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Cuadernos de Trabajo Social ISSN: 0214-0314
Vol. 29-1 (2016) 23-41 http://dx.doi.org/10.5209/rev_CUTS.2016.v29.n1.49252
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Il Playback Theatre: l’arte di essere se stessi.
Uno strumento per l’empowerment ed il cambiamento
autentico di individui e comunità
Playback Theatre: the art of being oneself. A tool for empowerment
and real change for individuals and communities
María Elena AIMO
Direttrice Scuola Italiana Playback Theatre (Italia)
aimomar@yahoo.it
Recibido: 30/05/2015
Revisado: 02/06/2015
Aceptado: 23/12/2015
Disponible on line: 20/01/2016
Resumen
Este artículo representa la aplicación de una técnica teatral —el Playback Theatre, desarrollada en Estados Unidos en los años
1970— a la intervención social, como un espacio de narración y escucha que confiere valor y dignidad a la persona y sus ex-
periencias individuales, únicas y distintas, y que facilita su inserción social y relacional. Este arte de ser uno mismo, como di-
ce el autor, se sirve de la tradición oral y la comunicación espontánea y creativa del psicodrama y las combina con la expresión
teatral. Esta técnica se ha revelado pertinente ya sea para el Trabajo Social comunitario, ya sea para trabajar con los grupos de
apoyo a las personas en situaciones problemáticas. Se persigue con ello además de celebrar algún momento concreto de sus vi-
das, como individuos o como comunidad, poder definir estrategias de mejora de las condiciones de vida o resolver o paliar sus
conflictos. También se utiliza para valorar la consecución de los objetivos propuestos, potenciar las motivaciones de cambio y
para transformar las relaciones existentes en relaciones de colaboración. Y ello es posible no solo porque participan las perso-
nas sino también porque el ejercer roles diferentes les pueden permitir superar algunos acontecimientos traumáticos.
Se utiliza, además de con los grupos de apoyo, también para la formación y supervisión de los profesionales del Trabajo So-
cial. Se trata de una técnica teatral que les permite desempeñar papeles tan diversos y cambiantes, como los de: narrador,
público o actor; y hacerlo de modo simultáneo o sucesivo. Desempeñar el papel de «performancer» o de guía de la acción
teatral requiere una preparación previa para que el grupo de participantes pueda poner en común sus individualidades y sus
emociones y reflexionar sobre ello. La metodología participativa que propone el Playback Theatre es importante en Traba-
jo Social comunitario y se plantea en clave nueva y transformadora.
Palabras clave: Playback Theatre, teatro social, Trabajo Social comunitario, escenarios sociales.
Abstract
This article presents the application of a theatrical technique—Playback Theatre, which was developed in the United States
during the 1970s—to social intervention, as a narrative and listening space that confers value and dignity upon the person
and the unique and distinct individual experiences that facilitate their social and relational integration. This art of being
oneself, as the author states, uses the oral tradition and spontaneous and creative communication of psychodrama and
combines them with theatrical expression. This technique has been shown to be pertinent to both community social work
and support groups for persons in problematic situations. The aim of this is to celebrate some specific moment of their lives,
as individuals or as a community, and to define strategies for improving living conditions or resolving or alleviating
conflicts. It is also used to assess the achievements of the proposed objectives, to strengthen the motivation to change and
to transform existing relationships into collaborative ones. This is possible not only owing to the participation of persons,
but also to the assumption of different roles that can permit the overcoming of certain traumatic events.
In addition to support groups, it is used for the training and supervision of social work professionals. The theatrical technique
in question allows them to assume roles as diverse as narrator, audience or actor, whether simultaneously or successively.
Taking the role of «performer» or guide to the theatrical action requires prior preparation in order for the group of
participants to be able to pool their individualities and their emotions and reflect on them. The participatory methodology
that Playback Theatre proposes is important in community social work and is posed in a new and transformative key.
Keywords: Playback theatre, social theatre, community social work, social scenarios.
Referencia normalizada: Aimo, M. E. (2016): «Il Playback Theatre: l’arte di essere se stessi. Uno strumento per l’empo-
werment ed il cambiamento autentico di individui e comunità». Cuadernos de Trabajos Social, 29(1): 33-41.
Sumario: Introduzione. 1. Il Playback Theatre. 2. Le applicazioni del Playback Theatre. 3. Il Servizio Sociale ed
il Playback Theatre. 4. Riferimenti bibliografici.
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Introduzione
Il lavoro del servizio sociale, in una società in
trasformazione, è sempre più complesso e sem-
pre più compresso da istanze diverse e talvolta
opposte. Il professionista ha bisogno di recupe-
rare l’essenza del suo lavoro e di riscoprire la ra-
dice dell’agire professionale ripartendo dal bi-
sogno profondo dell’Essere Umano.
