardando i cartoni ani-
mati alla televisione, quando ecco, sulle note della sigla finale di un episodio ini-
zia la discussione. “Adesso basta Emma abbiamo guardato i cartoni che piac-
ciono a te, ora tocca a me guardare gli altri cartoni”. La sorellina, di rimando, non
cede e mente spudoratamente: “Non è vero, ne ho visto solo uno, tocca anco-
ra a me”. Il fratello la incalza: “Eh no, non è vero! Avevamo detto due cartoni io
e due cartoni tu, così eravamo pari. Quindi adesso tocca a me”, ma la piccola
non demorde: “No, decido io, tocca ancora a me”, finché il fratello, sempre più
arrabbiato, sbotta: “Non è giusto! Tu non sei la comandina! Lo aveva detto la
mamma che facevamo due a testa, così non litigavamo: dobbiamo fare così!”.
Uno scambio semplice e purtroppo assai ricorrente come quello qui de-
scritto, permette di evidenziare come fin dai primi anni di vita i bambini faccia-
no esperienza di numerose occasioni di convivenza sociale regolata da un ac-
cesso equo alle risorse (in questo caso, pari quantità di cartoni animati), dall’u-
so della bugia come strumento per cercare di avvantaggiarsi sull’altro (seppure
in modo ancora poco sofisticato), dal riferimento all’adulto come colui/colei che
stabilisce le regole così da garantire l’ordine sociale (e un po’ di pace domesti-
ca). Ampliando l’orizzonte, il senso di equità, l’uso della bugia (in senso nor-
mativo, il divieto di mentire) e il rispetto di una regola stabilita da un’autorità so-
no elementi costituivi dell’ambito dello sviluppo morale, a sua volta parte del più
ampio dominio della competenza sociale, che include svariate abilità, quali la
percezione di e dell’altro come entità distinte, e la comprensione del fatto che
i comportamenti sono guidati da stati mentali (abilità nota come Teoria della
Mente o mentalizzazione). Fondamentale per lo sviluppo della competenza so-
ciale è infatti la comprensione del fatto che il comportamento è sempre media-
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to dagli stati mentali (intenzioni, emozioni, desideri, credenze), e che è stretta-
mente connesso con il sistema di norme e di valori sociali presenti nei contesti
di vita (Camaioni e Di Blasio, 2002; Liverta Sempio, Marchetti, Castelli, Lecciso
e Pezzotta, 2005). Capire le intenzioni dell’altro costituisce un passo fondamen-
tale nello sviluppo della Teoria della Mente, intesa come l’abilità di comprendere
gli stati mentali (emozioni credenze desideri e intenzioni) e di prevedere, in ba-
se a essi, il comportamento proprio e altrui (Premack e Woodruff, 1978). La ca-
pacità di comprendere le componenti psicologiche che guidano il comporta-
mento si basa sull’acquisizione, nel corso dello sviluppo, di abilità di base co-
me, per esempio, la distinzione tra oggetti animati e inanimati, tra azioni dettate
dalla volontà e quelle accidentali (Behne, Carpenter, Call e Tomasello, 2005; Ca-
maioni, 1993; Carpenter, Nagell e Tomasello, 1998).
In questa trattazione, lo sviluppo morale, inteso come uno degli aspetti del-
la competenza sociale, verrà analizzato attraverso un breve excursus delle prin-
cipali teorie cognitive (Kohlberg, 1969; Piaget, 1932) e sociali (Bandura, 1997)
di riferimento, considerando non solo l’aspetto del giudizio e dei ragionamen-
ti, ma anche dei comportamenti legati alla sfera morale. La psicologia cogniti-
vo-evolutiva si occupa da molti anni dello studio dello sviluppo del senso mo-
rale (Kohlberg, 1969, 1975; Piaget, 1932), con una particolare attenzione alla for-
mazione e allo sviluppo del sentimento di giustizia durante l’infanzia e
l’adolescenza. Lo sviluppo morale, secondo questi teorici, avviene in modo si-
mile in tutte le persone e si caratterizza per il susseguirsi di stadi progressiva-
mente più evoluti dal punto di vista delle competenze cognitive.
I primi studi condotti da Piaget evidenziano come i bambini di 3 anni, pur non
comprendendo il significato delle norme, le rispettino soprattutto per compia-
cere l’autorità. Con il passare degli anni, anche lo sviluppo morale, soggetto a
successive trasformazioni grazie ai processi di accomodamento e assimilazione,
evolve da una fase di realismo morale, caratterizzato da un punto di vista ego-
centrico, a una fase di relativismo morale, in cui le regole sono considerate mo-
dificabili in quanto frutto di un reciproco accordo tra i protagonisti dell’intera-
zione sociale. In particolare, nella prospettiva piagetiana, lo sviluppo morale at-
traversa due fasi che corrispondono al tipo di relazione sociale che il bambino
vive in modo predominante durante quella età. Il primo stadio, dai 6 agli 8 an-
ni, è quello della morale eteronoma, durante il quale il bambino vive nel totale
rispetto delle autorità, percependo le regole stabilite dall’adulto come inviolabili
e rigide. La moralità coincide con l’obbedienza, perché le richieste di adesione
alla norma degli adulti vengono intese dal bambino come obblighi. Anche i giu-
dizi morali, deformati dalla prospettiva egocentrica e dal realismo, vengono for-
mulati in base al danno reale e oggettivo, tralasciando le considerazioni riguar-
do all’intenzionalità di chi compie l’azione. È perciò più grave rompere quindi-
ci tazze involontariamente rispetto a una sola mentre si cerca di rubare la
marmellata dallo scaffale della mamma, soggiacendo al criterio del primato del-
la responsabilità oggettiva e delle conseguenze delle azioni sulle intenzioni di
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chi le compie. Quando il bambino riuscirà a prendere le distanze dall’obbedire
in modo indiscriminato alle regole semplicemente perché stabilite da un’auto-
rità, a favore di un’idea di obbedienza a dei principi giusti in quanto tali, anche
la nozione di giustizia cambierà: non puna concezione di giustizia rigidamente
retributiva (le risorse vengono allocate solo in base al merito o alle capacità),
bensì un’idea di giustizia distributiva improntata all’uguaglianza e all’equità. Lo
stadio successivo, della morale autonoma, che si sviluppa dagli 8 anni e si com-
pleta verso gli 11-12 anni, vede il bambino che sperimenta l’importanza della
cooperazione; infatti, in questo periodo, il confronto con i pari e una diversifi-
cazione delle relazioni con gli adulti favoriscono la comprensione delle norme
come condivise, modificabili e migliorabili, perché stabilite in modo consen-
suale. Pertanto, secondo questo principio di cooperazione, si configurano come
rilevanti quei comportamenti che prendono in considerazione l’altro in termini
di reciprocità e rispetto. La percezione della responsabilità soggettiva permette
al soggetto di considerare in termini di intenzionalità la colpevolezza. Pertanto,
nell’esempio precedente delle tazze rotte, le conseguenze manifeste assume-
ranno un ruolo di secondo piano: l’importante è capire se le tazze si sono rot-
te intenzionalmente o meno e in base a questo attribuire la “giusta” punizione.
Prendendo le mosse dall’approccio cognitivo-evolutivo allo sviluppo della
moralità di Piaget, Kohlberg (1969) sviluppò una teoria stadiale, secondo la qua-
le è il pensiero a guidare l’azione morale, dunque lo sviluppo cognitivo condi-
ziona lo sviluppo morale. Se il pensare alla moralità e l’agire moralmente non
coincidono necessariamente (Kohlberg, 1975), tuttavia è possibile considerare
questi due aspetti – conoscenza e comportamento – come interrelati, per cui il
raggiungimento dei risultati in un dominio influenza la natura dell’altro (Schaf-
fer, 1996). Da una parte, quindi, la teoria di Kohlberg, estensione di quella pia-
getiana, sia per la centralità assegnata ai processi di tipo cognitivo, sia per l’in-
teresse prevalente per il pensiero morale rispetto alle manifestazioni comporta-
mentali della moralità, considera le fasi di sviluppo della moralità come invarianti
e comuni a tutte le persone (Sacchi e Brambilla, 2014); dall’altra, la teoria di Pia-
get che, in una fase successiva ai classici studi sul giudizio morale, ascrive im-
portanza all’influenza dei fattori sociali e di contesto, si interessa anche del sen-
timento morale e delle ragioni sottostanti il comportamento cooperativo (Piaget,
1965). La proposta teorica di Kohlberg estende l’articolazione degli stadi piage-
tiani fino all’eadulta. Usando dei dilemmi morali (famoso il caso di Heinz, che,
vedendosi rifiutare dal farmacista la possibilità di acquistare a un costo minore
la medicina che salverebbe la vita alla moglie, entra di notte nel negozio e ru-
ba il farmaco) che elicitano il ragionamento e la riflessione consapevole sulla
moralità, egli individua tre fasi di sviluppo, basate sul concetto di “convenzio-
nale”, inteso come conformarsi e attenersi alle regole, alle aspettative, alle con-
venzioni della società o dell’autorità, proprio in quanto regole, aspettative e con-
venzioni della società (Camaioni e Di Blasio, 2002). L’autore individua una fase
preconvenzionale, fino ai 9-10 anni, che si raffigura come simile a quella della
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morale eteronoma piagetiana, in cui il mondo sociale è filtrato dall’interesse
egoistico e il punto di vista dell’altro non viene riconosciuto dal bambino. Nel-
la fase convenzionale, che si estende fino ai 20 anni di età, l’individuo si ade-
gua al mondo sociale a cui appartiene, subordinando i propri interessi alla so-
cietà e stipulando una sorta di contratto sociale in cui si riconoscono le leggi co-
me sistema di regole utili al fine di un adeguamento sociale degli individui.
