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Archivio per l’Antropologia e la Etnologia - Vol. CXLIV (2014)
Il popolamento umano della Sicilia:
una revisione interdisciplinare
VINCENZA FORGIA*/*** DARIA PETRUSO*/**
LUCA SINEO****
paroLE ChiavE: Homo sapiens, Sicilia, Paleolitico.
riassunto — La questione del popolamento umano pleistocenico della Sicilia e delle coste del
Mediterraneo occidentale implica la ricostruzione delle rotte migratorie seguite dall’uomo e dalle faune e
delle complesse dinamiche geologiche del bacino del Mediterraneo centrale. Anche se la più accreditata
via di migrazione comune di faune e uomo è quella settentrionale, che prevede il superamento dell’area
dello stretto di Messina, diversi autori, sulla base di dati archeologici, hanno ipotizzato un popolamento
precoce ed una direttrice meridionale, dall’Africa, attraverso momenti di percorribilità del Canale di
Sicilia. Questa ipotesi è stata più volte esplorata per poi essere accantonata, anche se diversi reperti
paleontologici e archeologici, in particolare industrie attribuite nel tempo a Modo 1 e 2, provenienti
dalla Sicilia meridionale, riportino continuamente l’attenzione su questa rotta potenziale. La maggior
parte delle testimonianze archeologiche suddette sono dubbie in quanto mancano di un contesto
stratigraco trattandosi di ritrovamenti di supercie. Se i dati antropologici non forniscono ad oggi
evidenze contestuali, poiché relativi solo al Paleolitico superiore, indicando una migrazione di H. sapiens
dalla penisola italiana, i dati paleontologici e paleogeograci invece, non escludono la possibilità di
un popolamento umano nel Pleistocene Medio. In questo lavoro proponiamo una revisione critica
dei dati disponibili (paleontologici, paleoetnologici, paleogeograci, paleoantropologici) relativi alla
problematica del primo popolamento umano della Sicilia attraverso un approccio interdisciplinare, in
modo da offrire una visione globale della questione. Intendiamo riaprire una discussione critica sulle
evidenze litiche, sulla georeferenziazione dei siti da cui provengono manufatti litici e resti faunistici
durante il primo Pleistocene Medio e presentiamo un tentativo di ricostruzione paleogeograca delle
linee di costa della Sicilia durante il Pleistocene Medio, sulla base della localizzazione degli stessi siti
georeferenziati. I dati attuali non escludono la possibilità che siano avvenuti durante il Pleistocene
Medio diversi e sporadici popolamenti umani legati alla variabile accessibilità dello Stretto di Messina.
Una tendenza altalenante di fasi di dispersione e di estinzione contraddistingue d’altronde gli esseri
umani in Sicilia, almeno no alla transizione con il Mesolitico.
* R-Evolution – Società cooperativa, Termini Imerese (PA).
** DISTEM Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare, Università degli Studi di Palermo - Via
Archira 20, Palermo.
*** Dipartimento di Culture e Società, Università degli Studi di Palermo - Viale delle Scienze, ed. 15,
Palermo.
**** STEBICEF Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche,
Università di Palermo, LabHomo, laboratorio di Antropologia – Via Archira 18, Palermo.
118 D. Petruso - V. Forgia - L. Sineo
KEy worDs: Homo sapiens, Sicily, Palaeolithic.
suMMary — The question of the human peopling of Sicily and Western Mediterranean shores during
Pleistocene times is centred on the reconstruction of human and faunal migration routes and of
the complex geological dynamics of the Central Mediterranean basin. Even if the common route
of faunal and human movement is considered from North, related to the crossing of Messina strait
area, several authors, on the base of archaeological evidences, hypothesized an earlier peopling and an
African provenance through the Sicilian Channel. This hypothesis has been several times explored and
mostly rejected, even if diverse palaeontological and especially archaeological ndings of Modus 1 and
2 artefacts, from Southern Sicily, renew continuously the attention on this potential route. However
most Sicilian archaeological evidences are spotty and frequently dubitative, as they lack of stratigraphic
context. Direct anthropological data are scarce and relative only to the Upper Palaeolithic and indicate
a H. sapiens migration from Italian mainland. Nevertheless, palaeontological and palaeogeographic
data do not exclude the possibility of a Middle Pleistocene human peopling. We faced the problem
through diverse perspectives, on the main intent of a critical revision of all the available data from
palaeontology, archaeology, palaeogeography and physical anthropology. We propose a critic discussion
of the industrial evidences, the georeference of lithic and faunal retrieval sites during Middle Pleistocene
and a tentative palaeogeographic reconstruction of Middle Pleistocene coastal lines of Sicily on the
base of the georeferred sites. The state of art do not exclude the possibility of several sporadic human
peopling related to the Messina Strait accessibility since the Middle Pleistocene. A pulsating trend of
dispersal and extinction characterized humans in Sicily at least until Mesolithic transition.
introDuzionE
L’intento principale di questo lavoro è un approccio critico al popolamento uma-
no della Sicilia nel Quaternario. La questione controversa parte dalla discussione
delle possibili rotte migratorie seguite da Homo e cerca di ipotizzare i tempi e le
modalità di questa diffusione. Tuttavia la questione è in stretta connessione con le
rotte di migrazione dei mammiferi terrestri, la cui area di espansione o contrazione è
legata alla distribuzione delle terre e dei mari. A tal ne ha anche la sua importanza
la ricostruzione degli eventi geocinematici - estesi cicli marini trasgressivi e regressivi
ravvisabili dai proli sismici - che creano o distruggono vie di dispersione marine
e catene montuose fornendo così percorsi a ostacoli, ponti ltranti, ponti di terra
e corridoi, sia per gli animali che per gli esseri umani. Alcune pubblicazioni hanno
considerato la vasta area del Canale di Sicilia che si affaccia sull’Africa, dal Banco
Avventura al Plateau ibleo, come sede di possibili ponti sporadici, che hanno collega-
to nel tempo l’Africa all’Europa; rotte migratorie che avrebbero permesso, insieme
con lo Stretto di Gibilterra, Babel-Mandeb e la penisola del Sinai, (Derricourt, 2005;
Abbate e Sagri, 2012) l’uscita dall’Africa delle bande di esploratori paleolitici in cerca
di territori nuovi di espansione.
La storia dei primi popolamenti in Sicilia è un tema che ha da tempo stimolato
la ricerca antropologica e paletnologica, ma negli ultimi anni, malgrado questo cre-
scente interesse, non sono aumentati gli sforzi per la comprensione degli orizzonti
preistorici più antichi. La situazione è per altro resa ancor più critica da quella che
è stata, nel tempo una mancanza di interdisciplinarietà che ha portato, nelle diverse
119Il popolamento umano della Sicilia: una revisione interdisciplinare
situazioni, a negligere la ricerca di reperti scheletrici o di manufatti litici. Inoltre, il
pregiudizio che ha visto una scarsa attenzione per il reperto “biologico” (scheletrico,
umano e non umano) è probabilmente il motivo per cui ci sono lacune nella docu-
mentazione archeologica della Sicilia, anche se il territorio è molto ricco di emergen-
ze preistoriche e archeologiche, per cui il record è potenzialmente ampio.
La presenza di antichi rappresentanti del genere Homo nel bacino del Mediter-
raneo durante il Pleistocene Inferiore e Medio è dimostrata da numerose testimo-
nianze, per lo più di tipo culturale, sparse sulle coste del bacino del Mediterraneo o
lungo le rotte continentali verso le aree di rifugio presumibilmente importanti per
la loro accessibilità e portanza, o per la limitata presenza di competitori sensu latu.
