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Giallongo, A. (2014). Emozionanti mostri femminili fra storia e cinema. El Futuro del Pasado, 5, pp. 51-64.
http://dx.doi.org/10.14516/fdp.2014.005.001.002
ISSN: 1989-9289
DOI: http://dx.doi.org/10.14516/fdp.2014.005.001.002
EMOZIONANTI MOSTRI FEMMINILI TRA STORIA E CINEMA
Exciting Female Monsters from History and Cinema
Angela G
Università di Urbino
giallongoa@libero.it
Fecha de recepción: 19-II-2014
Fecha de aceptación: 31-III-2014
R: Ricorrendo al concetto chiave di paura, usato come categoria storica, il
presente contributo esamina l’antico mito gorgonico in sette lm e in alcuni esempi di Teen
Movies. L’analisi critica focalizza l’attenzione sull’interdipendenza tra le emozioni negative,
gli usi attuali di questa immagine archetipica e la ricerca storica sull’immaginario di genere.
Parole chiave: La Gorgone come mostro femminile; la paura; i lm horror; storia
dell’immaginario di genere.
A: Using the key concept of fear as a historical category, this paper investigates
the ancient myth of Gorgon in seven contemporary movies and in a few teen movies.
At the center of my critical analysis there is the interdependence between the negative
emotions, the uses of this archetypal image, and the research about history gender imaginary.
Keywords: Gorgon as femal monster; fear; horror lm; history gender imaginary.
SOMMARIO: 1. Che cosa sarebbe la paura senza i mostri femminili? 2. Conclusione.
Si dice che un’immagine valga più di mille parole. Soprattutto se è emergente
quella che attinge a un livello più profondo, quasi archetipico. E l’ombra luttuosa di
Medusa è un’immagine che apre il passo alla storia e all’inconscio.
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La sua testa decapitata, in primissimo piano già nelle testimonianze visive occi-
dentali dell’ sec. a.C., è ancora un monumento fotograco della post-modernità. In
eetti, una fra le più sublimi attrici dei miti classici sembra non essere ancora giunta al
viale del tramonto. Come già in altri tempi e in altri luoghi, Medusa conferma anche nel
cinema il suo sciamanico fascino
1
.
Qual è il modo in cui vi compare?
Nel piccolo numero di casi che verranno esaminati il ruolo di Medusa si presenta
comunque complesso e dicile da denire con precisione. Una possibile risposta a que-
sta situazione piuttosto confusa sta nel prendere in considerazione le emozioni. Questa
scelta aiuta, di conseguenza, ad apprezzare anche il notevole ruolo che la paura ha svolto
nel disegnare la traiettoria diacronica dei processi psichici collettivi. J. Delumeau non a
caso ha sentito il bisogno di spiegare diversi fenomeni del passato europeo attraverso il
meccanismo delle paure sociali condivise
2
.
Come ho sostenuto più estesamente in un recente lavoro
3
, non si può fare a meno
di incorporare nelle indagini storiche rivolte al genere le problematiche emotive, soprat-
tutto quelle che hanno implicato immagini mentali e visive di terrore e di morte. Il
mito gorgonico, ampiamente documentato prima dalle fonti visive poi da quelle scritte,
ha infatti guidato nelle società occidentali pratiche pubbliche che hanno raorzato nei
secoli la rappresentazione della donna come mostro.
Dai remoti racconti di Omero alle storie lmate, la fantastica Gorgone ha insce-
nato i rapporti con l’alterità, il non umano, il non-essere
4
.
Senza entrare nel labirinto dei lm d’animazione, va almeno segnalato come ven-
gano inuenzate le emozioni dell’infanzia attraverso le serie TV trasmesse in tutto il
mondo: Medusa, per esempio, è entrata in diversi episodi a far parte del gruppo dei
1
La tematica della paura all’interno dell’analisi storica delle rappresentazioni cine- matograche
e dei rapporti tra ction e realtà è stata arontata da L. Guido, Les peurs de Hollywood. Phobies
sociales dans le cinéma fantastique américain, Éd. Antipodes, Lausanne 2006. Sulla manipolazione
delle paure collettive da parte dei centri di potere e dei nuovi media si veda B. Glassner, e culture
of fear : why americans are afraid of the wrong things, Basic Books, New York, 1999.
2
Le dinamiche sociali delle paure collettive nella storia sono state notevolmente studiate da J.
Delumeau in La paura in Occidente (secoli xvi-xviii) la città assediata, tr. it. Società Editrice Inter-
nazionale, Torino 1983.
3
A. Giallongo, La donna serpente. Storie di un enigma dall’antichità al xxi secolo, Dedalo,
Bari, 2013. La metodologia generale perseguita in questa ricerca è stata quella di valutare in modo
critico e circostanziato le conseguenze sociali del rapporto tra standard emotivi e determinate
forme di immaginario attraverso la storia occidentale degli ibridi femminili.
4
J.-P. Vernant, La morte negli occhi. Figure dell’Altro nell’antica Grecia, tr. it. il Mulino, Bologna
1987.
