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Nel vasto panorama delle patologie odontoiatriche in età pediatrica, le lesioni traumati-
che che interessano la dentatura decidua e quella permanente (di seguito abbreviate con
l’acronimo TDI) assumono un’incidenza rilevante, poiché riguardano il 25-30% della po-
polazione, con una certa variabilità a seconda della localizzazione territoriale, delle razze
e dei parametri statistici considerati.
Un’incidenza così elevata è la conseguenza di una chiara multifattorialità di tali lesioni.
Non tutti gli eventi traumatici che interessano la cavità orale possono essere considerati
prevedibili e prevenibili, si pensi che le cause più frequenti di traumatismo sono consi-
derate, a tutte le latitudini, le cadute (falls) e le attività ludiche (playing), ma non è pen-
sabile proibire ai bambini di giocare e socializzare. Contemporaneamente, tuttavia, esi-
stono precisi marker anatomici che caratterizzano i bambini e gli adolescenti che con
più facilità e con maggiore gravità subiranno gli esiti di tali eventi traumatici: tra questi
prevalgono le seconde classi dentali di Angle e soprattutto gli overjet dentali aumentati
(in particolare oltre i 5-6 mm), e proprio i soggetti portatori di tali anomalie dovrebbero
essere precocemente intercettati e normalizzati terapeuticamente.
Da ciò discende la necessità di sensibilizzazione delle associazioni di professionisti e
cultori delle materie di odontoiatria pediatrica e ortodontiche a sviluppare una maggiore
attenzione alle tematiche intercettive e preventive nei confronti di tali patologie. Tutto
ciò nell’attesa che si realizzi una radicale riforma del sistema preventivo sanitario nazio-
nale. Per esempio è noto come l’Italia sia uno dei Paesi con maggiore numero di prati-
canti sportivi rispetto alla popolazione generale, ma anche uno dei meno coinvolti nel-
l’allestimento di adeguate campagne di informazione e prevenzione dei reali rischi trau-
matici orofacciali connessi allo svolgimento della pratica sportiva sia amatoriale che pro-
fessionistica.
Epidemiologia
I traumatismi dentali interessano una percentuale di popolazione che varia tra il 15 e il
30% con vari picchi di incidenza. Il primo picco si verifica in dentatura decidua tra il pri-
mo anno di vita e i 3 anni; in questa fascia d’età i soggetti hanno minore coordinazione
motoria, pur iniziando le prime esperienze (gattonamento, camminata, corsa, salita e
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discesa dalle scale) e vivendo i primi momenti di socializzazione (con la frequentazione
di asili, parchi giochi ecc.), spesso associati alle prime attività motorie ludiche. Nel pe-
riodo della dentatura permanente si osservano due caratteristici picchi di incidenza dei
traumatismi dentoalveolari: il primo tra gli 8 e i 12 anni (momento di inizio della socia-
lizzazione adolescenziale, legato anche allo svolgimento delle prime attività sportive e lu-
diche individuali e di gruppo); il secondo si verifica tra i 15 e i 21 anni, fascia d’età ca-
ratterizzata dallo svolgimento di attività sportive agonistiche o a maggior rischio di trau-
matismo, nonché coincidente con i primi spostamenti stradali autonomi con moto e altri
mezzi di trasporto a motore, e caratteristico anche di lesioni derivanti da contrasti nel-
l’ambito della socializzazione giovanile.
Variabili epidemiologiche
Le variabili utili alla caratterizzazione epidemiologica delle lesioni traumatiche dentoal-
veolari sono principalmente:
• sesso;
• localizzazione;
• fattori predisponenti.
Sesso. I soggetti di sesso maschile presentano traumatismi dentoalveolari con maggiore
frequenza rispetto alle coetanee di sesso femminile (esiste un rapporto di incidenza ten-
denziale M:F = 3:2). Tale differenza tende a diminuire gradualmente dopo i 10 anni
d’età, fino quasi ad annullarsi nell’età adulta. Questo allineamento è caratteristico del-
l’evoluzione degli usi e costumi della nostra società nella quale si assiste, da parte delle
ragazze, a un’emulazione delle attività praticate dai coetanei maschi (si pensi all’incre-
mento dell’abitudine al fumo e all’alcol) che porta a incrementi partecipativi ad abitudini
di vita e di sport solitamente di tipo maschile (calcio, sport violenti e/o acrobatici, sport
estremi).
Localizzazione. I traumatismi dentoalveolari interessano più frequentemente l’arcata
superiore, soprattutto il settore anteriore e in particolare gli elementi incisivi centrali su-
periori (80-90% dei casi a seconda delle statistiche). Gli elementi laterali superiori sono
interessati nel 10-18% dei soggetti. Nel restante 2-4% sono coinvolti il gruppo incisivo
inferiore o i gruppi latero-posteriori (questi ultimi in età solitamente più avanzata). Non
vanno dimenticati i traumatismi a carico dei premolari superiori, caratteristici delle ca-
dute e di certe discipline sportive, in quanto conseguenza dei traumatismi indiretti tra-
smessi attraverso la mandibola (calcio, boxe, arti marziali, downhill).
I traumatismi dentoalveolari sono frequentemente localizzati a un unico elemento den-
tale ma, a seconda dell’agente eziologico, possono interessare più elementi dentali con-
temporaneamente (due, tre o più denti); i traumatismi a interessamento plurimo sono
più frequenti negli incidenti sportivi e da circolazione stradale rispetto ad altre cornici
circostanziali. La loro gravità ed espressività dipende dall’oggetto contundente, come de-
scritto oltre nella trattazione.
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Fattori predisponenti. Un ruolo importante nel determinismo delle lesioni traumatiche
dentoalveolari è rivestito dai fattori anatomici.
Le anomalie dei rapporti scheletrici intermascellari e dei rapporti occlusali tra le arcate
dentali (in particolare le seconde classi di Angle) hanno una grande importanza.
Ugualmente rilevante è il ruolo dell’overjet (OVJ) dentale aumentato (Fig. 9.1a). Si è vi-
sto che i soggetti con OVJ maggiore di 4-6 mm riportano lesioni traumatiche più fre-
quentemente rispetto ai soggetti con OVJ normale. L’aumento dell’OVJ produce infatti
un proporzionale aumento del rischio (Fig. 9.2).
Bauss et al (2004) confermano che il 10,3% del loro campione di studio (1367 pazienti
ortodontici) aveva riportato traumatismi dentali durante il trattamento, con un’incidenza
massima nella fascia d’età compresa tra 11 e 15 anni, prevalentemente a carico degli in-
cisivi centrali superiori (79,6%) e con maggiore frequenza nei pazienti con OVJ aumen-
tato e incompetenza del labbro superiore.
Anche Shulman e Peterson (2004) riferiscono di avere riscontrato, su un campione di
13.057 pazienti (nell’ambito dello studio NHANES III), un aumento dell’odds ratio re-
lativa alle lesioni traumatiche, direttamente proporzionale all’aumento dell’OVJ.
Anche l’overbite (OVB, morso profondo), se aumentato, può essere fattore predisponente
(vedi Fig. 9.1b), benché in maniera meno rilevante rispetto all’OVJ aumentato, special-
mente se l’OVB ha un valore superiore a 5-6 mm. Anche in questo caso, l’aumento del-
l’OVB incrementa esponenzialmente il rischio. In età più avanzata contribuisce, inoltre, a
determinare tipiche fratture a interessamento corono-radicolare a carico dei settori incisivo
e premolare con meccanismo indiretto (traumatismo trasmesso attraverso la mandibola).
Inoltre, anche il morso aperto anteriore, l’incompetenza labiale superiore e la macrodonzia
degli incisivi centrali superiori (Fig. 9.3) favoriscono l’insorgere di lesioni traumatiche den-
toalveolari. Queste situazioni sono spesso associate in forme sindromiche, tipicamente nei
soggetti respiratori orali, che presentano inoltre la tendenza al prognatismo superiore.
Da 1 mm a 2,5 mm
Inferiori a 1 mm
Da 2,5 mm a 4 mm
Superiori a 4 mm
55%
19%
12%
3% 3%
23%
45%
40%
Figura 9.1 Percentuale di traumatismi rispetto ai diversi valori di overjet (a) e overbite (b).
ab
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Tra le cause che determinano l’insorgenza dei TDI in letteratura (Glendor, 2009) risul-
tano importanti i cosiddetti fattori ambientali (Tab. 9.1), interpretabili come favorenti e
sempre particolarmente rilevanti in età adolescenziale. Fra questi, l’inadeguatezza dei
luoghi di permanenza dei ragazzi, soprattutto se siti in zone abitative suburbane, e la pre-
senza di fenomeni di microcriminalità e di bullismo assumono sempre più importanza
nel determinismo di tali patologie.
Ugualmente rilevanti appaiono il mancato rispetto dei parametri di sicurezza degli am-
bienti in cui si svolgono le attività ludiche e sportive (palestre scolastiche, asili, piscine,
campi da gioco, parchi giochi ecc.) e lo stato di conservazione e manutenzione delle at-
trezzature utilizzate.
Figura 9.3 Paziente con incompetenza labiale e macrodonzia
degli incisivi centrali superiori.
Tabella 9.1 Fattori eziopatogenetici delle lesioni traumatiche dei denti anteriori
Dentali Carie, denti devitalizzati, amelogenesi imperfetta,
fluorosi, anchilosi, macrodonzia
Dentofacciali Incompetenza labiale, morso aperto, prognatismo,
overjet e overbite aumentati, affollamento
Generali Età, sesso, tipo di sport praticato, contesto sociale,
epilessia, handicap
Fattori concorrenti
Meccanismo d’azione (diretto o indiretto),
caratteristiche del corpo contundente, angolo,
velocità e forza d’impatto
Figura 9.2 Adolescente con overjet dentale aumentato.
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Frequenza delle possibili cause dei traumatismi dentoalveolari
Nell’ambito degli incidenti domestici è compresa una serie di eventi che riconosce cause lu-
diche e che comprende cadute e contatti fra soggetti e/o cose di tipo involontario (acciden-
tali) o volontario (spinte, giochi violenti). Tali cause sono le più rappresentate soprattutto in
età prescolare e sono notevolmente influenzate da fattori ambientali (regionalità), consuetu-
dini, livello di controllo e qualità delle strutture e degli ambiti di permanenza dei soggetti.
I traumatismi da circolazione stradale si riferiscono a investimenti pedonali, in bicicletta
e all’interno di autoveicoli; a seconda dell’età dei soggetti coinvolti possono essere pro-
vocati da trascurata adozione di mezzi di protezione (mancato utilizzo di appositi seggio-
lini negli autoveicoli o di cinture di sicurezza), distrazione, imprudenza, inesperienza
nella conduzione delle biciclette o nell’attraversamento stradale soprattutto nei soggetti
di età compresa tra 6-12 anni.
Questo gruppo di TDI è prevalentemente rappresentato da lesioni complesse, multiple
e interessanti contemporaneamente i tessuti duri, molli (ferite, abrasioni e lacerazioni),
quelli ossei basali (fratture mascellari) e di sostegno (fratture alveolari) (Tab 9.2).
Traumatismi sportivi
I traumi occorsi durante la pratica sportiva oscillano, come illustrato nella Tabella 9.2, at-
torno al 20-25%. La loro frequenza, bassa in età infantile, diviene molto elevata tra gli 8 e
i 16 anni, e torna a diminuire con l’aumentare dell’età dei soggetti. È innegabile che vi sia-
no alcune specialità sportive che predispongano ai traumatismi dentofacciali, e di conver-
so altre specialità possono essere ritenute solo potenzialmente a rischio (Tab. 9.3).
40% Incidenti domestici (traumatismi accidentali)
25-30% Incidenti stradali
20-25% Incidenti sportivi
5-10% Lesività colpose, aggressioni, infortuni sul lavoro e
altre lesività non meglio inquadrabili
Tabella 9.2 Frequenza delle possibili cause che determinano traumatismi dentoalveolari
Statisticamente
pericolosi
Skateboarding, sci, pallacanestro, hockey su prato,
hockey su ghiaccio, calcio, rugby, arti marziali,
pallamano
Potenzialmente
pericolosi
Pattinaggio sul ghiaccio, mountain bike, lancio del peso,
pallavolo, pallanuoto, surfing, sollevamento pesi,
ginnastica acrobatica, tennis, golf, calcio, ginnastica,
lacrosse, baseball, raquetball, pattini in linea, pugilato
Potenzialmente
e statisticamente pericolosi Squash, lotta, sport equestri, rugby, pallamano
Tabella 9.3 Classificazione dei vari tipi di sport a rischio traumatico
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Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
Capitolo 9
Occorre rapportare l’incidenza dei traumatismi dentoalveolari nei diversi sport con il nu-
mero di individui che effettivamente li praticano per ottenere la reale prevalenza dei
traumatismi legati a ciascuna disciplina.
Chiaramente ai vari tipi di sport è associato un diverso rischio di subire e riportare lesio-
ni di gravità variabile, a seconda che sia previsto l’uso di oggetti contundenti (bastoni,
mazze, palline e dischetti, per esempio nell’hockey, nel baseball, nella pallamano), il rag-
giungimento di elevate velocità (pattinaggio, surfing, motociclismo e ciclismo), la neces-
sità di contatto fisico tra i giocatori (pallanuoto, basket, arti marziali, rugby ecc.) o la
associazione di alcuni di questi fattori (per esempio, nell’hockey su ghiaccio e su prato,
nell’equitazione, nel polo).
Inoltre, l’inesperienza dei giocatori, principalmente quando si praticano sport a rischio
in età infantile o adolescenziale, o l’atteggiamento aggressivo di gioco (insito in partico-
lare in alcuni sport) contribuiscono ad aumentare la probabilità di subire traumatismi
facciali e dunque dentoalveolari.