La dispersione dei primi Homo verso nuovi paesaggi africani ed eurasiatici vede, in
ogni caso, il movimento di piccoli numeri, bande di cacciatori-raccoglitori che pre-
sumibilmente hanno lasciato tracce molto sporadiche del loro passaggio, della loro
permanenza in un luogo.
Homo ergaster appare sulle rive del Mediterraneo presumibilmente non molto tem-
po dopo la sua dispersione dall’Africa orientale (Lahr, 2010). Numerose evidenze
umane sparse ed eterocrone (soprattutto quelle culturali) sono state ritrovate sia sul
versante africano che sul versante europeo del bacino: Casablanca – Thomas quarry
1 (Raynal et al., 2001), Ain Hanech (Sahnouni et al., 2010), Atapuerca (Rodriguez et
al., 2010) e Dmanisi (Ferring et al., 2011). Le prime testimonianze europee di Ata-
puerca e Dmanisi, sul lato occidentale e orientale del continente, rispettivamente,
possono giusticare un doppio percorso di ingresso nell’Europa boreale. Sfortuna-
tamente le loro modalità di arrivo non sono adeguatamente ricostruite a causa del
fatto che vi sono evidenze troppo scarse e puntuali.
Questi risultati avallano diversi scenari per quanto riguarda le vie di dispersione se-
guite da primi uomini in Europa. Nella ricostruzione di tali scenari giocano un ruolo
importante i dati relativi al paleo-clima e alla paleogeograa delle terre emerse. Inne,
anche il percorso seguito dai grandi mammiferi terrestri può contribuire alla discussione.
storia DELLE riCErChE
La centralità della Sicilia nel bacino del Mediterraneo e la sua vicinanza alla Pe-
nisola italiana e al nord Africa, almeno durante gli episodi di “low-stand” del livello
del mare, possono denotare un suo ruolo di protagonista nella dispersione umana
antica. Per questo motivo l’isola è stata considerata una terra di passaggio per un
popolamento umano precoce proveniente dall’Africa verso l’Europa (Alimen, 1975).
Tuttavia numerosi interrogativi ancora aperti e irrisolti sono materia di discussione
tra paleontologi e antropologi. La fauna siciliana proviene dall’Africa attraverso il
cosiddetto istmo siculo-tunisino e/o ha utilizzato la via settentrionale dal nord della
Calabria? La rotta utilizzata dagli esseri umani è stata la stessa? Inoltre a quando risa-
le la più antica fase di popolamento umano in Sicilia?
120 D. Petruso - V. Forgia - L. Sineo
La questione dell’esistenza di un istmo tra la Sicilia e la Tunisia che potrebbe con-
sentire il passaggio di uomo e faune venne inizialmente sollevata con la cosiddetta teoria
“dell’origine degli uomini di Grimaldi” (Boule, 1911; Keith, 1911) ed è stata alimentata
dalle scoperte di Despott nel 1917 sull’isola di Malta. In particolare lo scavo di un sito
neolitico (grotta di Ghar Dalam) produsse due molari umani molto incrostati di grandi
dimensioni (Despott, 1918). Sir Arthur Keith colse l’occasione per alimentare la sua
ipotesi negroide e, non considerando la tipologia dei manufatti che accompagnano i
molari, pubblicò su Nature, nel 1918 un articolo sensazionalistico dal titolo “Discovery
of Neanderthal man in Malta!”. Nel 1924 per fermare le critiche sollevate giusticò la
sua affermazione con il fatto che egli aveva erroneamente interpretato i molari tauro-
donti come tipici del Neanderthal ma che questi potevano trovarsi anche negli uomini
moderni. Il viaggio di Vaufrey in Sicilia e nell’arcipelago di Malta, durante il biennio
1926-1927, promosso dal suo mentore Marcellin Boule, era stimolato dalla stessa vo-
lontà di vericare la possibilità dell’esistenza dell’istmo siculo-tunisino. Vaufrey (1929)
pubblicò le sue conclusioni in una famosa monograa, dove dichiara l’inesistenza di tale
istmo. Per giungere a tale conclusione prende in considerazione le mappe batimetriche
di Spratt (1867) dei litorali della Sicilia, Malta e Nord Africa, le evidenze archeologiche
e le faune fossili comuni alla Sicilia e a Malta. Spratt (1867) aveva infatti affermato che
la scarpata sottomarina tra la Piattaforma di Ragusa e l’arcipelago maltese doveva es-
sere stata una sorte di ponte di terra epicontinentale durante il Pleistocene facilitando
la migrazione di fauna esotica sia verso nord che verso sud. Come fece notare Vaufrey,
il livello del mare si sarebbe dovuto abbassare troppo per consentire l’esistenza di tale
ponte intercontinentale. Per quanto riguarda la fauna, l’autore sostenne che gli elefanti
siciliani e maltesi non mostrano alcuna relazione logenetica. Asserì, inoltre, che duran-
te le ricerche in Sicilia non aveva recuperato alcun manufatto né in strato né in super-
cie che potesse appartenere ad una cultura litica antecedente al Paleolitico superiore.
In risposta alla scoperta di presunti hacheraux in Sicilia meridionale da parte di
Bianchini (1973), Marie Henriette Alimen (1975) riprese l’ipotesi dell’istmo predetto
e mostrò in una mappa batimetrica che l’abbassamento del livello del mare che si
è vericato durante le glaciazioni, potrebbe aver grandemente ridotto la distanza
tra l’Africa e la Sicilia nel Pleistocene Inferiore permettendo l’esistenza di un ponte
di terra intermittente sul versante occidentale della regione Pelagia. Schackleton et
al. (1984) sostiene, in particolare, che durante l’acme dell’ultima glaciazione (tardo
Wechseliano) il livello del mare si sia abbassato di circa 120 metri in modo tale che
nel Canale di Sicilia la distanza tra Capo Bon e la Sicilia sud-occidentale si era ridot-
ta a circa 60 km (Fig. 1), mentre uno stretto ponte terra si sarebbe potuto formare
nella zona dello stretto di Messina (la cui profondità è attualmente di circa 90 km);
ipotesi più volte ripresa da Agnesi et al (1998) e recentemente ribadita da Antonioli
et al. (2014). Inoltre anche le isole maltesi, la cui distanza dalla costa siciliana è di
circa 90 km, sarebbero state collegate da un altro ponte di terra (Villa, 2001). Zam-
petti (1989) non considera possibili scambi culturali tra la Sicilia e i popoli africani,
se non in periodi molto recenti, nonostante la vicinanza della Sicilia con la costa
121Il popolamento umano della Sicilia: una revisione interdisciplinare
africana durante il Pleistocene Superiore sia attestata con sicurezza. Tuttavia Straus
(2001) non esclude che migrazioni complesse e discontinue siano possibili e, infatti,
discute la possibilità di ussi umani durante il Pleistocene tra la Penisola Iberica e
il Maghreb, attraverso lo Stretto di Gibilterra. Gli scenari sono molto complessi da
un punto di vista geologico e la sola equazione glaciazione/abbassamento del mare
che ha alimentato questi lavori è troppo semplicistica. Per altro, i dati paleogeograci
relativi all’Olocene e al Pleistocene Superiore devono essere usati con molta cautela
per dedurre la paleogeograa delle terre emerse durante i periodi più antichi, a causa
di una notevole instabilità del fondale marino che ha contraddistinto il Mediterraneo
occidentale n dalla formazione dell’appennino siculo.