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«Fantastici Quattro»
5
come credibile rappresentante, seppure redenta, della Razza degli
Inumani. D’altra parte, la brutta e cattiva Madame Meduzy nelle «Avventure di Bianca
e Bernie» (Walt Disney, 1977) continua a sorprendere il pubblico infantile raggelandolo
con sguardi furiosi e gesti rabbiosi.
Viene così ancora soddisfatta una necessità della mente umana, mescolandosi a
interessi educativi e di intrattenimento.
La complessa creazione del mostro, presente in tutte le culture conosciute, ha
spinto David D. Gilmore ad indagare il tema all’interno della ricerca antropologica e ad
interpretarlo come un prodotto delle attività simboliche psichiche e sociali. Dalla sua
interpretazione risulta chiaro che i mostri non sono esseri alieni o anomalie esistenziali,
ma creazioni della parte più profonda dell’entità individuale e dell’ordine sociale: perso-
nicano tutto quello che di pericoloso e orribile produce la nostra immaginazione, sono
le sue incontrollabili creature
6
.
Il mito ateniese di Perseo è riuscito e riesce ancora perfettamente a inammare
intere generazioni sulla necessità della battaglia maschile contro il mostro femminile
dalle mille teste di serpente. Soltanto l’uccisione di questa creatura temibile, dalla testa
coronata di serpenti, poteva e può ricondurre all’armonia. I miti antichi, medievali,
moderni e contemporanei hanno insegnato e continuano a insegnare che i mostri sono il
contrario dell’eroe, anche se servono a compiacerlo nel suo ruolo di difensore dell’ordine
del mondo.
Non stupisce quindi che quanto più la prepotente attività immaginativa greca,
in età arcaica e classica, attraverso le sculture e i dipinti, ha assimilato i pensieri degli
artisti, dei poeti, dei letterati e dei loso e quanto più zelanti si sono fatti nel corso dei
secoli gli sforzi degli educatori e dei libri di testo nelle scuole e nelle università, tanto più
è stato inculcato n dai più teneri anni l’idea che Medusa con le sue serpentine forme
primordiali simboleggiasse il caos originale
7
.
È quindi legittimo porsi le seguenti domande: quale funzione hanno giocato,
anche se a spizzichi e bocconi, i miti e le favole raccontati su Medusa da generazioni
di educatori, precettori, tutori, maestri e insegnanti? E quali sentimenti pubblici nei
5
Provenienti dai fumetti inglesi degli anni 60, I «Fantastici Quattro» sono Supereroi approdati ai
cartoni animati, videogiochi e ai lm.
6
Cfr. D.D. Gilmore, Monsters, Evil Beings, Mythical Beasts and All Manner of Imaginary Terrors,
University of Pennsylvania Press, Philadelphia 2002.
7
Sull’approccio al mostro come elemento strutturante dell’immaginario e di un interessante per-
corso educativo, messo in atto nei licei francesi, è intervenuto A. Hougron, La gure du monstre
dans la littérature et au cinéma: monstre et intertextualité; <www.lettres.ac-versailles.fr/spip.php/
article28>.
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rapporti sociali tra i sessi hanno incentivato, attraverso il cinema, le sue terricanti
immagini?
Perciò, nonostante la brevità di questo testo, è legittimo preoccuparsi della rin-
novata attenzione mostrata dall’industria visiva contemporanea verso il pericoloso mito
meduseo che ha a lungo guidato i comportamenti pubblici.
Non bisogna inoltre dimenticare che le storie lmate, come quelle dipinte, scol-
pite, fotografate, narrate o scritte, contengono atti interpretativi. Pertanto i lm dedicati
a questo personaggio mitologico ripropongono in un modo o nell’altro la questione
delle «prove» storiche: codeste, sia che si rivelino false e anacronistiche, sia che si rivelino
vere, come sottolinea P. Burke, al pari di quelle più tradizionali, aiutano in ogni caso
a comprendere meglio eventi e contesti a noi vicini o lontani. Quindi anche il tipico
lone lmico di fantasy e di horror, che propone eccitanti esperienze emotive, può essere
incluso fra i problemi sollevati dall’interpretazione della storia.
Del resto, il forte accento posto sulla complementarietà della «storiofotia» («ovvero
la rappresentazione della storia e del nostro pensiero su di essa in immagini visive e in
discorso lmico») con la storiograa ( rappresentazione della storia in immagini verbali
e in un discorso scritto)
8
spinge ad esplorare questa possibilità. Concentrandosi infatti
sulla complessità storica delle immagini, P. Burke non ha soltanto tentato di arontare i
problemi relativi al loro uso per capire il passato ma ha anche espresso la necessità di inda-
gare gli stereotipi mentali e visivi che hanno favorito le conittualità, comprese quelle di
genere, con il fondamentale sostegno, a mio avviso, di accanite emozioni negative.