Da qui l’obbligo per alcuni sport (talora limitatamente alle fasce d’età più basse e/o al
sesso femminile) di utilizzare apposite protezioni extraorali (per esempio, i caschi a pro-
tezione integrale nell’hockey su ghiaccio per le donne e gli under 16) o intraorali (para-
denti o mouthguard) come in tutte le specialità di combattimento.
Tuttavia, si sottolinea che, in molte attività agonistiche violente, anche a livello profes-
sionale, l’uso delle protezioni intraorali è infrequente e legato alla libera iniziativa del
singolo giocatore.
In tutte le discipline in cui queste norme di protezione sono state rese obbligatorie, la
percentuale di eventi con traumatismi dentali si è drasticamente ridotta; si pensi al
football americano che ha abbassato le percentuali di traumi orali al di sotto del 2% e
ha favorito una notevole riduzione anche dei fenomeni concussivi cerebrali.
Fattori caratteristici
dei traumatismi dentoalveolari
I fattori che influenzano il tipo, la gravità o l’espressività della lesione sono princi-
palmente:
• l’intensità della forza traumatica (ovvero la forza d’impatto tra il corpo contundente e
il soggetto);
• la direzione di applicazione della forza;
• la resilienza dell’oggetto contundente;
• la forma dell’oggetto contundente.
Intensità. Maggiore è la velocità dell’impatto sulle strutture dentoalveolari, maggiore sa-
rà la probabilità che si verifichino lesioni a carico dei tessuti duri (fratture di corona).
Se la velocità è minore, invece, saranno relativamente più probabili lesioni ai tessuti
molli e parodontali (lussazioni).
Capitolo 9
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Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
Direzione. Può influire nel determinismo dell’estensione e della direzione delle linee di
frattura con cui il traumatismo si manifesta, a livello sia delle corone dentali sia delle
radici (fratture ad andamento orizzontale e/o verticale).
Forza di impatto e resilienza. La gravità della lesione, nel caso delle fratture, sembra es-
sere direttamente proporzionale al modulo di elasticità dell’oggetto contundente; se que-
sto è piuttosto elastico, si verificheranno con maggiore probabilità fratture di gravità
minore o lussazioni.
Forma dell’oggetto contundente. Più l’oggetto è piccolo, minore sarà l’area di applica-
zione della forza e dunque maggiore risulterà l’entità della stessa per unità di superficie.
La probabilità di frattura risulterà dunque aumentata, a discapito di fenomeni lussativi.
Questo fattore è rilevante, per esempio, in alcune discipline sportive nelle quali è possi-
bile prevedere con molta precisione quali saranno gli esiti di eventuali traumatismi den-
tofacciali e, di conseguenza, predisporre adeguati mezzi di protezione.
Classificazioni
delle lesioni traumatiche
Nelle tabelle di seguito riportate (Tabb. 9.4-9.7) sono presentate alcune delle classifica-
zioni delle lesioni traumatiche dentali più utilizzate.
Classe Caratteristiche
1Frattura dello smalto, incluse le infrazioni
2Frattura coronale senza interessamento pulpare
3Frattura coronale con interessamento pulpare
4Frattura radicolare
5Frattura corono-radicolare
6Frattura dentale non meglio specificata
7Lussazione dentale
8Intrusione o estrusione dentale
9 Avulsione
10 Altri traumatismi (compresa la lacerazione dei tessuti molli)
Tabella 9.4 Classificazione OMS, 1992
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Classe Tipologia di traumatismo
IFrattura semplice della corona con interessamento del solo smalto
II Frattura estesa della corona con interessamento di smalto e dentina senza
esposizione pulpare
III Frattura estesa della corona con interessamento di smalto e dentina con
esposizione pulpare
IV Perdita di vitalità pulpare con o senza perdita della struttura coronale
V Avulsione
VI Frattura radicolare con o senza frattura coronale
VII Dislocazione traumatica del dente con o senza frattura della corona
o della radice
VIII Frattura coronale totale a livello cervicale
IX Traumatismi dei denti decidui
Tabella 9.5 Classificazione di Ellis e Davey, 1945
• Infrazioni dello smalto
• Fratture dello smalto
• Fratture dello smalto e della dentina
• Fratture della corona con esposizione pulpare
• Fratture corono-radicolari
• Fratture radicolari
Tabella 9.6 Classificazione di Andreasen e Andreasen, 1990
Classe Tipologia di traumatismo
AFratture coronali semplici (smalto) interessanti un angolo coronale (mesiale
o distale) o esclusivamente il margine incisale
BFratture complesse interessanti gli angoli mesiale o distale e la superficie incisale
B1 È presente anche coinvolgimento pulpare
CFratture complesse interessanti la superficie incisale e almeno un terzo della
superficie coronale
C1 È presente anche interessamento pulpare
DFratture complesse interessanti anche la radice (fratture corono-radicolari)
D1 È presente anche interessamento pulpare
HTutte le fratture che presentano una polpa silente o necrotica, anche nel
caso in cui le fratture non siano complicate
Tabella 9.7 Classificazione di Spinas, 2002
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Capitolo 9
Prevenzione
dei traumatismi dentoalveolari
Se la carie, malattia fortemente legata agli stili di vita, è prevenibile, lo stesso principio
non vale per i traumatismi che colpiscono l’apparato orodentale: il traumatismo è un
evento accidentale indipendente dalla volontà del singolo e le possibilità di prevenirlo
sono scarse.
Nella sanità pubblica, il quesito cruciale riguardo a questo tema è se esistano o meno
azioni preventive efficienti, cioè se sia possibile ridurre, all’interno della comunità, l’in-
cidenza dei traumatismi dentali e le loro complicanze.
Nella cultura sanitaria odierna, infatti, si eccede nell’utilizzo del termine prevenzione co-
me se la pratica preventiva fosse non solo sempre applicabile, ma anche e soprattutto un
viatico sicuro per una vita senza malattie. Lo slogan “prevenire è meglio che curare” pog-
gia su un fondamento etico con il quale si intende giustificare il primato della medicina
preventiva su quella curativa indipendentemente dai suoi limiti (non sempre si può pre-
venire), dai costi (il rapporto costo-benefici è spesso negativo) e dai reali benefici (spes-
so più supposti che accertati).
L’attività di prevenzione dovrebbe esplicarsi essenzialmente su quattro livelli:
• informare i soggetti e attrezzare l’ambiente;
• correggere i fattori predisponenti;
• proteggere le parti esposte a possibili lesioni;
• prevenire le recidive post-traumatismo.
Informare i soggetti e attrezzare l’ambiente
L’informazione dei soggetti che praticano attività di socializzazione e sport a rischio,
riguardo gli atteggiamenti e le precauzioni da adottare per prevenire il traumatismo oro-
facciale, è di fondamentale importanza. L’attività informativa dovrebbe interessare in
maniera capillare tutti gli istituti scolastici (da quelli infantili a quelli superiori) nei quali
sono svolte quotidianamente non solo attività ricreative e ludiche, ma anche attività
sportive (in tale ambito andrebbero motivati e istruiti gli insegnanti e i direttori didatti-
ci), e dovrebbe prevedere la consegna di materiale didattico semplice e chiaro che, at-
traverso poster da posizionare sulle pareti e piccoli pieghevoli da distribuire individual-
mente, riassuma i concetti preventivi e di trattamento più immediato.
Nel caso dei piccoli sportivi, l’informazione sarà principalmente rivolta a loro, ma anche
ai genitori e al team delle società sportive alle quali i soggetti appartengono (dirigenti, al-
lenatori, preparatori atletici, medici sportivi e societari, fisioterapisti ecc.) e che più di-
rettamente sono chiamati alla conoscenza delle problematiche tecniche e sanitarie affe-
renti ai traumatismi sportivi; dovrebbe, inoltre, avvenire tramite la realizzazione di in-
contri informativi da ripetersi regolarmente nel tempo (ogni 6-12 mesi).
L’informazione dovrebbe essere svolta anche in maniera istituzionale da parte dei mini-
steri competenti e degli organismi nazionali (CONI), così da stimolare l’organizzazione
e l’attuazione di piani nazionali di prevenzione dei traumatismi orofacciali.
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Capitolo 9
Correggere i fattori predisponenti
La correzione dei fattori predisponenti concerne la diagnosi precoce e il trattamento del-
le patologie o delle condizioni anatomiche che favoriscono i traumatismi e che, essen-
zialmente, sono annoverabili nel gruppo delle anomalie di tipo occlusale e/o gnatologico.
Le anomalie che dovrebbero essere riconosciute in prima battuta dai pediatri di famiglia
e sottoposte agli odontoiatri pediatrici curanti per il trattamento sono:
•le forme patologiche che aumentano il prognatismo superiore, favorendo l’impatto tra
l’arcata superiore e i corpi esterni;
• le II classi scheletriche e dentali;
• l’aumento dell’OVJ e/o dell’OVB;
• le abitudini viziate che aumentano l’OVJ;
• la presenza di denti ritenuti e/o inclusi che determinano un locus minoris resistentiae
delle ossa mascellari.
I soggetti portatori di tali fattori predisponenti potrebbero essere individuati prima del-
l’inizio della pratica di attività sportive riconosciute tra le cause più frequenti di trauma-
tismi orofacciali.
Il trattamento di tali condizioni è chiaramente di tipo ortodontico tradizionale o inter-
cettivo, mobile o fisso, mirato all’attenuazione e alla correzione delle eventuali discre-
panze; per quanto possibile, non dovrebbe ostacolare o ritardare l’inizio delle attività di
socializzazione.
Proteggere le parti esposte a possibili lesioni
La protezione deve essere effettuata tramite l’utilizzo di attrezzature (caschi e maschere
protettive) e apparecchiature intra- ed extraorali (paradenti e bite), e attraverso l’adozio-
ne di norme e regolamenti atti a favorire l’ordinato e sorvegliato svolgimento di attività
ad alto rischio di cadute, scontri e/o contatti fra partecipanti (asili, parchi gioco), in
strutture adatte al tipo di attività prevista e che rispettino le norme di sicurezza degli am-
bienti e dell’impiantistica.
Gli sport che non richiedono protezioni facciali extraorali dovrebbero prevedere quanto-
meno protezioni intraorali, cioè paradenti o mouthguard adeguati all’età del soggetto e al-
la disciplina.
Prevenire le recidive post-traumatismo
Se, per inosservanza dei livelli precedenti di prevenzione, si è verificato un traumatismo,
occorre attenuare gli esiti delle lesioni sviluppate. L’attuazione di terapie congrue, tem-
pestive e appropriate limita le conseguenze personali (in termini di invalidità) e i costi
sociali dei traumatismi, riducendo il costo di riabilitazione.
A tal fine devono essere implementate e regolarmente proposte attività informative e di
aggiornamento presso le categorie professionali coinvolte nell’accoglienza e nel tratta-
mento delle patologie del distretto cefalico. Queste interessano ovviamente gli operatori
sanitari generici (Pronto Soccorso, pediatri, infermieri) e gli specialistici (odontoiatri pe-
diatrici, ortodontisti, igienisti orali), ma anche il personale di strutture pubbliche (bidelli,
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custodi, istruttori e insegnanti) che deve perlomeno conoscere le norme generali di primo
intervento (recupero e mantenimento degli elementi dentali avulsi).
Come evidenziato in precedenza, è molto difficile attuare reali ed efficaci strategie che
prevengano l’accadimento di eventi traumatici in età giovanile a causa della casualità e
repentinità con cui tali eventi si verificano.
Esiste però la possibilità di annullare o perlomeno attenuare gli effetti devastanti di tali
patologie, almeno in quel 25% dei casi ricollegabile con certezza alle attività sportive in
discipline a rischio traumatico, individuali e di gruppo, che prevedono un inizio in età
piuttosto precoce (basket, pallamano, hockey, arti marziali, mountain bike). A tale scopo
andrebbero più estesamente proposti e utilizzati i protettori orali detti anche mouthguard
(o paradenti).
Mouthguard o paradenti
Tali dispositivi consentono di attuare una prevenzione di tipo diretto: proteggono infatti
gli incisivi superiori da impatti frontali diretti; forniscono una protezione nei confronti di
lacerazioni dei tessuti molli distanziandoli dai denti (molto importante negli atleti porta-
tori di apparecchi ortodontici fissi); proteggono tutti gli elementi dentali dal traumati-
smo indiretto derivante da un impatto violento che agisca con le arcate in occlusione; ri-
ducono i rischi di fratture della mandibola per colpi provenienti dal basso; riducono la
forza con cui i traumatismi sulla mandibola possono trasmettersi, con meccanismo indi-
retto, a denti, cranio, collo, articolazione temporo-mandibolare (prevenzione anche in
ambito di concussione cerebrale).
È importante sottolineare in questa sede come l’uso del paradenti debba essere incorag-
giato nei bambini che si dedicano a sport “di contatto” e questo soprattutto per due mo-
tivi: la maggiore gravità di alcuni traumatismi quando questi si verificano in soggetti in
crescita (8-12 anni) e una più facile accettazione del paradenti quanto più precocemen-
te esso venga applicato.
È stato dimostrato che gli atleti più giovani manifestano una compliance maggiore nei
confronti di tutti i tipi di paradenti rispetto agli atleti più anziani che abbiano preceden-
temente praticato sport senza indossarli. Inoltre, se i paradenti vengono indossati anche
durante le fasi di allenamento, essi sono poi meglio tollerati e utilizzati nelle competizio-
ni o comunque quando si raggiungono elevati livelli di agonismo e quindi quando il ri-
schio di traumatismo è maggiore.
Çetinbas e Sönmez (2006) comunicano i risultati di un’indagine condotta su 22 allena-
tori di 15 scuole superiori di Ankara (Turchia) allo scopo di valutare le loro conoscenze
sull’uso dei mouthguard, nonché la frequenza di utilizzo dei paradenti stessi presso la po-
polazione studentesca di età compresa tra gli 11 e i 18 anni.