Ogni individuo esprime in primo luogo la ne-
cessità di contattare e riconoscere la sua autentici-
tà, nel qui ed ora della propria realtà, superando il
mondo virtuale e dell’immagine in cui siamo im-
mersi che impone un saper essere, così come la
società desidera. E’ fondamentale poi riscoprire la
ricchezza delle relazioni dove l’accoglienza e l’as-
colto sono il sostegno delle singole individualità
per un rispecchiamento e confronto autentico. E
infine le persone hanno bisogno, sempre di più
oggi, di connettere significati a livello comunita-
rio, superando la logica dell’individualismo per ri-
trovare legami che liberano energia vitale per i
cambiamenti singoli e collettivi. La competenza
principe dell’agire professionale dell’assistente
sociale è l’ascolto, non solo inteso come predispo-
sizione nella relazione con l’altro ma come crea-
zione e offerta di spazio, perché possano essere
espresse emozioni, sensazioni, bisogni, significa-
ti, la diversità di ciascuno e lo speciale modo di
connettere tutto questo con il mondo
1
.
La semplice creazione e offerta di spazio, in-
sieme all’intenzionalità dell’assistente sociale
all’ascolto, opera delle trasformazioni che rimet-
tono in moto la vitalità, andando oltre la situazio-
ne problematica e riconoscendo i desideri più in-
timi. Bisogna oggi rafforzare sempre più l’idea di
un servizio sociale inteso come sostegno e stimo-
latore della crescita personale e comunitaria, do-
ve l’una non esclude l’altra nella continua ricerca
dell’integrazione, per superare l’individualismo
che tiene lontani gli uomini uni dagli altri, impe-
dendo il riconoscimento di ciò che è in comune.
Il Playback Theatre, in quanto originale forma
di teatro di comunità, consente di sperimentare l’ar-
te di essere se stessi in un percorso che ogni volta si
rinnova e diventa trasformativo per sé e per gli altri.
1. Il Playback Theatre
Nasce negli anni Settanta negli Stati Uniti grazie
all’intuizione di Jonathan Fox che racconta:
«Ero davanti a una cioccolata calda in una caffet-
teria di New York e guardando i passanti sulla
strada, mi sono chiesto che cosa sarebbe accadu-
to se le persone avessero avuto la possibilità di
raccontare la loro storia e qualcuno avesse mes-
so in scena immediatamente quanto raccontato,
esplorando le emozioni, i significati, le relazio-
ni, le connessioni» (Salas, 2013).
La sua intuizione nasce grazie all’esperienza
di volontario in Nepal, dove ha incontrato la tra-
dizione orale come elemento fondamentale della
trasmissione della cultura. La comunicazione
verbale viene arricchita con l’utilizzo di simboli
e danze che creano scene ed immagini che con-
sentono di vivere la dimensione emotiva della
narrazione. L’integrazione del linguaggio verba-
le e analogico consente di andare oltre alla sem-
plice trasmissione di informazioni e di appro-
priarsi del valore profondo della storia,
dell’essere individuo all’interno di una collettivi-
tà e di condividere i valori intimi dell’esperienza
umana. Fox (1986) approfondisce poi la dimen-
sione della spontaneità e creatività grazie anche
alla sua formazione in psicodramma classico e al
suo interesse per il teatro sperimentale degli an-
ni Settanta.
Si crea così un originale spazio di narrazione,
il Playback Theatre, in cui le storie vengono
onorate da performer che le accolgono, dando
loro nuovamente vita. Sul palcoscenico vengono
vissute emozioni, sensazioni in una continua ri-
cerca di significati e connessioni. Questo percor-
so consente al narratore di vedere sul palcosce-
nico molto di più di quanto narrato e ricevere un
altro punto di vista, talvolta nuovo e ricco di sfa-
cettature; alcuni narratori paragonano l’espe-
rienza ad un caleidoscopio.
La compagnia di Playback Theatre, formata
da un gruppo di performer, musicisti e un con-
duttore propone al pubblico uno stimolo artisti-
co ad esempio un canto, la lettura di una poesia,
delle immagini, per introdurre il tema della per-
formance. Il conduttore, attraverso tecniche so-
ciometriche (Moreno,1953) consente al pubblico
di conoscersi e riconoscersi come appartenenti
ad una categoria o un gruppo, facilitando così il
superamento della diffidenza e stimolando la
creazione di un clima di fiducia di ascolto in una
dimensione di non giudizio affinchè possano
1
Sull’ascolto come attività principale della relazione di aiuto e come opportunità di parlare di sé e della pro-
pria situazione per giungere a conoscere i bisogni, le aspirazioni, i problemi della persona, cfr. Grigoletti (2013).
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emergere le narrazioni con spontaneità. Questo
significa ad esempio in una performance sulla
violenza sulle donne individuare attraverso la
mano alzata la composizione del gruppo tra uo-
mini e donne, tra operatori del settore e cittadini
ma anche coloro che hanno fatto un viaggio per
raggiungere il luogo della performance, in modo
da creare degli intrecci tra sottogruppi. Con gra-
dualità, il pubblico viene condotto a riconoscere
pensieri e sensazioni e poi a ricordare storie ed
episodi della propria realtà che permettano di ri-
flettere ed esplorare il tema proposto. Tutto ciò
che è narrato dal pubblico, viene messo in scena
dai performer e musicisti con tecniche di im-
provvisazione teatrale e, dopo ogni scena, il con-
duttore lascia la parola al narratore in quanto pie-
no protagonista della sua storia, possa ancora
esplicitare qualcosa che lo riguarda. Si crea così
una circolarità tra pubblico e compagnia: un dia-
logo continuo all’interno di un rituale garantito
dal conduttore «maestro di cerimonia» di tutto il
processo.
