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1L’indagine archeologica è stata condotta sul campo, per conto della Soc. Coop. Archeologica Ares di Ra-
venna, dal Dott. F. Benassi e dalla Dott.ssa F. Guandalini, sotto la direzione scientifica del Dott. D. Labate della
Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna; alle indagini hanno partecipato la Dott.ssa S. Sca-
ruffi, la Dott.ssa L. Berni, la Dott.ssa L. Diamanti e il Dott. F. Scacchetti. G. BENASSI - GUANDALINI 2011.
2Diretto dal Prof. Giorgio Gruppioni.
3Per la diagnosi del sesso BRUZEK 2002; ACSADI - NEMESKERI 1970. Riguardo alla determinazione del-
l’età alla morte degli adulti KIMMERLE et al. 2008 , dello stato di sinostosi delle suture endocraniche ACSADI -
NEMESKERI 1970, dello stato di sinostosi delle suture ectocraniche MEINDL - LOVEJOY 1985, della morfologia della
superficie auricolare SCHMITT – 2005 e del grado di usura dentaria LOVEJOY 1985. Nel caso di soggetti ancora
in fase di accrescimento si applicheranno i metodi esposti in SCHEUER et al. 2000. Per le malattie dentarie in ge-
nerale RUBINI 2008, anche se taluni aspetti particolari sono stati trattati su una base bibliografica più specifica;
in particolare per quanto attiene alle ipoplasie dello smalto ci si è basati su quanto proposto in GOODMAN - ROSE
1990, per la valutazione del tartaro dentario BROTHWELL 1981. Per il calcolo dei principali indici cranici e post-
craniali MARTIN - SALLER 1957, 1962, per il calcolo della statura in vita TROTTER - GLESER 1952, 1957.
LA NECROPOLI TARDOANTICA DI VIALE CIRO MENOTTI-MODENA,
ANALISI ANTROPOLOGICA PRELIMINARE
ANTONINO VAZZANA, SILVIA PELLEGRINI, MIRKO TRAVERSARI,
DONATO LABATE, GIORGIO GRUPPIONI
Il ritrovamento
La necropoli è stata individuata nel 2009 in seguito ai lavori di scavo neces-
sari per la costruzione di un nuovo edificio all’incrocio tra Viale Ciro Menotti e
via Bellini, a Modena. L’indagine archeologica, compiuta dall’11 giugno al 31 lu-
glio dello stesso anno, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i
Beni Archeologici dell’Emilia Romagna1ha permesso di indagare la stratigrafia
del sottosuolo fino alla quota massima di 7,50 m dall’attuale piano stradale.
L’area era caratterizzata da una successione di livelli alluvionali riferibili ad
un corso d’acqua di età romana. Sono stati indagati, inoltre, parte di una necropoli
tardoantica in uso tra V e VI secolo d.C., di cui sono state portate alla luce 11 tombe,
i resti di un edificio presumibilmente rustico, che fu poi adibito a discarica dopo es-
sere stato abbandonato; infine una calcara di età romano-imperiale (fig.1).
La necropoli e i suoi individui
La necropoli ha restituito complessivamente gli scheletri di 13 individui. Lo
studio dei reperti sul piano del profilo biologico, condotto dagli antropologi del La-
boratorio di Antropologia Archeologica (fig. 2) del Dipartimento di Beni Culturali,
Università di Bologna, Campus di Ravenna2, ha prodotto i risultati riassunti in ta-
bella3(fig. 3).
4 CAPASSO 1999.
5 SANTANGELI - VALENZIANI 2009.
A. VAZZANA, S. PELLEGRINI, M. TRAVERSARI, D. LABATE, G. GRUPPIONI
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Le tombe erano disposte su due file. Nella fila ad est, in posizione di rilievo,
quelle di sei uomini, coperte da strutture monumentali realizzate in mattoni. Nella
fila ad ovest sono stati sepolti indistintamente donne, uomini e bambini di età dif-
ferenti, dai 5 - 6 anni agli oltre 50; le sepolture di questa fila erano scavate diret-
tamente nel terreno e coperte da laterizi posti in piano, a sigillare tutto il corpo o
solo il cranio (fig.4).
Le tombe contenevano un solo scheletro, ad eccezione della tomba 16, con
i due defunti sepolti mano nella mano (v. infra pp. 269-275), e della tomba 12.
Quest’ultima conservava due corpi sepolti in momenti diversi: per primo fu de-
posto un bambino, di età compresa tra i 5 e i 6 anni, poi la sepoltura fu riaperta per
seppellire una giovane donna tra i 20 e i 29 anni.
