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Studio prospettico multicentrico su 2707 impianti a connessione conometrica

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Scopo del lavoro: questo studio prospettico ha valutato la sopravvivenza e il successo implanto-protesico di 2707 impianti a connessione conometrica. Materiali e Metodi: 2707 impianti (Sistema Implantare Leone®, Sesto Fiorentino) sono stati inseriti in 973 pazienti, dal gennaio 2003 fino al dicembre 2009, in 6 diversi centri odontoiatrici. In ciascuna delle visite di controllo annuali erano valutati parametri clinici, radiografici e protesici. I criteri di successo implanto-protesico prevedevano l’assenza di dolore, suppurazione e mobilità clinica, DIB < 2,0 mm dal momento della chirurgia, l’assenza di complicanze protesiche all’interfaccia tra moncone e impianto. I restauri protesici comprendevano 476 protesi fisse parziali, 590 corone singole, 64 arcate fisse e 101 overdentures con barra. Risultati: la sopravvivenza cumulativa era del 97,9% (rispettivamente del 97,0% nel mascellare superiore e del 98,7% nella mandibola). Il successo implanto-protesico era del 92,7%. Rare erano le complicazioni protesiche a carico dell’interfaccia tra moncone e impianto (0,15%). Il valore DIB medio a 6 anni era di 1,10 mm (± 0,30 mm). Conclusioni: gli impianti a connessione conometrica rappresentano una valida soluzione per la riabilitazione protesica di arcate parzialmente e completamente edentule. L’elevata stabilità della connessione conometrica riduce la frequenza di complicazioni protesiche. L’assenza di spazi tra moncone e impianto (microgap) riduce il rischio di colonizzazione batterica, potenzialmente associata a riassorbimento osseo marginale. Il profilo di emergenza del moncone, compatibile con il moderno concetto di “spostamento della piattaforma” permette la formazione di un adeguato sigillo mucoso, prevenendo il riassorbimento osseo crestale
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INTRODUZIONE
Gli impianti dentali rappresentano ormai una
soluzione predicibile e di successo per la riabilita-
zione di arcate parzialmente o completamente
edentule, con oltre 30 anni di evidenza scientifica
ed eccellenti risultati a lungo termine1-4. Tuttavia,
la stabilità della connessione tra moncone e im-
pianto è un aspetto di primaria importanza nella
moderna implantologia5e le problematiche a ca-
rico della stessa rimangono in parte irrisolte6. Al
momento, i sistemi più comunemente utilizzati
per la solidarizzazione del moncone protesico al-
l’impianto prevedono l’interposizione di una vite di
connessione. In questi sistemi, l’efficacia della so-
lidarizzazione dipende dal precarico sulla vite di
connessione, che è generato applicando un de-
terminato torque di avvitamento al momento del
posizionamento della stessa6-7. Il mantenimento
dell’avvitamento è possibile quando la forza eser-
citata dalla vite di connessione è in grado di su-
perare il complesso di forze dislocanti generate
dall’occlusione8. Tuttavia, come inequivocabil-
mente dimostrato, l’azione costante e ripetuta di
carichi occlusali eccentrici può determinare lo svi-
tamento della vite di connessione, e può inoltre,
sommandosi al precarico di avvitamento, deter-
minare una vera e propria deformazione plastica
della stessa6-10. La conseguenza immediata di que-
sti fenomeni è l’insorgenza di complicanze mec-
Implantologia 2010; 2: XX-XX
Studio prospettico multicentrico
su 2707 impianti a connessione
conometrica
PAROLE CHIAVE:
Connessione moncone-impianto, Connessione conometrica, Stabilità meccanica,
Microgap, Spostamento della piattaforma (Platform switching).
Scopo del lavoro: questo studio prospettico ha valutato la sopravvivenza e il successo implanto-pro-
tesico di 2707 impianti a connessione conometrica. Materiali e Metodi: 2707 impianti (Sistema Im-
plantare Leone®, Sesto Fiorentino) sono stati inseriti in 973 pazienti, dal gennaio 2003 fino al dicembre
2009, in 6 diversi centri odontoiatrici. In ciascuna delle visite di controllo annuali erano valutati para-
metri clinici, radiografici e protesici. I criteri di successo implanto-protesico prevedevano l’assenza di
dolore, suppurazione e mobilità clinica, DIB < 2,0 mm dal momento della chirurgia, l’assenza di
complicanze protesiche all’interfaccia tra moncone e impianto. I restauri protesici comprendevano
476 protesi fisse parziali, 590 corone singole, 64 arcate fisse e 101 overdentures con barra. Risultati:
la sopravvivenza cumulativa era del 97,9% (rispettivamente del 97,0% nel mascellare superiore e del
98,7% nella mandibola). Il successo implanto-protesico era del 92,7%. Rare erano le complicazioni pro-
tesiche a carico dell’interfaccia tra moncone e impianto (0,15%). Il valore DIB medio a 6 anni era di
1,10 mm (± 0,30 mm). Conclusioni: gli impianti a connessione conometrica rappresentano una va-
lida soluzione per la riabilitazione protesica di arcate parzialmente e completamente edentule. L’e-
levata stabilità della connessione conometrica riduce la frequenza di complicazioni protesiche. L’as-
senza di spazi tra moncone e impianto (microgap) riduce il rischio di colonizzazione batterica, po-
tenzialmente associata a riassorbimento osseo marginale. Il profilo di emergenza del moncone,
compatibile con il moderno concetto di “spostamento della piattaforma” permette la formazione di
un adeguato sigillo mucoso, prevenendo il riassorbimento osseo crestale.