LinEaMEnti strutturaLi E ConfiGurazionE DELLE tErrE nEL MEDitErranEo
oCCiDEntaLE DurantE iL nEoGEnE-quatErnario
Fin dal tardo Cenozoico il Mediterraneo occidentale ha una storia geodinamica
continua e intensa a causa del fatto che questa area è attraversata dal fronte collisio-
nale tra le placche Africana ed Eurasiatica. La Sicilia rappresenta oggi l’area emersa
dove le due placche sono collise nel periodo che va dal Miocene inferiore al Pliocene
inferiore. La sua struttura, costituita da tre unità (catena settentrionale, avanfossa di
Gela e Caltanissetta e avampaese Ibleo), è il risultato di questa convergenza tettoni-
Fig. 1. Mappa paleobatimetrica del Canale di Sicilia (Modicata da mappa batimetrica 1:250.000).
122 D. Petruso - V. Forgia - L. Sineo
ca. Di queste unità strutturali l’altopiano carbonatico ibleo, il settore sud-orientale
dell’isola, che riemerge per formare l’arcipelago Maltese, rappresenta il margine set-
tentrionale della placca africana e la regione di avampaese (la cosiddetta piattaforma
Ibleo - Maltese). La piattaforma sommersa raggiunge una profondità massima di 200
metri sotto l’attuale livello del mare ed è per lo più inferiore a 90 m di profondità.
Ad ovest, al di là del Canale di Sicilia, le rocce carbonatiche mioceniche continuano
nella piattaforma tunisina. La profondità del mare tra l’arcipelago maltese e il Nord
Africa è maggiore, a volte raggiungendo più di 1000 metri sotto l’attuale livello del
mare (Fig. 1). Le due piattaforme gemelle formano la regione Pelagia tra la Sicilia e
la Tunisia, troncata ad est dalla ripida scarpata abissale Siracuso - Maltese, lungo la
costa orientale della Sicilia nel mar Ionio (Fedele, 1988).
Nel Neogene e nel Quaternario la paleogeograa del Mediterraneo centrale ha
subito una trasformazione radicale, legata all’apertura del bacino tirrenico e alla
formazione dei fronti di accavallamento della catena appenninica e al successivo
sollevamento differenziale. In particolare, durante l’Oligo-Miocene e nel Pliocene
inferiore la tettonica di grande scala, soprattutto di tipo traslazionale, combinata con
le uttuazioni eustatiche di ordine medio - alto hanno svolto il ruolo principale mo-
dicando la geograa delle terre emerse, attraverso la creazione e/o la distruzione
dei ponti di terra. Le mappe paleogeograche a piccola scala possono dare solo una
vaga idea della congurazione delle terre nel Mediterraneo durante il Paleogene. In
questo lasso di tempo la Sicilia non era ancora emersa e solo alcuni episodi continen-
tali sporadici documentano la sua temporanea emersione.
Durante il Pliocene-Quaternario la congurazione delle terre è stata controllata
dalla interazione tra la tettonica, soprattutto di sollevamento, e le uttuazioni gla-
cio - eustatiche (Masini et al., 2002a e 2002b). L’istituzione di un regime tettonico
estensionale che interessa la Sicilia dal Pliocene inferiore in poi segna il collasso delle
zone periferiche dell’isola che alla ne del Pleistocene Inferiore ha portato alla cre-
azione di una serie di profondi bacini marini (i bacini di avanfossa di Caltanissetta e
Castelvetrano), che hanno occupato vaste aree intorno e tra la catena settentrionale
parzialmente emersa e l’alto strutturale dell’altopiano ibleo (Fig. 2). Anche il vulcano
Etna non era ancora emerso essendo la sua attività vulcanica completamente sotto-
marina n da 700 mila anni fa (lave a cuscino di Acicastello) e l’area oggi compresa
nell’edicio vulcanico doveva apparire come un ampio golfo, probabilmente con-
nesso durante il Pleistocene Inferiore con il bacino di Gela da una via di passaggio
tra i due alti strutturali, dal mare Ionio al Canale di Sicilia (Fig. 2). La prima parte
del Pleistocene Medio è caratterizzata da una regressione generale del mare che in-
sieme alla continua tendenza al sollevamento può essere responsabile della ulteriore
emersione della catena settentrionale, dell’emersione di ampi settori dei bacini di
avanfossa e dell’espansione dell’altopiano Ibleo-Maltese (Agnesi et al., 1998). I set-
tori sud-occidentali dell’isola (Capo Bianco, Selinunte, Mazara del Vallo, Marsala) e la
Piana di Catania, sono invece stati sommersi (Ghisetti e Vezzani, 1982).
Anche se i settori settentrionali e centrali dell’isola erano per la maggior parte emer-
123Il popolamento umano della Sicilia: una revisione interdisciplinare
si nel corso del Pleistocene, le zone costiere sono state oggetto di più ampie e signi-
cative uttuazioni del livello del mare che in alcuni casi ha raggiunto anche i settori
interni formando ampi terrazzi marini i cui lembi residui sono riconoscibili lungo le
coste del trapanese, dell’agrigentino e sugli Iblei (Carbone et al., 1982; Bonomo et
al., 1996). La ricostruzione delle più recenti linee di costa del Quaternario è stata re-
centemente proposta sulla base di dati geomorfologici e paleontologico-stratigraci
(Antonioli et al., 2006; Ferranti, 2006). Un altro ben documentato sollevamento tetto-
nico si verica all’inizio del Pleistocene Superiore dopo la fase di stazionamento alto
dell’ultimo interglaciale (Eemiano, sottostadio isotopico MIS5e) in quanto i depositi
delle superci di abrasione formatisi durante questa fase climatica si trovano ad altezze
molto differenti (da alcuni metri a 35 metri sul livello del mare attuale nel settore nord-
occidentale, mentre nel settore nord-orientale dell’isola l’innalzamento raggiunge circa
180 metri; Antonioli et al., 2006). Durante l’ultimo acme glaciale (tardo Wechseliano) la
piattaforma continentale si espande a sud rendendo possibile un collegamento emerso
con le isole maltesi. Anche le coste tra Mazara del Vallo e Sciacca si estendono verso
sud-ovest formando un vasto promontorio. L’attuale Canale di Sicilia riduce la propria
ampiezza a causa dell’aumentata prossimità tra le coste siciliane e del Nord Africa.
DinaMiChE uManE E faunistiChE nELLa siCiLia DEL quatErnario
La Sicilia è una entità geograca giovane poiché la sua storia continentale inizia,
dopo sporadiche e puntuali emersioni, molto tardi rispetto alla Sardegna e alla Pe-
Fig. 2. Ricostruzione paleogeograca della Sicilia durante il Pleistocene Inferiore (linea continua) e situazione delle coste
Eemiane conosciute (linea tratteggiata). Sicilia attuale (linea punteggiata). Modicata da Bonglio e Piperno (1996).
124 D. Petruso - V. Forgia - L. Sineo
nisola Italiana. Inoltre, la documentazione a mammiferi fossili è distribuita in modo
discontinuo nel tempo ed è caratterizzata da ampie lacune stratigrache.
Il record continentale inizia con il reperto puntuale di un terzo molare di un
mastodonte di piccola taglia nelle calcareniti costiere risalenti al Burdigaliano, recu-
perato vicino al paese di Burgio in provincia di Agrigento (Checchia Rispoli, 1914).