Nessuno degli adolescenti incluso in questa fascia di età utilizzava il paradenti durante
l’attività sportiva; ne derivò quindi la necessità di incoraggiare la diffusione e l’utilizzo di
paradenti, agendo specificatamente sugli allenatori quali ideali veicoli informativi.
Su richiesta della Società Italiana di Odontostomatologia dello Sport (SIOS), il Centro
Studi sui Traumi Dento Facciali dell’Università degli Studi di Cagliari ha condotto un’in-
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Capitolo 9
dagine epidemiologica su 4000 atleti, di cui 1000 erano studenti delle scuole medie del-
le province di Cagliari e Nuoro (Ranalli et al, 1999). In tale indagine si è appurato che il
30% del campione aveva subìto un traumatismo durante la pratica sportiva e che il 60%
di tali traumatismi era a localizzazione dentoalveolare.
Si è poi valutato il grado di conoscenza e applicazione, da parte degli atleti, delle norme
generali di prevenzione degli eventi traumatici dentali. In proposito, solo il 2% del cam-
pione ha dichiarato di conoscere e utilizzare un paradenti, e circa il 35% si è dichiarato
disposto a utilizzarne uno, se gli fosse stato fornito gratuitamente.
Recentemente, Spinas (2007) ha condotto un’indagine su 300 giovani cestisti metten-
do in evidenza la scarsissima conoscenza del paradenti (10% del campione) e l’ancor
meno frequente utilizzo (3 soggetti), di solito motivato dall’aver già subito un traumati-
smo orodentale.
I paradenti sono convenzionalmente suddivisi in tre classi:
1. Stock mouthguard, o paradenti pronti all’uso, disponibili in varie misure standard,
attualmente in disuso perché non facilmente adattabili e perché hanno caratteristiche
di ritenzione assolutamente insufficienti (Fig. 9.4).
2. Mouthguard semindividuali (self-made), preformati, da modellarsi intraoralmente,
solitamente ritenuti poco efficienti. Comprendono i Boil and Bite classici e quelli di
nuova generazione tra cui il ProGuard e modelli similari (Boil and Bite N.G.) (Figg. 9.5
e 9.6).
3. Custom-made mouthguard, detti individuali perché costruiti in laboratorio sul
modello delle arcate del paziente. Quest’ultima tipologia si suddivide, inoltre, in para-
denti monolaminari e plurilaminari, a seconda del tipo e del numero di strati protettivi
di materiale utilizzato, e della tecnica di realizzazione con l’utilizzo di basse o alte
pressioni di trattamento dei materiali (Fig. 9.7).
Dai dati presentati in letteratura e dai numerosi screening clinici, risulta evidente come
attualmente la scelta di un paradenti individuale risponda pienamente ai requisiti anato-
mo-funzionali e di sicurezza per l’atleta. Si tratta comunque di un’apparecchiatura che
andrebbe destinata a soggetti che abbiano completato l’eruzione e l’allineamento dentale
(quindi di età non inferiore ai 12 anni) (Fig. 9.8).
Tra le spiegazioni che gli atleti portano per giustificare il mancato utilizzo delle protezio-
ni orali si annoverano: scarsa tenuta, ingombro, respirazione oronasale difficile, bocca
secca, fonazione difficoltosa. Molte di queste motivazioni sono reali e collegate alla cat-
tiva qualità dei paradenti utilizzati e per tale ragione sarebbe opportuno che un paraden-
ti, per essere definito tale, rispondesse ad alcuni precisi requisiti (Tab. 9.8).
I paradenti preformati Boil and Bite di N.G. sembrano essere particolarmente adatti al-
l’utilizzo negli sportivi adolescenti. Essi presentano ottimali caratteristiche costruttive e
qualitative dei materiali e offrono l’innegabile vantaggio di essere adattabili a soggetti an-
che in dentatura mista (7-11 anni) potendo essere ripersonalizzati più volte (Spinas,
2009), per seguire l’evolversi della permuta dentale e la crescita alveolare.
I tempi di realizzazione ridotti e il costo assolutamente competitivo rispetto ai paradenti
individuali dovrebbero farne il paradenti di scelta nei pazienti pediatrici e/o in tratta-
mento ortodontico (Fig. 9.9).
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
167
Capitolo 9
Figura 9.4 Mouthguard di tipo standard; è
da ritenere inefficiente e il suo utilizzo deve
essere sconsigliato.
Figura 9.5 Mouthguard di tipo Boil and Bite
tradizionale; il suo adattamento orale risulta
complicato.
Figura 9.6 Mouthguard di tipo
Boil and Bite di nuova generazio-
ne; ha una personalizzazione fa-
cilitata e una buona tenuta in-
traorale.
Figura 9.7 (a) Mouthguard di tipo individuale
multistratificato; risulta il più efficiente dal punto
di vista anatomofunzionale. (b) Nello schema si
apprezza il numero di stratificazioni di materiale
possibile. ab
a
b
Figura 9.8 (a) Mouthguard individuale posizionato in cavità orale; i parametri funzio-
nali ed estetici sono rispettati. (b) L’analisi posturo-stabilometrica è spesso utilizzata
per la corretta funzionalizzazione del paradenti.
Figura 9.9 I mouthguard Boil and Bite di
nuova generazione sono i più indicati nei gio-
vani pazienti in trattamento ortodontico, per
la possibilità di essere ripersonalizzati più vol-
te, seguendo l’evoluzione terapeutica.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
168
Capitolo 9
• Essere di materiale resiliente, in quanto un materiale troppo rigido potrebbe
causare lacerazioni dei tessuti molli non svolgendo al tempo stesso alcun effetto
ammortizzante
•Avere margini arrotondati
• Essere inodore, insapore, non poroso e facilmente detergibile
• Non avere effetti ortodontici indesiderati né costringere la mandibola in
posizione forzata
•Essere aderente e ritentivo: per ottenere la ritenzione, infatti, non dovrebbe essere
necessario che l’atleta mantenga le arcate in occlusione; in caso contrario, il
mouthguard interponendosi impedirebbe la respirazione a bocca aperta
• Essere resistente all’azione dei fluidi salivari e non andare incontro a
delaminazione
• Non essere ingombrante, né ridurre gli spazi respiratori o impedire all’atleta
di parlare
• Presentare uno scudo vestibolare che si estenda di circa 5-6 mm al di sopra
del bordo gengivale per fornire il massimo della protezione, mentre palatalmente
che si estenda per circa 1-2 mm; Yamada et al (2006) in effetti hanno dimostrato
che la capacità di difesa dalle forze traumatiche non varia al variare della posizione
del bordo palatale del mouthguard rispetto al margine cervicale dei denti, purché
la superficie palatale dei denti sia completamente coperta
• Lo spessore dovrebbe essere di almeno 3-4 mm sulle superfici vestibolari,
di 3 mm sulla superficie occlusale. Recentemente, Takeda et al (2004) hanno
confermato che l’efficienza del paradenti nel disperdere le forze traumatiche
diminuisce con spessori occlusali al di sotto di 3 mm
• Consentire il contatto tra le arcate con l’interposizione di uno spessore occlusale
di 2-3 mm, in modo che, qualora la mandibola subisca un traumatismo che ne
determina la chiusura forzata, l’energia sia distribuita su tutta l’arcata mascellare.
Occlusalmente, è fondamentale che siano registrate e riprodotte le impronte degli
elementi dentali mandibolari e mascellari, benché non eccessivamente accentuate
(si ridurrebbe il necessario spessore del paradenti e il suo effetto ammortizzante).
Tuttavia, soprattutto negli sport dinamici non è fondamentale che ci sia il blocco
dell’arcata antagonista in occlusione, ma deve essere garantito un certo grado di
“area di occlusione” in cui l’atleta possa entrare e da cui possa uscire con facilità
• Avere una durezza Vickers di almeno 78 shore A
• Essere modificabile a seconda delle necessità
• Avere un costo contenuto
Tabella 9.8 Caratteristiche di idoneità dei mouthguard
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
169
Capitolo 9
Trattamento
dei traumatismi dentoalveolari
Se la prevenzione non è stata attuata o non ha avuto successo, occorre instaurare una ra-
zionale terapia delle lesioni traumatiche.
I rilevanti risvolti clinici, talvolta drammatici per i piccoli pazienti e per le loro famiglie,
legati anche alle possibili, e talora gravi, sequele delle lesioni traumatiche, richiedono
l’immediato intervento di operatori esperti. In tale ottica è necessario un corretto inqua-
dramento delle attività clinico-diagnostiche che devono essere intraprese, in primo luo-
go l’esame obiettivo del traumatizzato e delle lesioni.
Prima visita
La prima visita del paziente traumatizzato è sempre un momento terapeutico particolar-
mente importante, soprattutto quando avviene in urgenza e cioè nelle immediate vici-
nanze dell’evento traumatico. Essa deve essere condotta con serenità ma con il massimo
dell’attenzione e secondo protocolli ormai collaudati; si vedrà che a seconda dell’età del
paziente e delle circostanze in cui è avvenuto il traumatismo, essa assume connotazioni
caratteristiche. Inoltre, l’accentuarsi delle problematiche medico-legali legate all’attività
professionale medica ha motivato una maggiore attenzione nella raccolta dei dati riguar-
danti la prima visione obiettiva del paziente traumatizzato.
L’importanza di una diagnosi clinica tempestiva ed efficace presenta una notevole rile-
vanza psicologica, funzionale ed estetica, che un operatore sanitario non può deliberata-
mente ignorare.
La prima visita si articola nei seguenti step:
1. inquadramento della patologia;
2. approccio psicologico;
3. anamnesi (attuale, prossima e remota);
4. raccolta della documentazione preesistente (se disponibile);
5. esame clinico obiettivo;
6. esami strumentali (test di sensibilità, radiografie, fotografie);
7. verifica e valutazione dei dati raccolti;
8. realizzazione del piano terapeutico;
9. certificazione dell’attività clinico-diagnostica.
Inquadramento della patologia
Di tale momento iniziale si è già discusso: un corretto inquadramento consente un no-
tevole risparmio di tempo e di energie all’operatore. Occorre in primo luogo chiarire che
il trattamento di un traumatismo dentale è da intendersi per l’operatore e per il suo staff
come un evento da codice rosso, cioè, nella maggioranza dei casi, ha la precedenza su
qualsiasi altra patologia e/o trattamento programmato, e motiva quindi una variazione
dell’agenda e degli appuntamenti della giornata.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
170
Capitolo 9
Classe Trattamento
Classe A
•Riattacco del frammento
•Ricostruzione in composito
•Rimodellazione del margine della frattura con simulazione di
un’abrasione fisiologica (solo per minime perdite di sostanza)
Classi B e C •Ricostruzione in composito
•Riattacco del frammento
Classi B1 e C1
•Nei decidui: pulpotomia seguita dall’applicazione di idrossido
di calcio puro e dalla ricostruzione in composito
•Nei permanenti immaturi: pulpotomia in due tempi con
idrossido di calcio e ricostruzione
•Nei permanenti con apice formato: incappuciamento diretto
e successiva ricostruzione. Controlli per monitorare la
vitalità pulpare
•Nei permanenti con compromissione pulpare: terapia canalare e
ricostruzione (possibile l’utilizzo di perni endocanalari in fibra)
Classi D e D1
•Estrusione chirurgica
•Gengivectomia con riposizionamento apicale e chirurgia ossea
•Estrusione ortodontica
•Estrusione ortodontica con reintrusione ortodontica
Tabella 9.9 Opzioni terapeutiche nelle varie categorie di traumatismi coronali (secondo
la classificazione di Spinas)
In primis poiché per il corretto e sereno dispiegamento terapeutico in tali patologie è
sempre necessario un lavoro almeno a quattro mani, e ovviamente perché la celerità del-
la diagnosi e dell’intervento è fondamentale per la buona riuscita dell’operazione o quan-
to meno per l’attenuazione degli esiti futuri. È possibile anche stilare una graduatoria de-
gli interventi che necessitano di priorità: primo fra questi, il trattamento delle exartico-
lazioni e delle lussazioni necessitano di un immediato intervento, soprattutto se il pa-
ziente è molto giovane (7-11 anni).
Anche le fratture corono-radicolari, le fratture di radice e le esposizioni pulpari devono
essere trattate in tempi brevi, mentre le concussioni e sublussazioni, le fratture di coro-
na non complicate possono avere un intervento posticipato di qualche ora.
Anche il ruolo di chi riceve il messaggio (telefonico) che preavvisa l’arrivo di un paziente
traumatizzato è fondamentale, perché in pochi minuti deve cercare di inquadrare la gravità
dell’evento, organizzare e predisporre gli opportuni interventi dell’équipe odontoiatrica.
Di seguito si propone uno schema di procedura che accorpa i vari momenti in cui l’atto
terapeutico va articolato in presenza di queste complesse patologie (Tab. 9.9).
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
171
Capitolo 9
Approccio psicologico
Esso segue i canoni e le procedure ben note in odontoiatria pediatrica e va adattato al-
l’età del giovane, va messo in opera da personale adeguatamente formato ed è rivolto non
solo al paziente traumatizzato (bambino o adolescente), ma anche alle persone che sono
presenti al momento della visita (genitori, parenti, amici). Deve essere attuato possibil-
mente da personale addestrato e con precedente esperienza riguardo a tali situazioni pa-
tologiche. Nel caso in cui il traumatismo abbia interessato un soggetto molto giovane,
l’attività obiettiva e clinica di urgenza si realizza sempre in presenza di un genitore (la
madre in genere) che supporta anche fisicamente il piccolo paziente.