Mangano Carlo
Università dell’Insubria, Varese
Mangano Francesco
Libero Professionista,
Gravedona (Como)
Muscas Maurizio
Libero Professionista, Cagliari
Figliuzzi Michele
Università della Magna
Grecia, Catanzaro
Adriano Piattelli
Università G. d’Annunzio,
Chieti
Corrispondenza:
Prof. Carlo Mangano
P.zza Trento 4,
22015 Gravedona (Como)
Tel. - Fax 0344-85524
carlo@manganocarlo.191.it
www.drmangano.com
Ca rlo Mang ano, Fr anc esc o Ma ngan o, Maur izio Mus ca s, Mic he le Fig li uzz i, A dri an o P iat te lli
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caniche come la perdita di connessione tra mon-
cone e impianto5-8. Questa complicazione rappre-
senta certamente un fastidio e una perdita di tem-
po per i clinici e i loro pazienti5, ma anche un rischio
biologico, dal momento che micro-movimenti a
carico dell’interfaccia tra moncone e impianto pos-
sono determinare, come recentemente ipotizzato
da alcuni Autori, uno stimolo al riassorbimento os-
seo crestale11. Gli impianti con esagono esterno
sembrano essere più facilmente colpiti dalle sud-
dette complicanze, con una incidenza di perdita di
connessione elevata, soprattutto a carico delle aree
posteriori della mandibola12-14. Le più alte percen-
tuali di complicazioni protesiche sono riportate
negli studi su corone singole nei settori posteriori,
laddove il carico protesico è maggiore15-20. Una re-
cente revisione della Letteratura sugli impianti con
connessione avvitata ha evidenziato una percen-
tuale compresa tra il 2 e il 45% di perdita di con-
nessione tra moncone e impianto, con maggiore
incidenza di questo fenomeno a carico delle coro-
ne singole21. Questi valori sono stati confermati da
una meta-analisi su impianti a supporto di protesi
fisse parziali, con una incidenza cumulativa di com-
plicanze correlate all’interfaccia tra moncone e im-
pianto (svitamento o frattura della vite di connes-
sione) del 7,3% a 5 anni22. Un’ulteriore revisione si-
stematica della Letteratura, infine, ha riportato
un’incidenza cumulativa di svitamento e frattura
della vite di connessione del 12,7 e dello 0,35%, ri-
spettivamente23. Allo scopo di superare questi pro-
blemi, le case implantari hanno inizialmente intro-
dotto sul mercato diversi sistemi a connessione in-
terna; successivamente, a questi sistemi sono sta-
te associate diverse forme di accoppiamento co-
nico. L’accoppiamento conico tra moncone e im-
pianto non rappresenta una novità. La conometria
è presente in meccanica da oltre 100 anni e le sue
applicazioni hanno trovato ampia diffusione in am-
bito medicale, in ortopedia e implantologia. La
connessione conometrica tra moncone e impian-
to si basa sul principio della saldatura a freddo” ot-
tenuta per ampio contatto e resistenza frizionale
tra le superfici dell’impianto e del moncone in es-
so attivato5,7. Essa è definita “autobloccante se l’an-
golo di apertura è inferiore ai 5°. Numerosi e recenti
lavori hanno dimostrato come la connessione co-
nometrica tra moncone e impianto possa resiste-
re a carichi eccentrici complessi con momenti flet-
tenti, garantendo assoluta stabilità meccanica e ri-
ducendo significativamente l’incidenza di compli-
canze protesiche a carico dell’interfaccia tra mon-
cone e impianto5,7,24-27.
Scopo di questo lavoro prospettico e multicentri-
co è valutare la sopravvivenza e il successo im-
planto-protesico di 2707 impianti a connessione
conometrica (Sistema Implantare Leone®, Sesto
Fiorentino) posizionati nel corso di 7 anni e im-
piegati in diversi contesti quali riabilitazioni pro-
tesiche fisse parziali e totali, corone singole e over-
dentures supportate da barra.
MATERIALI E METODI
SELEZIONE DEI PAZIENTI
Furono selezionati per potere partecipare a
questo studio, in un periodo di 7 anni, dal gennaio
2003 al dicembre 2009, un totale di 973 pazienti
(520 uomini e 453 donne, età compresa 20-78 an-
ni, media 54,7) in 6 diversi centri odontoiatrici. Tut-
ti questi pazienti rispettavano i criteri di inclusione
stabiliti per questo lavoro, che prevedevano altez-
za e spessore osseo adeguati per potere posizio-
nare un impianto con almeno 3,3 mm di diametro
e 8,0 mm in lunghezza, igiene orale adeguata, as-
senza di infezioni parodontali attive. Diabete scom-
pensato, bruxismo e forte abitudine al fumo (più di
10 sigarette al giorno) erano invece considerati co-
me criteri di esclusione.
STUDIO PRELIMINARE
Un accurato esame dei tessuti duri e molli ve-
niva realizzato per ogni paziente. Le radiografie
orto-panoramiche rappresentavano la base per
lo studio preliminare, che veniva completato, ove
necessario, da una moderna tomografia assiale
computerizzata di tipo volumetrico. I dati deri-
vanti dalla TAC volumetrica erano eventualmente
trasferiti a uno specifico software di navigazione
implantare (Simplant®, Materialise, Leuven, Bel-
gio), allo scopo di realizzare una ricostruzione tri-
dimensionale delle ossa mascellari. Con l’ausilio di
questo software, era possibile determinare preci-
samente l’altezza, lo spessore e l’angolazione del-
la cresta ossea in corrispondenza di ciascun sito
implantare, insieme con la densità della corticale
e della midollare; veniva quindi simulato l’inseri-
mento dell’impianto. Qualora necessario, inoltre,
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sulla base di queste informazioni, veniva realizza-
ta una dima chirurgica stereolitografica per il cor-
retto posizionamento degli impianti, “guidato” dal
progetto tridimensionale precedentemente ela-
borato. Lo studio preliminare includeva natural-
mente il montaggio e l’esame dei modelli in arti-
colatore e un’accurata ceratura diagnostica.
INSERIMENTO DEGLI IMPIANTI
L’anestesia locale era ottenuta con infiltrazio-
ne plessica di articaina con adrenalina 1:100.000
(Ubistesin®, 3M Espe, St. Paul, MN, USA). Una inci-
sione era realizzata sulla cresta edentula ed este-
sa in senso intra-crevicolare ai denti adiacenti (se
presenti), eventualmente accompagnata da due
incisioni di rilasciamento. Venivano sollevati due
lembi a spessore totale per poter esporre la cresta
alveolare, e la preparazione dei siti d’impianto era
realizzata con frese a diametro incrementale (2 e
2,8 mm per posizionare un impianto di 3,3 mm di
diametro; 2-2,8 e 3,5 mm per posizionare un im-
pianto di 4,1 mm di diametro e 2-2,8-3,3 e 4,2 mm
di diametro per preparare il sito per un impianto
di 4,8 mm di diametro) sotto costante irrigazione.