Infine, nella fase postconvenzionale, l’individuo è motivato da principi morali di
ordine generale, universali e comuni, che riguardano il benessere delle perso-
ne e si basano sul riconoscimento dell’altro in termini di diritti e di giustizia. Il
riconoscimento delle regole convenzionali, condivise all’interno dei gruppi, e
delle regole morali, interiorizzate e rispettate per il significato e il valore che han-
no in sé, svolge un importante ruolo nello sviluppo della competenza sociale.
Infatti, i bambini, già in età precoce, sono in grado di distinguere tra moralità e
convenzione sociale, attribuendo una maggiore gravità alle trasgressioni mora-
li (Smetana, 2006; Turiel, 1983): queste evidenze suggeriscono come una com-
prensione cognitiva delle regole morali da parte dei bambini non corrisponda
necessariamente e automaticamente a un livello intrinseco di motivazione mo-
rale. In altre parole, le giustificazioni rispetto al perché un individuo debba agi-
re in un certo modo oppure no non rispecchierebbero automaticamente la mo-
tivazione all’azione morale (Nunner-Winkler, 2009).
Gli studi che si ricollegano alla prospettiva dell’apprendimento sociale pren-
dono le distanze dalle teorie stadiali di Piaget e Kohlberg, poiché queste tra-
scurano il fatto che le persone, a seconda del contesto, adottano differenti co-
dici normativi, e quindi i criteri che stabiliscono cosa sia giusto o sbagliato non
sarebbero validi in assoluto, bensì relativi (Bandura, 1996). Secondo la teoria so-
cio-cognitiva di Bandura (1986) sussiste una distinzione tra il pensiero e l’azio-
ne morali. Il pensiero morale è la sintesi che il bambino compie della progres-
siva interiorizzazione delle norme morali nel contesto sociale di appartenenza.
Attraverso la relazione con la società e la guida dell’adulto il bambino appren-
de, mediante meccanismi di astrazione, sintesi e generalizzazione, i giudizi mo-
rali e come applicarli, costruendo via via degli standard di condotta propri.
Quando il bambino trasgredisce le regole morali si scatenano sentimenti di ver-
gogna e di colpa che svolgono una funzione di auto-sanzione e quindi di auto-
regolazione del comportamento; analogamente, possono intervenire meccanismi
di disimpegno morale, come il dislocamento e la diffusione delle responsabilità,
la giustificazione morale, l’etichettamento eufemistico, il confronto vantaggioso
e la distorsione delle conseguenze, in grado di inibire i processi di autoregola-
zione nel momento in cui viene meno il rispetto delle norme, portando così l’in-
dividuo a non rispettare le regole morali. Il costrutto del disimpegno morale ha
fornito interessanti chiavi di lettura di fenomeni socio-relazionali importanti nel-
l’età evolutiva, come quello del bullismo, in cui l’auto-giustificazione può con-
sentire a chi agisce l’aggressione (il bullo e i suoi complici) di evitare il senso
di colpa per l’azione commessa, mentre la diffusione di responsabilità permet-
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te agli astanti di chiamarsi fuori dall’obbligo di intervenire o denunciare il com-
portamento aggressivo (Caravita, Gini e Pozzoli, 2012).
Il contributo di Bandura allo sviluppo morale può essere considerato come
un arricchimento di un modello che può essere definito razionalista, come quel-
lo di Piaget prima e di Kohlberg poi (Sacchi e Brambilla, 2014), che ha ricono-
sciuto un primato alle componenti deliberative, trascurando quelle più emotive
e intuitive implicate nel ragionamento morale. In questa direzione, è opportu-
no citare i contributi di alcuni autori che hanno posto l’attenzione sul primato
dell’intuizione morale. Per esempio, Haidt (2001) propone un modello in cui il
ragionamento morale interverrebbe a posteriori, perché il giudizio morale si
esplicita primariamente attraverso intuizioni morali rapide, immediate, intuitive.
I partecipanti, posti di fronte alla richiesta di esprimere e motivare il giudizio di
immoralità su uno scenario relativo al tema dell’incesto (viene proposto il caso
estremo di un rapporto incestuoso tra fratelli, protetto dalle conseguenze nega-
tive di tipo genetico-riproduttivo), insistono nell’affermare che il comportamen-
to è sbagliato, non riuscendo, tuttavia, a fornire spiegazioni che supportino ta-
le giudizio. Si tratta di un rifiuto morale, in cui non è il ragionamento a svolge-
re il ruolo principale nella produzione del giudizio morale, bensì l’intuizione
morale, prodotta in modo automatico e connotata affettivamente. In modo an-
cora più radicale, Hauser (2006) formula la sua ipotesi di una grammatica mo-
rale universale, risultato dell’evoluzione naturale della specie umana, costituita
da un insieme di regole istintive comuni a tutte le culture. Egli, a supporto di
questa teoria, porta le risposte – univocamente negative – delle persone ad al-
cuni dilemmi morali. Un esempio famoso, commentato ampiamente da Ed-
monds (2014) è quello del “dilemma del carrello”, nella variante dell’uomo
grasso, formulato da Thomson (1985), che descrive uno scenario in cui c’è un
carrello ferroviario che corre senza controllo sulle rotaie di un treno verso cin-
que uomini che sono legati sui binari: alle persone viene chiesto se valga la pe-
na sacrificare un uomo molto grasso, un estraneo, spingendolo e facendolo ca-
dere sui binari, in modo che con il suo corpo fermi il carrello salvando cinque
vite. Quanto sinteticamente descritto invita a considerare la moralità come for-
temente legata alle interazioni sociali e ai processi decisionali, e pone alcuni in-
terrogativi su cosa possa essere definito giusto e ingiusto (Surian, 2013) e sui cri-
teri che bambini e adolescenti utilizzano nel giudizio e nelle decisioni di tipo
morale.