Il rituale fornisce forma e riferimenti chiari
affinchè possa svilupparsi un percorso che, par-
tendo dall’accoglienza delle singole individuali-
tà, progressivamente si costituisce una comunità
narrante che riconosce le diversità e si riconosce.
Turner (1986) lo definisce come l’insieme delle
strutture spaziali e temporali che garantiscono
stabilità, familiarità, e attraverso le quali può es-
sere contenuto l’imprevedibile.
Il lavoro dei performer è di estremo rispetto
della storia a loro consegnata. Sul palcoscenico
si viene a creare una situazione di semirealtà in
cui i vissuti, le emozioni e le azioni conseguenti
sono vere e autentiche; vivendo pienamente il
«qui ed ora» vengono costruite scene creative, in
continuo movimento e trasformazione dove tal-
volta viene capovolto l’ordine degli eventi, alcu-
ne scene vengono prodotte in slow motion e al-
tre trasformate in danza, canto o poesia. Il tutto
viene accompagnato dalla musica, anch’essa im-
provvisata. Restituendo una nuova connessione
degli eventi si incontra la bellezza delle diverse
sfacettature della vita, anche laddove la narrazio-
ne tratta eventi drammatici.
Il Playback Theatre connette le esperienze di
una persona con quelle delle altre: coinvolge
contemporaneamente individui e gruppi, inte-
grando la dimensione personale con quella co-
llettiva. Attraverso la rappresentazione scenica si
riscopre il significato profondo dell’esperienza
umana con un percorso di condivisione con gli
altri.
Infatti nel Playback Theatre si sviluppa la di-
mensione individuale, relazionale, sociale e ar-
chetipica. In ogni storia viene quindi esplorata
l’esperienza dell’individuo insieme alle sue pos-
sibili relazioni, permeata del contesto sociale e
delle credenze collettive insieme agli elementi
più spirituali e archetipici dell’esperienza umana.
La performance si conclude con una scena
che racchiude l’esperienza condivisa insieme: le
storie narrate diventate storie collettive, riporta-
no alla consapevolezza che ogni storia è parte e
contributo prezioso della storia della comunità e
dell’umanità intera e la dimensione emotiva at-
traversata è elemento fondamentale della vita
che ci rende autentici nella relazione con noi
stessi e con l’altro.
Grazie alla ricchezza dell’esperienza delle
performance, il metodo è stato applicato anche
nella conduzione di gruppi di sostegno alle per-
sone in difficoltà e nel campo della formazione.
In questi contesti, le persone hanno la possibilità
di essere pubblico, narratori e performer, speri-
mentando i tre ruoli.
Il conduttore accompagna le persone, attra-
verso esercitazioni e giochi di improvvisazione,
in un percorso graduale composto da 4 fasi:
— L’accoglienza, momento iniziale per l’as-
colto del «qui ed ora» dei singoli individui.
— Attivazione della spontaneità e creatività.
In questa fase l’oggetto è il gruppo che attraverso
l’azione e la sospensione del confronto verbale,
crea connessione tra le persone, ascolto reciproco
e collaborazione, rivitalizzando nuove energie.
— Narrazione e restituzione teatrale. Attra-
verso il Playback Theatre ogni persona racconta
la propria storia o la condizione in cui si trova
per rivederla attraverso la messa in scena da par-
te degli altri partecipanti del gruppo; successiva-
mente potrà assumere il ruolo di performer in
una condizione di ascolto e di restituzione attra-
verso la propria spontaneità, capacità espressiva
e senso artistico, per offrire al nuovo narratore il
proprio punto di vista. Lo scambio che si crea tra
i partecipanti è continuo tra ascoltare ed essere
ascoltati, tra dimensione individuale e collettiva,
con l’opportunità di «dare spazio all’altro» e
«prendere spazio», di offrire e ricevere.
— Sharing finale, condivisione verbale di
quanto ognuno ha vissuto nelle diverse fasi del
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gruppo e nei diversi ruoli assunti, ricomponendo
il senso comunitario dell’esperienza (Dotti, 2006).
Si utilizza un setting che facilita le persone a
sentirsi a proprio agio e a muoversi liberamente
nello spazio; anche il questo caso il conduttore
garantisce il rituale, la creazione di un clima di
rispetto e non giudizio, per favorire l’emergere
dell’autenticità e lo sviluppo delle relazioni.
Tutta l’attività intreccia la dimensione indivi-
duale con quella relazionale: momenti di profon-
da concentrazione sulla propria corporeità e i pro-
pri vissuti sono alternati ad attività e condivisioni
di coppia e di gruppo. Come una danza armonica,
si attraversano queste dimensioni in modo che una
possa essere da sostegno all’altra e i partecipanti
non si sentano mai soli nel loro vissuto.
2. Le applicazioni del Playback Theatre
Le applicazioni del Playback Theatre sono mol-
teplici e coprono 3 aree di intervento: Commu-
nity Work, sostegno alla persona, formazione e
supervisione.