Gli impianti erano posizionati a livello della cresta
ossea. Venivano inseriti in tutto 2707 impianti. Un
totale di 1237 impianti erano inseriti nel mascellare
superiore (412 nelle aree anteriori e 825 nelle aree
posteriori), mentre 1470 impianti erano inseriti
nella mandibola (363 nelle zone anteriori e 1107
nelle zone posteriori). Il diametro più frequente-
mente utilizzato era il 4,1 mm (1269 impianti), se-
guito rispettivamente dal 4,8 mm (831 impianti) e
dal 3,3 mm (607 impianti). La lunghezza più fre-
quentemente impiegata era 12,0 mm (941 im-
pianti), seguita da 10,0 mm (811 impianti) e 14,0
mm (594 impianti). Meno impiegati risultavano
gli impianti corti da 8,0 mm (361 impianti). La dis-
tribuzione degli impianti per lunghezza e diame-
tro è riportata nella tabella 1. Completato il posi-
zionamento, venivano applicate le suture (Supra-
mid®, Novaxa Spa., Milano).
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POST-OPERATORIO
A tutti i pazienti veniva prescritto un antibio-
tico, 2 g al giorno per 6 giorni complessivi di trat-
tamento (Augmentin®, Glaxo-Smithkline Beecham,
Brentford, Gran Bretagna). Il dolore post-operatorio
era controllato somministrando 100 mg di nime-
sulide al bisogno (Aulin®, Roche Pharmaceutical,
Basel, Svizzera) per un massimo di 2 somministra-
zioni al giorno, nei soli 2 giorni immediatamente
successivi all’intervento. Venivano date dettagliate
informazioni riguardo all’igiene orale, con prescri-
zione di sciacqui con collutorio a base di clorexidi-
na 0,12% per i 7 giorni successivi all’intervento
(Chlorexidine®, OralB, Boston, MA, USA).
GUARIGIONE E CARICO PROTESICO
Si seguiva un protocollo tradizionale a due
tempi, con guarigione sommersa e successiva sco-
pertura per il carico protesico. Il periodo di guari-
gione variava dai 2-3 mesi per la mandibola fino ai
4-5 mesi per il mascellare superiore. Una seconda
procedura chirurgica era necessaria per potere ave-
re accesso agli impianti, e posizionare i monconi di
guarigione. Per quanto riguardava le riabilitazioni
protesiche fisse (pazienti completamente o par-
zialmente edentuli o con edentulia singola), i re-
stauri provvisori in resina acrilica erano posizionati
a 2 settimane, dopo la collocazione dei monconi di
guarigione. Lo scopo dei restauri provvisori era
quello di favorire e guidare la guarigione dei tessuti
molli intorno agli impianti, verificando il compor-
tamento degli stessi sotto carico funzionale, prima
della fabbricazione dei restauri definitivi. I provvisori
erano mantenuti in sede per 3 mesi circa, e suc-
cessivamente venivano collocati i restauri definiti-
vi in oro-ceramica. In tutto, i restauri comprende-
vano 476 protesi fisse parziali (da 2 a 4 elementi),
590 corone singole e 64 arcate complete. Ogni ar-
cata era sostenuta da 8 impianti. I restauri protesi-
ci fissi definitivi erano cementati con cemento al-
l'ossido di zinco eugenolo (Temrex, Temrex Corpo-
ration, Albany, NY, USA). Venivano fabbricate inoltre
101 overdenture. Ogni overdentures era supporta-
Tabella 1 Distribuzione degli impianti per lunghezza e diametro.
8,0 mm 10,0 mm 12,0 mm 14,0 mm
3,3 mm 13 181 279 134 607
4,1 mm 198 328 400 343 1269
4,8 mm 150 302 262 117 831
361 811 941 594 2707
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ta da barra ancorata a 4 impianti, ed era costituita
da resina acrilica supportata da struttura metallica.
Per quanto riguardava le overdentures, il protocol-
lo era il seguente. Durante il periodo di guarigione
i pazienti portavano una protesi totale provvisoria,
che veniva successivamente riadattata al momen-
to della scopertura degli impianti e del posiziona-
mento dei monconi di guarigione. I passaggi suc-
cessivi comprendevano la costruzione e il collo-
camento della barra sui monconi protesici, fino al
posizionamento della protesi definitiva.
VALUTAZIONE DEI PARAMETRI
CLINICI E RADIOGRAFICI
Per ciascuna delle visite di controllo pro-
grammate con scadenza annuale dall’inserimen-
to, dal gennaio 2004 al gennaio 2010, erano pre-
si in considerazione per ciascun singolo impianto
i seguenti parametri clinici:
presenza/assenza di dolore-sensibilità;
presenza/assenza di suppurazione-essudazione;
presenza/assenza di mobilità dell’impianto, te-
stata con metodo manuale, utilizzando il mani-
co di due specchietti dentali28.
Erano inoltre realizzate radiografie endorali peri-
apicali con centratore di Rinn (Rinn®, Dentsply, El-
gin, IL, USA), per due differenti ragioni:
valutare presenza/assenza di radiotrasparenza
periimplantare continua;
misurare la distanza tra la spalla dell’impianto e il
primo contatto osseo visibile (“distance between
the implant shoulder and the first visible bone
contact”, DIB) in mm, nei siti mesiale e distale al-
l’impianto29.
Grazie a queste ultime valutazioni, infatti, era pos-
sibile registrare eventuali modifiche nella dimen-
sione verticale dell’osso intorno all’impianto e pro-
cedere a una valutazione della stabilità del tessu-
to osseo periimplantare nel corso del tempo. Per
potere correggere eventuali distorsioni dimen-
sionali dovute alla radiografia, la lunghezza appa-
rente (misurata direttamente sulla radiografia) ve-
niva comparata alla reale lunghezza dell’impianto,
già nota, introducendo la seguente proporzione:
Lunghezza impianto rx : Lunghezza impianto rea-
le = Difetto rx : Difetto reale
attraverso la quale era possibile stabilire, con dis-
creta precisione, l’eventuale entità della perdita
ossea verticale attorno all’impianto, nei due siti di
misurazione30.
VALUTAZIONE DELLA FUNZIONE
PROTESICA
Per valutare la funzione protesica, in ogni sin-
gola visita di controllo, l’occlusione statica e dina-
mica veniva controllata con cartine occlusali stan-
dard (Bausch articulating paper®, Bausch inc, Nas-
hua, NH, USA). Particolare attenzione era dedica-
ta all’analisi delle complicanze protesiche a carico
dell’interfaccia tra moncone e impianto (perdita di
connessione tra moncone e impianto, frattura del
moncone), che erano considerate un parametro
di primaria importanza per questo lavoro, e op-
portunamente registrate. Venivano inltre riporta-
te tutte le altre complicazioni protesiche a carico
della soprastruttura (fratture della ceramica in pro-
tesi fissa, o problematiche a carico delle riabilita-
zioni con overdenture).