Le ulteriori prospettive fornite dalle attuali indagini sul ruolo svolto dalle imma-
gini rappresentano non soltanto una spinta notevole nel campo della ricerca storica,
come mostrano gli autori citati, ma permettono in questo caso anche di valutare quali
fonti visive hanno mediato e continuano a mediare la rappresentazione del passato nella
memoria sociale9. Memoria costruita prevalentemente con l’attuale civiltà dell’imma-
gine attraverso l’inuenza del cinema
10
, della TV e di internet. Non ci si può quindi per-
8
P. Burke in Testimoni oculari. Il signicato storico delle immagini, (tr. it , Carocci, Roma 2007,
pp.186-187) si confronta sul rapporto tra immagini e parole nella ricerca storica misurandosi con
l’importante contributo di H. White su «Historiography and Historiophoty» (in e American
Historical Review, Vol. 93, N. 5., 1988, pp. 1193-1199). Cfr. anche R. Rosenstone, «History in
images/History in words: Reections on the possibility of really putting history onto lm» in
e American Historical Review, Vol. 93, N. 5 1988, pp. 1173-1185.
9
S. Connerton in How Societies Remember (Cambridge University Press, 1989) ha restituito una
dimensione culturale ai ricordi collettivi al ne di tratteggiare le tradizioni letterarie e le pratiche
sociali dominanti che vengono incorporate dalla memoria sociale.
10
Sulla autenticità storica dei lm dedicati al mondo antico e sui relativi impliciti interessi pedago-
gici si veda J. Solomon, e Ancient World in the Cinema (revised ed.). New Haven: Yale University
Press, 2001. Per ulteriori approfondimenti interdisciplinari sui rapporti tra i temi e i personaggi
dell’antichità classica e i mezzi visivi si veda M. M. Winkler, Classical myth and culture in the cin-
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mettere il lusso di impoverire la storia privandosi delle immagini, guide indispensabili,
in questo caso, per individuare i resti del mondo emotivo del passato nei ussi di quello
attuale.
1. CHE COSA SAREBBE LA PAURA SENZA I MOSTRI FEMMINILI?
Le paure collettive possono essere forgiate da minacce evidenti o da corrotte paure
che creano minacce.
Jean Delumeau, interrogandosi sulla tipologia di questo fenomeno, ha inserito
Medusa fra gli oggetti e le immagini di paure immotivate: nella maggior parte dei casi,
infatti, le società hanno trovato inquietante la parte meno difesa, e quella che ha ricevuto
il maggior numero di oese sociali, pubbliche e private, è stata senza dubbio, quella fem-
minile
11
. Così il nesso tra l’Altro e il male si è mantenuto saldo nei secoli, alimentando
l’identicazione dell’Altro con la minaccia.
Per questa via, le ragurazioni di Medusa hanno inquietato l’umanità secolo
dopo secolo. A partire dall’epoca arcaica no ai giorni nostri questa ossessiva creatura del
mondo mitologico si è via via trasformata in un cupo pensiero della sensibilità collettiva.
Per questo motivo ed altri, molti ricercatori contemporanei, come i pensatori del mondo
antico, si sono sempre più interessati alla paura. Dopo i pittori, gli scultori e i narratori,
hanno comin- ciato a darle la caccia loso, letterati, psicologi, sociologi, antropologi
e storici. Inne i registi, agli inizi del xx secolo, rilanciando il senso della vista, hanno
aumentato vertiginosamente il senso dell’apprensione che fa intuire catastro immi-
nenti, nemici pericolosi, la morte e la ne del mondo.
Ma nelle sale cinematograche le schiaccianti ondate di paura rispettano un per-
corso obbligato o inaugurano nuovi tormenti?
E’ infatti importante comprendere l’atteggiamento che, in generale, risulta pre-
valente nella produzione lmica. Vale pertanto la pena soermarsi su alcuni casi parti-
colarmente interessanti al ne di tratteggiare un approssimativo quadro delle emozioni
sociali correnti. Si tratta di esempi che intendono semplicemente mostrare come fun-
ziona il meccanismo del terrore verso il femminile. Il cinema ha la capacità di rendere
presente attraverso la mitologia un passato, spesso distorto, evocando emozioni negative
è piuttosto evidente. Da questo punto di vista può essere illuminante passare in rassegna
ema,. Oxford, New York, Oxford University Press, 1991. Inne, M. Wyke che in Projecting the
Past: Ancient Rome, Cinema, and History (New York-London, Routledge,1997) ha analizzato even-
ti e personaggi dell’antica Roma nelle rappresentazioni cinematograche popolari del secolo.
11
J. Delumeau, La paura in Occidente, cit., p. 105.
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sette lm relativamente distanti tra loro, facendo anche qualche occasionale riferimento
ai teen movie.
Il primo del 1964 è e Gorgon di J.Fisher. Il regista, ispirandosi alla mitologia
greca, ha reincarnato l’anguicrinita Medusa, trasgurandola in una Megera, irrimedia-
bilmente confusa con una delle Erinni o delle Furie e con un emblematico essere lican-
tropo. La storia racconta infatti che in un villaggio tedesco del 1910, durante le notti
di luna piena, diverse persone venivano pietricate. La proiezione, che è stata diusa in
Argentina, Brasile, in Giappone e in diversi paesi europei (Spagna, Francia,Ungheria,
Portogallo, Grecia, Belgio) è stata distribuita anche in Italia, qui si è preferito eccitare il
pubblico con un titolo ancora più forte: Lo sguardo che uccide.
e Gorgon, pur non essendo un lm memorabile, era in grado di evocare sinistre
vibrazioni che procurarono al Hammer’s Studio Film i vantaggi commerciali del primo
mostro femminile sullo schermo. La protagonista, grazie ad una grossolana parrucca
arricchita da serpenti di gomma e a due ecaci occhi iniettati di sangue, pesantemente
truccati di verde, era diventata così una famosa pericolosa non-persona.