Anamnesi
Anamnesi attuale. Si raccolgono la sintomatologia soggettiva nonché le impressioni del pa-
ziente riguardo al traumatismo (intensità, estensione, irraggiamento). Tale rilievo è agevole
nel caso di soggetti lucidi, coscienti e di età superiore ai 5-6 anni, ma diviene più difficoltoso
e meno preciso in soggetti al di sotto dei 4 anni. Viene eseguita anche una prima valutazione
generale sullo stato neurologico del paziente affinché situazioni dubbie di deficit siano invia-
te ai reparti di competenza e l’intervento strettamente stomatognatico sia procrastinato.
Anamnesi prossima. Si ricostruiscono le modalità di accadimento del trauma riportando
l’ora, il luogo, le cause e la dinamica (sportiva, accidentale, domestica, stradale, aggres-
sione) dell’incidente; in particolar modo si descrive, se accertabile, l’oggetto contunden-
te che ha provocato la lesione. In alcuni casi è possibile rilevare versioni discordanti nel
racconto dei fatti da parte del piccolo paziente e/o dei suoi accompagnatori; tale eve-
nienza merita di essere ulteriormente investigata, soprattutto quando ci si trova in pre-
senza di soggetti in età molto giovane che mostrino lesioni ai tessuti cutanei periorali
non chiaramente ricollegabili al traumatismo stesso o che presentino situazioni trauma-
tiche recidivanti (abuso di mezzi di correzione in famiglia o negli asili).
Anamnesi familiare, medico-farmacologica e patologica remota. La raccolta docu-
mentale può essere procrastinata, nei casi d’urgenza, a eccezione della parte più stretta-
mente medico-farmacologica (intolleranza/allergia a farmaci, epilessia, diabete, crasi
ematica ecc.); inoltre, vista l’incidenza particolarmente alta di molti stati patologici in-
fettivi, è consigliabile completare al più presto tale documentazione. Tutti i dati vanno
ordinatamente raccolti in un’apposita cartella.
Raccolta della documentazione preesistente
Ogniqualvolta un paziente che abbia subìto un traumatismo giunge all’osservazione del
clinico, è indispensabile accertarsi se sia già stato visitato da altri sanitari (odontoiatri,
medici, Pronto Soccorso) per il medesimo traumatismo, di quali esami sia eventualmen-
te in possesso (in particolare, radiografie) e a quali terapie sia stato sottoposto. È molto
importante verificare la correttezza delle notizie riportate in tali documenti (certificazioni
e consulenze) e nel caso in cui vengano evidenziati errori o dimenticanze è bene provve-
dere (appena terapeuticamente possibile) al rinvio del paziente presso tali strutture per
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
172
Capitolo 9
la correzione delle attestazioni, in particolare se derivano da visite in Pronto Soccorso,
poiché tali certificati hanno un peso rilevante nelle successive eventuali (frequenti) atti-
vità medico-legali che conseguono alla stabilizzazione degli esiti traumatici.
Esame clinico obiettivo
Un attento esame obiettivo è indispensabile al fine di eseguire una corretta diagnosi e
dunque per impostare un piano di trattamento valido.
L’osservazione del traumatizzato inizia con la visione da parte dell’operatore dei profili
laterale, frontale e superiore del viso per valutare l’eventuale presenza di asimmetrie e/o
zone di infossamento provocate da fratture, edemi e contusioni.
L’ispezione dei tessuti extraorali permette la ricerca di ferite o esiti cicatriziali che pos-
sono far prevedere la sede e il tipo di lesione concomitante; in primo luogo devono esse-
re investigati labbra, lingua e fornice. Da non scordare la palpazione del bordo mandibo-
lare e del processo mascellare vista l’alta frequenza di fratture. Tali esami, ovviamente,
dovrebbero essere di competenza dei medici dei reparti ospedalieri maxillofacciali, ma è
buona norma non trascurarli, soprattutto se il soggetto giunge in prima battuta all’atten-
zione dell’odontoiatra.
Si procede con l’esame intraorale controllando l’integrità della gengiva, della mucosa al-
veolare e, in assenza di tali riscontri, della mucosa geniena. A carico di questi tessuti si
possono rilevare lacerazioni, tumefazioni ed emorragie che possono essere la spia di sot-
tostanti fratture mascellari.
Dei tessuti duri si analizza l’integrità della superficie coronale dei denti, procedendo poi alla
valutazione della loro posizione assiale e all’eventuale presenza di mobilità orizzontale e as-
siale (per questa manovra si utilizzano i manici dello specchietto e dello specillo). La palpa-
zione del processo alveolare può rilevare l’eventuale presenza di sottostanti fratture ossee.
Esami strumentali
L’esecuzione degli esami di seguito illustrati costituisce il normale complemento del-
l’esame clinico-obiettivo.
Test di sensibilità pulpare. I principali test utilizzati per la sensibilità pulpare sono il test
al freddo (cloruro di etile) e il test elettrico. Bisogna ricordare che dopo l’evento trauma-
tico il dente è in uno stato di shock che può durare alcuni giorni, perciò è consigliato ri-
petere il test – sempre – nel corso dei successivi controlli. L’attendibilità della risposta è
molto limitata nei soggetti al di sotto dei 5 anni di età e in dentatura decidua. È consi-
gliabile estendere il test non solo ai denti obiettivamente interessati dal traumatismo ma
anche agli elementi dentali adiacenti e in rapporto di antagonismo.
Fotografie. La documentazione fotografica è fondamentale nel pre- e nel post-trauma-
tismo. È composta da almeno cinque fotografie: una foto del viso (1/8 x), una frontale
della zona sede del traumatismo, una delle sequele cliniche (fistole, lacerazione dei tes-
suti ecc.), una frontale delle arcate in occlusione (1/2 x) e una della zona linguale sede
del traumatismo. Deve essere sempre eseguita e va gelosamente custodita in quanto è
un’attestazione incontrovertibile delle lesioni iniziali.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
173
Capitolo 9
Radiografie. È indispensabile effettuare radiografie endorali sia sui denti traumatizzati
sia su quelli adiacenti e antagonisti. Le radiografie devono essere effettuate con l’ausilio
di un centratore in modo da ottenere immagini ottimali, facilmente ripetibili e dunque
comparabili per valutare il risultato a distanza di tempo. L’ortopantomografia (OPT) ha
il compito di dare una prima immagine delle zone orale e articolo-temporale, infatti le
fratture della mandibola (soprattutto condilari), molto frequenti nei traumatismi giova-
nili, sono individuate in prima istanza proprio con questa indagine.
Verifica e valutazione dei dati raccolti
Questo step risulta essere una fase di analisi e sintesi di tutte le informazioni fin qui rac-
colte e ritenute utili per l’allestimento di un corretto e tempestivo piano terapeutico; gli
esami che presentano scarsa definizione o che sono interpretabili devono essere, se pos-
sibile, ripetuti.
Realizzazione del piano terapeutico
Quest’ultima fase necessita in primis dell’attestazione da parte del paziente o dei suoi
tutori (in caso di minore) del consenso informato all’esecuzione del piano terapeuti-
co predisposto. L’operatore dovrebbe eseguire, con la sicurezza e l’esperienza matura-
ta negli anni, gli interventi utili e necessari al corretto trattamento delle lesioni eviden-
ziate con l’intento di promuovere la guarigione o l’attenuazione degli effetti invalidanti
del trauma.
È noto che i traumatismi dentali in dentatura sia decidua sia permanente possono com-
portare di frequente conseguenze invalidanti; queste possono essere evitate sia con pre-
coci e corrette manovre terapeutiche, sia con la puntuale gestione della terapia sia con
il controllo e il mantenimento della stessa nei mesi a seguire (follow-up).
Naturalmente il tipo di operatività varia a seconda del tipo di traumatismo da trattare e
del codice di urgenza attribuitogli.
In alcune tipologie di traumatismo (lussazioni ed exarticolazioni), provenienti dagli am-
biti scolastico e sportivo, sarebbe necessario un primo intervento già nella sede del-
l’evento traumatico, ma tale possibilità è realizzabile solo in pochissime situazioni. Ov-
viamente, a causa di tali carenze, la tempestività e la validità di alcune procedure perdo-
no gran parte della loro significatività e, di conseguenza, si riduce la possibilità di una
completa restituito ad integrum della lesione anatomica esitata.
Certificazione dell’attività clinico-diagnostica
L’attestazione scritta di quanto operativamente realizzato, ma soprattutto la descrizione
dello stato di salute del paziente prima e dopo l’intervento specialistico, risultano essere
obblighi deontologici e legali a cui non ci si dovrebbe sottrarre e che anzi dovrebbero es-
sere normalmente esercitati da ogni operatore. Con tale attestazione e con il supporto
delle altre indagini diagnostiche effettuate si realizza una fotografia indelebile del mo-
mento post-lesivo, di estrema importanza per il danneggiato nel prosieguo dell’iter me-
dico e legale che di frequente consegue a tale tipologia di eventi lesivi.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
174
Capitolo 9
Traumatismi in dentatura decidua
Per quanto attiene traumatismi che possono interessare i giovanissimi e di conseguenza la
dentatura decidua, si deve fare riferimento in prevalenza a soggetti di età compresa tra 1 e 3
anni. Come detto, le cause principali degli eventi traumatici sono le cadute e gli scontri du-
rante le attività ludiche; i luoghi di maggiore riscontro sono le abitazioni (cadute dalle scale
e su strutture fisse con traumatismo diretto del viso o della dentatura), le scuole materne o
gli asili (scontri tra bambini), i parco giochi (cadute da scivoli, giostre, tricicli e biciclette).
I traumatismi in tale fascia d’età sono difficilmente controllabili e prevenibili; in primo
luogo andrebbero monitorate tutte le attività svolte presso gli asili, ove spesso i bimbi so-
no coinvolti in attività ludico-ginniche, e in particolar modo vanno verificati gli ambienti
in cui tali giochi vengono svolti (ambienti chiusi o aperti) per controllare il rispetto delle
norme di sicurezza, in particolare inerenti alla pavimentazione e alla presenza di ostacoli
fissi (gradini, cordoli ecc.).
In tali ambienti e in presenza di bimbi al di sotto dei 4 anni, l’ipercinecità, l’incoordina-
zione e l’assenza di freni inibitori determinano frequenti cadute e scontri fra i piccoli
partecipanti che dovrebbero essere adeguatamente prevenuti con una maggiore sorve-
glianza e partecipazione del personale di controllo.
Anche certe discipline sportive vedono esordi molto precoci (sci, nuoto, ginnastica) e
spesso già a 3-4 anni i bambini sono avviati ai primi rudimenti e necessitano di attrezza-
ture protettive adatte e di personale addestrato per il controllo e l’ordinato svolgimento
degli esercizi (per esempio con la formazione di piccoli gruppi sotto attenta sorveglianza).
Da non sottovalutare l’uso di skateboard, pattini e biciclette che, proprio a tali età, con
il tentativo di passaggio “dalle rotelle alle due ruote” caratterizza una fase difficile e ricca
di cadute.
È evidente che, per la presente trattazione, la fascia di maggior interesse risulta eziolo-
gicamente quella fra 1 e 3 anni poiché maggiormente coinvolta in tali attività e perché
la dentatura decidua è in fase di completamento e l’incoordinazione motoria è ancora
notevolmente presente.
I traumatismi facciali in tali soggetti interessano soprattutto gli elementi frontali superiori
e vedono nelle alterazioni occlusali (OVJ aumentato) dei fattori predisponenti importanti.
Nel 70% dei casi, questi traumatismi sono di tipo lussativo, con altissima frequenza di in-
trusioni ed exarticolazioni; meno frequentemente si repertano fratture coronali e corono-
radicolari, a causa del rapporto corona-radice (sempre vicino al rapporto 1:1) e per la note-
vole elasticità dei processi alveolari che favorisce la mobilizzazione degli elementi dentali.
In presenza di ferite lacerocontuse (FLC) e/o di ecchimosi ed ematomi estesi del mento
con alterata funzione occlusale (si ricorda che, a tale età, difficilmente i bambini utiliz-
zano le mani come protezione nella caduta frontale), non si deve trascurare la presenza
di possibili fratture condilari (testa e ramo) che vanno sempre ricercate (con Rx, OPT e
submento vertice).
Nella maggior parte dei casi è comunque necessario un approccio soft a tali tipologie di
giovani pazienti che il più delle volte è probabile siano “alla prima volta” in ambito odon-
toiatrico, ed è bene conservino di tale esperienza, e dei successivi incontri, un ricordo
non ulteriormente “traumatizzante”.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
175
Capitolo 9
Frattura di corona
I traumatismi non complicati dei denti decidui, che interessano cioè solo la corona den-
tale senza interessamento pulpare, vengono repertati con una frequenza bassa, in primo
luogo perché sono spesso sottostimati dai genitori dei piccoli pazienti e in secondo luogo
a causa della loro scarsa influenza funzionale; giungono all’osservazione del clinico solo
quando si accompagnano a manifestazioni pulpari (concomitano infatti fenomeni di tipo
sublussativo) con insorgenza di ascesso e fistola drenante o per un silente inscurimento
della corona dentale. Tali fenomeni possono insorgere spesso a distanza di tempo dal-
l’evento traumatico (Figg. 9.10 e 9.11).
In caso di frattura semplice della corona (perdita di smalto e/o dentina), la terapia di
scelta verte sull’uso di ricostruzioni in resina composita.
In caso di coinvolgimento pulpare (necrosi pulpare), la terapia di scelta è la pulpectomia
con uso intracanalare di materiali riassorbibili per non ostacolare il progredire del fisio-
logico processo esfoliativo radicolare; in questo caso sono necessari periodici controlli
clinici e radiografici endorali per valutare la normale evoluzione del processo (Fig. 9.12).
Figura 9.10 Dente deciduo 5.1 in necrosi con processo asces-
suale, esito di un traumatismo concussivo; dente deciduo 6.1
trattato per una frattura coronale semplice.