La ricerca contemporanea in ottica evolutiva ha continuato ad analizzare lo
sviluppo morale, riservando una maggiore attenzione al piano del comporta-
mento morale, per esempio studiando l’impegno in azioni prosociali, ovvero vol-
te ad aiutare e supportare l’altro anche se ciò potrebbe implicare un proprio
svantaggio (perdita di tempo, risorse, ecc.). Se risulta interessante rilevare com-
portamenti prosociali e altruistici già nella prima infanzia, riflettere sulle moti-
vazioni che sono alla base di questi risulta ancora più stimolante. Infatti, ricer-
che sulla comparsa del comportamento prosociale in età evolutiva mostrano co-
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me lo sviluppo della moralità non dipenda unicamente dal riferimento a norme
o autorità, ma anche dalla consapevolezza del fatto che è “giusto così” (Nucci,
2002), riecheggiando i modelli intuizionisti sopra citati. In linea con questa con-
cezione, Warneken e Tomasello (2013) hanno dimostrato come, già in età pre-
scolare, i bambini siano intrinsecamente motivati ad aiutare gli altri, a prescin-
dere da ricompense strumentali e indipendentemente da qualsiasi desiderio di
compiacere i genitori. Tali evidenze sono interpretate dagli autori a sostegno di
una concezione innatista dell’altruismo umano (Warneken e Tomasello, 2009;
Tomasello, 2009). Quindi, la ricerca sullo sviluppo morale precoce si basa su os-
servazioni comportamentali, concentrandosi sulle motivazioni implicite dei bam-
bini per l’azione prosociale e morale. Qualsiasi teoria dello sviluppo morale ha
sottolineato che la morale non si esaurisce solamente a livello delle motivazio-
ni implicite, ma si tratta di un’importante conquista evolutiva risultante da una
crescente capacità cognitiva, unitamente a una sempre maggiore consapevolezza
di emozioni, desideri e obiettivi, e dalle regole sociali del gruppo di apparte-
nenza (Sengsavang, Willemsen e Krettenauer, 2015). Ritorna, dunque, l’annosa
questione del nature or nurture rispetto all’orientamento prosociale e altruisti-
co dell’individuo (Marchetti e Castelli, 2012): in altre parole, se e in quale mi-
sura l’individuo sia indotto dalla società a inibire e modificare un naturale orien-
tamento prosociale e altruista all’altro o se, viceversa, i processi educativi e di
socializzazione siano responsabili dell’insorgenza e dello sviluppo della mora-
lità. Si pensi alla posizione radicale di Jean-Jacques Rousseau che postulava l’e-
sistenza di un uomo nato buono e morale, ma successivamente corrotto dalla
società, e a quella opposta di Thomas Hobbes, che sosteneva l’esistenza di un
homo homini lupus, egoista per natura. Le numerose ricerche in ambito psico-
logico (per una rassegna si veda Eisenberg, Fabes e Spinrad, 2006) sulla com-
parsa e sullo sviluppo di comportamenti prosociali hanno dimostrato la coesi-
stenza di fattori biologici e ambientali, sui quali agiscono pratiche educative e
sociali, che risentono a propria volta dell’influenza di abilità psicologiche indi-
viduali, come l’empatia e la capacità di ragionamento morale.
Prosocialità e altruismo, temi classici della psicologia dello sviluppo, sono at-
tualmente studiati anche in relazione al decision making, con particolare atten-
zione a una sua componente che ha a che vedere con il senso di giustizia e di
equità, vale a dire la fairness.
Lo sviluppo della sensibilità alla fairness
La breve rassegna fin qui condotta ha cercato di sottolineare, da un lato, la
ricchezza della trattazione teorica riguardo allo sviluppo morale e, dall’altro la-
to, la difficoltà nel ricondurre ciascun costrutto specifico (il senso di giustizia, o
l’altruismo) a un’accezione univoca di moralità.
In quest’ottica multiprospettica, la dimensione morale occupa una posizione
centrale nell’esistenza umana, permea la vita sociale degli individui e gioca un
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ruolo molto importante nei processi decisionali (Haidt e Kesebir, 2010). Infatti,
lo studio del processo decisionale (decision making), definito come la capacità
di agire in modo adeguato dopo aver operato delle scelte e preso delle decisioni
(Sanfey, 2004), non implica solamente l’analisi di aspetti valutativi e deliberati-
vi, ma anche di componenti psicologiche come le emozioni (Artinger, Exa-
daktylos, Koppel e Sääksvuori, 2014; Bechara, Damasio, Tranel e Damasio,
1997; Camerer, 2003; Pillutla e Murnighan, 1996; Sanfey, 2007; Sanfey, Rilling,
Aronson, Nystrom e Cohen, 2003; Van’t Wout, Kahn, Sanfey e Aleman, 2006), la
mentalizzazione o Teoria della Mente (Cowell, Samek, List e Decety, 2015; Mar-
chetti, Castelli e Sanfey, 2008; Rilling, Sanfey, Aronson, Nystrom e Cohen, 2004;
Takagishi, Koizumi, Fujii, Schug, Kameshima e Yamagishi, 2014) e la sensibilità
alle norme sociali o morali presenti nel contesto sociale (Bicchieri, 2006; Gum-
merum, Hanoch e Keller, 2008; Marchetti e Castelli, 2012; Smith, Blake e Harris,
2013). Il processo decisionale regola in larga misura il nostro adattamento al con-
testo sociale, sia a livello di decisioni quotidiane poco complesse (oggi è previ-
sto lo sciopero dei mezzi, decido di prendere l’auto per andare al lavoro oppu-
re mi adeguo alle fasce minime di servizio garantite?), sia a livello di decisioni
così importanti da cambiare il corso della nostra esistenza (accetto un’offerta di
lavoro in un’altra città, che implica il trasferimento di tutta la mia famiglia?). Que-
sto processo psicologico complesso e pervasivo della nostra esistenza è stato si-
nora ampiamente studiato negli adulti e solo più recentemente è divenuto og-
getto di indagine in età evolutiva. Analizzare come bambini e adolescenti pren-
dano delle decisioni è interessante non solamente per definire l’evoluzione di
un’abilità nota nell’adulto, ma anche per mettere a fuoco il ruolo delle differenti
componenti psicologiche di questo processo, specialmente quando questo pro-
cesso si gioca all’interno di scambi sociali. Ciò consente di arricchire ulterior-
mente la nostra conoscenza del modo in cui la competenza sociale prende for-
ma nel corso dello sviluppo, e contestualmente di rivisitare quei costrutti teori-
ci chiave nello sviluppo morale da una nuova prospettiva. Infatti, decidere se e
come spartire un bene saliente per la propria età con un’altra persona, e deci-
dere se accettare o rifiutare tale spartizione, consente di mettere a fuoco lo svi-
luppo della sensibilità alla giustizia o all’equità rispetto alla concreta allocazio-
ne delle risorse e, al contempo, di considerare l’intreccio di tale sensibilità con
l’attribuzione di intenzionalità al comportamento altrui. Si tratta di costrutti tra-
dizionalmente indagati nell’ambito dello sviluppo morale e ora rivisitati attra-
verso nuove metodologie, quali i giochi interattivi proposti all’interno della Teo-
ria dei Giochi (Camerer, 2003; von Neumann e Morgenstern, 1944), che con-
sentono non solo di valutare le strategie messe in atto nella gestione di un
determinato bene, ma anche di individuare alcune componenti psicologiche del
processo decisionale.
Gli studi condotti all’interno del quadro teorico delineato nel precedente pa-
ragrafo dipingono un bambino che, già in età prescolare, decide di agire in mo-
do non solo prosociale, ma anche altruistico, perché si priva di qualcosa che po-
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trebbe tenere solo per sé. Nella vita quotidiana molti dei comportamenti di aiu-
to e di supporto non possono definirsi “propriamente altruistici”, perché sono
rivolti a persone del proprio gruppo sociale di riferimento, alla famiglia, agli ami-
ci. Questa tendenza, nota in letteratura con il termine “parrocchialismo”, da un
punto di vista evolutivo è maggiormente influente per quanto riguarda i processi
decisionali durante l’adolescenza (Fehr, Glätzle-Rützler e Sutter, 2013) e si svi-
luppa congiuntamente alla propensione all’altruismo e all’evitamento dell’ini-
quità (Choi e Bowles, 2007). L’equità, quindi, si configura come una caratteri-
stica importante di condivisione delle risorse umane (Fehr e Schmidt, 1999) ed
è un aspetto che ricopre un ruolo centrale nelle attività quotidiane, in cui spes-
so ci si trova di fronte a questioni che hanno a che fare con la giustizia, con la
condivisione, con la reciprocità. Ciò richiede la capacità di prendere decisioni,
a volte con implicazioni morali, che suscitano l’approvazione o la disapprova-
zione altrui. Non è casuale che, tra le componenti psicologiche coinvolte nel de-
cision making, lo studio della sensibilità alla fairness abbia assunto un impor-
tante rilievo in ottica evolutiva, in quanto essa caratterizza gli scambi sociali dei
bambini già in età molto precoci e viene promossa e sostenuta dall’attenzione
e dalla propensione che i caregiver mostrano fin dai primi anni di vita nei con-
fronti di pratiche educative a favore di comportamenti prosociali e fair.