Questo ritrovamento è coevo con quello di un primo e di un secondo molare di
mastodonte provenienti da un livello fosfatico tra le arenarie inferiori e medie a
Globigerinae (di età Miocene inferiore) presso il sito di Kolla il Bajda vicino Malsal-
forno nell’isola di Gozo (Malta; Kotsakis, 1986a). Inoltre, la taglia di tali denti è circa
la stessa dei più piccoli esemplari di Gomphoterium angustidens provenienti da Gebel
Zelten (Libia). Tali ritrovamenti potrebbero suggerire che la Sicilia meridionale e l’ar-
cipelago Maltese fossero parte della piattaforma Nord Africana durante il Miocene
inferiore (Rook et al., 1995).
A parte questo rinvenimento puntuale la più antica associazione a mammiferi
proviene dalla Sicilia orientale. De Natale descrive, nella seconda parte del XIX se-
colo, alcuni depositi prossimi alla odierna città di Messina oggi cancellati dall’espan-
sione urbanistica della città. L’aforamento principale è quello di Gravitelli, mentre
un minor numero di reperti provengono da altre località quasi tutte costiere, come
Rometta, San Pier Niceto, Scirpi e Ritiro (quest’ultima trovata da Pata e Baldanza,
1947). Il materiale fossile, descritto e interpretato da Seguenza (1902, 1907) provie-
ne da Gravitelli ed è costituito da un deposito di lignite e argilliti lacustri seguito al
tetto dalle diatomiti del Messiniano (Tripoli) e dalle marne gessose della Formazione
“Gessoso-Solfera” siciliana; tale sovrapposizione stratigraca permette di ascrivere
i reperti a mammiferi fossili di Gravitelli al tardo Turoliano (MN 12-13). La fauna
(vedi Tabella 1) non è endemica e include taxa euro-asiatici (un mastodonte, un rino-
ceronte dubbio, una tigre dai denti a sciabola, un suide, due ienidi e un primate della
subfamiglia delle Colobinae; Rook, 1999), insieme a quelli africani (un rinoceronte,
un ippopotamo e un bovide; Thomas et al, 1982). Purtroppo la collezione di fossili
è andata distrutta durante il terremoto di Messina del 1908, di conseguenza le infor-
mazioni su questa fauna possono essere dedotte solo dalle descrizioni di Seguenza
(1902, 1907). L’unico materiale disponibile è comunque rappresentato da due calchi
del suide Propotamochoerus europaea conservati presso il Dipartimento di Scienze della
Terra dell’Università di Firenze (Gallai e Rook, 2006) e da un frammento di mascel-
lare di primate (Carnieri e Mallegni, 2003), di dubbia provenienza, acquisito tempo
addietro dal Museo G.G. Gemmellaro dell’Università di Palermo.
Seppur con notevoli incertezze dovute al fatto che è impossibile una revisione si-
stematica dei taxa di Gravitelli, è evidente l’importanza di questa associazione fauni-
stica e vale la pena di fare alcune considerazioni. La fauna è ben equilibrata essendo
composta da perissodattili e carnivori e sembra non endemica. Inoltre quasi tutti i
taxa hanno una origine europea e possono essere arrivati unicamente dalla Calabria.
Per quello che riguarda i taxa di origine africana, a parte il dubbio rinoceronte e il
bovide, i resti di ippopotamo sono abbondanti in tutti gli aforamenti e sono relativi
125Il popolamento umano della Sicilia: una revisione interdisciplinare
ad un ippopotamo africano esaprotodonte. Secondo Rook et al. (2000) la fauna di
Gravitelli sembra testimoniare l’esistenza di una paleo-bioprovincia Calabro – Pelo-
ritana non endemica durante il Miocene superiore. A sostegno di tale ipotesi si pone
il ritrovamento a Cessaniti (nei pressi di Vibo Valentia in Calabria), in un livello are-
nitico a Clypeaster di una ricca associazione a mammiferi composta da taxa africani.
Le afnità di questi taxa con quelli del Nord Africa e il loro carattere non endemico,
sottolineano chiaramente un collegamento diretto dell’arco Calabro-Peloritano con
il Nord Africa (Rook et al., 2006).
Dopo una grande lacuna stratigraca (che va dal tardo Messiniano al Pliocene su-
periore) il record a mammiferi fossili riprende nel Quaternario. La successione di fasi di
popolamento a mammiferi fossili Quaternari in Sicilia è organizzata in biocroni deno-
minati Complessi Faunistici (vedi Bonglio et al, 2002a; vedi Tabella 1), per sottolineare
l’eterogeneità che li contraddistingue in ambiente insulare. Tali Complessi sono distinti
per composizione faunistica e per grado di endemismo e corrispondono a differenti
eventi di dispersione di provenienza africana e/o europea, regolati da barriere ltranti di
diversa intensità. La variazione nella paleogeograa delle terre emerse causata dalla tet-
tonica e dai cicli glacio-eustatici ha controllato la modalità e la tempistica di dispersione
dei vertebrati in Sicilia durante il Pleistocene Medio e Superiore, attraverso collegamenti
temporanei via Stretto di Messina e istmo di Catanzaro (Calabria meridionale), che han-
no svolto un importante ruolo ltrante negli eventi di colonizzazione di Sicilia e Malta.
Il Complesso Faunistico di Monte Pellegrino è documentato solo in tre depo-
siti, aforanti a diverse quote, nell’area di Monte Pellegrino (Palermo). La fauna
scarsamente diversicata è composta principalmente da piccoli mammiferi (vedi Ta-
bella 1), alcuni dei quali sono fortemente endemici (un soricide, un topo, un ghiro
e uno ctenodactilide) e probabilmente sono i resti di una antica (forse relativa al
Messiniano?) e non nota fase di popolamento. A parte il genere Pellegrinia che mostra
caratteri derivati dallo stock africano di Ctenodactilidi (Thaler, 1972), la provenien-
za geograca degli altri taxa è controversa perché hanno antenati plausibili sia in
Europa che in Africa. I taxa con caratteristiche moderatamente endemiche come
il leporide (Fladerer e Fiore, 2002), la lontra (Burgio e Fiore, 1997) e il castoro (Di
Patti, Museo G.G. Gemmellaro di Palermo, comunicazione personale, dati in via di
pubblicazione), hanno una sicura origine europea. Di conseguenza è probabile che la
dispersione di provenienza europea abbia seguito quella africana. Sia i dati sistematici
che geologici (relativi all’arco Calabro-Peloritano) rivelano con una certa afdabilità
che i taxa europei non siano arrivati prima del Pleistocene Inferiore.
Le antiche testimonianze di un popolamento umano nel Paleolitico inferiore
sull’isola devono essere ricercate in concomitanza con il successivo Complesso Fau-
nistico a Palaeoloxodon falconeri. Il complesso è povero in termini di biodiversità dei
mammiferi. Depositi che documentano tale biocrono hanno una distribuzione non
uniforme e sono concentrati nei settori nord-occidentali (catene montuose di Pa-
lermo e Trapani) e sud-orientale (Plateau Ibleo) dell’isola. Il metodo di datazione
assoluta applicata allo smalto dei denti dell’elefante nano Palaeoloxodon falconeri ha
126 D. Petruso - V. Forgia - L. Sineo
restituito un’età di 455.000 ± 90,000 anni BP (Bada et al., 1991). L’età relativa dei
depositi contenenti tale associazione faunistica, provenienti dalla Sicilia orientale (da
Comiso, Ragusa; Bonglio e Insacco, 1992) e dalla Sicilia occidentale (dalla Penisola
di San Vito lo Capo, Trapani; Di Maggio et al., 1999), confermano l’età assoluta rife-
rendo il Complesso Faunistico al primo Pleistocene Medio. L’associazione è molto
sbilanciata poiché comprende prevalentemente piccoli mammiferi, un elefante nano
e un piccolo carnivoro (Tab. 1). Il toporagno Crocidura esuae è un endemita di origine
biogeograca incerta, di afnità africana o europea (Kotsakis, 1986b). I Gliridi sono
presenti con tre specie (la forma gigante Leithia melitensis, l’intermedia Leithia cartei e
la piccola Maltamys gollcheri), quest’ultimo probabilmente un discendente del ghiro di
Monte Pellegrino (Petruso, 2003). I grandi mammiferi includono l’elefante pigmeo
Palaeoloxodon falconeri, fortemente ridotto nelle dimensioni, e un membro dei Lutrinae
(Nesolutra trinacriae, Burgio e Fiore, 1988). La presenza di un piccolo orso e di una
volpe è considerata incerta. Un altro taxon tipico dell’associazione è una tartaruga
gigante in fase di revisione attribuita alla sottofamiglia Testudininei indet. (Delno,
2002). Sia la discendenza che la provenienza geograca (africana o euro-asiatica) di
P. falconeri è ancora in discussione (Palombo, 2001); infatti a causa dell’estremo gra-
do di nanismo del taxon non è stato ancora trovato l’antenato di “taglia normale”.