Figura 9.11 Dente deciduo 5.1 in necrosi a insorgenza tardiva
e silente.
Figura 9.12 Radiografia del trattamento canalare del dente 5.1
con utilizzo di materiali riassorbibili.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
176
Capitolo 9
Figura 9.13 Frattura corono-radicolare del dente 5.1 con esposi-
zione pulpare (a) e relativa radiografia (b).
a
b
Frattura corono-radicolare
Nel caso di fratture estese della corona che interessino anche la radice dentale è molto
frequente il diretto interessamento della polpa dentale (Fig. 9.13). La prognosi di tali
traumatismi è solitamente infausta poiché risulta difficile applicare agli elementi dentali
decidui il ventaglio di interventi disponibili per quelli permanenti.
Per tale ragione il tentativo di conservare l’elemento traumatizzato prevede la rimozione
del frammento coronale fratturato (Fig. 9.14) e la conservazione del restante frammento
radicolare dopo adeguato trattamento del moncone pulpare. Il successo di questo inter-
vento dipende anche dalla collaborazione offerta dal bambino e dall’esperienza dell’équi-
pe operatrice. Nei casi in cui il moncone radicolare non sia salvabile, si procederà alla sua
rimozione e alla successiva progettazione e applicazione di un “mantenitore di spazio”.
Frattura radicolare
I traumatismi che interessano solo la radice non sono frequenti (3-5% dei traumatismi deci-
dui) ma vanno correttamente diagnosticati in quanto spesso vengono confusi con le lussazio-
ni estrusive (Fig. 9.15). Se la rima di frattura è ad andamento orizzontale ed è situata fra il
terzo medio e il terzo apicale, si può intervenire con uno splintaggio (solidarizzazione) dei
denti interessati ai denti adiacenti sani, per ottenere la guarigione dei tessuti parodontali e
periodontali (Fig. 9.16a-c). Di contro, la frattura della porzione del terzo apicale non desta al-
cuna preoccupazione poiché evolve in uno spontaneo riassorbimento del frammento distale.
Possono essere utilizzati splintaggi con bracket ortodontici e filo, o più semplici con filo in-
trecciato e resina composita; i primi sono da preferirsi poiché consentono anche il riposizio-
namento assiale del frammento di frattura coronale (se si presenta estruso), anche se neces-
sitano di manovre di allestimento più indaginose e meno tollerate dai piccoli pazienti.
In assenza di chiari segni di interessamento pulpare non è necessario procedere alla
devitalizzazione dell’elemento interessato e per quanto attiene al destino del frammen-
to radicolare, distale alla rima di frattura, questo in genere va incontro a un fenomeno
di rizolisi fisiologica che può essere solo parzialmente più rapido (Fig. 9.16d). La meto-
dica di trattamento descritta necessita di controlli frequenti, soprattutto nei primi 6
mesi successivi al traumatismo, e di una regolare verifica radiografica dell’evoluzione
dei normali fenomeni di permuta dentale. Il risultato può essere positivo (Fig. 9.16e).
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
177
Capitolo 9
Figura 9.14 Rimozione del frammento coronale fratturato del
dente 5.1.
Figura 9.15 Dente deciduo 6.1 estruso; va posta una diagnosi
differenziale con le fratture di radice.
d
e
ab
c
Figura 9.16 (a) Immagine orale di sospetta frattura di radice del
dente 5.1 che necessita di una verifica radiologica. (b) Radiografia
occlusale del dente 5.1: si evidenzia una frattura radicolare ad an-
damento orizzontale. (c) Riposizionamento del frammento coro-
nale e splintaggio ortodontico di 5.1. (d) Controllo radiografico a
distanza di 12 mesi dal traumatismo: si evidenzia una normale
rizalisi del frammento radicolare apicale. (e) Controllo clinico a
18 mesi dal traumatismo: non si apprezza alcun segno patologico.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
178
Capitolo 9
Figura 9.17 Concussione e sublussazione del dente 5.1.
Figura 9.18 Lussazione intrusiva completa del dente 5.1 conco-
mitante a necrosi del dente 6.1.
Figura 9.19 Lussazione intrusiva del dente 6.1 con frattura del
tavolato osseo vestibolare.
Lussazioni dentali
Come già anticipato, le lussazioni dei denti decidui sono gli eventi più frequentemente
presentati all’attenzione degli odontoiatri. Fra queste si ricordano le seguenti forme: le
concussioni e le sublussazioni, le lussazioni estrusive, le lussazioni intrusive e laterali e
le exarticolazioni.
Per quanto riguarda le concussioni e le sublussazioni (Fig. 9.17), queste tipologie di
traumatismi possono spesso essere ignorate poiché difficilmente il bambino accusa do-
lore intenso, il sanguinamento dei tessuti molli e la mobilità dentale possono mancare o
essere ridotti, e per questa ragione è più facile identificare gli esiti riferibili a tali eventi
rispetto all’evento stesso.
Un esito molto frequente in caso di sublussazione è l’ingiallimento della corona dentale;
questo fenomeno ottico è dovuto all’obliterazione del canale pulpare del dente interessato
(visibile all’esame Rx). In tale situazione e in assenza di sintomi pulpari (ascesso, fistola)
non deve essere approntato alcun tipo di trattamento e si deve procedere solo al controllo
della normale evoluzione della permuta dentale con regolari visite semestrali.
Le lussazioni estrusive sono caratterizzate da un visibile spostamento assiale della co-
rona con mobilità anche accentuata e interferenza in occlusione (lo spostamento è
spesso in direzione palatale); necessitano di un precoce intervento terapeutico a breve
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
179
Capitolo 9
distanza dal traumatismo, che prevede un tentativo di riposizionamento manuale del
dente o dei denti coinvolti oltre al trattamento dei tessuti molli (medicazioni, suture)
per arginare il sanguinamento spesso presente. Va inoltre fatta una diagnosi differenzia-
le con le fratture di radice (eseguire una lastrina endorale).
In caso di lussazione intrusiva si assiste alla scomparsa totale o parziale del dente inte-
ressato all’interno del processo alveolare (Fig. 9.18); tale movimento avviene in genere
con spostamento vestibolare della radice e palatale della corona che, a seconda del grado di
maturazione dell’apice radicolare, può comportare la perforazione del tenero tavolato os-
seo vestibolare (Fig. 9.19).
Nel movimento intrusivo, l’apice radicolare può spesso entrare in contatto con il ger-
me del dente permanente omologo in maturazione; questo contatto, a seconda dell’età
del bambino e dello stadio di maturazione del dente in formazione, può determinare
esiti permanenti visibili solo al momento dell’eruzione del dente permanente in arcata
(ipoplasie dello smalto e della dentina – Fig. 9.20), e nei casi più gravi può comportare
l’arresto dello sviluppo del germe dentale permanente o una sua variazione morfologi-
ca coronale e/o radicolare (dilacerazione) con eruzione difficoltosa o, in casi più limi-
tati, la necessità di estrazione dell’elemento per impossibilità di recupero in arcata
(Fig. 9.21).
Figura 9.20 (a) Esito ipoplasico localizzato della corona del dente 2.1, riferibile a lussazione intrusiva del 6.1. (b) Grave esito ipopla-
sico (smalto-dentinale) della corona del dente 2.1, riferibile a lussazione intrusiva del 6.1.
ab
ab
Figura 9.21 (a) Dilacerazione della corona di 1.1 e grave ipoplasia di 2.1, esito di grave traumatismo lussativo
di 5.1 e 6.1. (b) Dente dilacerato estratto per l’impossibilità di recupero in arcata.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
180
Capitolo 9
Figura 9.22 (a) Lussazione intrusiva dei denti 5.1, 6.1, 6.2 (concomitano anche fratture delle corone). (b) Rieruzione spontanea dei
denti intrusi a 30 giorni dal traumatismo.
ab
Risulta quindi sempre necessario rivedere il giovane infortunato a breve distanza dal
traumatismo per poter effettuare una diagnosi della gravità dell’evento, predisporre
eventuali interventi immediati e decidere sull’utilità e fattibilità o meno del recupero del
dente deciduo intruso.
In caso di visita posticipata è necessario effettuare sempre esami semplici (Rx occlusale)
che accertino la posizione dei denti lussati e/o la presenza di exarticolazioni (si cerchi
sempre il dente avulso).
Per i denti intrusi che non interferiscono con i germi dei denti permanenti in crescita, è
possibile una terapia di attesa (60-90 giorni), tempo in cui, se non vi è stata infraocclu-
sione, il dente riacquisterà spontaneamente una posizione regolare in arcata (Fig. 9.22).
Tale metodica necessita di controlli frequenti e della collaborazione domiciliare da parte
dei genitori, ma spesso può comunque essere seguita da necrosi del dente intruso e/o
dall’ obliterazione del canale con ingiallimento della corona. Qualora il dente non rie-
rompa spontaneamente si manifesterà l’infraocclusione del dente intruso (nota anche
come pseudoanchilosi) (Fig. 9.23a) che necessiterà dell’avulsione del dente, nei tempi
più opportuni, motivata dal possibile ostacolo che tale elemento può creare alla normale
eruzione dell’omologo permanente (Fig. 9.23b); sono necessari regolari controlli radio-
grafici e una fidelizzazione del giovane paziente.
Non meno frequenti in dentatura decidua risultano le avulsioni traumatiche oexarti-
colazioni (Fig. 9.24); in queste evenienze è importante in primo luogo cercare l’elemen-
to avulso; qualora non venga trovato va posta una diagnosi differenziale con le lussazioni
intrusive complete (effettuando un esame Rx) o si deve considerare l’ipotesi, rara ma da
non trascurare, dell’inalazione o dell’ingestione dell’elemento dentale. Ovviamente in ta-
li situazioni il corredo di sintomi generali guida il personale medico a una corretta loca-
lizzazione del dente fantasma.
Qualora il bambino giunga all’osservazione con il dente avulso in mano devono essere
fatte alcune considerazioni:
• qual è l’età del piccolo paziente?
• quali sono le condizioni generali e locali dell’alveolo?
• quali sono le condizioni di conservazione dell’elemento dentale avulso?
• dove e come è stato conservato l’elemento dentale avulso?
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
181
Capitolo 9
In linea di massima i protocolli prevedono una non effettuazione dei reimpianti in den-
tatura decidua, in quanto i soggetti offrono una bassissima collaborazione e presentano
una svantaggiosa anatomia apicale del dente deciduo giovane (soggetti entro i 2 anni di
vita); inoltre, vanno considerati l’obiettiva difficoltà a fornire un’adeguata stabilizzazione
del dente reimpiantato, la necessità di un’ampia copertura farmacologica e il rischio di
perdita dello splintaggio durante l’alimentazione del bambino.
In letteratura sono comunque descritti reimpianti di incisivi decidui avulsi, anche se so-
litamente in soggetti oltre i 3 anni di età (la rizolisi migliora la conformazione apicale del-
la radice) e in genere effettuati nell’immediatezza dell’evento (Fig. 9.25).
Tuttavia, permane un sostanziale parere negativo riguardo a tale manovra terapeutica.
In tali evenienze si palesa la necessità di mantenimento funzionale delle arcate del bam-
bino e quindi, in presenza di perdite dentali precoci (fra i 2-4 anni), va valutata la neces-
sità di mantenimento oriapertura dello spazio eruttivo per i futuri denti permanenti
(Fig. 9.26) e la conservazione di corretti parametri respiratori, fonetici e, se possibile,
estetici (Fig. 9.27) con l’utilizzo di piccole placche rimovibili dotate, a seconda delle ne-
cessità, di miniviti di espansione e bracci attivi al nichel-titanio.
Figura 9.24 (a) Immagine intraorale di avulsione di dente incisivo deciduo 5.1. (b) Dente 5.1 avulso; si
noti la complessa morfologia radicolare.
ab
ab
Figura 9.23 (a) Infraocclusione come esito di un traumatismo intrusivo a carico del dente 6.1. (b) Den-
te infraoccluso estratto.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
182
Capitolo 9
ab
Figura 9.25 (a) Dente deciduo 5.1 avulso; si noti la ridotta lunghezza radicolare: in questo caso il riposiziona-
mento nell’alveolo è più semplice. (b) Immagine post-reimpianto del dente 5.1 splintato al 6.1.
Figura 9.26 (a) Spazio postavulsivo di 5.1. (b) Radiografia dell’area
interessata dall’avulsione. (c) Applicazione di un mantenitore di
spazio attivo che permette una modica riapertura dello spazio.
ab
c
Figura 9.27 Mantenitore di spazio estetico, utile in caso di avul-
sioni multiple o in periodi di attesa eruttiva prolungata.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
183
Capitolo 9
A completamento del breve excursus relativo a simili eventi traumatici, nella tabella che
segue (Tab. 9.10) è riassunta la metodologia di approccio terapeutico alle più frequenti
lesioni dentali decidue e alle norme generali di intervento immediato e nel tempo. Ri-
mane intesa l’importanza dei controlli periodici (follow-up) che devono verificare la cor-
retta crescita scheletrica e la fisiologica permuta dentale.
Traumatismi in dentatura permanente
Per quanto riguarda la dentatura permanente, in accordo con gli scopi della presente
opera, si tratteranno gli eventi traumatici che interessano con maggiore frequenza i sog-
getti in età adolescenziale. Per questi eventi rivestono particolare importanza i protocolli
di intervento da attuare in caso di esposizione pulpare ed exarticolazione (lussazione
completa dell’elemento dentale).