CRITERI DI SOPRAVVIVENZA
E DI SUCCESSO IMPLANTO-PROTESICO
La valutazione della sopravvivenza e del suc-
cesso implanto-protesico erano realizzate in ac-
cordo a moderni parametri clinico-radiografici e
protesici31.
Gli impianti erano anzitutto distinti nelle categorie “so-
pravvissuti” e “falliti”. Un impianto era definito “so-
pravvissuto se ancora in funzione e sotto carico, al
termine previsto dello studio (gennaio 2010). Vice-
versa, gli impianti andati perduti, così come gli im-
pianti che presentavano dolore alla funzione e mo-
bilità, e che venivano conseguentemente rimossi,
erano considerati “falliti”. Le cause del fallimento era-
no mobilità per mancata osteointegrazione o so-
pravvenuta infezione, periimplantite ricorrente o per-
dita di osso legata a sovraccarico protesico. L’analisi
statistica della sopravvivenza implantare cumulativa
era realizzata con metodo di Kaplan-Meier32.
Nell’ambito degli impianti “sopravvissuti”, in base ai
dati clinico-radiografici precedentemente raccolti,
si distinguevano tre differenti e ulteriori gruppi:
Gruppo 1: Successo Implantare:
- assenza di dolore sotto carico,
- assenza di suppurazione,
- assenza di mobilità clinica,
- DIB < 2,0 mm,
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- nessuna storia precedente di essudazione.
Gruppo 2: Sopravvivenza Soddisfacente:
- assenza di dolore sotto carico,
- assenza di suppurazione,
- assenza di mobilità clinica,
- DIB 2-4 mm,
- nessuna storia precedente di suppurazione.
Gruppo 3: Sopravvivenza con Compromissione:
- fastidio o sensibilità alla funzione,
- assenza di mobilità clinica,
- DIB > 4 mm,
- storia precedente di essudazione.
L’assegnazione a uno di questi tre gruppi, per gli
impianti sopravvissuti, era definita dai dati clinici
e radiografici raccolti nell’ultima seduta annuale di
controllo. Non ultimo, veniva presa in esame la
funzione protesica, con particolare attenzione per
la connessione tra moncone e impianto. L’assen-
za di complicanze protesiche all’interfaccia tra
moncone e impianto (perdita di connessione tra
moncone e impianto, o frattura del moncone) era
considerata un parametro di importanza fonda-
mentale in questo lavoro. Si definiva infatti il suc-
cesso implanto-protesico come la condizione de-
gli impianti che presentavano tutte le caratteristi-
che descritte per il Gruppo 1 (successo implanta-
re), e che in aggiunta non presentavano e non
avevano presentato alcun tipo di complicazione
protesica all’interfaccia tra moncone e impianto.
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Implantologia 2010; 2: XX-XX
RISULTATI
SOPRAVVIVENZA IMPLANTARE
Al termine dello studio, al mese di gennaio
2010, la sopravvivenza cumulativa implantare era
del 97,9%, con 2654 impianti ancora in funzione
(Tab. 2). In tutto 53 impianti venivano rimossi. Nel
mascellare superiore, la sopravvivenza cumulativa
era del 97,0%, con 35 impianti rimossi. Nella mandi-
bola, invece, la sopravvivenza cumulativa era del
98,7%, con 18 impianti rimossi (Tab. 3). Relativa-
mente alla posizione degli impianti andati incontro
a fallimento, 23 erano nel mascellare superiore po-
steriore, 12 nel mascellare superiore anteriore, 2 nel-
la mandibola anteriore e 16 nella mandibola poste-
riore. Tra tutti questi fallimenti, 45 venivano classifi-
cati come “fallimenti precoci”, mostrando mobilità e
mancata integrazione (20 impianti) o infezioni con
dolore e suppurazione (23 impianti) prima del posi-
zionamento del moncone protesico e del carico
funzionale. Dieci impianti in tutto, invece, venivano
classificati come “fallimenti tardivi dal momento che
si verificavano dopo l’attivazione del moncone pro-
tesico. Cinque di questi fallimenti tardivi erano im-
putabili a periimplantite, mentre altri 5 erano dovu-
ti a progressiva e costante perdita d’osso, probabil-
mente legata a sovraccarico meccanico e senza se-
gni clinici di infezione periimplantare (Tab. 4).
Tabella 2 Sopravvivenza implantare cumulativa globale.Tabella 3 Sopravvivenza implantare cumulativa nel ma-
scellare superiore e nella mandibola.
Tabella 4 Tipologia dei fallimenti.
Intervallo tempo (mesi)Mobilità Peri-implantite Progressiva perdita ossea Totale
0-6 20 23 043
6-12 0202
12-24 0325
24-36 0022
36-48 0 011
48-60 0 000
60-72 0 000
20 28 553
Fig. 1 Rx impianto in zona
21 dopo l’applicazione del-
la corona definitiva in oro-
ceramica.
Fig. 2 La corona in oro-ceramica.
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SUCCESSO IMPLANTO-PROTESICO
Al termine dello studio, su 2707 impianti ori-
ginariamente inseriti (53 fallimenti), 2654 impianti
erano ancora in funzione. Tra tutti gli impianti an-
cora in funzione, 2526 avevano un controllo cli-
nico-radiografico e protesico a 1 anno dall’inseri-
mento, ed erano pertanto inquadrabili in uno dei
tre gruppi prestabiliti per i criteri di successo (suc-
cesso implanto-protesico, sopravvivenza soddi-
sfacente, sopravvivenza con compromissione).
Tra questi, 28 erano i drop-outs, cioè gli impianti
per i quali non era possibile eseguire tutti i con-
trolli, per irreperibilità dei pazienti e che non po-
tevano pertanto contribuire interamente allo stu-
dio. In tutto, 2341 impianti su 2526 (92,7%) erano
classificabili nel gruppo del successo implanto-
protesico. Questi impianti, infatti, non presenta-
vano dolore né mobilità clinica né suppurazione
o essudazione, rivelando un DIB < 2,0 mm e non
presentando complicanze di natura protesica a li-
vello della connessione tra moncone e impianto.