In tempi più recenti La masque de la Méduse (2010) diretta da Jean Rollin, che si è
ispirato a Fisher, verrà invece unicamente proiettata nelle sale cinematograche francesi.
Il gusto «horror» di Medusa continuerà comunque a far adamento in maniera esclusiva
al senso della vista. Le impressioni visive fornite erano sucienti a rendere giustizia alle
avventure, ambientate in epoca contemporanea, delle tre Gorgoni. Le sorelle, Steno,
Euriale e Medusa, rispettivamente incatenate al Fascino, all’Eros e all’Ignoto in modi
viscerali e allucinatori lasceranno agire violenza, sesso, sangue e morte. Come testimonia
la scena iniziale: una innocente ragazza intenta a suonare il violoncello viene fossilizzata
da una Medusa attratta dal fugace piacere di mostrare i suoi poteri. Nel torbido reticolo
del racconto, Medusa perseguitata dal ricordo delle sue vittime e oppressa dall’incapacità
di controllare, come le sorelle, le sue pulsioni distruttive, si lascerà decapitare. Sarà un
novello Perseo, che, in veste di guardiano del teatro Grand Guignol, prevedibile scena-
rio per spettacoli agghiaccianti a produrre l’ultimo macabro eetto.
Nel frattempo, Crash of the Titans del 1981 aveva già ripreso con il regista
Desmond Davis a cavalcare la leggenda di Perseo per rappresentare la natura predatoria
della sessualità femminile. Veniva messa in scena una Medusa traboccante di scaglie con
il corpo tuato in quello di un serpente a sonagli no alla faccia e ai capelli. L’atmosfera
infernale e mortuaria che la circonda rinforza lo sguardo carico di minacce, privo di
anima e di coscienza. Tutti elementi che spianano la via alla mostruosità e al suo eetto
opprimente
12
. Si stabilisce così un singolare rapporto di complicità verso l’eroe per il
12
Sull’attuale semplicazione di Medusa come mostro è intervenuta S. B. Wallace, (‘e Changing
Faces of Medusa’,Reinvention: a Journal of Undergraduate Research, British Conference of Un-
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conforto che ha procurato al pubblico con la decapitazione. Anche in questo frangente il
mito non riesce ad ottenere giustizia: gli insensati e inconcludenti sconvolgimenti spazio
temporali dello spettacolo raorzano gratuitamente con stereotipi misogeni e discrimi-
natori le emozioni degli spettatori.
Lo stesso discorso desolante recita Medusa sempre in alta uniforme da rettile con
qualche sbirciata micidiale ben piazzata nel lm Scontro tra Titani (2010) di Louis Leter-
rier. Il regista, senza restituire una briciola di sapore mitico, interpreta molto liberamente
il mito di Perseo e la sua battaglia contro sincretici mostri mitologici (streghe cannibali
comprese), sfoggiando una bofonchiante Gorgone, irrimediabilmente sommersa da una
cascata di raggelanti e sepolcrali serpenti.
Ora, considerando come ogni tipo di specializzazione comporti una sorta di impo-
verimento è doveroso constatare come nei registi sopracitati sonnecchi una non dimen-
ticata fratellanza con gli interessi, i punti di vista e le paure dei Greci dell’età classica. I
nostri lungimiranti antenati avevano identicato attraverso la Gorgone la bruttezza con
il male
13
e avevano proiettato nelle loro emozioni negative contro il femminile i conitti
tra i sessi.
Ma non è un peccato far credere ancora che si possa morire per una pungente
occhiataccia?
Va a questo punto sottolineato un punto importante: lo stretto legame tra le cre-
denze e le emozioni. La paura di Medusa implica l’arcaica credenza relativa allo sguardo
che uccide. Le classiche storie di horror sono spesso basate sull’incontro con uno sguardo
fatale.
Per immergersi meglio nell’archetipo dello sguardo che uccide bisogna allora collo-
carlo in un preciso contesto sociale, cercando di frequentare i miti che lo hanno ripro-
posto con storie narrate e con immagini rappresentative di luoghi, di tempi particolari
e di particolari ragioni. In eetti, può essere utile in merito l’acuta riessione di Erich
Fromm che ha considerato, analizzando l’inconscio sociale e i suoi cambiamenti storici,
come ogni cultura esprima spesso in modi diversi lo stesso archetipo. Rispetto all’incon-
scio primordiale e universale di Jung, il concetto di inconscio sociale, elaborato dallo
psicoanalista tedesco, ha il vantaggio di spostare l’analisi degli archetipi sul piano dei
modelli di comportamento e dei luoghi comuni accettati dalla società per guidare e
reprimere la vita psichica collettiva.
dergraduate Research 2011 Special Issue) per richiamare l’attenzione sulla maggiore complessità
della percezione di Medusa nell’antichità attraverso l’esame iconograco delle ceramiche greche
prodotte dal 600 a. C. al 450 a.C.