Alcuni autori considerano una sua derivazione da popolazioni di P. antiquus prove-
nienti dalla penisola italiana, mentre altri sostengono la possibilità di una dispersio-
ne di provenienza africana attraverso l’istmo siculo-tunisino (Bonglio e Piperno,
1996). Altri dati relativi alla provenienza geograca di questa fauna provengono dalla
revisione della tartaruga, poiché l’area di origine di questo taxon potrebbe essere
l’Africa del Nord dove le tartarughe terrestri sono documentate nel Quaternario di
Algeria ed Egitto (Lapparent de Broin, 2000). Inoltre, taxa prossimi a questo gigante
fossile di tartaruga sono stati descritti per l’isola di Malta (Adams Leith, 1887). La
composizione di questo Complesso Faunistico rivela un’origine polifasica; un taxon
probabilmente è un relitto dalla fase precedente (il ghiro Maltamys), mentre gli altri
sono nuovi arrivati probabilmente dispersi sull’isola attraverso una forte barriera
ltrante. La bassa diversità dell’associazione e la discontinua distribuzione geograca
dei depositi che la contengono, indica che il sistema insulare doveva essere costituito
da isolotti geogracamente molto isolati, con collegamenti molto difcili e sporadici
con la terraferma (Bonglio, 1992; Bonglio et al., 2002b). Inoltre il rinvenimento
nel settore sud-orientale di Malta (siti di Mnajdra e Benghisa Gap e di Maghlaq) di
una associazione faunistica coeva composta dall’elefante nano, dalla tartaruga e da
ghiri giganti, testimonia che la congurazione delle terre emerse durante il Pleisto-
cene Inferiore-primo Pleistocene Medio potrebbe aver formato il cosiddetto paleo-
arcipelago siculo-maltese.
I primi discutibili rinvenimenti di manufatti litici umani e, quindi, di testimonianze
indirette del più antico arrivo dell’uomo in Sicilia attribuiti tipologicamente al Paleolitico
inferiore e, quindi, al Pleistocene Medio dovrebbero trovarsi in associazione con la fau-
na del Complesso faunistico a P. falconeri. Tali rinvenimenti si devono sfortunatamente
127Il popolamento umano della Sicilia: una revisione interdisciplinare
tutti a recuperi di supercie e, quindi, fuori da un contesto stratigraco che avrebbe
potuto vederli in associazione con tali mammiferi fossili; tale associazione, fornendo
una datazione relativa, potrebbe essere da sostegno o diniego a tale attribuzione tipo-
logica e fornire nalmente una prova, pro o contro un effettivo popolamento precoce
della Sicilia, nell’ambito di quel dibattito che vede schierati, n dagli anni Sessanta, su
diverse posizioni, studiosi e paletnologi (Bianchini, 1969; 1971 e 1972; Radmilli, 1978
e 1985; Segre et al., 1982; Tusa, 1992; Piperno, 1997; Villa, 2001; Martini, 2003) tra chi
nega o appoggia la possibilità di una presenza pre-Epigravettiana sull’isola.
Antichi complessi litici, dubitativamente rappresentati da una tecnologia tipo Modo
1, sono stati identicati e descritti da diversi autori. Biddittu e Piperno (1972) durante
ricognizioni di supercie sui terrazzi marini Quaternari del sud della costa siciliana nei
pressi di Agrigento, hanno rinvenuto utensili in calcare e quarzite in località Bertolino
di Mare (tra Sciacca e Men) e degli strumenti in quarzite in Contrada Cavarretto.
Anche se non è stata rinvenuta fauna fossile associata a questi strumenti è opportuno
sottolineare che essi sono stati trovati sulla supercie di abrasione di primo ordine il
cosiddetto Grande Terrazzo Superiore (GTS, Ruggeri e Unti, 1974), riferito al Pleisto-
cene Medio. La supercie di abrasione ha una leggera pendenza di 5 gradi e raggiunge
l’altezza di 500 metri sui settori occidentali, coprendo un’area enorme da Trapani a
Men (Bonomo et al., 1996). Questa supercie terrazzata taglia le cosiddette Calcare-
niti di Marsala (Pleistocene Inferiore, Siciliano; Ruggieri et al., 1975), che a loro volta
sono ricoperte da un paleosuolo conseguente ad una fase di emersione. Inoltre, Tusa
(1990) ha trovato, nello stesso contesto terrazzato tra Trapani e Marsala (siti di Guar-
rato, Granatello e Marausa), altri strumenti su ciottolo, realizzati a partire dagli stessi
ciottoli quarzosi recuperati nel paleosuolo, provenienti dall’erosione del vicino ume.
Bianchini (1969, 1971 e 1972) riferisce di scoperte simili generalmente anch’esse
fuori contesto stratigraco, e per gran parte non associate a fauna fossile, tra Real-
monte e Palma di Montechiaro, nella zona di Agrigento. Segnala inoltre che Mascle
ha individuato nei terrazzi Quaternari aforanti a Capo Rossello e Casa Biondi, al-
meno due importanti fasi di stazionamento alto del livello marino: la fase più antica
dovrebbe essere pertinente ad una spiaggia del Calabriano (inizio Pleistocene Me-
dio), individuata tra i 65 e i 70 m sopra il livello del mare attuale; mentre la fase più
recente dovrebbe aver causato un evento erosivo continentale identicato a circa
130 m sopra il livello del mare attuale, lungo la cosiddetta supercie “Magaggiari”.
La supercie più recente è ricca di ciottoli probabilmente utilizzati come materia
prima per l’industria rinvenuta in situ sulla spiaggia Calabriana (Bianchini, 1971).
Anche il popolamento faunistico successivo reca testimonianze indirette di una
presenza umana precoce relativa al tardo Pleistocene Medio. Presso Mandrascava
vicino Agrigento ad una quota di 40 metri sopra il livello del mare, sono stati infatti
raccolti un frammento di tronco fossile di Quercus sp., un molare di elefante (appar-
tenente a P. mnaidriensis) e due amigdale (Bianchini e Mascle, 1971).