Centosettantacinque impianti (6,9%) erano inve-
ce classificati nel secondo gruppo, e cioè tra gli
impianti sopravvissuti in maniera soddisfacente.
Pur non presentando dolore né mobilità clinica,
suppurazione o essudazione, questi impianti ave-
vano un DIB compreso tra 2-4 mm. Soltanto 10
impianti (0,4%) erano classificati nel terzo gruppo,
Tabella 5 Distanza radiografica tra la spalla dellimpianto
e il primo contatto osseo (DIB) in mm.
Anno Media ± Deviazione Std
10,89 ± 0,30
20,91 ± 0,28
30,95 ± 0,29
40,99 ± 0,31
51,04 ± 0,32
6 1,10 ± 0,30
71,18 ± 0,19
e cioè quello della sopravvivenza con compro-
missione, poiché presentavano una qualche for-
ma di sensibilità o fastidio alla funzione e pur non
avendo mobilità clinica o suppurazione avevano
una precedente storia di essudazione. Questi ul-
timi impianti presentavano una perdita ossea
marginale sostanziale, con DIB > 4,0 mm e son-
daggio parodontale profondo. Nel complesso, la
valutazione radiografica rivelava una distanza me-
dia tra la spalla dell’impianto e il primo contatto
osseo (DIB) di 0,89 mm, 0,91 mm, 0,95 mm, 0,99
mm e 1,04 mm, rispettivamente a 12, 24, 36, 48
e 60 mesi dall’inserimento. A 6 anni, il riassorbi-
mento osseo marginale medio (DIB) si attestava a
1,10 mm, a 7 anni di poco superiore (1,18 mm). Le
modificazioni della distanza tra la spalla dell’im-
pianto e il primo contatto osseo da 1 a 7 anni ri-
sultavano complessivamente minime e conte-
nute (Tab. 5). Quattro soli monconi protesici, nel
corso del primo anno di carico, perdevano la con-
nessione con l’impianto, in corrispondenza di 4
corone singole nella mandibola posteriore. I mon-
coni erano reinseriti ed attivati e non venivano p
osservate a carico degli stessi problematiche re-
lative alla connessione tra moncone ed impianto.
La perdita di connessione tra moncone e im-
pianto si verificava in impianti ascritti al gruppo
due cioè quello della sopravvivenza soddisfacen-
te. L’incidenza della perdita di connessione era
quindi complessivamente dello 0,15%, ma il fe-
nomeno era esclusivamente a carico delle riabili-
tazioni con corone singole. Nel gruppo delle co-
rone singole, quindi, l’incidenza della perdita di
connessione era dello 0,67%. Non si presentava-
no, invece, complicazioni a carico della connes-
sione tra moncone e impianto nelle protesi fisse
parziali o complete. Non si evidenziavano frattu-
re a carico dei monconi protesici. L’incidenza del-
le complicazioni protesiche era più alta a carico
Fig. 7 Rx di controllo dopo 4 anni. Fig. 8 Il restauro protesico dopo 4 anni.
Fig. 5 Riabilitazione del quadrante superiore
destro con quattro impianti. Rx dopo l’applica-
zione della protesi fissa parziale definitiva in oro-
ceramica.
Fig. 6 La protesi fissa parziale applicata.
Ma ng ano C, M ang ano F, Mu scas M, Fig li uzz i M, Pi at tel li A
19
delle riabilitazioni totali con overdenture su bar-
ra. Questi problemi, tuttavia, erano correlati alle
sovrastrutture delle riabilitazioni complete con
overdenture e non alla connessione tra moncone
e impianto. In 8 overdentures su 101 (7,9%), infatti,
si verificava frattura degli attacchi di ancoraggio,
mentre in 4 (3,9%) si verificava la frattura della
barra (Figg. 1-12).
DISCUSSIONE
La connessione conometrica sembra garantire
una superiore stabilità meccanica, quando com-
parata alle tradizionali connessioni avvitate25,27.
Questo aspetto determina una migliore perfor-
mance clinica a breve e lungo termine, limitando
notevolmente l’insorgenza di complicanze mec-
caniche a carico dell’interfaccia tra moncone e im-
pianto, come dimostrato da numerosi studi33-36.In
questo lavoro, soltanto 4 monconi protesici, a so-
stegno di 4 corone singole collocate nella man-
Implantologia 2010; 2: XX-XX
Fig. 3 Rx di controllo dopo
6 anni.
Fig. 4 La corona dopo 6 anni.
Ma ng ano C, M ang ano F, Mu scas M, Fig li uzz i M, Pi at tel li A
Implantologia 2010; 2: XX-XX
20
dibola posteriore, perdevano la connessione.
Questi monconi venivano riposizionati e non pre-
sentavano in seguito ulteriori problemi. Non si
verificavano altre complicazioni a carico della con-
nessione tra moncone e impianto, in nessun’altra
applicazione (protesi fisse parziali e arcate fisse). I
risultati di questo studio confermano come la
connessione conometrica possa ridurre notevol-
mente l’incidenza di complicanze protesiche al-
l’interfaccia tra moncone e impianto, in un pe-
riodo di osservazione da 1 a 7 anni. La stabilità
meccanica della connessione tra moncone e im-
pianto non rappresenta soltanto un aspetto tec-
nico di notevole importanza, riducendo fastidio-
se complicazioni di natura protesica; essa può
rappresentare un determinante biologico37. Ad
oggi, alcuni Autori sostengono che la stabilità
della connessione tra moncone e impianto pos-
sa determinare una migliore distribuzione del ca-
rico all’osso25,27,37,38. Altri hanno ipotizzato che
micromovimenti all’interfaccia tra moncone e im-
pianto possano rappresentare un fattore negati-
vo dal punto di vista biologico, determinante il ri-
assorbimento osseo crestale11,39. Questa ipotesi
dovrà necessariamente essere verificata in futuro,
ma certamente la connessione conometrica è in
grado di eliminare i micromovimenti all’interfac-
cia tra moncone e impianto, prevenendo in que-
sto senso il riassorbimento osseo periimplanta-
re40. La stabilità del tessuto osseo periimplantare
è da sempre considerata un parametro di riferi-
mento essenziale per la valutazione del successo
della terapia implantare nel tempo41. A prescin-
dere dalla tecnica chirurgica e dal tipo di guarigio-
ne (sommersa o non sommersa), è stato ampia-
mente riportato in Letteratura come il riassorbi-
mento osseo periimplantare in impianti two-pieces
con connessione avvitata si attesti a 1,5-2,0 mm al
di sotto della connessione tra moncone e impian-
to, dopo il primo anno di carico funzionale42,43.