13
Cfr. U. Eco, Storia della bruttezza, Bompiani, Milano 2007.
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L’idea che gli archetipi siano soprattutto un fenomeno sociale
14
spinge ad esplo-
rare le credenze messe in gioco nelle reazioni provate dalle persone che attribuiscono una
certa importanza ai pericoli, veri o presunti, che minacciano la loro incolumità sica.
Non si può inoltre negare che l’eloquenza visiva abbia spesso procurato il fantastico
piacere della paura e inne che certe paure siano il prodotto di un insegnamento sociale.
Il cinema con le sue star ha enfatizzato questa sorta di addestramento, rimodel-
lando con fascino articiose nature femminili di doppiezza ferina. Le occhieggianti fem-
mes fatales sugli schermi sono state non a caso riconosciute come esemplari di bellezza
medusea, costrette a indossare, per rispettare sconosciute regole del gioco, maschere
funebri
15
.
Nel corso dell’ultimo secolo è stata seguita questa via molto promettente per il
senso comune, quella cioè di rappresentare Medusa, al pari di Eva, come una pericolosa
stimolatrice del desiderio sessuale. Questa sua presunta predisposizione, di per sé illu-
minante, concentra l’attenzione proprio su quell’aria enigmatica capace di aascinare,
dominare, ossessionare e rendere vulnerabili gli uomini in modo innaturale.
Ne è testimonianza, negli anni ’90, il sorprendente successo di botteghino del
thriller Basic Instinct di Paul Verhoeven. Il sex-appeal della protagonista era infatti a
portata di mano delle idee e dei bisogni dell’opinione pubblica maschile metropoli-
tana. Il personaggio sembrava essere stato creato appositamente al ne di dimostrare agli
uomini, con il suo comportamento, come un certo tipo di donne potesse distruggere la
virilità.
Confrontandosi con la trama, la psicoanalista Arlene Kramer Richards, spinta
dalla curiosità e dal desiderio di avere ducia in un senso più radioso della femminilità,
si è soermata a considerare quanto fosse inesauribile la pantomima su Medusa. Infatti,
nel lm la principale sospettata, mentre incrocia le gambe, nella scena dell’interrogatorio
alla centrale di polizia, ore, irridendo gli investigatori ormai indotti in tentazione, il
suggestivo, avvampante spettacolo della vulva. Inoltre, il ricorso all’immagine di Medusa
sullo schermo televisivo del detective che indaga sul caso esplicita, facendo assaporare
agli spettatori un vertiginoso brivido primordiale, l’intreccio fra seduzione, violenti desi-
deri e forza distruttiva.
Va da sé che la platea maschile, adescata da un’atletica, sensuale bionda –che
ovviamente non poteva essere prodotta in un solo esemplare (in tante occasioni si sono
14
E. Fromm, Psicoanalisi e interpretazioni della società, Loescher, tr. it., Torino 1977, pp. 85 sgg.
15
È quanto sostiene nella sua interpretazione O. D. Rossi, Femmes fatales. La seduzione letale del
meduseo dall’antichità a oggi, in Lo sguardo di Medusa. L’orrido, il sublime e la morte negli occhi,
«Gorgon.Rivista di cultura polimorfa»,2009, pp.19 sgg.; online: <www.gorgonmagazine.com>.
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viste e si continuano a vedere collezioni di queste donne «ideali»
16
)– ha comunque con-
temporaneamente la sensazione di essere assediata da torbide gure imperiose, troppo
sicure, troppo indipendenti, troppo padrone di loro stesse.
Si potrebbe allora pensare che questo genere di reazione preoccupata non ora
ragioni pubbliche molto buone per incentivare l’uguaglianza fra i sessi nei costumi
sociali. Il lm, entrando in una sorta di letargo mentale, si è incontrato in modo passiva-
mente drammatico con la tradizione letteraria e artistica occidentale, facendo sostanzial-
mente ricomparire in questo caso la pericolosità della donna attraente.
Nella cerchia della produzione cinematograca, denita da Erwin Panofsky la
settima arte, una delle ultime incarnazioni femminili più terricanti è Sadako Samara
17
.
E’ incredibile, come ho avuto già modo di osservare
18
, la capacità di questa bambina
di uscire dalla televisione e di impetrare il numeroso pubblico degli spettatori con lo
sguardo mortifero del suo unico, tondo occhio pieno di gelo.