Durante l’analisi dei resti scheletrici rinvenuti non si sono osservati caratteri
assimilabili ad uno specifico mestiere, ma in generale si può dire che la popola-
zione esaminata fosse generalmente impegnata in lavori pesanti e di diversa na-
tura, in cui ad essere maggiormente sollecitati erano i muscoli utilizzati nel
movimento del collo e del capo, nella flessione e nell’abduzione dell’avambrac-
cio, nell’atto di tenere serrate le dita e nella deambulazione forzata in terreni ac-
cidentati o nella postura accovacciata.
Il complesso delle alterazioni riscontrate fa pensare che alcuni si occupassero,
maggiormente di altri, di attività che prevedevano una frequente flessione del-
l’avambraccio, per lungo tempo e in condizioni di sovraccarico, muovendo anche
l’articolazione della spalla, come ad esempio accade sollevando dei pesi con en-
trambe le braccia4. Su due individui (T.11 e T.13) queste alterazioni sono asso-
ciate alla presenza di faccetta sacroiliaca accessoria, un marker occupazionale
conseguente al trasporto prolungato di pesi distribuiti asimmetricamente sul dorso,
su altri ancora ad ernie del disco vertebrale. Inoltre, la compresenza costante delle
faccette di Poirier e delle faccette da squatting, dovute o ad una postura accovac-
ciata abituale o al percorrere lunghe distanze con marcia sostenuta e in terreni ac-
cidentali, porta ad ipotizzare che almeno una parte della comunità si dedicasse
nelle sue attività quotidiane al reperimento e al trasporto sul dorso di materiali pe-
santi su lunghe distanze, e che utilizzasse strumenti quali l’aratro, la falce lunga
o il falcetto, comuni nelle normali pratiche agricole.
Non è da escludere la possibilità che gli abitanti della comunità indagata fos-
sero impegnati anche in operazioni di spoglio di edifici antichi ormai in disuso, uti-
lizzati come cava a cielo aperto, pratica comune nel periodo in esame5, come
potrebbe testimoniare ad esempio la presenza di materiali di reimpiego, usati per
la costruzione delle tombe.
In seguito alla scoperta di alcuni segni da fendente su quattro diversi indivi-
dui (T.4, T.5, T.6 e T.11) associata alla robustezza generale delle entesi, tanto a
carico degli arti superiori e del collo, quanto degli arti inferiori, in un primo mo-
mento si è avanzata l’ipotesi che ci si potesse trovare di fronte a soggetti impegnati
nelle arti militari. Ad un confronto con i casi di studio già editi, quali il pugile de-
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La necropoli tardoantica di viale Ciro Menotti - Modena
Fig.1 - Modena, viale Ciro Menotti. Sezione est-ovest dell’area di scavo.
Fig. 2 - Ravenna, Laboratorio di Antropologia Archeologica. Panoramica ambiente di lavoro.
288 A. VAZZANA, S. PELLEGRINI, M. TRAVERSARI, D. LABATE, G. GRUPPIONI
Fig.3 - Tabella sintetica dei risultati dello studio antropologico della necropoli.
Fig.4 - Modena, viale Ciro Menotti, Panoramica della necropoli in fase di scavo.
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La necropoli tardoantica di viale Ciro Menotti - Modena
Fig.5 - Modello digitale del cranio e delle vertebre cervicali, in evidenza sono le diverse lesioni ri-
scontrate sull’inumato della Tomba 11.
Fig. 6 - Modena, viale Ciro Menotti. La Tomba 11 al momento del ritrovamento.
6 CAPASSO et al. 2001.
7 BELCASTRO - FACCHINI 2001.
8 CATTANEO - GRANDI 2004.
nominato E14 rinvenuto tra i fuggiaschi di Ercolano6o i cavalieri provenienti dalla
necropoli di Vicenne in Molise7, ci si è resi conto in realtà della mancanza di quei
segni tipici (entesi, faccette accessorie, fratture ecc.) riscontrati su soggetti impe-
gnati costantemente nel combattimento, a mani nude o con l’utilizzo di armi, o
nella pratica equestre. L’ipotesi avanzata in prima istanza è stata quindi scartata,
senza escludere però che alcuni soggetti che portavano segni lesivi da fendente po-
tessero essere ad esempio parte di un gruppo selezionato che in caso di bisogno
difendesse la comunità da attacchi esterni.
Tra questi, il caso più emblematico è rappresentato dall’individuo che occu-
pava la tomba 11. Su di esso sono state osservate diverse lesioni a carico del cra-
nio e di alcune delle vertebre cervicali. Le lesioni riscontrate sono: una a carico del
parietale destro, che ha comportato la perdita di una porzione ellittica di tavolato
cranico e causato l’esposizione della diploe; una seconda lesione ha l’aspetto ca-
ratteristico del segno lasciato sull’osso da una lama liscia ed affilata, i cui margini
si presentano netti e con una conformazione a “V”; un’altra ancora, localizzata
sul processo mastoideo sinistro, ha causato la perdita di una notevole porzione di
materiale osseo.Altre due lesioni sono state riscontrate sulle vertebre cervicali, più
esattamente sulla parte inferiore di C2 e su quella superiore di C3 (fig. 5).