Questo concetto è stato per anni così radicato, da
essere considerato appunto un parametro di ri-
ferimento per la valutazione del successo in im-
plantologia42,43. Sebbene le cause del riassorbi-
mento osseo periimplantare successivo ai primi
mesi dall’attivazione del moncone protesico non
siano state ancora del tutto chiarite44, sembra che
fattori come il trauma chirurgico, il ripristino di
Fig. 9 Riabilitazione completa della arcata superiore con overdenture supportata da
barra su quattro impianti e dell’arcata inferiore con full-arch in oro-ceramica sostenuta
da otto impianti. Rx di controllo al momento dell’applicazione.
Fig. 11 Rx controllo a 4 anni.
Fig. 10 Riabilitazione completa della arcata superiore con
overdenture supportata da barra su quattro impianti e dell’ar-
cata inferiore con full-arch in oro-ceramica sostenuta da otto
impianti. Controllo fotografico al momento dell’applicazione.
Fig. 12 Fotografia di controllo a 4 anni.
Ma ng ano C, M ang ano F, Mu scas M, Fig li uzz i M, Pi at tel li A
21
una corretta ampiezza biologica45, micromovi-
menti a carico del moncone11,45, la presenza e le
dimensioni di un microgap tra l’impianto e il mon-
cone possano giocare un ruolo in questo mec-
canismo46-48. Recenti studi hanno evidenziato co-
me il riassorbimento osseo possa essere deter-
minato dall’azione infiammatoria causata dalla
colonizzazione batterica del microgap tra mon-
cone e impianto46-50. In particolare, in impianti
con connessione avvitata, il microgap è general-
mente ben rappresentato dal punto di vista spa-
ziale (40-100 µm) ed è colonizzato da batteri48.
L’infiltrazione batterica è responsabile di uno sti-
molo chemotattico per il reclutamento di cellule
infiammatorie49-50. La conseguente reazione in-
fiammatoria potrebbe essere coinvolta nei mec-
canismi di riassorbimento osseo periimplanta-
re48-50. Alcuni Autori hanno evidenziato come una
maggiore contaminazione batterica possa essere
correlata a mancata stabilità della connessione
tra moncone e impianto, in casi di ripetuto svita-
mento della vite di connessione6,8. Questo è cer-
tamente possibile, dal momento che il ripetuto
svitamento della vite di connessione può dan-
neggiare le componenti implantari, favorendo la
contaminazione batterica. In questi casi, pertan-
to, la perdita della connessione tra moncone e im-
pianto rappresenta un aspetto doppiamente ne-
gativo, perché sia i micromovimenti tra le parti, sia
la colonizzazione batterica degli spazi generati
dagli stessi possono rappresentare uno stimolo al
riassorbimento osseo crestale6,8,48-50. La connes-
sione conometrica rappresenta una soluzione
ideale, perché determinando una “saldatura a
freddo” tra le diverse componenti, riduce signifi-
cativamente il microgap (1-3 µm) tra moncone e
impianto, eliminando il rischio di colonizzazione
batterica51. La connessione conometrica tra mon-
cone e impianto, infine, contiene in sé il moder-
no principio dello “spostamento della piattafor-
ma”52,53. Lazzara e Porter sono stati i primi a sco-
prire come, in impianti con connessione avvitata,
il posizionamento di un moncone di ampiezza
ridotta rispetto alla piattaforma dell’impianto po-
tesse rappresentare un vantaggio biologico per i
tessuti periimplantari, determinando una note-
vole riduzione del riassorbimento osseo intorno
all’impianto52,53. La ragione di questo fenomeno
è semplice e consiste nel riposizionamento oriz-
zontale interno del microgap, che viene allonta-
nato dalla cresta ossea, minimizzando gli effetti
detrimentali della presenza di batteri all’interfac-
cia tra moncone e impianto53-56. La connessione
conometrica, con il caratteristico profilo di emer-
genza del moncone che ha una piattaforma ri-
dotta rispetto a quella dell’impianto, riproduce
esattamente questa caratteristica, allontanando
l’interfaccia tra moncone e impianto dalla cresta
ossea. Se da un lato lo spostamento della piatta-
forma permette di minimizzare gli effetti negati-
vi dovuti a colonizzazione batterica del micro-
gap, peraltro già ridotti dalla presenza nella co-
nometria di una “saldatura a freddo” tra le parti,
dall’altro permette la formazione di un ampio si-
gillo biologico. Il caratteristico profilo di emer-
genza del moncone in impianti a connessione
conometrica, infatti, permette e sostiene la gua-
rigione dei tessuti molli attraverso la formazione
di un tessuto connettivo spesso e organizzato,
che rappresenta per la cresta ossea un elemento
protettivo dal riassorbimento57. In questo lavoro
sono state evidenziate minime variazioni nella di-
stanza tra la spalla dell’impianto e il primo con-
tatto osse (DIB) da 1 a 7 anni. Infatti, il livello osseo
era situato 0,89 mm dalla spalla dell’impianto do-
po un anno e 1,18 mm dopo 7 anni.
CONCLUSIONI
I risultati di questo lavoro prospettico e multicen-
trico a 7 anni indicano come gli impianti a con-
nessione conometrica rappresentino una soluzio-
ne di successo per la riabilitazione di arcate par-
zialmente e completamente edentule, con una so-
pravvivenza cumulativa globale del 97,9% (maxilla
97,0% e mandibola 98,7%). Il successo implanto-
protesico è del 92,7%. L’elevata stabilità meccanica
della connessione conometrica è evidenziata dal-
la scarsa incidenza di complicazioni di natura pro-
tesica (con una percentuale globale di perdita di
connessione tra moncone e impianto dello 0,15%,
con soli quattro monconi disconnessi nel corso
dell’intero lavoro, a sostegno di corone singole nel-
la mandibola posteriore). L’assenza di un microgap
all’interfaccia tra moncone e impianto è associata
a una minima perdita di osso periimplantare. Il pro-
filo di emergenza del moncone garantisce la for-
mazione di un ampio e spesso tessuto connettiva-
le, che rappresenta un vero e proprio “sigillo biolo-
gico, in grado di proteggere da riassorbimento il
tessuto osseo peri-implantare sottostante.