L’essere mostruoso, alzatosi dai più bui recessi del mondo arcaico, avanza infatti
vittorioso nella società post-moderna. Il suo successo è orito nei lm giapponesi, core-
ani e nei remake americani. L’intenso dibattito al riguardo ha indotto a riettere sulle
atmosfere emotive sollecitate dal femminile mostruoso nelle produzioni cinematogra-
che horror che sembrano suscitare reazioni molto simili a quelle provate dai nostri più
lontani antenati. Nel ciclo dei Ring i maligni poteri della bambina, la cui folta chioma
scura raorza i legami con Medusa, hanno una forte capacità di presa sul pubblico. I
suoi poteri paranormali sono infatti tali da poter impressionare la pellicola e i supporti
magnetici con le proprie immagini. Nell’orrore di Ring, dove paure millenarie pregu-
stano quelle nuove, Sadako, che può far vedere e far sorire quello che lei stessa ha
visto e soerto, inuenza le immagini e gli altri con il suo sguardo no a provocarne la
distruzione. Il suo occhio, tipico frutto di una simbologia arcaica, è ora proteso verso
nuovi strumenti tecnologici (televisione, Internet, You Tube e Dvd), attraverso i quali
astutamente evoca eccitanti visioni del pericolo femminile, spesso accordato con una
veste materna trionfante sul fronte della cupezza e della tetraggine.
Anche negli episodi di «Soul Eather»
19
con rinnovata prepotenza si dispiega una
fosca Medusa che conferma il peggio che c’è in lei in veste di madre divoratrice, sempre
pronta ad assecondare qualsiasi impulso distruttivo.
16
La duratura potenza concettuale di questo tipo di gura in diversi contesti culturali e storici è
analizzata da H. Hanson, C. O’Rawe, e Femme Fatale: Images, Histories, Contexts, Palgrave
Macmillan, New York 2010.
17
Si vedano il romanzo di K. Suzuki, Ring, (Edizioni Nord, Milano 2003) i lm, per esempio e
Ring, di Gore Verbinski; il forum e i numerosi siti del Ring-world.
18
A. Giallongo, op. cit., p. 154 sgg.
19
Dal manga giapponese del 2003 sono stati realizzati video giochi e una serie TV trasmessa anche in Italia nel 2010.
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Il rimpatrio dell’inconscio patriarcale nell’immaginario cinematograco della fan-
tasy e dell’horror visto da Jane Flax come sismografo delle paure collettive rinvigorisce la
tta schiera degli odierni mostri femminili
20
.
Ma come hanno fatto questi mostri, che hanno preso forma in tempi tanto lon-
tani da sembrare irreali e che sembravano straordinariamente vecchi e sorpassati, a rein-
serirsi così alla svelta nelle storie lmate, facendo urlare internamente gli spettatori di
ogni età in sala e in salotto?
Perché le generazioni post-edipiche, che trovano ridicola l’idea di poter morire per
uno sguardo, si trascinano ancora dietro la paura o la cupa angoscia del faccia a faccia
con le discendenti di Medusa?
Fatta eccezione della salutare soluzione raggiunta dalla dea Afrodite che nella
«Hercules Serie» ore a Medusa un paio di occhiali da sole
21
per neutralizzare i suoi
poteri, predominano scene e simboli aggressivi.
Tutti questi turbamenti, ltrati dalla voce di Freud, con l’onnipresente complesso
concetto del «perturbante», sembrano trovare un comodo rifugio presso i fantasmi orro-
rici della letteratura e delle arti visive contemporanee
22
. È infatti instancabile nel cinema
horror l’opera di donne mostruose e di madri di mostri alle prese con vapori sulfurei, con
umi di sangue, con vendette, con letali morsi vampireschi, con minacciose squame di
aliene, con rabbiosi gesti da streghe, con livori di esseri ibridi, partoriti e perfezionati ora
nei laboratori da sacerdoti tecnologici.
Nell’esplorare questo fenomeno, Barbara Creed e altre studiose femministe come
Rosi Braidotti
23
hanno riconosciuto non solo l’impronta delle fobie maschili, ma anche
il sintomo emblematico delle tonalità emotive di un corpo sociale confuso, impaurito e
intimorito dalla crisi dell’autorità paterna nella postmodernità.
20
J. FLax, Political Philosophy and the Patriarchal Unconscius: Psychoanalytic Perspective on Episte-
mology and Metaphysics, in S. Harding, M. B. Hintika, Discovering Reality, D. Reidel, Dordrecht
1983, p. 79.
21
«Hercules» è una serie animata prodotta da Disney Channel, trasmessa in Italia dal 1995 al 1997.
22
Sulle chiavi di lettura femministe rimando a M. Douglas, Purezza e pericolo: un’analisi dei concetti
di contaminazione e tabù, il Mulino, Bologna 1975; J. Kristeva, Poteri dell’orrore. Saggio sull’ab-
iezione, Spirali, Milano 1981; B. Creed, e Monstrous-Feminine: Film, Feminine, Psichoanalysis,
Routledge, London- New York 1993; R. Braidotti, In metamorfosi. Verso una teoria materialista del
divenire, Feltrinelli, Milano 2003. Per letture critiche sulle rappresentazioni femminili nell’horror,
rimando alla esaustiva discussione di D. Sartori, Pericolo di riproduzione: Ring, il cerchio che non
si chiude (<http://diotimalosofe.it/>) e alla sua riessione sulla visione della maternità associata
al pericolo in Con lo spirito materno, in Diotima (a cura di), L’ombra della madre, Liguori, Napoli
2007.