Con l’ausilio di strumenti per l’acquisizione tridimensionale e di software di
post-processamento, è stato possibile ricollocare anatomicamente le varie com-
ponenti scheletriche ed evidenziare i vari segni lasciati dalle lesioni su di esse,
rendendo agevole la lettura della lesione che ha causato la probabile morte del-
l’individuo. Il segno sul processo mastoideo e quelli sulle vertebre C2 e C3 sem-
brano essere il risultato di un solo evento, volto probabilmente alla decapitazione
dell’individuo8per mezzo di un fendente, portato da un’arma dalla lama affilata e
tagliente. La lesione a carico di C3 fa pensare che il colpo, dato dall’alto verso il
basso e da sinistra a destra, si sia fermato tra C2 e C3 dopo aver attraversato il pro-
cesso mastoideo, il processo spinoso inferiore di C2 e quello superiore di C3, al-
l’altezza della faccetta articolare superiore destra di C3 (fig.4).
L’arma che ha causato le lesioni non è stata ancora identificata. Tuttavia al-
cuni indizi fanno pensare che si possa trattare di un’arma lunga e affilata, come
suggeriscono le lesioni che coinvolgono il processo mastoideo sinistro e le verte-
bre C2 e C3 del soggetto e la facilità con cui il colpo sferrato sembra aver attra-
versato il tessuto osseo.
In seguito all’analisi della posizione in cui è stato trovato lo scheletro si è
inoltre desunto che colui chi si occupò di seppellire il corpo si preoccupò anche
di posizionare il defunto in modo da celare la ferita, ruotando cioè il capo del-
l’individuo verso sinistra.
A prova di ciò, si rende necessario un piccolo approfondimento: la decom-
posizione del corpo sembra essere avvenuta in spazio pieno; sembra infatti che, no-
nostante la presenza della copertura, la terra si sia sostituita alle parti molli man
A. VAZZANA, S. PELLEGRINI, M. TRAVERSARI, D. LABATE, G. GRUPPIONI
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mano che queste si decomponevano. Il cranio quindi risulta in posizione origina-
ria, così come le coste e lo sterno; anche le vertebre sono in connessione, il bacino
ha mantenuto la propria articolazione e le rotule non sono scivolate verso il fondo
della fossa. Le braccia sono disposte lungo il corpo, in maniera non simmetrica,
le mani invece sono rivolte con i palmi verso il basso9(fig. 6).
Conclusioni
Non è ancora possibile definire l’origine di questa comunità sepolta ai mar-
gini della città di Mutina, appena fuori dalle mura, fra la fine del V e il VI secolo,
anche se il rituale funerario, improntato sulla scelta di allineare le sepolture su file
parallele, la deposizione dei corpi con il capo rivolto a ovest e forse anche la ti-
pologia degli oggetti ritrovati potrebbero rimandare a popolazioni di origine ger-
manica, la cui presenza nel territorio si era venuta intensificando negli ultimi secoli
dell’Impero.
Le prime attestazioni di gruppi di origine germanica stanziati nel modenese,
evidentemente ormai poco popolato, risalgono infatti al IV secolo. Nel V secolo
Mutina dovette affrontare le conseguenze del passaggio dei Visigoti condotti da
Alarico (410 d. C.) e degli Unni capeggiati da Attila (452 d. C.). Circa un secolo
dopo, è probabile che la città sia stata conquistata dai Longobardi (569 d. C.), ai
quali possono essere riferiti alcuni significativi ritrovamenti nell’area urbana, fra
cui la tomba di un guerriero in Via Valdrighi e una sepoltura entro sarcofago rin-
venuta in Piazza Grande. La lastra sepolcrale di Gundeberga, una donna di pro-
babile origine gota, morta il 12 giugno 570, costituisce la più antica testimonianza
scritta della presenza in città di popolazioni di origine germanica.
Sulla base delle osservazioni antropologiche condotte, ad esempio la statura
media degli individui, non è tuttavia possibile affermare con certezza che la co-
munità in esame avesse origini germaniche; sono comunque tuttora in corso le
analisi del DNA antico10 di tutti gli individui della necropoli, che consentiranno di
acquisire nuove informazioni su questo gruppo e sull’origine di coloro che ne fa-
cevano parte.
9DUDEY 2006
10 Presso presso il Laboratorio del DNA antico del Dipartimento di Beni Culturali di Ravenna, Univer-
sità di Bologna, sotto la supervisione del Prof. Giorgio Gruppioni e della dott.ssa Elisabetta Cilli.
La necropoli tardoantica di viale Ciro Menotti - Modena 291
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