Nel Community Work viene utilizzata la
performance che prevede la presenza di una
compagnia con performer, conduttore e musicis-
ti formati ed addestrati alla progettazione e rea-
lizzazione dell’evento (Fox, 1986).
E’ particolarmente indicata per celebrare un
particolare momento della vita delle persone e
delle comunità, per la definizione delle strategie
per migliorare le condizioni di vita o superare i
conflitti, per la verifica degli obiettivi, per cos-
truire significati ed aumentare la motivazione ai
cambiamenti e alle innovazioni, per costruire
senso e significati alle relazioni presenti e per
trasformarle in relazioni collaborative tra le per-
sone e tra ruoli diversi, per rielaborare e supera-
re eventi traumatici. La performance, realizzata
con piccoli e grandi numeri di partecipanti, con-
sente di far emergere i valori e i punti di forza,
rafforzare il senso di appartenenza, favorire la
migliore integrazione. Essa è particolarmente in-
dicata anche in convegni organizzati da comuni-
tà professionali.
Si riporta qui l’esperienza presso un condo-
minio solidale in Torino, dove è stato richiesto un
intervento in occasione della festa dei vicini. La
committenza aveva l’obiettivo di aumentare la
conoscenza delle persone residenti, molte arriva-
te di recente, con nazionalità diverse, e creare
condizioni per relazioni di maggiore collabora-
zione, superando la diffidenza e i conflitti pre-
senti. La prima parte della performance ha pre-
visto l’esplicitazione da parte del conduttore e
dei performer, in modo artistico e teatrale, dei
più comuni problemi di vicinato riportati in alcu-
ne ricerche. Successivamente il conduttore ha
chiesto ai presenti quali associazioni mentali ri-
conducevano alla vita quotidiana del condomi-
nio. Dopo ogni racconto il Playback Theatre, che
prevede una restituzione teatrale improvvisata
della narrazione stessa, ha consentito di valoriz-
zare il particolare punto di vista di ciascuno; ha
poi reso possibile la condivisione, accogliendo le
emozioni e valorizzando le risorse presenti, dan-
do così la possibilità di integrare i vissuti di cias-
cuno con quelli degli altri. Nelle settimane suc-
cessive gli organizzatori hanno rilevato una
maggiore comunicazione tra le persone e l’atti-
vazione concreta di alcuni residenti verso una
donna straniera, mamma di 2 bambini che aveva
raccontato della sua difficoltà di inserimento so-
ciale, nel condominio, nella scuola e con i servi-
zi sociali e sanitari di riferimento.
La messa in gioco di una persona che si espo-
ne con una narrazione personale diventa un’a-
zione molto significativa per la comunità presen-
te perché diventa un’offerta alla collettività. La
collettività che si mette in ascolto di un suo com-
ponente, aiutata dal rituale e dalla presenza del
conduttore, riconosce parte della propria storia e
mette in moto sentimenti di affetto, affidamenti
reciproci, elementi che consentono la nascita di
un «noi»; la possibilità di riconoscere la qualità
dei legami tra gli individui modifica il loro agi-
re. L’interazione che si viene a creare, aumenta la
responsabilità per il bene comune e il persegui-
mento del benessere caratterizzato da apertura e
messa in rete di risorse.
Nel Community Work le narrazioni dei par-
tecipanti e la restituzione artistica, diventano
un’occasione per rileggere il quotidiano in chia-
ve nuova e trasformativa.
Le performance possono essere realizzate in
teatri, in locali in uso ad una comunità, in piazze
e parchi.
Ci sono esperienze in tutto il mondo: in Pa-
lestina sono presenti progetti di Playback Thea-
tre finalizzati a favorire l’ascolto fra palestinesi e
israeliani, in Argentina è stato usato per ricos-
truire la memoria collettiva della loro storia so-
ciale e politica, in Italia utilizzato in progetti per
i teen-agers per la prevenzione al cyberbullying
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con il coinvolgimento di polizia, insegnanti, ge-
nitori, volontari, a New Orleans dopo il tornado
Katrina, si sono organizzate performance per da-
re spazio alla narrazione di quanto accaduto per
trasformare il dolore e la sofferenza in energia
creativa.
Per quanto riguarda l’area relativa al sosteg-
no alla persona si fa riferimento ad attività di
gruppo con obiettivi di crescita personale e mi-
glioramento delle proprie condizioni di vita e
gruppi di counseling per specifiche situazioni di
disagio con l’obiettivo di attivare processi di au-
tonomia, inclusione sociale e sviluppo di empo-
werment. I gruppi che utilizzano la metodologia
del Playback Theatre sono significativi per ac-
compagnare le persone nelle sue diverse fasi del
ciclo vitale e nel superamento delle difficoltà.
Attraverso il Playback Theatre ogni partecipante
ha l’opportunità di narrare e di immergersi pro-
gressivamente nell’esperienza della scena in uno
spirito divertente e leggero, ma allo stesso tem-
po di profonda vicinanza e coinvolgimento. Con
rispetto dei tempi di ciascun partecipante il con-
duttore fornisce gli stimoli per riscoprire e svi-
luppare la propria spontaneità e creatività.