Il Complesso faunistico a Palaeoloxodon mnaidriensis è profondamente rinnova-
to rispetto al precedente biocrono. L’elefante pigmeo P. falconeri si estingue ed è
128 D. Petruso - V. Forgia - L. Sineo
sostituito da P. mnaidriensis di maggiori dimensioni, il cui probabile antenato (P.
antiquus leonardii) è stato trovato nelle calcareniti marine del sottosuolo di Via Li-
bertà (all’interno della città di Palermo). L’età assoluta dei fossili dell’associazione
è stata studiata sullo smalto dei denti dell’elefante suddetto e di resti di ippopotami
e hanno restituito un’età di 200.000 ± 40,000 anni BP (AAR; Bada et al., 1991) e
146.000 ± 28,000 anni BP (RSA, Rhodes, 1996), mentre l’elefante di Via Libertà
risalirebbe a circa 440.000 BP (AAR; Bada et al, 1991). I dati relativi sia nel set-
tore orientale (da Contrada Fusco, Siracusa; Chilardi et. al., 1996) che in quello
occidentale (dalla Penisola di San Vito lo Capo, Trapani; Di Maggio et al., 1999)
dell’isola, sono congruenti con l’età numerica riferendo il Complesso faunistico a
P. mnaidriensis all’intervallo tardo Pleistocene Medio-primo Pleistocene Superiore
(Fig. 3). La composizione dell’associazione a grandi mammiferi è più equilibrata
rispetto al complesso precedente essendo costituita da diversi carnivori, tra cui
grandi predatori come la iena maculata delle caverne ed il leone, e da svariati taxa
erbivori (elefanti, bisonti, uri, daini, cervi, cinghiali, ippopotami) che, a parte l’e-
lefante, sono moderatamente modicati rispetto ai taxa conspecici/congenerici
della penisola italiana. In particolare, l’uro, il cervo rosso ed il bisonte sono solo
leggermente endemici come mostrato dalla modesta riduzione della taglia tanto
da essere considerati sottospecie geograche (Gliozzi e Malatesta, 1984; Gliozzi
et al., 1993; Abbazzi et al., 2001). L’associazione a piccoli mammiferi è composta
invece dai sopravvissuti del Complesso faunistico precedente (ghiri e toporagno in
Tabella 1). Le caratteristiche dell’associazione suggeriscono che la fauna a grandi
mammiferi si sia dispersa dalla penisola italiana attraverso una sorta di barriera
ltrante rappresentata da fondali parzialmente emersi o da un sistema lagunare
paludoso, che probabilmente ha impedito ai piccoli mammiferi l’ingresso sull’isola.
Fig. 3. Schema Climato-cronologico del Quaternario superiore modicato da Ravazzi (2003).
129Il popolamento umano della Sicilia: una revisione interdisciplinare
Rari ussi umani avrebbero potuto attraversare questo ipotetico ltro naturale,
come potrebbero testimoniare complessi litici attribuibili al Paleolitico inferiore
sparsi lungo tutta l’isola. Sul terrazzo uviale del Fiume Grande a Salemi, Venezia
e Lentini (1994) riportano la scoperta di alcuni complessi litici (principalmente in
quarzite) da tre siti (Bovara, Fiume Grande, Carnemolla). Questi complessi, fuori
dal contesto stratigraco, sono strumenti su ciottolo, discoidi e schegge ritoccate.
Nei siti di Bovara e Fiume Grande (vicino a “Fattoria Salvo” - Accardo, 1997) sono
anche stati raccolti frammenti fossili di una mandibola di elefante e una zanna
probabilmente appartenenti all’elefante di dimensioni medie P. mnaidriensis. Inol-
tre ci sono molte segnalazioni di industrie litiche provenienti da campionamenti
di supercie sui terrazzi uviali del ume Simeto (settore nord-occidentale della
piana di Catania), relativi a un orizzonte Clactoniano (Bagnone, 1981; Revedin,
1984; Broglio et al., 1992). Il caso del bacino Simeto e dei suoi dintorni, nell’area
vulcanica Etnea, deve essere analizzato tenendo conto dei dati sulla formazione
del vulcano emerso che è relativamente giovane. All’interno dell’area sono stati
individuati almeno tre ordini di terrazzi (Chester e Duncan, 1982), il più antico dei
quali potrebbe essere attribuito ad una fase di stazionamento alto del Pleistocene
Medio (tra i 400 ka e i 300 ka), il secondo si sarebbe formato tra 230 ka e 65 ka, e
l’ultimo dovrebbe essere attribuito al Pleistocene Superiore (65 ka - 10 ka). I ma-
nufatti di alcuni di questi siti (Poggio Monaco e Stimpato 8) sono stati individuati
sul terrazzo più antico (Piperno, 1997).
Su un terrazzo uvio-marino vicino alla cittadina di Termini Imerese (Palermo),
un complesso litico in quarzite è stato scoperto nel 1957 da Meli all’interno di una
successione stratigraca Pleistocenica, la cosiddetta sezione Giancaniglia, esposta sul
versante nord del terrazzo uviale del ume San Leonardo. L’Autore ha confrontato
tale successione con quella, che considerava coeva, aforante vicino a Buonfornello
(sito di Lista Pirrone, Ciofalo e Battaglia, 1888, De Gregorio, 1924), dove sono stati
trovati resti di ippopotamo (conservati, in gran parte, presso il Museo Civico Baldassare
Romano di Termini Imerese ma anche presso il Museo Minà Palumbo di Castelbuono),
ma nessun manufatto litico (Meli, 1961). Una recente indagine archeologica portata
avanti nella stessa sezione Giancaniglia, già indagata da Meli, ha reso possibile la sco-
perta di un femore fossile di un elefante di medie dimensioni P. mnaidriensis, ma non
ha documentato la presenza di altri manufatti litici (Forgia, 2009). Questo dato sot-
tolinea l’importanza della prosecuzione delle indagini, come della datazione del resto
fossile che potrebbe vincolare a livello temporale un ulteriore rinvenimento di indu-
strie litiche, confermando, eventualmente, l’intuizione del Meli. Inne, il ritrovamento
proveniente da Grotta Emiliana (Trapani) di ossa fossili di ippopotamo (pertinenti
all’associazione del Complesso Faunistico a P. mnaidriensis) prive però di tracce di ma-
cellazione, in associazione con 3 beccucci su ciottoli di calcare selcioso, un probabile
nucleo da schegge su ciottolo di calcare selcioso e un frammento di scheggia in selce
pseudo-Levallois (Chilardi et al., 2012), potrebbero fornire un’ulteriore testimonianza
a favore di un popolamento pleistocenico dell’area.
130 D. Petruso - V. Forgia - L. Sineo
Associazioni
faunistiche
Taxa Caratteristiche
dell’associazione
Complesso faunistico
di Castello
Canis lupus
Vulpes vulpes
Equus hydruntinus
Cervus elaphus
Bos primigenius
Sus scrofa
Erinaceus europaeus
Crocidura cf. sicula
Microtus (Terricola) cf. savii
Apodemus cf. sylvaticus
Lepus europaeus vel corsicanus
Associazione non endemica.
Diffusione dell’uomo.
Età relativa: tardo
Pleistocene Superiore
(Wechseliano superiore).
Età assoluta: da 13.760±330
B.P. a 10.370±100 (Bonglio
e Piperno, 1996)
Complesso faunistico
Grotta di San
Teodoro- Contrada
Pianetti
Crocuta crocuta spelaea
Canis cf. lupus
Vulpes vulpes
Ursus cf. arctos
Equus hydruntinus
Paleoloxodon mnaidriensis
Cervus elaphus siciliae
Bison priscus siciliae
Bos primigenius siciliae
Sus scrofa
Erinaceus europaeus
Crocidura cf. sicula
Microtus (Terricola) ex gr. savii
Apodemus cf. sylvaticus
Associazione a ridotto
o nullo endemismo.
Estinzione dei piccoli
mammiferi endemici e di
alcuni grandi mammiferi del
CF precedente.