La letteratura evolutiva ci mostra oggi un quadro in cui la sensibilità alla fair-
ness appare profondamente radicata nei bambini sin dai primi anni di vita: in-
fatti, gli studi sulla preferenza visiva, in cui la maggior durata di fissazione del-
lo sguardo è intesa come indicatore di preferenza di un certo aspetto della realtà,
hanno dimostrato che i bambini fin dai 12 mesi guardano significativamente p
a lungo una distribuzione equa tra due destinatari rispetto a una non equa (Ge-
raci e Surian, 2011; Schmidt e Sommerville, 2011), e che dai 19 ai 21 mesi di età
i bambini hanno già individuato alcune delle regole che prevalgono nel loro am-
biente sociale e sono in grado di estendere queste regole alle nuove situazioni
(Sloane, Baillargeon e Premack, 2012). Le evidenze sperimentali sui bambini in
età prescolare riguardano per lo più la divisione di risorse e premi tra due pa-
ri. I bambini tendono ad agire egoisticamente e a mostrare segni di avversione
all’iniquità quando si trovano svantaggiati dalla suddivisione (Fehr, Bernhard e
Rockenbach, 2008; Gummerum, Hanoch, Keller, Parsons e Hummel, 2010). Ad
esempio, Fehr e colleghi (2008) in uno studio con bambini dai 3 ai 4 anni che
potevano scegliere tra tre differenti spartizioni inique ma a proprio vantaggio,
hanno rilevato una maggior frequenza della scelta di spartizione più vantaggio-
sa per sé (due dolciumi per sé e zero per il compagno). Risultato analogo è mo-
strato in un lavoro di Gummerum e colleghi (2010) con bambini dai 3 ai 5 an-
ni invitati a giocare al Dictator Game1,in cui emerge che i bambini più grandi
propongono offerte più eque rispetto ai più piccoli (i bambini di 3 e 4 anni of-
frono più frequentemente zero figurine al compagno). Inoltre, un altro risulta-
to di questo studio merita di essere citato in questa sede per i nessi tra com-
portamento decisionale e sviluppo morale: bambini che nel happy victimizer ta-
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sk2(Keller, Lourenço, Malti e Saalbach, 2003) riconoscono al trasgressore di una
norma morale (per esempio, non rubare) una identità positiva (è una “brava per-
sona”) tendono a fare offerte più basse al proprio partner, risultando, quindi, più
egoisti nel Dictator Game. Questo risultato può essere letto alla luce di un pro-
cesso di identificazione con il trasgressore della norma.
Nella prossima parte del presente lavoro si presenteranno le ricerche che han-
no utilizzato primariamente lUltimatum Game per delineare lo sviluppo del sen-
so di equità e di contrattazione nel decision making in età evolutiva. La traiet-
toria evolutiva che ne risulta può essere sinteticamente delineata come l’evolu-
zione da un comportamento “da piccolo homo oeconomicus nelle età più
precoci, volto alla massimizzazione del proprio profitto, che cede progressiva-
mente il passo a situazioni in cui il bambino e l’adolescente includono nel pro-
cesso decisionale componenti psicologiche diverse dalla semplice motivazione
alla massimizzazione del guadagno. Tra tali componenti, innanzi tutto, il senso
di reciprocità, in base al quale le persone accettano o rifiutano una certa offer-
ta per ripagare positivamente o negativamente l’altro (Bolton e Ockenfels, 2000;
Rabin, 1993, 1998), di cui la fairness rappresenta una componente molto forte,
concettualizzata come “avversione all’iniquità” (Fehr e Schmidt, 1999).
L’Ultimatum Game: lo stato dell’arte in età evolutiva
Quanto sinora detto mostra che la sensibilità alla fairness si sviluppa forte-
mente durante l’infanzia, più nello specifico tra i 3 e gli 8 anni (Fehr et al., 2008),
con ricadute in età scolare a livello tanto di giudizio quanto di comportamento
(Castelli, Massaro, Sanfey e Marchetti, 2014). Il piano del giudizio ci riconnette
ai classici lavori sullo studio dello sviluppo del senso di giustizia e di equità con-
siderati dai modelli razionalisti sullo sviluppo del senso morale (Piaget, 1932;
Kohlberg, 1975, 1981): anziché presentare dei dilemmi morali, in questi lavori
(Castelli et al., 2014) si chiede ai bambini di giudicare l’equità di una serie di
spartizioni di beni, evidenziando, in linea con i modelli classici, il passaggio da
una prospettiva egoistica ed egocentrica attorno ai 7 anni, ad una prospettiva
258
1Il Dictator Game ha la stessa impostazione dell’Ultimatum Game: prevede uno scam-
bio di un bene tra un proponente e un ricevente. Se nell’Ultimatum Game il ricevente ha
facoltà di scegliere se accettare o rifiutare l’offerta, nel Dictator Game viene negata que-
sta possibilità. Perciò il proponente può agire come un “dittatore”. Il Dictator Game vie-
ne usato per valutare il comportamento prosociale ed in particolare l’altruismo.
2Nell’happy victimizer task vengono utilizzate storie in cui il protagonista trasgredi-
sce delle norme morali ed è “felice” dopo aver trasgredito. In questo protocollo gli au-
tori hanno utilizzato due storie: una racconta di un bambino che ruba una barretta di cioc-
colato dalla borsa di un compagno senza essere visto e l’altra di un bambino che nega
a un altro di condividere alcune matite colorate per disegnare. Le storie vengono rac-
contate e raffigurate con i personaggi maschili e femminili che corrispondono al genere
di ogni partecipante.
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Infanzia e adolescenza, 14, 3, 2015
“più equa”, di apertura verso l’altro verso i 9 anni. Sul piano del comportamen-
to, viene analizzato il reale comportamento dei bambini in interazioni che pre-
vedono la spartizione consensuale di un bene considerato saliente a seconda
dell’età considerata. Tale procedura costituisce un elemento di novità metodo-
logica rispetto ai classici metodi di studio dello sviluppo morale, poiché vengo-
no utilizzati giochi sociali interattivi che, per la loro velocità e semplicità di com-
prensione, sono utilizzabili a partire dall’età prescolare. Essi sono: il Dictator Ga-
me (Kahneman, Knetsch e Thaler, 1986), g citato sopra, che indaga la
propensione alla prosocialità e, in particolare all’altruismo; l’Ultimatum Game
(Güth, Schmittberger e Schwarze, 1982), che fornisce delle evidenze riguardo al-
la sensibilità alla fairness e alle strategie di spartizione; il Trust Game (Berg,
Dickhaut e McCabe, 1995) e il Prisoner’s Dilemma Game (Poundstone, 1992) per
indagare rispettivamente l’inclinazione alla fiducia e alla cooperazione.
Per gli scopi del presente lavoro, ci soffermeremo sull’Ultimatum Game, poi-
ché consente di valutare il ruolo della sensibilità alla fairness nel processo de-
cisionale di spartizione di un bene saliente per i giocatori (denaro per adulti, ca-
ramelle o figurine per bambini). I ruoli dei giocatori vengono estratti casual-
mente: chi gioca nel ruolo di proponente (proposer) fa una proposta di divisione
del bene, chi gioca nel ruolo di ricevente (responder) può accettare o rifiutare
l’offerta. L’unica regola prevista è quella per cui se il ricevente accetta, la divi-
sione avviene secondo l’offerta; se rifiuta, nessuno dei due giocatori riceve nul-
la. I risultati di numerose ricerche (per una rassegna si veda Camerer, 2003) mo-
strano che, nei paesi industrializzati occidentali, le persone non si comportano
sempre e necessariamente secondo le previsioni delle teorie economiche clas-
siche (Expected Utility Theory; von Neumann e Morgenstern, 1944), che tratteg-
giano, come si è detto, l’immagine di un individuo decisore – homo oeconomi-
cus – volto a massimizzare il profitto. Infatti, i proponenti tendono a effettuare
un’offerta media pari al 30-40% del totale del bene o addirittura una proposta
equa (50-50), e i riceventi sono propensi a rifiutare – una volta su due – offer-
te pari o inferiori al 20%. Numerosi studi comportamentali e con metodiche di
neuroimaging, che consentono l’analisi dei correlati neurali dei processi men-
tali, hanno dimostrato che nell’Ultimatum Game le persone non considerano so-
lo il valore monetario, ma anche l’equità sociale insita nello scambio (Rilling e
Sanfey, 2011; per una rassegna si veda Gabay, Radua, Kempton e Mehta, 2014).
Infatti, entrambi i partecipanti devono individuare la miglior strategia possibile
per la gestione e il buon esito dello scambio: il proponente deve formulare
un’offerta che abbia una buona probabilità di essere accettata, e il ricevente ar-
riva alla propria decisione valutando le componenti intrinseche all’offerta rice-
vuta, come per esempio la fairness e l’intenzionalità a essa attribuibili. Il com-
portamento di contrattazione e il senso di equità nella presa di decisione van-
no considerati importanti oggetti di studio per due ordini di ragioni. In primo
luogo, permettono di tratteggiare meglio il percorso di sviluppo dei comporta-
menti decisionali lungo il continuum infanzia-adolescenza-età adulta; in secon-
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do luogo, l’analisi delle connessioni con altre competenze, come la Teoria del-
la Mente, il ragionamento morale, la prosocialità, possono favorire una cono-
scenza integrata dello sviluppo sociale e cognitivo del bambino (Marchetti e Ca-
stelli, 2012).