Tipo di traumatismo Terapia immediata Controlli
Avulsione Terapia locale, Rx occlusale,
recupero del dente
No reimpianto
Necessità di mantenitore di spazio
mobile e verifica dell’eruzione dei
denti permanenti
Lussazione intrusiva Terapia locale, Rx occlusale,
riposizionamento manuale, attesa
rieruzione del deciduo (se visita
posticipata)
Rx occlusale, verifica eruzione
permanente ed esfoliazione deciduo,
vitalità-colore (necrosi), in caso di
infraocclusione valutare l’estrazione
del dente intruso
Lussazione estrusiva Terapia locale, Rx occlusale,
riposizionamento manuale,
verificare la diagnosi differenziale
con frattura di radice
Reintrusione ortodontica (se visita
posticipata), vitalità-colore (necrosi)
Sublussazione Terapia locale, Rx occlusale,
mobilità accentuata, splint
ortodontico
Rx di controllo, vitalità-colore
(necrosi), verifica mobilità e
esfoliazione fisiologica
Frattura di corona Secondo entità frattura, vitalità,
trattamento polpa se esposta
Ricostruzione composito, pulpotomia
con materiale riassorbibile,
Rx endorale, verifica esfoliazione
Frattura di radice Verificare diagnosi differenziale
con lussazione estrusiva,
splint ortodontico (30-60 giorni)
Rx endorale, necrosi, verifica mobilità
ed esfoliazione fisiologica
Fratture corono-radicolari Il dente solitamente va estratto; è
consigliabile procedere in due tempi,
iniziando dal frammento mobile
Mantenitore di spazio, controlli
periodici
Tabella 9.10 Approccio terapeutico alle lesioni dentali decidue
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
184
Capitolo 9
Fratture di corona interessanti lo smalto e smalto-dentinali
Le lesioni che più frequentemente giungono all’osservazione sono le fratture di corona,
di cui le più rappresentate sono le smalto-dentinali non complicate. Queste perdite di
sostanza richiedono sempre un trattamento odontoiatrico riabilitativo, mentre le frattu-
re semplici dello smalto (Fig. 9.28) spesso sono ritenute dai soccorritori o dallo stesso
paziente non meritevoli di osservazione e trattamento da parte dell’odontoiatra e quindi
facilmente accettate (stante la loro limitata estensione), soprattutto se non danno luogo
a complicanze (necrosi a distanza per la concomitante concussione); per tale ragione
sfuggono spesso ai rilievi epidemiologici o comunque sono sottostimate.
Le fratture di corona con recupero del frammento sono quelle che possono determinare i
migliori risultati ricostruttivi. Il frammento (solitamente rappresentato da smalto e den-
tina) deve essere però adeguatamente conservato, possibilmente nel latte o in soluzione
fisiologica, per prevenirne la disidratazione (Fig. 9.29), in modo che il professionista, se
lo ritiene congruo, possa utilizzarlo per la ricostruzione dell’elemento dentale; per le spe-
cifiche operative di tale tecnica si veda più avanti nel capitolo.
Quando il frammento non è reperibile, il trattamento riabilitativo standard per le frattu-
re coronali sia di smalto sia smalto-dentinali (Fig. 9.30) prevede l’utilizzo di resine com-
posite almeno fino all’età di 18-20 anni quando le dimensioni e la morfologia della frat-
tura sono contenute; in tutti gli altri casi e soprattutto in età più avanzata sarà necessario
e consigliabile realizzare una corona protesica in oro-porcellana o in ceramica integrale,
o in alternativa una faccetta in ceramica.
Fratture di corona complicate interessanti lo smalto e la dentina
Tali tipologie di lesione richiedono sempre un trattamento odontoiatrico d’urgenza in
quanto vi è esposizione pulpare. Esse necessitano di una particolare attenzione e di una
corretta diagnosi soprattutto quando interessano soggetti di età compresa tra i 9 e gli 11
anni o comunque in presenza di una evidente immaturità dell’apparato radicolare, in-
teso sia come spessore delle pareti sia come ampiezza dell’apice radicolare.
DENTI PERMANENTI CON APICE IMMATURO
Se i segni clinici, radiografici e i test di sensibilità (test termico ed elettrico) non eviden-
ziano un’estesa compromissione pulpare, si cerca di mantenere la vitalità pulpare trami-
te un incappucciamento diretto o tramite la tecnica di pulpotomia parziale (Fig. 9.31).
Se la polpa è invece ampiamente e visibilmente interessata, è più opportuno effettuare
una pulpotomia estesa a tutto il volume di polpa visibile (Fig. 9.32).
Le tecniche di pulpotomia sono quelle con maggiore possibilità di successo; esse consi-
stono nell’asportazione del tessuto pulpare esposto (spesso può verificarsi l’esposizione
di un unico cornetto pulpare), seguita da applicazione di idrossido di calcio in polvere
sulla ferita pulpare e sovraposizione di idrossido di calcio autoindurente per la protezio-
ne meccanica del sito.
La pulpotomia è una tecnica in due tempi, prevede cioè la riapertura della zona sede del-
l’esposizione pulpare (precedentemente trattata con CaOH2) per constatare la formazione
di una barriera dentinale (ponte di dentina) al di sotto della pregressa ferita pulpare.
La verifica clinica andrà supportata dalla conservata risposta ai test di sensibilità e dall’assen-
za di immagine patologica alla visione dell’esame radiografico periapicale (vedi Fig. 9.32c).
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
185
Capitolo 9
Figura 9.31 Visione palatale di dente 1.1 che presenta frattura
di corona con esposizione del cornetto pulpare; anche il dente
2.1 presenta un’ampia frattura di corona dalla cui dentina tra-
spare la camera pulpare.
Figura 9.32 (a) Dente 1.1 che presenta frattura di co-
rona con ampia esposizione della polpa; in tali evenien-
ze è necessaria una pulpotomia allargata. (b) Radiogra-
fia dopo 60 giorni dall’effettuazione della pulpotomia
(si noti la presenza di un mesiodens). (c) Stesso dente a
1 anno dal traumatismo e dopo finalizzazione ricostrut-
tiva con resine composite.
a
bc
Figura 9.28 Dente permanente 2.1 interessato da una frattura
coronale semplice dello smalto.
Figura 9.29 Frammento di corona di dente incisivo; per mante-
nere buoni requisiti estetici, il frammento deve essere conserva-
to in soluzione fisiologica.
Figura 9.30 Dente 2.1 interessato da un’ampia frattura smalto-
dentinale.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
186
Capitolo 9
In caso di esito positivo sarà possibile finalizzare la ricostruzione definitiva della corona frat-
turata con l’utilizzo di resine composite o del frammento originale correttamente conservato.
In caso di insorgenza di pulpite irreversibile o di necrosi pulpare, è necessario effettuare una
pulpectomia, seguita da un protocollo di apecificazione con idrossido di calcio (o materiali al-
ternativi come l’MTA).
In caso di necrosi pulpare a carico di un elemento dentale con apice immaturo, si potrebbe
verificare l’impossibilità di una spontanea apexogenesi (maturazione radicolare) e quindi la
necessità di instaurare procedure di apecificazione (maturazione radicolare indotta), con au-
mentato rischio di insuccesso e/o ulteriori successive possibili fratture delle pareti radicolari.
La finalità del trattamento specialistico di pulpotomia deve essere il mantenimento della vi-
talità pulpare e, di conseguenza, una normale apicogenesi radicolare.
DENTI PERMANENTI CON APICE FORMATO
La procedura d’elezione è rappresentata dall’incappucciamento diretto con pasta al-
l’idrossido di calcio, in caso di lieve e recente esposizione pulpare, seguita, nella stessa
seduta o successivamente, dalla ricostruzione coronale. In caso di compromissione pul-
pare si deve procedere alla pulpectomia pulpare e, una volta completato il trattamento
endodontico, si può effettuare immediatamente la ricostruzione della corona con le tec-
niche precedentemente esposte.
In caso di estese mutilazioni coronali può essere opportuno posizionare un perno in fibra
di carbonio o di vetro all’interno del lume canalare (Fig. 9.33). In taluni casi si può asso-
ciare o far precedere la fase ricostruttiva da una terapia di bleaching (sbiancamento) dei
tubuli dentinali. Le riabilitazioni con uso di perni moncone indiretti in oro vanno procra-
stinate all’età adulta.
Una volta terminato il trattamento, al paziente devono essere date istruzioni relative al-
l’utilizzo dei denti ricostruiti, raccomandando particolare cautela soprattutto nella ma-
sticazione di cibi duri.
I denti con frattura coronale senza compromissione pulpare devono essere controllati
nel tempo per prevenire complicazioni pulpari; tali controlli dovrebbero essere ripetuti
per almeno 12-24 mesi. È sempre consigliabile che i giovani sportivi che hanno subìto
una frattura coronale con ricostruzione conservativa, si abituino a indossare un protetto-
re orale (mouthguard).
Figura 9.33 Dente 1.1 sotto diga
dopo effettuazione di pulpectomia;
è stato necessario il posizionamen-
to di un perno estetico per l’ottima-
le finalizzazione conservativa.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
187
Capitolo 9
TECNICA DEL RIATTACCO DI FRAMMENTO CORONALE
Il riattacco di frammento coronale è una valida alternativa alla ricostruzione in resina
composita, soprattutto se il frammento è unico e perfettamente coincidente con la co-
rona residua, e in caso di mutilazioni interessanti sia lo smalto sia la dentina.
La prognosi dipende dall’adeguata conservazione del frammento (con soluzione fisiolo-
gica in frigorifero), utile per prevenire antiestetiche alterazioni cromatiche e la disidra-
tazione (che potrebbe favorire successive infrazioni dello smalto).
Dopo aver isolato il campo con la diga di gomma, la rima fratturata deve essere ripulita
con pomice pura. A questo punto si verifica il perfetto combaciamento dei margini del
moncone e del frammento, si mordenzano smalto e dentina, si lava con acqua, si asciuga
e si applica l’adesivo, da polimerizzarsi secondo le indicazioni del produttore (questa me-
todica deve essere realizzata sempre a quattro mani per rispettare i tempi indicati e otte-
nere i risultati desiderati).
Si inserisce quindi un composito fotopolimerizzabile, di colore opportuno, tra le due su-
perfici della frattura, eventualmente anche all’interno di pin appositamente eseguiti sul-
le due porzioni della corona (laddove il moncone residuo e il frammento presentino
spessore sufficiente).
Il materiale viene quindi polimerizzato, tenendo l’apposita lampada sull’intera rima di
frattura, così da garantire un’adeguata e profonda polimerizzazione del composito (sono
sufficienti 60 secondi).
Se la frattura coinvolge il punto di contatto, è bene ricostruirlo interamente in composi-
to per aumentare la resistenza del restauro.
Se il risultato estetico non è ritenuto soddisfacente, per esempio per un’eccessiva visibi-
lità della rima di frattura o per un suo andamento troppo frastagliato, si può effettuare
un bisello circonferenziale o vestibolare differito, in modo da consentire una migliore inte-
grazione del frammento e dunque un’estetica più naturale (Fig. 9.34).
Spinas, in un lavoro del 2004, valutando a 7 anni di distanza 20 elementi trattati con la
tecnica del riattacco di frammento in adolescenti, ha riscontrato che solo il 25% dei re-
stauri effettuati con questa tecnica, a 5 anni, si presentava funzionalmente ed estetica-
mente ancora in buone condizioni, mentre tutti gli altri denti avevano già subìto un rin-
novo (25%) o necessitavano di un reintervento cosmetico sulla zona di riattacco (50%).
Questo lavoro conferma che la metodica, pur molto valida, è dipendente dal corretto
mantenimento igienico orale da parte del paziente e necessita nel tempo di frequenti
controlli e aggiustamenti.
Il riattacco di frammento è comunque un trattamento che non sempre deve essere realizzato
in urgenza ma può essere procrastinato quando si associa a pulpotomie.
Fratture corono-radicolari
Le fratture corono-radicolari sono lesioni che coinvolgono corona e radice e frequente-
mente presentano interessamento dell’apparato pulpare. Sono gli eventi traumatici
che, per la loro estrema complessità, impegnano maggiormente l’operatore dal punto di
vista riabilitativo.
In età adolescenziale si possono applicare tecniche ricostruttive temporanee che vedranno
la loro definitiva finalizzazione in età adulta (con l’applicazione di una corona completa).
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
188
Capitolo 9
Le fratture corono-radicolari basse (cervicali) sono sempre complicate e in tali casi sarà ne-
cessario, il più delle volte, effettuare una terapia canalare (Fig. 9.35) che, in caso di imma-
turità radicolare, avrà bisogno di una fase intermedia di trattamento radicolare (apicogene-
si/apecificazione); successivamente potrà essere necessario l’alloggiamento di un perno nel
canale radicolare (perni in fibra di vetro o quarzo) e sarà quindi possibile procedere al-
Figura 9.34 Tecnica di riattacco di frammento, protocollo step
by step: (a) frammento pronto per l’utilizzo; (b) particolare del-
la tecnica di trasporto del frammento tramite stick dedicato;
(c) frammento riattaccato con buona coincidenza dei margini;
(d) rifinitura estetica e aspetto finale della ricostruzione.
ab
c
d
Figura 9.35 Frattura corono-radicolare
complicata del dente 1.1.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
189
Capitolo 9
l’estrusione ortodontica della radice (con o senza resezione delle fibre parodontali), con suc-
cessivo riattacco del frammento coronale (se presente) o ricostruzione in resina composita.
Per le fratture di estensione limitata con andamento “a becco di flauto” è possibile pro-
cedere con una gengivectomia e con la ricostruzione immediata della zona fratturata.
Le altre tecniche presenti in letteratura (lembo riposizionato apicalmente, trapianto in-
tralveolare e lussazione chirurgica estrusiva) trovano scarsa applicazione nella fascia
d’età giovanile. Di contro è interessante la tecnica descritta nel 2005 da Spinas, che con-
siste nell’estrusione ortodontica, nel trattamento riabilitativo seguito da un, movimento
di intrusione radicolo-coronale del dente leso (Fig. 9.36), la quale tuttavia necessita di
una buona manualità ortodontica.