23
B. Creed, e Monstrous-Feminine, cit. e R. Braidotti, In metamorfosi, cit.
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EMOZIONANTI MOSTRI FEMMINILI TRA STORIA E CINEMA
Con l’incremento poi del potere tecnologico a livello globale, il bisogno di inter-
pretare gli esseri mostruosi femminili diventa sempre più urgente. A questo scopo lo
sforzo cosciente di capire cosa hanno stimolato queste storie lmate (già oggetto di
numerose discussioni) nel catturare le paure coincide, per alcuni
24
, con il modo in cui
viene arontata emotivamente la dierenza del femminile e la rappresentazione onirica
del materno.
Se lo sguardo raggelante di questi esseri non è uno stimolo alla metamorfosi, pur
provocando nuovi signicati, né un emero passatempo che gela il cuore, bensì un
amo che adesca le misteriose angosce del pubblico, allora l’impegno a dare un senso allo
sguardo che uccide induce a concentrarsi sull’idea della Cixous: che le diverse interpreta-
zioni dell’occhiata pietricante riconducono inevitabilmente alla primordiale immagine
dell’orrore, al volto terribile di una donna, a Medusa
25
.
Infatti è proprio là, davanti alla sua testa decapitata che si sono schierate da secoli
interpretazioni di ogni tipo. Allora si può meditare con Erich Kuersten
26
sugli insistenti
cupi pensieri che portiamo dentro di noi.
Dobbiamo per la prima volta riettere sul fatto che i più bui recessi della sfera
emotiva sociale e personale sono ancora scossi e impressionati dall’idea che il patriarcato
non sia indispensabile.
La stessa aizione si riconosce nella «notte nera», raccontata da Esiodo nella Teo -
gonia, quando dopo che si era levata la voce di Gaia per sollecitare i gli a vendicare gli
oltraggi del padre, si creò d’incanto «la paura che s’impossessò di tutti e nessuno osava
parlare»
27
.
Come allora, insieme all’insopprimibile voglia di rinascita, si schiude un nuovo
interrogativo: Medusa oggi è un monumento alla memoria patriarcale o il suo necrologio?
2. CONCLUSIONE
In breve, questi linguaggi lmici fatti di distruzione e di morte possono essere
associabili non soltanto ad un visione notevolmente impoverita e disarticolata del pas-
sato ma anche ad un’operazione di riessione sulla genesi delle nostre attuali emozioni,
24
D. Sartori, Pericolo di riproduzione, cit., p. 7.
25
H. Cixous, Il riso della Medusa, in R. Baccolini, M.G. Fabi, V. Fortunati, R. Monticelli (a cura di),
Critiche femministe e teorie letterarie, Clueb, Bologna 1997.
26
E. Kuersten, Looking through the ring: mecha Medusa & otherless child, «Acidemic Journal of Film
& Media»; <http://acidemic.com/id63>.
27
Esiodo, Teogonia, vv.116.
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ANGELA GIALLONGO
qualora vengano legittimamente riconosciute come categorie storiche. I casi che sono
stati presi in considerazione rivelano infatti un’eccessiva deferenza nei confronti delle
tradizioni emotive che si sono sedimentate nel tempo.
Questa tendenza necessita di essere controbilanciata da un attento esame.
E’ evidente che la demitizzazione sollecitata da Galimberti permetterebbe di
destabilizzare quei mezzi psicologici, particolarmente «radicati nel profondo», più che
logici ancora notevolmente operanti nelle pratiche correnti
28
.
Riportando idee da me già espresse in precedenza e che tuttavia sono state neces-
sarie per porre la problematica qui arontata, ho tentato di richiamare l’attenzione su
alcune delle più rappresentative immagini di Medusa nella produzione cinematograca.
Perché mi sembra proprio necessario cominciare a criticarle, privilegiando l’esame delle
lacerazioni emotive ereditate da un passato ancora presente.
Va osservato poi che la mancanza dell’immaginazione empatica induce in genere
gli spettatori, sempre più insensibili e passivamente indierenti, nonostante gli sbalor-
ditivi eetti scenici, a tirare comunque un sospiro di sollievo di fronte all’eliminazione
del mostro.
Un’altra ragione supplementare per muoversi in questa direzione l’ha fornita la
documentazione di Delumeau desideroso di mostrare come l’analisi storiograca sulle
paure, in particolare su quelle immaginarie e illusorie, dell’Europa moderna possa favo-
rire un autentico progresso sociale: lo storico ha infatti messo a fuoco la duciosa possi-
bilità di disinnescare le esplosive cariche emotive del passato.
Vale dunque la pena continuare lungo questa rotta, che si è già dimostrata feconda,
tentando di delineare le tensioni emotive espresse dalle immagini. Le scene dedicate allo
sguardo che uccide potrebbero allora attrarre l’attenzione in modo nuovo, essere l’occa-
sione per comprendere meglio la natura di una ideologia patriarcale, che avendo denito
la donna come Altro, l’aveva alla n ne percepita come mostro.