Implantologia 2010; 2: XX-XX
Ma ng ano C, M ang ano F, Mu scas M, Fig li uzz i M, Pi at tel li A
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Carlo Mangano, Francesco Mangano, Maurizio Muscas, Michele Figliuzzi,
Adriano Piattelli
A prospective multicenter study on 2707 Morse taper
connection implants
KEY WORDS:Implant-abutment connection, Morse taper implant-abutment connection, Mechanical
stability, Microgap, Platform switching.
Aim of the work: this prospective study evaluated the survival rate and the implant-crown success of
2707 Morse taper connection implants. Materials and methods: 2707 implants (Sistema Implantare
Leone®, Sesto Fiorentino) were inserted in 973 patients, from january 2003 until december 2009, in
6 different clinical centers. In each annual follow up session, clinical, radiographic and prosthetic para-
meters were evaluated. The implant-crown success criteria included the absence of pain, suppuration
and clinical mobility, DIB<2,0 mm from the surgery, the absence of prosthetic complications at the
implant-abutment interface. Prosthetic restorations were 476 fixed partial prostheses, 590 single
crowns, 64 fixed full arch and 101 bar supported overdentures. Results: the cumulative survival rate
was 97,9% (97,0% maxilla, 98,7% mandible). The implant-crown success was 92,7%. A few complica-
tions at the implant-abutment interface were reported (0,15%). At the 6-year control, the mean DIB
was 1,10 mm (±0,30 mm). Conclusions: Morse taper connection implants represent a good solution
for the prosthetic rehabilitation of partially and completely edentolous patients. The high stability of
the Morse taper connection implants reduces the occurrence of prosthetic complications. The absence
of a microgap between the implant and the abutment reduces the risk of bacterial colonization, which
is potentially associated to marginal bone resorption. The platform switching concept allows the for-
mation of an adequate mucosal seal, preventing crestal bone resorption.
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Full-text available
The inflammatory response adjacent to implants has not been well-investigated and may influence peri-implant tissue levels. The purpose of this study was to assess, histomorphometrically, (1) the timing of abutment connection and (2) the influence of a microgap. Three implant designs were placed in the mandibles of dogs. Two-piece implants were placed at the alveolar crest and abutments connected either at initial surgery (non-submerged) or three months later (submerged). The third implant was one-piece. Adjacent interstitial tissues were analyzed. Both two-piece implants resulted in a peak of inflammatory cells approximately 0.50 mm coronal to the microgap and consisted primarily of neutrophilic polymorphonuclear leukocytes. For one-piece implants, no such peak was observed. Also, significantly greater bone loss was observed for both two-piece implants compared with one-piece implants. In summary, the absence of an implant-abutment interface (microgap) at the bone crest was associated with reduced peri-implant inflammatory cell accumulation and minimal bone loss.
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Full-text available
Bacterial penetration along the implant-abutment interface as a consequence of abutment screw loosening has been reported in a number of recent studies. The aim of this in vitro study was to investigate the influence of repeated tightening of the abutment screw on leakage of Streptococcus mutans along the interface between implants and pre-machined abutments. Twenty pre-machined abutments with a plastic sleeve were used. The abutment screws were tightened to 32 N cm in group 1 (n=10 - control) and to 32 N cm, loosened and re-tightened with the same torque twice in group 2 (n=10). The assemblies were completely immersed in 5 ml of Tryptic Soy Broth medium inoculated with S. mutans and incubated for 14 days. After this period, contamination of the implant internal threaded chamber was evaluated using the DNA Checkerboard method. Microorganisms were found on the internal surfaces of both groups evaluated. However, bacterial counts in group 2 were significantly higher than that in the control group (P<0.05). These results suggest that bacterial leakage between implants and abutments occurs even under unloaded conditions and at a higher intensity when the abutment screw is tightened and loosened repeatedly.
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The purpose of this study was to evaluate the effectiveness of the platform-switching technique to prevent crestal bone loss following the restoration of dental implants. This randomized prospective multicenter trial analyzed 60 partially edentulous adults recruited at 12 professional dental centers. Subjects were randomly selected to receive either platform-enlarged or control cylindric implants in three different surgical procedures: conventional nonsubmerged, submerged, and submerged with a reduced abutment. The primary outcome measure was the change in crestal bone level assessed radiographically 12 and 24 months following placement. Nonparametric analysis of variance for repeated measures (the Friedman test) was used to assess the overall significance over time of the differences among implants in changes in crestal bone levels. Comparisons among and between groups of implants were performed by the nonparametric Friedman and Wilcoxon tests, respectively. In all the analyses an alpha = .05 was considered significant. A total of 360 implants were placed (60 for each group). Three control implants failed during the 2nd year following placement. All submerged and 92% of nonsubmerged platform-enlarged implants exhibited no bone loss. Control implants with an abutment as large as the implant platform exhibited more bone loss than their platform-enlarged counterparts (P < .001) or control implants with a reduced abutment (P < .001). Submerged implants with an enlarged platform showed better crestal bone preservation than submerged control implants with a reduced abutment (P = .06). The findings of the current trial indicated that the use of implants with an enlarged platform can result in better preservation of crestal bone as compared with conventional cylindric implants when a reduced abutment is mounted.
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The aim of this study was to compare the complication rate of two implant systems with diffcrcnt prosthodontic concepts: rigid conical or rcsilicnt support of the suprastructure. In 66 patients, 138 ITI implants were inserted whereas 31 patients received a total of 50 IMZ implants. Over an average observation period of 3.5 years (range from 0.5 to 8 years), not only was implant survival recorded, but also prosthodontic complications such as screw loosening, fractures of screws, inserts (intramobile elements, intramobile connectors) and abutments, as well as fractures of metal framework and veneers. With the ITI system, 28.8% of all devices placed exhibited such problems during the observation period. With the IMZ system, this rate was significantly higher (P
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Gingival esthetics around natural teeth is based upon a constant vertical dimension of healthy periodontal soft tissues, the Biologic Width. When placing endosseous implants, however, several factors influence periimplant soft and crestal hard tissue reactions, which are not well understood as of today. Therefore, the purpose of this study was to histometrically examine periimplant soft tissue dimensions dependent on varying locations of a rough/smooth implant border in one-piece implants or a microgap (interface) in two-piece implants in relation to the crest of the bone, with two-piece implants being placed according to either a submerged or a nonsubmerged technique. Thus, 59 implants were placed in edentulous mandibular areas of five foxhounds in a side-by-side comparison. At the time of sacrifice, six months after implant placement, the Biologic Width dimension for one-piece implants, with the rough/smooth border located at the bone crest level, was significantly smaller (P<0.05) compared to two-piece implants with a microgap (interface) located at or below the crest of the bone. In addition, for one-piece implants, the tip of the gingival margin (GM) was located significantly more coronally (P<0.005) compared to two-piece implants. These findings, as evaluated by nondecalcified histology under unloaded conditions in the canine mandible, suggest that the gingival margin (GM) is located more coronally and Biologic Width (BW) dimensions are more similar to natural teeth around one-piece nonsubmerged implants compared to either two-piece nonsubmerged or two-piece submerged implants.