In generale, i molteplici contributi che hanno indagato lo sviluppo dei processi
decisionali con l’Ultimatum Game (Castelli, Massaro, Bicchieri, Chavez e Marchet-
ti, 2014; Castelli, Massaro, Sanfey e Marchetti, 2010, 2014; Murnighan e Saxon, 1998;
Sutter, 2007; Takagishi, Kameshima, Schug, Koizumi e Yamagishi, 2010; Takagishi,
Koizumi, Fujii, Schug, Kameshima e Yamagishi, 2014) anche in abbinamento al Dic-
tator Game (Gürglu, van den Bos e Crone, 2009; Harbaugh, Krause, Liday e Ve-
sterlund, 2003; Harbaugh, Mayr e Burghart, 2007; Lucas, Wagner e Chow, 2008; Sal-
ly e Hill, 2006) hanno restituito un risultato ricorrente, ovvero che le offerte dei pro-
ponenti diventano più strategiche al crescere dell’età, e che i bambini più piccoli
accettano maggiormente offerte unfair rispetto a quelli più grandi.
Un secondo elemento preso in considerazione nello studio della sensibilità al-
la fairness come componente chiave del processo decisionale di spartizione di
un bene è il desiderio delle persone di apparire come “fair”, come persone giu-
ste (Shaw, Montinari, Piovesan, Olson, Gino e Norton, 2014), dunque l’atten-
zione verso la propria reputazione sociale. Questa disposizione, evidente negli
adulti (Batson, Thompson e Chen, 2002), è stata considerata solo di recente in
età evolutiva: nel lavoro di Shaw e Olson (2012) bambini di 6-8 anni mostrano
un comportamento equo che non solo è motivato dalla sensibilità alla fairness,
ma anche dal bisogno di apparire come giusti.
Inoltre non stupisce che, trattandosi di decisioni prese in uno scambio socia-
le, la sensibilità alla fairness (Fehr e Schmidt, 1999) si intrecci con altri aspetti
rilevanti sul piano delle interazioni, come l’attribuzione di intenzionalità all’al-
tro (Blount, 1995; Castelli et al., 2010; Rilling et al., 2004) e la competenza men-
talistica (Castelli et al., 2014; Hoffman, McCabe e Smith, 2000; Marchetti et al.,
2008). La sensibilità alla fairness e la capacità di mettere in atto decisioni stra-
tegiche in uno scambio interattivo sono soggette a cambiamenti e si legano al-
l’acquisizione di modalità sempre più raffinate di interpretazioni del comporta-
mento altrui. Uno degli aspetti che rappresenta un fattore fondamentale della più
complessa capacità di comprensione della mente propria e altrui, come sottoli-
neano Marchetti e Castelli (2012), è l’attribuzione di intenzionalità all’altro.
Il primo contributo che ha cercato di comprendere in chiave evolutiva il ruo-
lo delle intenzioni di chi propone l’offerta durante lo scambio nel processo de-
cisionale è stato offerto da Sutter (2007). I partecipanti sono stati divisi in tre
gruppi di età, 9, 12 e 24 anni, e il disegno sperimentale ha previsto che il pro-
ponente scegliesse tra un’offerta fissa di 8 gettoni per sé e 2 gettoni per il rice-
vente - decisamente unfair – e un’offerta variabile caratterizzata da un crescen-
do di fairness (il proponente poteva scegliere di offrire 0, 2, 5 e 8 gettoni). L’a-
nalisi dei risultati si è concentrata sul comportamento di accettazione o rifiuto
dei riceventi per valutare come le decisioni possano essere influenzate dall’in-
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tenzionalità attribuita alle azioni del proponente; è stato possibile rilevare una
forte avversione alle offerte unfair in tutti i gruppi di età, e in particolare nei
bambini e negli adolescenti, che tendevano a rifiutare più frequentemente le of-
ferte unfair rispetto agli studenti universitari anche in quelle situazioni in cui sa-
pevano che il proponente non aveva alcuna alternativa, cioè quando l’offerta
unfair non era intenzionale, dimostrando una sensibilità all’outcome superiore
rispetto alla sensibilità nei confronti delle intenzioni del proponente.
Seguendo una procedura analoga a quella di Sutter (2007), il lavoro di Gü-
roˇglu e collaboratori (2009) ha proposto quattro differenti condizioni di gioco
all’Ultimatum Game e al Dictator Game a partecipanti di 9, 12, 15 e 18 anni.
Ogni condizione di gioco prevedeva un’offerta fissa unfair per il ricevente (8 a
2) e una opzione diversa a seconda delle quattro condizioni di offerta, ovvero
un’offerta iperfair (8 gettoni per il ricevente e 2 per il proponente), un’offerta
fair (5 a 5), una unfair (8 per il proponente e 2 per il ricevente, identica al round
comune a tutti i partecipanti e alla quale, quindi, non è ascrivibile intenziona-
lità) e una iperunfair (0 gettoni per il ricevente e 0 per il proponente). L’assun-
zione della prospettiva altrui, la comprensione dell’intenzionalità e la fairness in-
tesa anche come attenzione al benessere dell’altro sono stati i costrutti su cui ha
posto l’attenzione questo lavoro. Tutti i partecipanti tendevano a effettuare me-
no offerte unfair (8-2) nell’Ultimatum Game rispetto al Dictator Game, dimo-
strando un comportamento strategico trasversale a tutte le età considerate (9, 12,
15 e 18 anni) dal momento che tutti i partecipanti tendevano ad effettuare of-
ferte meno unfair nell’Ultimatum Game rispetto al Dictator Game. Invece,
emergono differenze di età rispetto alla sensibilità per l’intenzionalità; nello
specifico questa aumenta durante l’adolescenza, risultato che gli autori attribui-
scono all’acquisizione di un livello più maturo di assunzione della prospettiva
altrui.