Dal dibattito sui rapporti tra i miti e il cinema è emerso che la tendenza più signi-
cativa della produzione visiva è quella di accrescere, nella cultura popolare e giovanile,
il senso dell’orrore che coincide con la rappresentazione del femminile
29
.
28
Cfr. U. Galimberti, I miti del nostro tempo, Feltrinelli, Milano 2009.
29
Per dare un’idea dell’ eccellente discussione sull’argomento è doveroso citare almeno i tre seguenti
contributi che costituiscono una guida estremamente utile per gli studiosi meno familiarizzati con
le analisi femministe: S. Gillett, «Engaging Medusa: Competing Myths and Fairytales» in In the
Cut Senses of Cinema: An Online Film Journal Devoted to the Serious and Eclectic Discussion
of Cinema, April-June, issue 31, 2004; L. Williams, Essays in Feminist Film Criticism, Co-edited
with M. A. Doane and P. Mellencamp, American Film Institute Monograph Series,.Frederick
Maryland: University Publications of America, Los Angeles, 1984;.C. Clover, Men, Women and
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Il mondo di questi lm è un mondo di non vita. Un mondo di morte. Una morte
ancora simbolicamente rappresentata da serpenti e da occhiate micidiali.
Che i registi lo facciano premeditatamente oppure no, non importa gran che.
Dovremo pertanto accontentarci di constatare con Fromm che l’atmosfera di queste
scene rassomiglia molto da vicino all’atmosfera sociale che genera la necrolia. Un’atmo-
sfera caratterizzata dalla mancanza di stimolazioni creative vivicanti e dalla perdita di
pensieri costruttivi. Sono questi schemi a minacciare pesantemente la sopravvivenza, il
giusto uso della conoscenza
30
e l’equilibrio sociale dei rapporti tra i sessi.
Nella dimensione necrola prevale infatti dal punto di vista clinico la paura della
distruttività materna sul timore per il padre punitivo e castratore
31
. Secondo questa ipo-
tesi l’odierna attrazione verso Medusa distruttrice rivelerebbe il lato necrolo dell’indu-
stria visiva.
Lo stesso discorso vale per l’analisi femminista sui lm. Laura Mulvey, usando la
teoria psicoanalitica, ha dimostrato il modo in cui l’inconscio della società patriarcale
ha pianicato la forma dei lm attraverso l’associazione dell’immagine femminile con
quella di Medusa
32
.
Un ulteriore esempio, fra altri, è fornito dal teen movie del 2010 Percy Jackson &
the Olympians: e Lightning ief di C. Columbus. Qui dovrebbe essere evidente che far
usare al novello Perseo, un dodicenne di nome Percy, lo schermo del proprio smartphone
come specchio per evitare lo sguardo di Medusa, non sia di per sé una manifestazione di
grande novità. Lo conferma l’elementare conclusione: la testa di Medusa decapitata verrà
orgogliosamente, per il piacere della società nord americana contemporanea, riposta in
un frigorifero.
L’analisi delle dozzinali storie dei mostri mitologici digitali può quindi aprire
nuove prospettive.
Come abbiamo già notato nel materiale riportato l’attuale attaccamento a Medusa
è il sintomo di un cattivo funzionamento. L’accresciuta attenzione per la pericolosità
dello sguardo femminile ha troppo in comune con le credenze arcaiche di circa tremila
Chainsaws: Gender in the Modern Horror Film, Princeton University Press, Princeton, New Jersey,
1992.
30
E. Fromm, Anatomia della distruttività umana, tr. it., Mondadori, Milano, 1973, p. 444.
31
Fra le radici della necrolia, intesa anche come fenomeno sociale psicopatologico, Fromm ha
ipotizzato, studiandola dal punto di vista clinico, la percezione dell’ambivalente funzione materna
nelle esperienze individuali e culturali. Ivi, p. 452.
32
Cfr. L. Mulvey che già nel 1975 aveva individuato le conseguenze dell’inconscio maschile nel
cinema con «Visual Pleasure and Narrative Cinema». Screen 16 (3): 6–18. On line. <http://screen.
oxfordjournals.org/content/16/3/6.extract>.
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anni fa. Credenze che come quelle greche, medievali e moderne avevano collocato lo
sguardo che uccide fra le teorie più diuse sulle mestruazioni. Nella tesi principale, espo-
sta in particolare nei primi due capitoli, della mia ricerca sulla Donna serpente, ho messo
infatti in evidenza i disastrosi risultati emotivi derivati dall’associazione messa in atto
dalla mentalità occidentale tra la pericolosità dello sguardo femminile, la malignitas del
serpente e i poteri mortali del mestruo.
Per questo voglio ora proporre la ducia nella vibrante alleanza tra storia e cinema
per la conseguente capacità di rendere il passato, compreso quello emotivo, più intelli-
gibile al presente.
C’è inne una nota di speranza nell’atteggiamento singolare di quegli spettatori e
di quelle spettatrici che, non identicandosi nelle tendenze necrole espresse dai registi
qui nominati e conquistandosi il diritto di ignorarle, si sentono semplicemente più vivi.