Età relativa: tardo
Pleistocene Superiore
(Wechseliano medio)
Complesso faunistico
a Paleoloxodon
mnaidriensis
Panthera leo spelaea
Crocuta crocuta cf. spelaea
Canis lupus
Ursus cf. arctos
Lutra trinacriae
Paleoloxodon mnaidriensis
Hippopotamus pentlandi
Dama carburangelensis
Cervus elaphus siciliae
Bos primigenius siciliae
Sus scrofa
Crocidura aff. esuae
Leithia cf. melitensis
Maltamys cf. wiedincitensis
Endemismo moderato dei
grandi mammiferi derivati
da eventi dispersivi dalla
Calabria meridionale; i
piccoli mammiferi sono
endemiti sopravvissuti dal
precedente CF.
Età relativa: tardo
Pleistocene Medio- primo
Pleistocene Superiore.
Età assoluta: 200.000±
40.000 anni da oggi (Bada et
al., 1991); 146.000±28.000
e 170.000 anni da oggi
(Rhodes, 1996)
Tab. 1. Schema biocronologico Siciliano che riporta la composizione faunistica, le caratteristiche dell’associazione e le datazioni
assolute ad oggi disponibili dei 5 Complessi faunistici siciliani e delle faune più antiche (Modicato da Bonglio et al., 2001)
131Il popolamento umano della Sicilia: una revisione interdisciplinare
Complesso faunistico
a Paleoloxodon falconeri
Ursus sp. ?
Vulpes sp. ?
Lutra trinacriae
Paleoloxodon falconeri
Crocidura esuae
Leithia melitensis
Leithia cartei
Maltamys gollcheri
Associazione fortemente
endemica ad elefanti nani e
ghiri giganti.
Età relativa: primo
Pleistocene Medio.
Età assoluta:
455.000±90.000 anni da
oggi (Bada et al., 1991)
Complesso faunistico
di Monte Pellegrino
Pannonictis arzilla
Asoriculus burgioi
Apodemus maximus
Maltamys n. sp.
Pellegrinia panormensis
Hypolagus peregrinus
Castor sp.
Taxa fortemente endemici
associati ad altri a ridotto
endemismo. Dispersioni
polifasiche da Africa ed
Europa.
Età relativa: Pleistocene
Inferiore
Associazione di
Gravitelli
Zygolophodon cfr. turicensis ?
Dicerorhinus sp.
Mesopithecus monspessulanus
Machairodus ogygia
Propotamochoerus sp.
Ictitherium hipparionum
Ictitherium orbignyi
Diceros aff. pachygnatus
Hexaprotodon
Reduncinae indet.
Taxa continentali di origine
europea ed africana.
Età relative: tardo Turoliano
(MN12-13)
Resto fossile di
Burgio
Gomphoterium angustidens Taxon africano di piccola
taglia.
Età relativa: Burdigaliano
inferiore
Una ipotetica tecnologia di Modo 2 è rappresentata da pochi bifacciali, prove-
nienti dal bacino del ume Platani, nel territorio di Agrigento: due provenienti dal
letto del ume e quattro vicino alla foce. Le prime notizie sulla presenza in Sicilia
di industrie bifacciali Paleolitiche (due manufatti da Eraclea Minoa) è stata data da
Meli (1961). Un altro bifacciale, ricavato da un ciottolo di quarzite (comune tra il
materiale alluvionale del ume), è stato scoperto nella zona di San Giovanni Ge-
mini (Contrada Rocca del Vruaro) in un livello di sabbia rossa contenente anche
resti di grandi mammiferi in cattivo stato di conservazione. Questo signicativo
strumento è stato raccolto da Bianchini (1971, 1972) e B. Arezzo (comunicazione
personale) ed è attualmente esposto presso il Museo Regionale di Agrigento, men-
tre una copia è esposta al Musée de l’Homme di Parigi. Un ulteriore strumento
descritto come una piccola amigdala proveniente dalla Diga del Leone, vicino a
Santo Stefano di Quisquina, è stato anch’esso raccolto da Bianchini (1971, 1972).
132 D. Petruso - V. Forgia - L. Sineo
Un’altra amigdala, donata dal barone Tulumello di Racalmuto intorno al 1930, ed
esposta al Museo Regionale di Agrigento, proviene dal territorio di Realmonte, ma
senza una indicazione più circostanziata. Un ultimo esemplare è stato recuperato
nella zona di Eraclea Minoa da De Miro (1967) ed è stato descritto da Graziosi
(1968).
Il principale problema interpretativo risiede nel fatto che in Sicilia, la tradizione
campignana, molto comune dal tardo Neolitico e soprattutto durante l’Età del Rame
e del Bronzo (Nicoletti, 1996), può essere problematicamente associata ai presunti
manufatti del Paleolitico inferiore. Al contrario, la presenza di bifacciali, non sempre
facilmente associati con manufatti campignani, e la probabile associazione di fauna
Pleistocenica con strumenti paleolitici sopra terrazzi alluvionali Quaternari, sono
elementi nella direzione di una presenza umana, anche se labile, sul sistema insulare,
almeno durante alcuni periodi limitati, quando le condizioni ambientali e paleogeo-
grache erano favorevoli.
Lo scenario si presenta quindi molto interessante ma complesso. Quello che
manca, oltre alla contestualizzazione stratigraca di queste industrie, è il reperto
umano. A ben guardare gli studi che si sono occupati della prima preistoria siciliana
sono molto scarsi e non c’è ad oggi uno studio sistematico del territorio che per-
metta di escludere la presenza di Homo, anche in assenza di evidenze. Certamente
la aleatorietà di una contestualizzazione di resti faunistici e industrie e la completa
assenza di reperti scheletrici umani, pesano molto sull’ipotesi iniziale e sulla sua so-
stenibilità: i cacciatori-raccoglitori utilizzando le stesse vie di percorrenza delle faune
hanno potenzialmente abitato, seppur in modo sporadico l’isola, sin dal Pleistocene
Inferiore-Medio.
Per avere contezza e contestualizzazione del reperto umano bisogna attendere
l’Epigravettiano nale.
Homo sapiens, contrariamente alle ipotesi iniziali sulle dinamiche dell’Out of Afri-
ca, entra tardivamente in Europa continentale, circa 40 mila anni fa, dando inizio a
quella che i paletnologi chiamano la Fase arcaica del Paleolitico superiore.
Homo sapiens, oltre ai limiti ecologici alla sua distribuzione ha anche dei limiti geo-
graci determinati dalla catena alpina, dai tratti appenninici impervi e da tratti di mare
particolarmente impegnativi e profondi. Così come avvenuto per H. neanderthalensis
la sua espansione verso una invitante Sicilia è bloccata dalla non percorribilità dello
stretto. Il popolamento umano recente della Sicilia interviene quindi solo nel tardo We-
chseliano, quando una o più dorsali emerse consentono un comodo percorso a faune
ed uomini verso l’isola, provenendo dalla costa continentale (Incarbona et al., 2010a
e 2010b), dinamiche queste da tempo dibattute e riproposte (Antonioli et al., 2014).