L’attenzione alla connessione tra la competenza mentalistica e i processi de-
cisionali in relazione anche all’attribuzione di intenzionalità ha prodotto evidenze
empiriche sugli adulti secondo le quali la Teoria della Mente è coinvolta nel pro-
cesso decisionale nell’Ultimatum Game nelle risposte ad offerte fair versus un-
fair ricevute da un partner umano o da un computer o una roulette (Harlé e San-
fey, 2007; Rilling et al., 2004), o da un partner umano percepito come egoista o
generoso (Marchetti, Castelli, Harlé e Sanfey, 2011). La letteratura ci mostra che
gli adulti rifiutano maggiormente le offerte unfair se il partner è un umano (Ril-
ling et al., 2004) e sono più sensibili anche a una graduale e crescente somi-
glianza umana nei partner di gioco, passando da un computer, a un robot fun-
zionale, a un robot antropomorfo fino a un compagno umano (Krach, Hegel,
Wrede, Sagerer, Binkofski e Kircher, 2008). Lo studio di Castelli e collaboratori
(2010), utilizzando in età prescolare e scolare una procedura di gioco simile a
quella proposta per gli studi sugli adulti (Rilling et al., 2004; Sanfey et al., 2003),
si è posto l’obiettivo di esplorare lo sviluppo del comportamento decisionale in
relazione alla dimensione della fairness e congiuntamente all’attribuzione del-
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l’intenzionalità al partner e all’acquisizione della Teoria della Mente. Il gruppo
di partecipanti allo studio (177 bambini tra i 5 e i 10 anni) ha giocato all’Ulti-
matum Game nel ruolo di ricevente, usando i gettoni da convertire in caramel-
le o figurine a seconda delle preferenze del bambino con due tipi di proponenti:
una roulette (partner non intenzionale) e un bambino dello stesso genere e del-
la stessa età. Per valutare la sensibilità alla fairness è stato impiegato un venta-
glio di offerte costituito da un’offerta fair (5-5) e da quattro offerte sempre più
unfair (6-4, 7-3, 8-2, 9-1). Per valutare la competenza mentalistica è stato som-
ministrato un compito classico di falsa credenzalook prediction(Perner e Wim-
mer, 1985; Sullivan, Zaitchik e Tager-Flusberg, 1994), che indaga l’acquisizione
del pensiero ricorsivo di secondo ordine (“Io penso che tu pensi che lui/lei pen-
si che…”). Per quanto riguarda la sensibilità alla fairness, essa si conferma co-
me una componente chiave del processo decisionale nel periodo di età dai 5 ai
10 anni, crescente con l’età; questo risultato si colloca in linea con la letteratu-
ra in ambito evolutivo fino a ora considerata. Infatti, le offerte fair sono state ac-
cettate all’unanimità e le percentuali di rifiuto sono aumentate con il crescere del
carattere unfair delle proposte. A differenza delle ricerche sugli adulti, dalle qua-
li è stata tratta la procedura di gioco, non emerge invece alcun risultato signifi-
cativo in base all’attribuzione di intenzionalità. Questo risultato è stato interpre-
tato dagli autori come la presenza, ancora nella fascia di età considerata, della
componente animistica del pensiero (Piaget, 1926) che porta ad attribuire in-
tenzione e coscienza indiscriminatamente a qualsiasi entità del mondo reale. La
Teoria della Mente, invece, interviene in alcuni scambi particolari: nel round
massimamente unfair (9-1), e in quello più critico dal punto di vista decisiona-
le (7-3), perché si posiziona al limite tra correttezza e scorrettezza (l’offerta 6-4
è considerata ancora abbastanza fair, mentre quella 7-3 inizia a spostarsi verso
l’unfairness), il che sfida probabilmente la capacità del bambino di assumere la
prospettiva dell’altro. Recentemente gli stessi autori (Castelli et al., 2014) hanno
studiato il legame tra la Teoria della Mente e due aspetti del costrutto di fairness:
il giudizio sulle equità di un’offerta e la decisione di accettare o rifiutare offerte
fair, unfair oiperfair. I bambini che hanno partecipato a questo lavoro, di età
compresa tra 7 e 9 anni, hanno giocato l’Ultimatum Game e sono stati valutati
per la competenza mentalistica come nel precedente studio. A livello del giudi-
zio, al bambino viene chiesto di giudicare l’equità di nove possibili offerte di di-
visione effettuate da un altro bambino, in modo da valutare la soglia di sensi-
bilità alla fairness: la prima offerta indicata come fair dal bambino si considera
come baseline della fairness. I risultati dimostrano che l’età ha effetti sul giudi-
zio della fairness: infatti, a 7 anni la baseline si colloca a un livello più alto ri-
spetto a 9 anni; inoltre si osserva una relazione positiva tra età e pensiero ri-
corsivo di secondo ordine. Questo risultato è interessante perché evidenzia che
i bambini più piccoli considerano come equa un’offerta che è ancora tenden-
zialmente a loro vantaggio. A livello di decisione, il bambino gioca come rice-
vente nove round dell’Ultimatum Game e gli vengono proposte offerte iperfair
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La sensibilità alla fairness come dimensione dello sviluppo morale
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(9-1, 8-2, 7-3), fair (6-4, 5-5, 4-6) e unfair (3-7, 2-8, 1-9); i risultati indicano un
effetto dell’età sulla decisione, in quanto i bambini a 7 anni accettano comples-
sivamente di più le offerte rispetto ai bambini di 8 o 9 anni. Inoltre, chi ha più
alta la competenza mentalistica accetta l’offerta fair per eccellenza (5-5) e rifiu-
ta le offerte iperfair, che, sebbene siano decisamente a proprio vantaggio, vio-
lano l’equità della spartizione. Altro aspetto rilevante è che in questo studio la
Teoria della Mente non interviene sul piano del giudizio, ma su quello del com-
portamento in alcuni scambi specifici, come quello equo e quello in cui si pre-
senta una situazione di diseguaglianza seppure a proprio vantaggio. La fairness,
quindi, evolve in età scolare a livello di giudizio e di comportamento, perché da
una concezione di fairness egocentrica a 7 anni si passa a una concezione di
fairness intesa come equità a 9 anni, e dalla tendenza a massimizzare il proprio
guadagno si passa ad un comportamento che privilegia l’equità e l’uguaglianza.
Un altro studio che si è proposto di esaminare il ruolo della Teoria della Men-
te in relazione alla fairness, valutata sempre con l’Ultimatum Game, è quello di
Takagishi e collaboratori (2010), che si è però concentrato sulla fascia presco-
lare (4 e 5.5 anni). I bambini hanno giocato l’Ultimatum Game con un compa-
gno della stessa età e dello stesso genere sia in qualità di proponente che di ri-
cevente, utilizzando delle caramelle; successivamente sono stati valutati per la
competenza mentalistica attraverso un compito di falsa credenza di primo ordi-
ne (Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1985). Gli autori hanno ipotizzato che i bam-
bini che hanno acquisito la capacità di mentalizzazione sarebbero stati disposti
ad effettuare più offerte fair al partner, mostrando così il ruolo della competenza
mentalistica nel supportare la sensibilità alla fairness. I risultati hanno corrobo-
rato questa ipotesi, dimostrando che la Teoria della Mente ha un effetto signifi-
cativo positivo sul comportamento dei proponenti: i bambini che hanno acqui-
sito la Teoria della Mente hanno offerto più caramelle ai riceventi rispetto ai
bambini che non l’avevano acquisita. Sul versante del ricevente, invece, non è
stato rilevato alcun legame con la competenza mentalistica. Sembra allora che
l’acquisizione dell’assunzione della prospettiva altrui faciliti la strategia del pro-
ponente nello scambio interattivo, che non effettua offerte troppo unfair per ri-
cavare un vantaggio dallo scambio evitando possibili rifiuti e che, anticipando
le credenze del ricevente (che rifiuterà offerte unfair), propone una ripartizio-
ne equa nell’Ultimatum Game. Un recente lavoro degli stessi autori (Takagishi
et al., 2014) con un campione più ampio di bambini prescolari (146 bambini, di
4 e 5 anni) ha utilizzato una procedura analoga al precedente studio nella som-
ministrazione dell’Ultimatum Game e in quella del compito di falsa credenza,
confermando i risultati precedentemente ottenuti. La novità introdotta è stata
quella di considerare il ruolo della componente emotiva oltre a quella cogniti-
va, nell’assunzione della prospettiva altrui. I partecipanti hanno completato laf-
fective perspective-taking task sviluppato da Denham (1986), sia nel compito di
riconoscimento delle emozioni (affective labeling test-ALT) che misura la capa-
cità di comprendere gli stati emotivi altrui attraverso quattro carte che raffigu-
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rano espressioni facciali di stati emotivi (felicità, tristezza, rabbia, paura), sia nel
compito di assunzione della prospettiva emotiva altrui (affective perspective-
taking test-APT) che valuta l’abilità di assumere la prospettiva altrui da un pun-
to di vista emotivo in un contesto sociale attraverso otto storie in ognuna delle
quali il protagonista ha vissuto una delle quattro emozioni citate. L’interesse del-
la ricerca è stato quello di considerare l’inferenza del riconoscimento delle emo-
zioni dell’altro nel processo interattivo. I risultati indicano che la capacità di as-
sumere la prospettiva altrui da un punto di vista emotivo non ha svolto alcun
ruolo a supporto di offerte eque nell’Ultimatum Game. Insieme, questi studi for-
niscono un forte sostegno all’idea che la Teoria della Mente, intesa come capa-
cità cognitiva di inferire gli stati mentali degli altri, svolge un ruolo importante
nel comportamento dei proponenti nell’Ultimatum Game.
La Teoria della Mente sembra essere in connessione anche con la sensibilità
alla fairness intesa non tanto come una generica avversione all’inquità, quanto
come sensibilità a una norma sociale (Bicchieri, 2006; Bicchieri e Chavez, 2010).