Moreno (2007) definisce la spontaneità come
la capacità di rispondere in modo sintonico alle
esigenze dell’ambiente (senza distorcene le ri-
chieste e la realtà) e alle proprie esigenze interne
(senza stereotipie difensive e facendo emergere i
veri bisogni e le autentiche emozioni). Quest’au-
tore afferma che la mancanza di spontaneità è
segnata dall’ansia e/o dal comportamento rigido
e stereotipato. I partecipanti attraverso giochi ed
esercitazioni, che creano un clima divertente e
leggero, riducono i propri meccanismi difensivi
e contattano i bisogni spesso soffocati dalla con-
dizione di disagio che vivono. La realtà, talvolta
sorprendente, che in questo modo emerge, crea
una condizione di apertura in cui le persone si
commuovono riconoscendo i desideri e la loro
autentica spinta al cambiamento. Grazie alla
possibilità di ricoprire ruoli diversi, i gruppi con-
dotti con la metodologia del Playback Theatre,
consentono alle persone di aumentare la consa-
pevolezza della propria capacità di uscire dagli
schemi stereotipati, per sperimentarne di nuovi,
non solo all’interno del gruppo ma anche nella
quotidianità.
I conduttori introducono con l’azione i parte-
cipanti ad un’esperienza di gruppo in cui la pro-
pria individualità, punto di vista ed emozioni so-
no un valore fondamentale per riflettere e con-
frontarsi. La diversità viene valorizzata come do-
no e le difficoltà che si presentano come l’imba-
razzo, la paura del giudizio, il senso di
inadeguatezza vengono trasformate in opportu-
nità per un nuovo apprendimento sia per il singo-
lo, che per il gruppo.
Per assumere il ruolo di performer i parteci-
panti devono addestrarsi a creare un «vuoto» in-
teriore, libero dai pregiudizi, dalla fatica della
quotidianità, dalle emozioni prioritarie della vi-
ta: esso è necessario per creare una reale libertà
d’ascolto. Coloro che giocano il ruolo di perfor-
mer ascoltano se stessi in relazione alla narrazio-
ne dell’altro e tenendo in cosiderazione le pro-
prie risonanze emotive, restituiscono al narratore
e al resto del gruppo una scena arricchita delle
verità soggettive di ciascuno: la storia di uno si
incontra con la storia degli altri, trasformandosi
nella storia di tutti.
Sperimentarsi nell’improvvisazione significa
operare sulle diverse parti che compongono il
proprio essere: sugli aspetti conosciuti e sconos-
ciuti, su quelli rifiutati, su quelli temuti. L’espe-
rienza sviluppa empatia, consente l’emergere
delle emozioni e la loro comunicazione, svilup-
pa capacità riflessive e critiche sul proprio agire
consentendo una maggiore conoscenza di sé e di
sé nella relazione con l’altro. Inoltre mette in
contatto le persone con la propria sensorialità,
percezione del proprio corpo ed emozioni.
Nel ruolo invece di narratore i partecipanti
hanno l’opportunità di ricostruire gli eventi, le re-
lazioni e le emozioni di parte della loro storia e
poi di porsi in una condizione di attesa, per rac-
cogliere lo «specchio» che gli deriva dall’azione
dei performer. Il palcoscenico restituisce la storia
smontata, spezzettata, ricomposta con altre verità
che permettono di comprendere al protagonista
gli elementi della realtà talvolta più oscuri.
La narrazione produce sapere, infatti, si ri-
percorrono le fasi, le trasformazioni i passaggi, i
punti nodali, i vuoti per rielaborare abitudini,
contesti, valori, limiti, risorse, difficoltà; tale ri-
costruzione avviene nel presente in quanto la
storia del soggetto viene utilizzata per dare sen-
so al suo modo attuale di osservare, di pensare,
di analizzare, di spiegare gli eventi e per com-
prendere le aspettative per il futuro.
Numerose sono le esperienze: gruppi di geni-
tori, donne, adolescenti, detenuti, malati psichi-
ci, tossicodipendendi, immigrati e inoltre gruppi
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di counseling con partecipanti di età ed esperien-
ze diverse unite dal desiderio di superare mo-
menti difficili della loro vita.
Un breve percorso di gruppo con il Playback
Theatre è stato proposto a delle famiglie durante
un percorso di valutazione per l’affidamento fa-
miliare di minori, dopo il primo incontro di in-
formazione per creare un’opportunità di con-
fronto e approfondimento sulle motivazioni.
Durante le due sessioni sono stati attivati gio-
chi ed esercizi che hanno consentito alle persone
di contattare il proprio desiderio, le proprie risor-
se, le paure e le contraddizioni. I partecipanti
hanno assunto il ruolo di narratore e di perfor-
mer attivando così una predisposizione al dialo-
go e all’ascolto di sé e dell’esperienza dell’altro.