Figura 9.36
(a) Immagine iniziale
di frattura corono-ra-
dicolare completa e
complicata del dente
2.1. (b) Radiografia
del trattamento endo-
dontico. (c, d) Posizio-
namento dell’apparec-
chio ortodontico per la
trazione. (e) Corona
fratturata riattaccata;
si noti l’ampia estru-
sione. (f) Reintrusione
del dente riattaccato.
(g) Dente 2.1 riabilita-
to e normalizzato oc-
clusalmente.
abc
de
g
f
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
190
Capitolo 9
Fratture di radice
Tali eventi lesivi sono spesso associati a traumatismi molto violenti (incidenti stradali,
cadute, violenze, sport di contatto) e rappresentano circa il 4% dei casi di traumatismo
complicato.
FRATTURA RADICOLARE OBLIQUA O ORIZZONTALE
In primo luogo deve essere effettuata una corretta diagnosi radiografica e accertata
l’esatta localizzazione della linea di frattura (apicale, terzo medio, cervicale); le più diffi-
coltose in termini di trattamento sono le localizzazioni al terzo medio e cervicale: infatti
nelle fratture apicali (2-3 mm dall’apice) è sufficiente l’applicazione di uno splintaggio
rigido per 30 giorni per avere altissime probabilità di successo.
Le fratture orizzontali del terzo medio (Fig. 9.37) possono presentare mobilità del fram-
mento coronale e una sua eventuale estrusione, o in alternativa possono risultare silenti,
ma devono essere sospettate in presenza di fratture corono-radicolari di denti adiacenti
o derivanti da traumatismi provocati da oggetti contundenti veloci e rigidi (traumatismi
sportivi o da incidenti stradali). L’esame radiografico endorale (ripetuto a distanza di 24
ore) può essere discriminante, in quanto fornisce immagini caratteristiche (diastasi della
linea di frattura), anche se attualmente le immagini con tecnica Cone Beam risultano
notevolmente più precise e indicate rispetto a qualsiasi tecnica tradizionale.
In presenza di vitalità pulpare, va effettuato il solo splintaggio rigido (per un periodo di
30-45 giorni) a cui far seguire regolari controlli per verificare la vitalità e per favorire la
guarigione tramite un’apposizione di cemento sulla superficie radicolare in corrispon-
denza della rima di frattura (su modello del callo osseo).
In una bassa percentuale di casi può rivelarsi necessario il trattamento canalare
(Fig. 9.38), che deve essere circoscritto al tratto coronale; solo in presenza di complica-
zioni deve interessare il tratto distale alla rima di frattura; infine, è da evitare la terapia
canalare preventiva con denti radicolarmente immaturi.
L’evoluzione delle fratture orizzontali radicolari può seguire il seguente destino:
• presentare una guarigione con tessuto calcificato (dentina e cemento);
• presentare una guarigione con tessuto connettivo fibroso;
• presentare una guarigione con interposizione di tessuto osseo;
• nessuna guarigione per interposizione di tessuto di granulazione.
FRATTURA VERTICALE DELLA RADICE
In questo caso, l’elemento non può essere mantenuto e deve essere attuato un tratta-
mento adeguato per la sostituzione del dente interessato in ragione anche dell’età del
soggetto coinvolto. In casi selezionati può essere valutata la tecnica dell’autotrapianto
intenzionale (si utilizzano i premolari programmati da estrarre a fini ortodontici) o la
chiusura dello spazio ortodontico o ancora la conservazione dello spazio con mantenitori
mobili o fissi che vedono nel ponte Maryland in FRC la soluzione estetica e funzionale
più indicata negli adolescenti.
In soggetti a fine crescita scheletrica si valuterà l’opportunità di procedere all’estrazione
della radice e al posizionamento di un impianto osteointegrato con tecnica tradizionale
o con tecnica postestrattiva.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
191
Capitolo 9
Lussazioni dentali
Sono più frequenti in caso di traumatismo con velocità di impatto ridotta oppure origi-
nate da parte di oggetti con basso modulo di elasticità; si manifestano con un visibile
spostamento dell’elemento dentale all’interno del suo alveolo con possibile interessa-
mento fratturativo delle pareti dello stesso.
Le lussazioni possono peraltro essere associate a fratture coronali dello stesso elemento
o di elementi contigui, con necessità di un trattamento combinato.
Si classificano in intrusive, estrusive e laterali a seconda della direzione di spostamen-
to. Necessitano di un’immediata e corretta diagnosi, possibilmente nel momento del
traumatismo o in quello immediatamente successivo, effettuata tramite l’esame clinico
ed esami radiografici opportuni (Rx endorale periapicale con centratore).
In caso di lussazione è necessario ricollocare, il più precocemente possibile, l’elemento
dentale nella sua corretta posizione dentro l’alveolo. Se tale manovra non è realizzata in
tempi ragionevoli (30-60 giorni), diviene molto probabile un’evoluzione verso l’anchilosi
e/o il riassorbimento radicolare esterno sostitutivo (molto probabile nelle lussazioni in-
trusive e laterali).
Dal punto di vista prognostico, le lussazioni più gravi sono le intrusive e le laterali, es-
sendo spesso associate a lesioni pulpari (interruzione del fascio vascolonervoso) e/o frat-
ture della corticale alveolare palatale o vestibolare (Fig. 9.39).
Le lesioni estrusive possono simulare o associarsi a fratture radicolari. La diagnosi radio-
grafica è perciò essenziale per definire la natura della lesione (Rx periapicale o tecnica
Cone Beam).
Figura 9.37 Frattura di radice ad anda-
mento orizzontale (terzo medio) del
dente 2.1.
Figura 9.38 Trattamento canalare di
frattura di radice del dente 2.1 estesa al
frammento distale per insorgenza di in-
fezione; si noti la guarigione con inter-
posizione di tessuto connettivo fibroso.
Figura 9.39 Radiografia di duplice lussa-
zione laterale (denti 1.1 e 1.2).
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
192
Capitolo 9
Il riposizionamento immediato va effettuato manualmente qualora non sia associato a
incarceramento della radice nella corticale, il che condiziona pesantemente la possibili-
tà di un riposizionamento manuale immediato.
L’elemento lussato riposizionato deve essere splintato (cioè unito) agli elementi contigui
e sottoposto a follow-up per almeno 30-60 giorni. Tale follow-up si applica anche alle
lussazioni estrusive.
Se il traumatismo lussativo non giunge all’osservazione entro 24 ore, il riposizionamento
manuale diventa impossibile; serve quindi instaurare una procedura di riposizionamento
chirurgico o, in alternativa, ortodontico.
Il riposizionamento chirurgico è indicato esclusivamente in caso di incarceramento
dell’elemento intruso nella corticale ossea, in quanto risulta l’unico modo per poter ripo-
sizionare l’elemento. In tutti gli altri casi, il riposizionamento chirurgico è da sconsigliare
per i probabili esiti di perdita della vitalità e di riassorbimenti radicolari esterni che spesso
conseguono a tale procedura.
Per tale ragione nei casi di lussazione con visita dilazionata è preferibile un riposiziona-
mento ortodontico lento (con apparecchiature fisse), con l’iniziale ricollocazione cor-
retta del dente traumatizzato e l’allineamento ai denti adiacenti (Fig. 9.40). Si ottiene
così uno splintaggio ortodontico semirigido che è ulteriormente utilizzabile per il suc-
cessivo periodo di contenzione e stabilizzazione (durata complessiva della contenzione,
circa 60 giorni).
Tra i vari tipi di splintaggio utilizzabili si ricordano anche:
• lo splintaggio rigido con resina composita o filo intrecciato e resina composita;
• lo splintaggio semirigido mediante splint in titanio (Titanium Trauma Splint), utiliz-
zabili solo nella fase di contenzione dei fenomeni lussativi.
Le lussazioni non sono scevre da esiti a distanza; l’obliterazione del lume canalare è
una delle complicanze più frequenti e caratteristiche (particolarmente nei denti con
apice aperto) e può restare per lungo tempo asintomatica (Fig. 9.41), caratterizzan-
dosi per un tardivo lieve ingiallimento della corona e per una scarsa risposta ai test
di sensibilità.
Tale evoluzione reattiva pulpare non va interpretata come un evento patologico ed è
quindi decisamente controindicato intervenire con trattamenti endodontici qualora non
siano presenti ulteriori segni di affezione pulpare (radiotrasparenza periapicale, mobili-
tà, dolore percussivo).
Exarticolazione o avulsione traumatica
Fra le lesioni lussative rientra l’exarticolazione (lussazione estrusiva completa), la lesione
dentoalveolare più temuta e infausta, specie nei soggetti tra gli 8 e i 12 anni, poiché
comporta, se non trattata idoneamente, esiti permanenti difficilmente riabilitabili prote-
sicamente. Ne consegue l’assoluta necessità che tale evento sia trattato in maniera re-
pentina, adeguata e completa.
Il trattamento ideale delle avulsioni traumatiche negli adolescenti è il reimpianto dentale
immediato. Esiste anche la possibilità di effettuare il reimpianto in maniera tardiva, an-
che se in questo modo la prognosi risulta meno fausta.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
193
Capitolo 9
Figura 9.40 (a) Radiografia del trattamento ortodontico
di riposizionamento dei denti lussati. (b) Immagine clinica
dell’apparecchiatura ortodontica di riposizionamento.
a
a
b
Figura 9.41 (a) Grave lussazione di 1.1 e 2.1 e traumati-
smo dei tessuti molli gengivali. (b) Radiografia a 18 mesi
dal traumatismo: è evidente la presenza di obliterazione
totale del canale di 1.1 e parziale di 2.1.
Come detto, tale trattamento ha una prognosi che dipende dalla tempestività del reim-
pianto ed è particolarmente positiva se il trattamento è effettuato entro 30-60 minuti dal
traumatismo. La prognosi dipende anche fortemente dalla conservazione adeguata del-
l’elemento avulso da parte dei primi soccorritori.
L’ambiente umido ideale per la conservazione del dente avulso è l’HBSS (Hanks’ Balan-
ced Salt Solution), seguito in ordine decrescente di adeguatezza da: latte fresco, soluzio-
ne salina fisiologica, saliva, acqua (Tab. 9.11).
I soccorritori devono quindi garantire l’idratazione costante dell’elemento avulso con
uno di questi mezzi a disposizione durante il trasporto verso il più vicino presidio odon-
toiatrico. La prognosi è totalmente dipendente dalla competenza e dall’informazione dei
primi soccorritori sui protocolli di trattamento delle lussazioni dentali.
b
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
194
Capitolo 9
Alcuni studi rivelano che, in realtà, gli stessi adolescenti, i parenti, il personale parame-
dico e gran parte del personale operante nelle scuole e negli impianti sportivi hanno in-
sufficienti nozioni sull’argomento, e perciò si trovano totalmente incapaci di instaurare
una terapia corretta e tempestiva.
Andersson et al (2006), su 211 studenti kuwaitiani, hanno rilevato che la larghissima
maggioranza degli intervistati aveva scarse nozioni su avulsioni e reimpianti e sulle fasi
del trattamento d’emergenza.
Anche presso la classe odontoiatrica il livello di conoscenza delle procedure di gestione
dei traumatismi dentoalveolari non è alto.
Hu et al (2006) riferiscono i risultati di un’indagine condotta su 230 odontoiatri generici
e 70 endodontisti brasiliani. Lo studio ha rilevato un livello di conoscenza non alto sul
trattamento di emergenza delle lesioni traumatiche, specie tra gli odontoiatri generici.
Così, mentre il 93,4% degli odontoiatri conosceva la necessità di effettuare il reimpianto
dei denti avulsi entro 30 minuti, solo il 59,1% sapeva che lo splintaggio più indicato è
quello semirigido e che esso deve essere mantenuto per massimo 2 settimane.
Il reimpianto dentale immediato è una terapia da effettuarsi obbligatoriamente in urgen-
za, prevede una prognosi che può essere molto buona e non inferiore agli 8-10 anni di
permanenza del dente in arcata. Tale prognosi diviene meno ottimale nei casi di reim-
pianto tardivo in quanto si riduce notevolmente la sopravvivenza della radice del dente
reimpiantato a causa dei fenomeni di seguito illustrati.
REIMPIANTO IMMEDIATO
Il reimpianto deve avvenire in tempi rapidi per mantenere la vitalità del legamento pa-
rodontale (PDL), le cui cellule e fibre iniziano a degenerare entro 60 minuti circa dal
traumatismo. Se il reimpianto viene eseguito entro 60 minuti dall’avulsione, si otterrà
con molta probabilità la guarigione del PDL, senza esiti di tipo anchilotico a carico
della radice.
Per preservare il PDL è quindi essenziale il mantenimento del dente in ambiente umido
e la tempestività del reimpianto, perciò idealmente il dente dovrebbe essere reimpian-
Soluzioni Validità Tempo di conservazione
Acqua x
Saliva xx 1-2 h
Soluzione fisiologica xxx 2-3 h
Latte xxxxx Fino a 8 h
HBSS xxxxxx 24 h
Viaspan xxxxxxxxx Fino a 48 h
x: poco indicato; xxxxxxxxx: indicatissimo.
Tabella 9.11 Soluzioni di conservazione più idonee per l’elemento dentale avulso
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
195
Capitolo 9
tato immediatamente dopo il traumatismo anche da parte di personale non sanitario
(genitori, insegnanti o allenatori eventualmente presenti al momento dell’avulsione),
opportunamente informato sulle procedure più corrette da eseguire, così da ridurre al
minimo i tempi di permanenza del dente avulso in ambiente extraorale. Se ciò, come
di frequente, non avviene, il soggetto deve comunque essere inviato prontamente alla
più vicina struttura odontoiatrica mantenendo il dente avulso in ambiente umido ido-
neo (Fig. 9.42).