Per l’isolamento geograco l’isola non ospiterebbe testimonianze della fase me-
dia del Paleolitico superiore, il cosiddetto Gravettiano. In accordo a questa ipotesi,
sebbene si sia discusso addirittura di un precedente popolamento Aurignaziano per
il sito di Fontana Nuova, nel ragusano (presenza sempre più messa in dubbio grazie
ai risultati di recenti indagini; Lo Vetro e Martini, 2012) e che indicherebbe un primo
133Il popolamento umano della Sicilia: una revisione interdisciplinare
popolamento di sapiens non consolidato, in associazione a più circostanziati movi-
menti faunistici (E. hydruntinus), la presenza di sapiens in Sicilia è certa solo a partire
dal tardo Pleistocene Superiore. Le datazioni assolute (AMS14C) su ossa umane
indicano ad oggi il sito più antico in Addaura Caprara (Palermo, Monte Pellegrino),
datato a 16.060-15.007 (calibrata – BP) (Mannino et al., 2011) mentre il sito no ad
oggi più signicativo, S. Teodoro Acquedolci, ha una datazione di circa 14.500 anni
(D’Amore et al., 2009; Incarbona et al., 2010a e 2010b; 15.232-14.126 calibrata BP,
Mannino et al., 2011). L’espansione del sapiens nell’isola interviene durante le alter-
nanze climatiche del Bølling-Allerød (uttuazione calda) e Younger Dryas (uttua-
zione fredda) (Incarbona et al., 2010a e 2010b).
Allo stato attuale delle ricerche, Homo in questa fase iniziale sembra prediligere
grotte e zone costiere, ma la sua esplorazione ha certamente interessato anche le
zone interne e i rilievi, così come notato, già a suo tempo, da Vaufrey (1929) e come
recentemente ribadito in occasione di indagini più recenti (Martini et al., 2007).
Le indagini multivariate di caratteristiche craniche dei cacciatori-raccoglitori pa-
leolitici dell’isola indica un continuum morfologico con i Magdaleniani dell’Europa
continentale, suggerendo una penetrazione ed una dispersione in Italia e in Sicilia di
genti omogenee o comunque non efcacemente isolate e non chiaramente discrimi-
nabili da un punto di vista morfologico (D’Amore et al., 2009). Per cercare di supe-
Fig. 4. Carta paleogeograca della Sicilia durante il Pleistocene Medio con la localizzazione geo-referenziata dei
principali siti a mammiferi fossili e siti archeologici. La linea continua rappresenta la ricostruzione della linea di costa
nel Pleistocene Medio (modicata da Archivio fotograco del Museo G.G. Gemmellaro di Palermo), mentre la linea
spezzata indica la line di costa dell’attuale Sicilia.
134 D. Petruso - V. Forgia - L. Sineo
rare questo limite, di recente si è cominciato uno screening di paleogenetica su diversi
campioni umani rappresentativi del periodo. Una recente indagine ha, a questo pro-
posito, individuato, in un reperto Mesolitico di Grotta d’Oriente (Favignana, Egadi),
l’aplotipo mitocondriale HV-1, che si presume di provenienza orientale, comparso
attorno ai 56 mila anni e rintracciabile no al Tardiglaciale (Mannino et al., 2012).
DisCussionE
Questo lavoro è una ragionata e aggiornata sintesi multidisciplinare della più an-
tica Preistoria di Sicilia in cui gli autori hanno esaminato i dati disponibili scevri dai
pregiudizi che negli ultimi 30 anni hanno, in un certo modo, limitato un adeguato
approccio all’interpretazione dell’argomento. Abbiamo esaminato tutti i dati dispo-
nibili provenienti da campi diversi relativamente alla dibattuta questione di un popo-
lamento umano durante il Pleistocene Inferiore in Sicilia. Inoltre, in confronto con
gli approcci tradizionali, il lavoro discute di nuovi dati come la recente datazione as-
soluta di alcuni siti archeologici e alcune valutazioni craniometriche e morfologiche
dei più recenti esseri umani del Pleistocene. Questo lavoro vuole evidenziare quanto
la mancanza di evidenze sia archeologiche che geologico-stratigrache e di sintesi
abbiano creato terreno fertile per lo sviluppo di diverse posizioni pregiudiziali. Le
evidenze archeologiche sono carenti a causa di due fattori quali la dubbia originalità
dei manufatti litici e la possibile esistenza di terre emerse quando e dove i manufatti
sono stati recuperati. Infatti, uno dei più grandi limiti di questa argomentazione
è stata la non applicazione di un approccio tipologico rigoroso che porti a datare
relativamente tali manufatti al Pleistocene Inferiore. In considerazione delle attuali
ricostruzioni paleogeograche della Sicilia, una buona quantità di queste evidenze
sono geo-referenziate in aree che a quel tempo erano sommerse. Questo fatto ha
generalmente troncato tutte le possibili discussioni sulla originalità di tali manufatti,
dando alle ricostruzioni paleogeograche empiriche un valore eccessivo. La situazio-
ne cambia drasticamente se si usa una ricostruzione paleogeograca del Pleistocene
Medio (quando la linea di costa era più simile a quella esistente) come base per le
località geo-referenziate recanti evidenze faunistiche e umane, come è illustrato in
Figura 4. La ricostruzione qui proposta non è mai stata tentata prima e costituisce, a
nostro avviso, una base coerente per un ulteriore dibattito.
Vale la pena ricordare che le associazioni di industrie siciliane sono considerate da
molti come peculiari e che quindi la loro rigida attribuzione a determinate fasi cultu-
rali, note in Italia peninsulare e in Europa occidentale, non è applicabile in termini
così rigorosi. In termini generali occorre tenere presente che tali peculiarità possono
rappresentare ritardi o anticipazioni di una determinata tecnica, dovute a circostanze
ambientali e/o culturali come diverse soluzioni ergonomiche o l’importazione di
una tecnica per contatto culturale. Un’altra problematica che aumenta la complessità
della questione, è che le industrie litiche raccolte durante le ricognizioni di supercie
135Il popolamento umano della Sicilia: una revisione interdisciplinare
(per lo più nei settori sud-occidentali e occidentali della Sicilia) sono troppo spesso
facilmente associate ad una industria Campignana che caratterizza l’Olocene recente,
ma che in alcune occasioni potrebbero appartenere al Modo 1.
Anche l’approccio alla questione di un popolamento umano precoce è in gran
parte condizionato dalle ricostruzioni paleogeograche e paleobiogeograche. La
presenza sull’isola di faune continentali è motivo di speculazione se si considera la
forte relazione tra i cacciatori e i grandi mammiferi erbivori. Inoltre, le migrazio-
ni faunistiche necessitano di un substrato sico che deve essere conseguentemente
utilizzato da eventuali ussi umani. Tutto questo dibattito soffre di una cronica e
paradigmatica mancanza di documentazione fossile umana, frutto della esiguità dei
gruppi umani e di una ricerca non sistemica sul territorio.
I dati paleontologici mostrano un panorama in cui il primo popolamento faunistico
(il record puntuale Neogenico e il Complesso Faunistico di Monte Pellegrino del Plei-
stocene Inferiore) ha un carattere polifasico con elementi faunistici di provenienza afri-
cana ed europea non escludendo un doppio percorso di dispersione (da sud e nord).
Dal punto di vista ecologico, in termini di capacità portante, gli esseri umani sarebbero
arrivati in Sicilia, in stretta congiunzione con la dispersione delle faune del Complesso
Faunistico a P. mnaidriensis, poiché queste sono per lo più simili ai taxa conspecici/
congenerici peninsulari, nel corso di una fase di stazionamento basso del livello marino
del Pleistocene Medio. I dati geologici e geomorfologici permettono di asserire che
solo nel tardo Wechseliano (tardo Pleistocene Superiore) l’isola era completamente
connessa attraverso un ponte di terra. Purtroppo le ricostruzioni di più antichi scenari
sono altamente speculativi a causa del fatto che la geodinamica del Mediterraneo occi-
dentale è stato molto attiva durante l’intero Pleistocene.
Autore corrispondente: daria.petruso@unipa.it
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