Alcune persone hanno narrato il percorso che li
ha portati a prendere in considerazione l’affida-
mento e i propri vissuti; attraverso brevi restitu-
zioni simboliche con il Playback Theatre si sono
rivisti come in uno specchio, aggiungendo ele-
menti alla propria consapevolezza. Ciascun par-
tecipante al gruppo ha avuto anche la possibilità
di assumere il ruolo di performer e quindi di res-
tituire attraverso le modalità più semplici e im-
mediate del Playback Theatre (sculture statiche,
sculture in movimento) la storia degli altri parte-
cipanti. Grazie all’assunzione di questo ruolo è
emerso dai partecipanti che l’ascolto necessario
per mettere in scena la storia del narratore, ha
consentito loro di contattare alcune proprie emo-
zioni e vissuti, con la possibilità di chiarire me-
glio il proprio percorso personale, famigliare e le
proprie modalità di relazione. Coloro che hanno
partecipato in coppia hanno riportato, a conclu-
sione del gruppo, che la possibilità di comunica-
re attraverso un linguaggio diverso, corporeo e
simbolico, ha permesso loro di approfondire il
punto di vista del partner, facilitando un’integra-
zione dei propri vissuti. Per due donne, la possi-
bilità di riflettere sulle diverse sfacettature della
motivazione, ha messo in luce che il proprio des-
iderio di affidamento era determinato da un bi-
sogno personale di gratificazione e riconosci-
mento vissuto poco in famiglia. L’esperienza ha
consentito loro di individuare la necessità di
prendersi ancora del tempo per maturare meglio
una disponibilità all’accoglienza.
La formazione e supervisione attraverso il
Playback Theatre è esperienziale ed è rivolta a
gruppi professionali, organizzazioni, studenti.
L’azione formativa consente ai partecipanti,
attraverso un percorso graduale e adatto a tutti,
di poter rappresentare con tecniche di espressio-
ne e improvvisazione teatrale, la propria realtà
professionale all’interno del gruppo. Questo me-
todo consente in particolare di:
— Creare processi comunicativi efficaci
one-to-one o one-to-many.
— Sviluppare l’ascolto attivo, la collabora-
zione e lo spirito di team.
— Favorire la conoscenza reciproca, l’emer-
sione di spontaneità, creatività, humor, disponi-
bilità e fiducia.
— Allineare e orientare i partecipanti ai va-
lori ed agli obiettivi aziendali, valorizzando le
singole competenze.
— Sviluppare la cultura dell’errore intelli-
gente.
— Incrementare la Job Motivation col mi-
glioramento del rapporto performance/soddisfa-
zione.
Attraverso il Playback Theatre è possibile in-
tegrare la dimensione emotiva con quella cogni-
tiva, la dimensione individuale con quella orga-
nizzativa, la dimensione personale con quella
professionale (cfr. Ferrario, 1996). Numerose ri-
cerche hanno evidenziato che l’apprendimento è
molto più efficace se, oltre alle informazioni
trasmesse, c’è un’esperienza emotiva; inoltre lo
sviluppo e l’efficacia della memoria subiscono
accelerazioni e rallentamenti a seconda del mo-
do in cui si apprendono le informazioni. La spe-
rimentazione di situazioni e l’esplorazione attiva
di idee, attraverso l’uso del movimento e dello
spazio, è in grado di favorire una più intensa
connessione funzionale tra le diverse aree del
cervello, più di quanto accada in un apprendi-
mento passivo
2
.
Con l’improvvisazione si sperimentano situa-
zioni e stati d’animo mai esperiti nella vita quo-
tidiana, con la scoperta di una possibilità di com-
portamento nuovo che crea stupore e meraviglia.
La semirealtà della scena crea un’esperienza
2
Decenni di ricerche che hanno dimostrato come l’apprendimento esperienziale produca modificazioni fi-
siologiche nel nostro cervello, sviluppando e consolidando nuove connessioni sinaptiche tra i neuroni (Kandel,
2010).
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nuova ed entra a far parte del nostro bagaglio es-
perienziale di vita così come l’avessimo vissuta
nella realtà quotidiana.
Per chiarire questa particolare applicazione si
riporta la formazione per insegnanti di alcune
scuole primarie, richiesta dalle direzioni con l’o-
biettivo di aumentare le competenze relazionali
con gli allievi in particolare nelle situazioni diffi-
cili, aumentare la capacità di gestione del gruppo
classe e individuare le situazioni di disagio. Gli
incontri sono stati 6 di 3 ore ciascuno. Ai parteci-
panti disposti in cerchio è stata proposta una pri-
ma attività sociometrica di conoscenza attraverso
la quale si sono creati dei sottogruppi per materie
insegnate, per anni di anzianità, per grado di
scuola; è stato poi chiesto di creare dei sottogrup-
pi sulla base delle qualità che si riconoscevano e
sulla base delle difficoltà che vivevano in quel
momento. Gradualmente poi gli insegnanti sono
stati accompagnati a fare un’esperienza persona-
le di ascolto di sé e dell’altro, attraverso dei gio-
chi e attività con il canto, il movimento, la musi-
ca. Questa fase è stata importante per andare oltre
i soliti schemi mentali, il giudizio che si ha di sé
e dell’altro, facendo emergere le capacità di og-
nuno nell’affrontare situazioni nuove e inusuali,
difficoltà e resistenze. Dopo questa esperienza è
stato dato spazio al racconto dei propri vissuti
con la restituzione attraverso semplici modalità di
Playback Theatre e riconducendo tutto al proprio
specifico lavoro di insegnante.