Il reimpianto deve avvenire dopo la verifica della congruità dell’elemento, dopo il riscon-
tro della pervietà e dell’adeguatezza strutturale dell’alveolo e dopo la corretta detersione
con soluzione fisiologica del dente e dell’alveolo (Fig. 9.43).
Il dente deve essere reinserito nella sua posizione normale e correttamente splintato
agli elementi contigui (o ai più prossimi in grado di reggere la contenzione stessa). Solo
successivamente si considera lo stato di salute della polpa, da valutare entro 7 giorni dal
traumatismo.
Dopo una settimana, in circa l’80% dei casi di denti con apice maturo, si deve effetture
la pulpectomia dell’elemento reimpiantato e la chiusura dello spazio endodontico, prima
in modo provvisorio con pasta di Ledermix e dopo circa 15-30 giorni con applicazione di
una medicazione all’idrossido di calcio. Successivamente e in assenza di segni di riassor-
bimento infiammatorio radicolare esterno si procederà con la chiusura definitiva dello
spazio canalare con guttaperca e cemento.
Negli elementi immaturi (con apice beante), il trattamento endodontico va condotto tra-
mite la stessa medicazione all’idrossido di calcio con cui si avvia una procedura di ape-
cificazione, che dopo 6-12 mesi porta di solito alla chiusura dell’apice e deve essere se-
guita dalla chiusura definitiva dello spazio endodontico con cemento e guttaperca.
In elementi molto immaturi reimpiantati in condizioni ottimali, si osserva spesso il man-
tenimento della vitalità pulpare (che va verificata ogni 2 settimane per almeno un anno,
con gli opportuni test di sensibilità e radiografie di controllo); tale fenomeno è dovuto al-
la ripresa rigenerativa delle cellule totipotenti presenti negli spazi periapicali (guaina
epiteliale di Hertwig) e alla proliferazione vasale. Tale processo rigenerativo e ripartivo
comporta spesso un’evoluzione verso l’obliterazione del canale pulpare che può essere
accompagnata dal completo sviluppo radicolare.
Figura 9.42 Soluzione di conservazione ideale
per denti avulsi contenente HBSS (preparazio-
ne commerciale).
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
196
Capitolo 9
abc
Figura 9.43 (a) Avulsione traumatica a circa 2 ore dall’evento. (b) Elemento dentale 1.1 avulso e conservato in ambiente umido; è
possibile effettuare il reimpianto. (c) Dente reimpiantato, visione palatale. (d) Dente 1.1 reimpiantato e splintato agli adiacenti. (e)
Controllo clinico a 30 mesi dal reimpianto: le condizioni cliniche sono ottimali.
de
REIMPIANTO TARDIVO
Se il dente avulso non è stato conservato adeguatamente (cioè non è stato idratato) o è
passato troppo tempo dal momento dell’avulsione (oltre 1 ora) si deve optare per un
reimpianto tardivo.
Questo trattamento è comunque consigliabile in epoca adolescenziale, poiché anche se
l’elemento va incontro a sicuro riassorbimento sostitutivo della radice (con anchilosi), esso
garantisce, almeno provvisoriamente, la conservazione dell’estetica e della funzione,
nonché il mantenimento dello spazio in arcata e del volume osseo necessari alla futura
riabilitazione protesica.
Negli adulti, se il reimpianto non è indicato, si può optare per una riabilitazione su im-
pianto postestrattivo o con tecnica differita, e comunque si hanno fenomeni di riassor-
bimento meno eclatanti rispetto agli adolescenti.
Il limite del reimpianto tardivo, come già detto, è legato al deperimento delle cellule del
legamento parodontale, che non può ripristinare la propria funzione. La prassi è quindi
l’asportazione del PDL dell’elemento avulso prima del reimpianto. Il dente è tenuto in
una soluzione di fluoro (NAF) al 2% e antibiotico per 60 minuti, poi viene ripulito e inse-
rito nell’alveolo, anch’esso opportunamente deterso (eliminazione del coagulo). Il dente,
infine, va splintato secondo le tecniche già descritte.
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
197
Capitolo 9
La terapia endodontica può, in questo caso, essere eseguita extraoralmente con tecnica
retrograda.
È chiaramente essenziale evitare la contaminazione batterica della radice.
Qualora vi siano dei casi dubbi dal punto di vista diagnostico (cioè tra l’opportunità di
eseguire un reimpianto immediato o tardivo) si dovrebbe optare per il reimpianto imme-
diato, preservando il PDL se non è particolarmente contaminato (alcuni Autori consiglia-
no l’uso di sostanze tipo amelogenine per favorire la guarigione del PDL), altrimenti si
procederà come consigliato per il reimpianto tardivo, eseguendo la terapia canalare entro
2 settimane per ridurre il rischio di riassorbimento infiammatorio radicolare esterno.
Si consigliano frequenti controlli radiografici nei primi 3 mesi dal reimpianto per seguire
l’evoluzione e valutare la presenza di iniziali segnali di riassorbimento radicolare (riassor-
bimento di superficie) che può essere del tutto transitorio. Non si trascuri di sommini-
strare terapie farmacologiche di sostegno per via generale (7-10 giorni) e di verificare la
necessità di una sieroprofilassi antitetanica.
PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELLE COMPLICANZE POST-REIMPIANTO
Le complicanze settiche possono essere evitate tramite somministrazione di antibiotici
per via generale (per esempio tetracicline); le soluzioni antibiotiche possono essere uti-
lizzate anche per immergere il dente (30 minuti) prima del reimpianto.
Vanno somministrati anche antinfiammatori, sieroprofilassi antitetanica e consigliate stret-
te norme di igiene orale (applicazioni di clorexidina gel nella zona sede del traumatismo).
Le complicanze legate ai fenomeni di riassorbimento radicolare sono varie e in parte pre-
vedibili.
I riassorbimenti esterni radicolari di tipo transitorio e reversibile sono solitamente beni-
gne conseguenze dei reimpianti immediati e recedono grazie alla terapia antibiotica (se
lo splintaggio predisposto è corretto e mantenuto in sede per circa 14 giorni).
Se il trattamento endodontico del dente reimpiantato non è eseguito nei tempi previsti
dal protocollo, è probabile che si verifichi il riassorbimento radicolare esterno infiammato-
rio che negli adolescenti evolve rapidamente e si completa nell’arco di 30-60 giorni por-
tando alla perdita precoce del dente reimpiantato (Fig. 9.44).
Un esito frequente dei reimpianti tardivi è il riassorbimento radicolare con sostituzione os-
sea, più o meno rapida a seconda dell’età del paziente e della tempistica del reimpianto.
Maggiore è la permanenza del dente in ambiente extraorale, maggiore sarà la velocità di
riassorbimento radicolare. La prevenzione dell’anchilosi dipende anche dal corretto trat-
tamento del dente fuori dall’alveolo (condizioni dell’alveolo, trattamento endodontico e
della superficie radicolare con fluoro al 2%).
La prognosi più benigna prevede una permanenza del dente reimpiantato in arcata per un
tempo compreso tra i 5 e i 10 anni.
L’esito più infausto nell’adolescente è l’anchilosi del dente reimpiantato, che si manifesta come
un’infraocclusione dentale (Malmgren et al, 2002); è sempre presente in caso di reimpianto
tardivo e consegue alla sostituzione del PDL da parte dell’osso e al contemporaneo normale
sviluppo verticale dell’osso alveolare dei denti adiacenti. Tale infraocclusione si manifesta a
partire dagli 11-13 anni e diventa più marcata con il progredire della crescita scheletrica del
soggetto; a fine crescita può manifestarsi con gap ossei di circa 7-10 mm (Fig. 9.45).
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
198
Capitolo 9
Figura 9.44 Il dente
è stato trattato con
un reimpianto tardivo
(a 3 ore dall’avulsio-
ne) e la terapia cana-
lare è stata effettuata
a 40 giorni dal reim-
pianto e, come si ve-
de dalla radiografia, a
un anno dall’evento,
esita un importante
riassorbimento radi-
colare con sostituzio-
ne ossea. Il tratta-
mento con idrossido
di calcio può rallenta-
re il completo riassor-
bimento della radice.
Figura 9.45 L’immagine mostra l’infraocclusione (conseguenza
dell’anchilosi) del dente 1.1; il dente era stato reimpiantato tar-
divo all’età di 10 anni e ora, all’età di 15, mostra un gap vertica-
le osseo di circa 6 mm.
Figura 9.46 Soggetto di 18 anni sottoposto a terapia riabilita-
tiva postinfraocclusione di 1.1. (a) Fase rigenerativa in zona 1.1
per ricostituire i volumi ossei perduti (membrana e osso di sinte-
si). (b) Posizionamento di vite di guarigione dopo fase osteorige-
nerativa. (c) Radiografia della vite implantare correttamente po-
sizionata. (d) Finalizzazione protesica di 1.1 con buona integra-
zione funzionale ed estetica.
ab
c
d
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
199
Capitolo 9
Esiste dunque la necessità di ridurre l’impatto di tali infraocclusioni in termini sia fun-
zionali sia estetici, tenendo conto che non è consigliabile e accettabile rifiutare di ese-
guire un reimpianto tardivo in un giovane soggetto leso di 8-11 anni, pur essendo evi-
dente che quel dente reimpiantato tardivamente andrà certamente incontro ad anchilosi
e conseguente infraocclusione.
Come esposto, infatti, il problema dell’infraocclusione comincerà a manifestarsi all’età
di 11-13 anni e per tale ragione sarà quello il momento di effettuare delle scelte ragio-
nate per evitare l’ulteriore perdita ossea. Le alternative proponibili, dunque, sono:
• estrazione del dente anchilosato e chiusura ortodontica dello spazio;
• estrazione del dente e autotrapianto di premolare estratto per fini ortodontici;
• decoronazione del dente in anchilosi e successiva applicazione di protesi provvisoria;
• reimpianto intenzionale del dente anchilosato;
• autotrapianto del canino deciduo, solo nei soggetti più giovani (Pohl et al, 2008).
Se le prime due soluzioni sono percorribili in pazienti selezionati, tutte le soluzioni rife-
rite sono invece praticabili da parte di operatori molto esperti e prevedono comunque
una collaborazione molto intensa del bambino e dei familiari.
Se non si effettua alcuno degli interventi descritti, a 18-20 anni sarà necessario intervenire
sul sito di anchilosi con metodiche rigenerative (GBR o innesto osseo), importanti per il ri-
pristino dei volumi ossei andati persi, seguite da opportune tecniche riabilitative implan-
toprotesiche che garantiscano risultati adeguati alla zona estetica in oggetto (Fig. 9.46).
In conclusione, gli Autori ritengono che la migliore terapia in caso di avulsione trauma-
tica siano il corretto e rapido reinserimento del dente nell’alveolo nel periodo più breve
possibile e la corretta conservazione del dente. Da qui la necessità di fornire appositi
mezzi di conservazione dentale (kit “Save a Tooth” contenenti HBSS, di lunga conserva-
zione e costo accettabile dal punto di vista sociale) alle strutture sportive e scolastiche,
specie alle scuole elementari e medie, nelle quali più frequentemente avvengono tali
traumatismi e i traumatizzati hanno un’età da ritenersi critica. Tale distribuzione dovreb-
be essere capillare nei centri rurali e distanti da strutture di soccorso odontoiatriche or-
ganizzate per ricevere pazienti traumatizzati.
Tali kit, attualmente a lunga conservazione (tre anni), presentano anche costi assoluta-
mente adeguati a utilizzi in larga scala.
Di seguito si propone uno schema sulle operatività da applicarsi agli eventi traumatici
che avvengono in età adolescenziale e in dentatura permanente (Tab. 9.12).
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
200
Capitolo 9
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Lesione Trattamento Recupero
Frattura di corona senza
esposizione pulpare
Può essere posticipato (24-48 h)
Deve essere effettuato dall’odontoiatra
pediatrico
Non determina l’insorgenza di esiti
se non concomitano altre lesioni
(lussazioni)
Frattura di corona con
esposizione pulpare
Può essere immediato in strutture
specialistiche
Trattamento di
pulpotomia/incappucciamento
I tempi di trattamento sono brevi
(30 min) e dovrebbero consentire la
ripresa immediata della funzione
Sono possibili esiti di lieve/media gravità
Frattura corono-radicolare Può essere posticipato
Necessita di valutazione dell’estensione
della frattura e dell’eventuale
esposizione pulpare
Determina un importante handicap
funzionale ed estetico
La ripresa è ritardata e necessita di
interventi complessi di recupero riabilitativo
Frattura di radice Dovrebbe essere immediato
(splintaggio) e avvenire in
strutture specialistiche
Necessita di verifiche diagnostiche
nell’arco di 48 h
Determina un importante handicap
funzionale e parzialmente estetico
La ripresa è ritardata e necessita
di controlli per 30-60 giorni
Possibili esiti
Lussazioni Deve essere immediato con
riposizionamento e splintaggio dei denti
Necessita di una fase posticipata
di verifiche e controlli
Il recupero può essere immediato se di
gravità limitata
Se trattato posticipato, la ripresa può
avere tempi lunghi e possibili esiti
Avulsione Deve essere immediato e proseguito
sempre in strutture specializzate
La ripresa funzionale è posticipata
(48-72 h) e può essere complicata dalle
risposte alle terapie e dall’età del paziente
(riassorbimenti)
Sono sempre presenti esiti anche di
notevole gravità
Tabella 9.12 Schema riassuntivo delle tipologie e dei tempi di intervento e recupero riguardo ai traumatismi
in dentatura permanente
Traumatologia dentoalveolare in odontoiatria pediatrica
201
Capitolo 9
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