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Adverse occlusal forces can result in mechanical complications of implant components. While unacceptably high incidences of mechanical failures have been reported for the two-stage external hex screw-type implant systems, the standard-diameter ITI® solid-screw implant does not seem to be vulnerable to these problems. The 8° Morse taper has eliminated abutment screw loosening and fracture. The incidence of prosthetic screw loosening has been minimized by the 45° bevel on the implant shoulder and by the 1.5 mm vertical abutment walls. The design of the standard-diameter solid-screw ITI implant and the material used in its fabrication (cold worked type IV cp titanium) have eliminated fixture fracture. However, because there have been some reported instances of fractures involving reduced-diameter and hollow implants, these designs should be used with caution.
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Background: Overloading has been identified as a primary factor behind dental implant failure. The peak bone stresses normally appear in the marginal bone. The anchorage strength is maximized if the implant is given a design that minimizes the peak bone stress caused by a standardized load. Clinical studies have shown that it is possible to obtain a marginal bone level close to the crest of the implant. Different implant systems make use of different designs of the implant-abutment interface. Different implant-abutment interfaces imply that the functional load is distributed in different ways upon the implant. According to Saint-Venant's principle, this will result in different stress patterns in the marginal bone when this reaches levels close to the implant crest. Purpose: One aim of the study was to theoretically investigate if a conical implant-abutment interface gives rise to a changed stress pattern in the marginal bone, as compared to a flat top interface, for an axially loaded mandibular titanium implant, the neck of which is provided with retention elements giving effective interlocking with the bone. Further aims were to investigate if the way in which the axial load is distributed on the flat top and on the inner conus respectively affects the stress pattern in the marginal bone. The pertinent stress was considered to be the bone-implant interfacial shear stress. It was assumed that the marginal bone reached the level of the implant-abutment interface. Method: The investigation was performed by means of axisymmetric finite element analysis. Results: The conical implant-abutment interface of the type studied brought about a decrease in the peak bone-implant interfacial shear stress as compared to the flat top interface of the type studied. This peak interfacial shear stress was located at the top marginal bone for the flat top implant-abutment interface whereas it was located more apically in the bone for the conical implant-abutment interface. The way in which the axial load was distributed on the flat top and on the inner conus respectively affected the peak interfacial shear stress level. Conclusion: The design of the implant-abutment interface has a profound effect upon the stress state in the marginal bone when this reaches the level of this interface. The implant with the conical interface can theoretically resist a larger axial load than the implant with the flat top interface.
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In lifetesting, medical follow-up, and other fields the observation of the time of occurrence of the event of interest (called a death) may be prevented for some of the items of the sample by the previous occurrence of some other event (called a loss). Losses may be either accidental or controlled, the latter resulting from a decision to terminate certain observations. In either case it is usually assumed in this paper that the lifetime (age at death) is independent of the potential loss time; in practice this assumption deserves careful scrutiny. Despite the resulting incompleteness of the data, it is desired to estimate the proportion P(t) of items in the population whose lifetimes would exceed t (in the absence of such losses), without making any assumption about the form of the function P(t). The observation for each item of a suitable initial event, marking the beginning of its lifetime, is presupposed. For random samples of size N the product-limit (PL) estimate can be defined as follows: List and label the N observed lifetimes (whether to death or loss) in order of increasing magnitude, so that one has 0t1t2tN.0 \leqslant t_1^\prime \leqslant t_2^\prime \leqslant \cdots \leqslant t_N^\prime . Then P^(t)=Πr[(Nr)/(Nr+1)]\hat P\left( t \right) = \Pi r\left[ {\left( {N - r} \right)/\left( {N - r + 1} \right)} \right], where r assumes those values for which trtt_r^\prime \leqslant t and for which trt_r^\prime measures the time to death. This estimate is the distribution, unrestricted as to form, which maximizes the likelihood of the observations. Other estimates that are discussed are the actuarial estimates (which are also products, but with the number of factors usually reduced by grouping); and reduced-sample (RS) estimates, which require that losses not be accidental, so that the limits of observation (potential loss times) are known even for those items whose deaths are observed. When no losses occur at ages less than t the estimate of P(t) in all cases reduces to the usual binomial estimate, namely, the observed proportion of survivors.
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To evaluate the effect of diameter shifting at implant-abutment interface on load distribution at periimplant bone and within implant-abutment complex. Eight different implant-abutment connections were designed and simulated numerically. Implant-abutment microgap at bone level was hypothetically set-off inward toward the central axis of implant to create "diameter shifting" or "platform switching" concept. The conceptual design was further characterized with horizontal set-off distance, emergence angle, and restorative height. A control model of conventional implant-abutment connection with restorative relation was also involved for comparison of developed stresses in periimplant bone and within implant-abutment complex. A 14 mm x 16 mm acrylic cylinder with vertically placed implant-abutment complex was considered for all designs. Principal and Von Mises stresses under vertical and oblique static loading conditions were evaluated numerically and presented descriptively. Stress distribution at periimplant bone was almost identical with similar magnitudes for all designs. Increase in the horizontal set-off distance generated higher stress magnitudes and increased stress intensity within the implant-abutment complex. : Platform switching based designs of implant-abutment connections need more mechanical studies to identify the optimum design for long-term mechanical stability. Relocation of microgap and redefinition implant-abutment connection at bone level does not influence the stress characterization at periimplant marginal bone but may noticeably affect the mechanical properties of the implant-abutment connection.