Tutti gli insegnanti nel percorso formativo
hanno avuto possibilità di narrare e rivedere la
propria storia a specchio, attraverso il Playback
Theatre, trovando i punti di forza e le possibilità
di miglioramento ed individuando le azioni che
consentivano un cambiamento. Per tutti i parte-
cipanti è stato anche possibile mettere in scena la
storia dei narratori, come performer, talvolta as-
sumendo anche il ruolo degli studenti, dei geni-
tori, dei colleghi, degli operatori scolastici, degli
psicologi, assistenti sociali, ecc., aumentando
così la capacità empatica e la visione dei singoli
punti di vista. I formatori a conclusione delle
scene di Playback Theatre hanno ricondotto i
partecipanti a delle riflessioni teoriche riportan-
do anche autori e approcci teorici di riferimento.
A conclusione la maggior parte degli insegnanti
ha sottolineato l’importanza dell’esperienza che
ha consentito loro di mettere subito in pratica la
formazione grazie alla maggiore capacità di as-
colto e di osservazione degli studenti , ad una
maggiore libertà da giudizi e pregiudizi con un
notevole aumento della gratificazione. Inoltre il
gruppo degli insegnanti si è rivelato risorsa an-
che nel quotidiano con momenti di confronto e
supervisione reciproca. Un paio di partecipanti
ha invece sottolineato la difficoltà a portare a ter-
mine le proposte formative attive evidenziando
delle personali difficoltà e resistenze.
Diversa modalità formativa è stata invece uti-
lizzata durante il convegno «Il lavoro dell’assis-
tente sociale tra mandato professionale, istituzio-
nale e sociale» organizzato dal Consiglio
dell’Ordine Assistenti sociali del Piemonte (Tori-
no, 11 maggio 2011) è stata organizzata una per-
formance a conclusione degli interventi teorici. Il
pubblico, formato da circa 600 assistenti sociali è
stato chiamato a pensare a situazioni concrete ri-
chiamate dagli interventi ascoltati. Le narrazioni
così emerse sono state messe in scena da una
compagnia di Playback Theatre che ha fatto
emergere la dimensione emotiva dell’agire pro-
fessionale. A conclusione i partecipanti hanno ri-
portato che attraverso la performance è stato pos-
sibile tradurre gli interventi del convegno nella
pratica ed integrare le emozioni che sono parte del
lavoro dell’assistente sociale. Tale condivisione ha
anche aumentato il senso identitario di ciascuno,
in quanto parte di una comunità professionale.
3. Il Servizio Sociale ed il Playback Theatre
Il Playback Theatre è uno strumento innovativo in
cui la dimensione artistica si coniuga con quella
psicologica, relazionale, sociale e comunitaria.
Gli assistenti sociali si trovano a lavorare tal-
volta con persone demotivate, con ridotte ener-
gie vitali, apparentemente senza risorse e deside-
rio di cambiamento. L’aggressività o al contrario
la remissività che si incontra nell’utenza è spes-
so frutto della solitudine, della difficoltà di intra-
vedere un progetto, del pessimismo diffuso, de-
lla confusione, della difficoltà di trovare
significati all’esperienza vissuta.
L’arte come mezzo di comunicazione straor-
dinario, in quanto supera le differenze culturali,
di genere, di età, economiche, è una risorsa im-
portante nel lavoro sociale. Nel Playback Thea-
tre l’arte è il sentire della persona che si esprime
attraverso il movimento e l’espressione corporea
nella ricerca della bellezza e dell’armonia nella
dimensione del gruppo. Sul palcoscenico pren-
dono vita immagini simboliche, fatte di corpo-
reità che diventano strumenti per rileggere la re-
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María Elena Aimo Il Playback Theatre: l’arte di essere se stessi. Uno strumento per l’empowerment...
altà. Vi è un cambiamento di paradigma: dall’as-
sistente sociale che offre un modo diverso di ve-
dere la realtà e di affrontarla, alla persona che
viene attraversata nel sua dimensione corporea
dalla storia e trova nuove riletture e nuove solu-
zioni in autonomia.
Tutto questo diventa stupefacente per chi lo
sperimenta direttamente e per chi lo osserva: si
verifica uno «spiazzamento» cognitivo, grazie al
quale si scopre qualcosa di nuovo, mettendo in
crisi le conoscenze acquisite.
La sorpresa della scoperta e riscoperta è l’ele-
mento divergente che risveglia l’energia vitale, i
desideri e attiva l’azione verso il cambiamento
(cfr. Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974). L’assis-
tente sociale attraverso il Playback Theatre offre
uno spazio di narrazione e ascolto che dà valore e
dignità ad ogni singola persona nella sua esperien-
za unica e distinta, inserita in una dimensione so-
ciale e relazionale (cfr. Dal Pra Ponticelli, 2010).