Il modello normativo di Bicchieri (2006, p. 11) teorizza che una norma sociale,
per esistere ed essere seguita, richiede che gli individui credano che la norma esi-
sta e conoscano le situazioni a cui la norma si riferisce; inoltre, le persone se-
guiranno una norma se si aspettano che le altre persone la seguano (aspettative
empiriche) e se credono che le altre persone pensino che la norma debba esse-
re seguita e che le trasgressioni saranno sanzionate (aspettative normative). La
presenza di queste due aspettative (empiriche e normative) è condizione neces-
saria affinché la norma esista e venga seguita. La trasgressione di una norma so-
ciale, in questa prospettiva, può verificarsi perché l’individuo osserva gli altri tra-
sgredire la norma, o perché si rende conto di non poter essere scoperto e, quin-
di, sanzionato. Secondo questa prospettiva teorica, gli individui in un gioco
interattivo come l’Ultimatum Game si comporterebbero in un certo modo perché
aderiscono a una norma sociale della fairness che riconoscono all’interno del lo-
ro contesto di vita e che ripropongono nelle situazioni di scambio. In particola-
re, questa norma viene rispettata nel momento in cui gli individui hanno una se-
rie di aspettative rispetto alle credenze delle altre persone sulla norma, nonché
aspettative rispetto a ciò che gli altri si aspettano che loro facciano in queste si-
tuazioni di scambio. In ottica evolutiva, il recente contributo di Castelli e colle-
ghi (2014) pone l’attenzione sugli aspetti evolutivi della sensibilità alla norma so-
ciale della fairness. Partendo da uno studio sugli adulti di Bicchieri e Chavez
(2010), gli autori, con un campione di bambini in età scolare (8-10 anni), si so-
no posti l’obiettivo di verificare la presenza della norma sociale della fairness e
il ruolo della Teoria della Mente nell’adesione o trasgressione a questa. I bambi-
ni sono stati valutati per la Teoria della Mente con un compito classico di falsa
credenza “look prediction(Perner e Wimmer, 1985; Sullivan et al., 1994) e han-
no giocato tre round dell’Ultimatum Game sempre nel ruolo di proponente o ri-
cevente: il proponente aveva la facoltà di scegliere tra un’offerta fair (5-5), un-
fair (8-2) o il lancio di una moneta (testa per offerta 5-5, croce per offerta 8-2).
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In particolare, sono state manipolate le informazioni che i giocatori hanno rispetto
alle partite da giocare: nel primo round i partecipanti hanno giocato una condi-
zione detta di “informazione completa”, in cui tutti i bambini sono a conoscen-
za delle opzioni che il proponente ha a disposizione; nella seconda condizione
– “informazione privata” – non è previsto il lancio della moneta e solo il propo-
nente conosce questa informazione e ciche non c’è il lancio della moneta; l’ul-
tima condizione, detta di “informazione limitata” è la più interessante perché, ana-
logamente alla prima, l’informazione è completa, ma il ricevente non ha la pos-
sibilità di sapere se l’offerta è scelta dal proponente o se è l’esito del lancio della
moneta, quindi non è possibile per il ricevente attribuire intenzionalità all’offer-
ta. Prima di ogni round sono stati proposti anche dei questionari relativi al rico-
noscimento della norma sociale della fairness, indagando cosa proponenti e ri-
ceventi ritengano essere fair (5-5, 8-2, lancio moneta), al fine di analizzare le
aspettative normative dei partecipanti, se esista una norma di fairness condivisa
e per valutare la coerenza tra le credenze e i comportamenti degli individui. I ri-
sultati mostrano che, a livello dei proponenti, è predominante la scelta del lan-
cio della moneta sia nella condizione di “informazione completa” sia in quella di
“informazione limitata”: i bambini tendono a ricorrere molto più spesso degli
adulti al lancio della moneta, procedura che ritengono essere ancor più fair del-
l’offerta fair (5-5), perché nel caso della moneta la possibilità di scegliere quale
offerta proporre è stata delegata a un elemento fuori dal controllo di entrambi i
partner dell’interazione. Altro risultato interessante, da un punto di vista evoluti-
vo, è che i bambini non sono “machiavellici” come gli adulti: nei bambini, il lan-
cio della moneta è la scelta più frequente nella condizione di “informazione li-
mitata”, che è la condizione più complessa a livello informativo e rappresenta-
zionale, in cui invece gli adulti, avvantaggiandosi del mancato accesso
informativo del ricevente, scelgono maggiormente l’offerta 8-2 a proprio vantag-
gio, mostrando un uso improprio (self-serving bias) della norma sociale della fair-
ness (Bicchieri e Chavez, 2010). I bambini, nella fascia di età considerata, non
sembrano dunque ancora così sofisticati da un punto di vista di sviluppo men-
talistico da trovare il modo di aggirare impunemente – a proprio vantaggio – la
norma sociale. Sul versante dei riceventi si evidenzia un risultato interessante che
riporta alla questione del complesso legame tra giudizio e comportamento, ov-
vero un’incoerenza tra le aspettative normative e il comportamento messo in at-
to: i bambini che giocano come riceventi affermano che lanciare la moneta è una
procedura fair, addirittura ancora pfair dell’offerta 5-5, ma quando l’esito è a
proprio svantaggio (8-2) tendono a rifiutarlo, a differenza degli adulti che, rite-
nendo il lancio della moneta un’alternativa fair, accettano nella maggior parte dei
casi qualsiasi offerta derivi dal lancio. In questo caso, ciò che emerge in età evo-
lutiva è la predominanza dell’outcome che, non essendo gratificante, offusca il
giudizio di fairness dato in precedenza: ritroviamo, seppur sotto un’altra veste e
in un paradigma di ricerca assai differente, quel primato dell’oggettività nel giu-
dizio morale già evidenziato da Piaget, che in questo caso fa emergere in modo
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ancora più stringente la distanza tra i giudizi e i comportamenti attinenti la sfera
morale, una distanza che non è scontato venga colmata nell’età adulta.
Conclusioni
I lavori passati in rassegna nel presente contributo hanno cercato di ap-
profondire la conoscenza evolutiva di una componente chiave del processo de-
cisionale legata al dominio della moralità, vale a dire la sensibilità alla fairness.
Lo studio di questa componente del processo decisionale ha consentito di me-
glio comprendere il funzionamento dell’individuo negli scambi sociali, mo-
strando, da un lato, lo scostamento dai modelli ideal-normativi proposti in am-
bito economico, che concepiscono l’individuo esclusivamente come agente ra-
zionale volto alla massimizzazione del profitto, e, dall’altro lato, la non perfetta
corrispondenza tra piano del giudizio e piano del comportamento in ambito mo-
rale. Ciò che emerge, infatti, è l’immagine di un individuo che, nel proprio per-
corso evolutivo, è chiamato a prendere delle decisioni all’interno di scambi in-
terattivi, in cui impara a gestire la complessità del mondo sociale, nel quale è
insita l’interconnessione tra differenti componenti, quali l’attribuzione di inten-
zionaliall’altro, la Teoria della Mente, le norme sociali. Comprendere come l’in-
dividuo arrivi a gestire questa interconnessione di abilità, diventando sempre più
competente sul piano sociale e relazionale, non è operazione facile e scontata,
poiché i legami tra queste componenti sono piuttosto complessi: la sensibilita
alla fairness si lega allo sviluppo della Teoria della Mente, ma, come abbiamo
avuto modo di specificare, a seconda delle età considerate tale legame emerge
solo in alcune tipologie di offerte (Castelli et al., 2010), interessa il livello del
comportamento e non quello del giudizio, e risulta svincolato dalla compren-
sione della norma sociale e dal suo rispetto (Castelli et al., 2014). In questa non
scontata prevedibilità del legame tra sensibilità alla fairness e Teoria della Men-
te riecheggia la nota concezione di Astington (2003) rispetto alla funzione so-
ciale e adattiva della Teoria della Mente, “talvolta necessaria, mai sufficiente”,
ovvero uno tra i molteplici strumenti a disposizione dell’individuo per dare sen-
so agli scambi sociali (Massaro e Castelli, 2009).
Indubbiamente, nella sfida evolutiva dell’imparare ad analizzare e gestire la
complessità della realtà, il livello di ragionamento morale costituisce un valido
strumento e un importante obiettivo; non è quindi un caso che nel panorama
scientifico più recente esso sia esplorato all’interno dei giochi decisionali inte-
rattivi, come alcuni studi hanno già iniziato a fare (si veda, per esempio, Gum-
merum et al., 2010; Takezawa, Gummerum e Keller, 2006), andando così a riac-
cendere un dibattito che vede la contrapposizione tra i modelli classici di sviluppo
del pensiero morale (come quelli di Piaget e Kohlberg) focalizzati sulla compo-
nente deliberativa (controllata e consapevole) della formulazione dei giudizi mo-
rali, e i modelli più attuali che sostengono invece la centralità della componen-
te più automatica e non consapevole, intuitiva (come quelli di Haidt e Hauser).
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La riflessione teorica fin qui proposta porta con anche delle implicazioni sul
versante dell’educazione, a livello dell’opportunità di supportare e promuovere
la messa in atto di comportamenti adeguati e consapevoli in ambito decisionale
sin dall’età evolutiva. Più nello specifico, la capacità di scegliere e decidere in mo-
do consapevole e adeguato nell’ambito economico-finanziario è oggi più che mai
cruciale, alla luce dei massicci cambiamenti occorsi nella nostra società a segui-
to della crisi economico-finanziaria. La psicologia dello sviluppo e dell’educa-
zione, da un punto di vista cognitivo-evolutivo, si è da sempre occupata di stu-
diare le modalità attraverso le quali i soggetti in età evolutiva acquisiscono i pri-
mi concetti economici come il significato e l’uso del denaro, il funzionamento del
sistema bancario, l’utilità del risparmio (Ajello e Bombi, 1987; Berti, 1981, 1991,
1993; Berti e Bombi, 1988). Il bambino, infatti, è considerato non come un indi-
viduo che vive in un universo costituito esclusivamente da oggetti manipolabili
e da persone con cui interagire faccia a faccia, bensì come un attore inserito in
un mondo sociale che si estende oltre il campo d’azione immediato, che ascolta
i discorsi degli adulti circa le questioni economiche, e riceve continuamente infor-
mazioni sui vari tipi di istituzioni in cui si articola la nostra società e sulle svaria-
te attività che in essa si svolgono. Tuttavia, ancora pochi sono i contributi che
considerano le credenze e le rappresentazioni ingenue che gli individui costrui-
scono durante le prime esperienze di scambio di beni e giochi di divisione qua-
li possibili prerequisiti alla capacità di gestione degli scambi di tipo economico
(Marchetti, Castelli, Massaro e Valle, in stampa). In questa prospettiva, le abilità
di decision making, con le componenti psicologiche qui analizzate che toccano
anche la sfera dello sviluppo morale (sensibilità alla fairness e alla norma socia-
le di fairness), possono essere considerate una sorta di prerequisiti della possi-
bilità di affrontare sia la gestione delle risorse nei contesti di vita quotidiana, sia
il punto di partenza per la promozione di programmi di educazione economico-
finanziaria che non si fermino al semplice – seppur necessario e oggi indispen-
sabile obiettivo di fornire una alfabetizzazione economica e finanziaria, ma pun-
tino alla formazione di un senso di cittadinanza economica, in cui la corretta ge-
stione dei beni economici consenta un riequilibrio delle risorse comuni,
rilanciando la riflessione sui temi della moralità verso più ampi orizzonti.
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ABSTRACT: Theoretical background: The sensitivity to fairness is an important di-
mension of moral development. It represents one of the factors implied in the proclivi-
ty to share human resources and it is connected with the concepts of reciprocity and jus-
tice. It has been often operationalized as iniquity aversion and investigated by decision-
making studies in adults through interactive games. Recently, developmental researchers
have adopted the same paradigms, in particular the Ultimatum Game in different exper-
imental conditions (at different stages of development; with human/non human partners;
with various informational situations; in connection with social norms). They have ob-
served that children often struggle with self-oriented vs other-oriented preferences along
their path of moral development. Objective: We present and discuss an overview of a
series of studies about the development of the sensitivity to fairness, investigated through
bargaining games such as the Ultimatum Game. Critical discussion and conclusions:
The main findings show that the sensitivity to fairness blooms early during childhood and
takes the form of strong “inequality aversion”, with the baseline for fairness shifting from
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La sensibilità alla fairness come dimensione dello sviluppo morale
Infanzia e adolescenza, 14, 3, 2015
an egocentric perspective to an equal perspective. The understanding of social norm of
fairness, instead, seems more difficult during childhood. Moreover, fairness sensitivity de-
velops along with other relevant psychological abilities that undergo changes during
childhood as well, namely Theory of Mind or Mentalization, which constitutes an useful
tool for the management of social exchanges.
KEY WORDS: Fairness, Moral development, Decision making.
Indirizzo per la corrispondenza:
Elisabetta Lombardi
Dipartimento di Psicologia
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Largo Agostino Gemelli, 1
20123 Milano
elisabetta.lombardi@unicatt.it
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... Questo approccio teorico sposta il focus dal comportamento economico alle conoscenze economiche comunemente riscontrabili nell'adulto non specialista (o nel bambino, appunto) per quanto riguarda i processi di sviluppo attraverso cui tali conoscenze si formano; è un punto di vista che attraversa in parte le ricerche di psicologia economica più tradizionali, ma che le supera in quanto l'oggetto di interesse primario sono le modalità in cui le persone non esperte elaborano le proprie idee su quei fenomeni che costituiscono il campo d'indagine dell'economia. In questa prospettiva, inoltre, le abilità di presa di decisione, con le componenti psicologiche che toccano anche, ad esempio, la sfera dello sviluppo morale (si pensi alla sensibilità all'equità o alle norme sociali), possono essere considerate sia prerequisiti per gestire le risorse nei contesti di vita quotidiana, sia il punto di partenza per la promozione di programmi di educazione economica che tengano conto della necessità di fornire una alfabetizzazione economica finanziaria e e la formazione di un senso di cittadinanza economica (Lombardi, Castelli e Marchetti, 2015). ...
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La crisi economica offre la possibilita di confrontare le concezioni dei giovani su un fenomeno transnazionale. Questa e un’occasione non frequente poiche molte delle concezioni sociali sono largamente pervase da aspetti culturali che ne riducono le possibilita comparative; questa e anche la ragione di un piu ridotto numero di studi volti ad approfondire le ragioni di incomprensioni e bias che impediscono una corretta comprensione dei fenomeni sociali. Le indagini che mirano ad indagare le concezioni ingenue delle questioni economiche sono relativamente scarse e gli studi su questo argomento sono relativamente recenti. La ricerca che qui viene presentata mira a riempire questo divario esplorando la concezione degli adolescenti sui fenomeni economici complessi che sono alla base della comprensione della crisi. E stata condotta una ricerca qualitativa, attraverso questionari a risposta aperta di 97 studenti di scuola secondaria (eta media: 17 anni; 57% maschi), analizzati secondo il modello della competenza esperta per i contenuti sociali ed economici. Tra i risultati si possono individuare le modalita di ragionamento che si fondano su un continuum che va dall’everyday cognition a quello di alfabetizzazione disciplinare sino all’expertise cioe delle conoscenze sistematiche disciplinari approfondite. In merito ai risultati sono state ricostruite le caratteristiche principali delle argomentazioni in cui si riconoscono il principio di non contraddizione, la pertinenza di affermazioni rispetto al dominio di conoscenza e la coerenza delle elaborazioni rispetto al contenuto. I dati ottenuti confermano che gli studenti mostrano serie difficolta rispetto alla comprensione di fenomeni economici complessi ed evidenziano la difficile trasferibilita delle conoscenze economiche acquisite nella comprensione di problemi economici quotidiani.
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What is considered to be fair depends on context-dependent expectations. Using a modified version of the Ultimatum Game, we demonstrate that both fair behavior and perceptions of fairness depend upon beliefs about what one ought to do in a situation-that is, upon normative expectations. We manipulate such expectations by creating informational asymmetries about the offer choices available to the Proposer, and find that behavior varies accordingly. Proposers and Responders show a remarkable degree of agreement in their beliefs about which choices are considered fair. We discuss how these results fit into a theory of social norms.
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Research on moral judgment has been dominated by rationalist models, in which moral judgment is thought to be caused by moral reasoning. The author gives 4 reasons for considering the hypothesis that moral reasoning does not cause moral judgment; rather, moral reasoning is usually a post hoc construction, generated after a judgment has been reached. The social intuitionist model is presented as an alternative to rationalist models. The model is a social model in that it deemphasizes the private reasoning done by individuals and emphasizes instead the importance of social and cultural influences. The model is an intuitionist model in that it states that moral judgment is generally the result of quick, automatic evaluations (intuitions). The model is more consistent than rationalist models with recent findings in social, cultural, evolutionary, and biological psychology, as well as in anthropology and primatology.
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Il libro presenta una serie di ricerche condotte intervistando circa un migliaio di bambini dai 3 ai 14 anni per esaminare sia la costruzione di alcune nozioni fondamentali (come quelle di denaro e lavoro), sia la formazione di un quadro d'insieme della società.
Chapter
Financial education for children involves the transmission of—and contributes to modify—knowledge and behaviours in and in relation to the economic domain, in different ways at different ages. From a psychological perspective, to make financial education for young people effective it is necessary to consider two related matters: the nature of the decision-making process and the understanding of social norms evidenced by that process's features. Decision-making abilities can in this light be conceived as internal prerequisites for educational interventions, and social norms as external constraints defining the contexts in which decisions are taken. After a brief overview of the main models of financial education devised by economists and psychologists in recent years, we present a review of the development of decision-making ability during childhood, focusing on the impact of social norms for our understanding of it.