Ed è proprio la possibilità di collegare l’espe-
rienza individuale con quella sociale e relaziona-
le che consente al servizio sociale di intrecciare
le dimensioni dell’agire professionale, infatti in
qualsiasi intervento con il Playback Theatre so-
no centrali tre fuochi di attenzione: «il singolo
nella sua soggettività unica e insindacabile; il
gruppo con gli aspetti relazionali e organizzativi;
la comunità come luogo di interazione di ruoli e
punti di vista diversi» (Dotti, 2006).
Attraverso questo metodo il servizio sociale:
accompagna l’individuo con le sue specifi-
che modalità relazionali nella complessità della
dimensione del gruppo e delle comunità di ap-
partenenza, orientandolo e sostenendolo nello
sviluppo delle proprie competenze e differenze;
accompagna il gruppo e la comunità nella
complessità della sue relazioni e dei suoi ruoli,
orientandolo e sostenendolo nello sviluppo della
propria mission, dei propri obiettivi e delle pro-
prie competenze e specificità.
L’assistente sociale formato al Playback The-
atre sviluppa la competenza relativa alla condu-
zione dei gruppi che offre un’opportunità diver-
sa al rapporto one-to-one per attingere alla
ricchezza del confronto tra pari.
Interessante, infine, è il ruolo degli assistenti
sociali nella formazione e supervisione all’inter-
no delle organizzazioni.
Il panorama delle nuove povertà e disagi ri-
chiama alla necessità di un comportamento che
non può essere avulso dall’identità e dai limiti
contestuali e soggettivi. Si delineano condizioni
che richiedono continui rinnovamenti e innova-
zioni, spostamenti di posizione che siano «fonti
energetiche» per il proprio operato, nella relazio-
ne con la collettività. L’assistente sociale, chia-
mato ad essere risorsa e strumento resiliente a
cui, oggi, forse più che mai, viene richiesto di
rinnovarsi in un contesto socio culturale in rapi-
do cambiamento, può essere un’importante ri-
sorsa come formatore (Allegri, 2015).
Anche le organizzazioni hanno bisogno di
trovare nuovi modi per rileggere la realtà che
comprende le incongruenze del sistema e svilup-
pare creatività nelle risposte al territorio, con la
costruzione di processi responsabili che tengano
conto dei limiti oggi presenti. Il Playback Thea-
tre consente, come già detto precedentemente, di
arricchire il punto di vista, con la possibilità di
trasformare i limiti in opportunità creativa, svi-
luppando senso di responsabilità nelle scelte. I
gruppi di lavoro esprimono la necessità di condi-
videre il clima emotivo e i vissuti dei singoli at-
traverso nuove modalità che superino la dimen-
sione verbale che talvolta si ferma al lamento e
allo sfogo, per andare oltre e ritrovare la sponta-
neità, motore dell’atto creativo.
Fox (1986) afferma che sviluppare la sponta-
neità ha dei segni: l’emergere dell’energia vitale,
sentirsi appropriati nel flusso relazionale, au-
mentare la fiducia del proprio intuito e la dispo-
nibilità al cambiamento.
La formazione per le professioni socio-edu-
cative e per operatori della cura, attraverso il
Playback Theatre, consente alle persone di ac-
quisire uno strumento che permette di aumenta-
re la capacità di usare la propria autenticità nella
relazione e di prendersi cura di sè. Nello specifi-
co dell’azione del servizio sociale la relazione è
lo strumento centrale: essa permeata da una in-
tenzionalità veicolata attraverso azioni di cura e
di contatto, genera potenti impatti emotivi attra-
verso cui prendono forma il recupero delle con-
dizioni di benessere di persone socialmente
svantaggiate e/o in difficoltà.
Nel loro lavoro sociale si attraversano espe-
rienze di relazione la cui portata emotiva è essa
stessa strumento di esperienza e di lavoro, rap-
presentando anche un bagaglio la cui elaborazio-
ne necessita di cura e di un continuo rinnovo di
competenze.
E’ così facile curarsi degli altri per ciò che io
penso che siano o vorrei che fossero o sento che
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María Elena Aimo Il Playback Theatre: l’arte di essere se stessi. Uno strumento per l’empowerment...
dovrebbero essere. Curarsi di una persona per
quello che è, lasciando cadere le mie aspettative
di ciò che essa dovrebbe essere per me, lasciando
cadere il desiderio di modificare questa persona
in armonia con le mie esigenze, è la via più diffi-
cile, ma anche la più maturante, verso una rela-
zione intima più soddisfacente (Rogers, 1983).
La formazione esperienziale con il Playback
Theatre permette agli assistenti sociali di pren-
dersi cura di sé e alle equipe di prendersi cura de-
lle relazioni, per aumentare l’efficacia degli in-
terventi, migliorare la collaborazione e aumenta-
re la creatività nella progettazione. Inoltre il par-
ticolare percorso formativo offerto contribuisce
al rafforzamento dell’identità professionale e
favorisce il fluire della relazione professionale
attraverso un equilibrio tra gli aspetti emotivi, fi-
sico-corporei, espressivi, comunicativi, concet-
tuali aumentando così la gratificazione e la mo-
tivazione.
4. Riferimenti bibliografici
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