Il paradosso delle scienze della memoria (storia, paleografia, archivistica, biologia evolutiva, neuroscienze, semiotica…) consiste nel fatto che esse, per loro costituzione, devono restare immemori delle proprie origini, ovvero delle condizioni di possibilità e dello sfondo di senso che ne hanno consentito l’avvento. Se la scienza della memoria potesse ricordare l’evento che l’ha prodotta, allora questo evento farebbe parte della scienza stessa, come suo risultato, e non potremmo più dire che stia a monte di essa; se però l’evento che ha generato la scienza della memoria fosse tutt’altra cosa rispetto a questa scienza, allora non potremo mai sostenere che quest’ultima abbia potuto interrogare seriamente i propri presupposti, risultando quindi – i n ultima analisi – infondata e infondabile. Questo paradosso, insieme al fatto che (in qualche modo anch’esso paradossale) possiamo sempre ricordarcene e avvalercene criticamente, illustra come dietro la memoria di cui la conoscenza si nutre (la memoria dissezionabile scientificamente e infinitamente riproducibile, perché intesa come testo, supporto di tracce o stratificazione di segni nei quali il ricordo sarebbe iscritto), debba esservi anche un’altra memoria. Una memoria che non consiste in una capacità di agire della traccia, e che tuttavia è efficace proprio in quanto immemorabile è l’azione del segno scritto; che richiama proprio in quanto innominabile è il chiamare come funzione della traccia. Questo secondo tipo di memoria non è più fondamentale o più arcaico del primo, perché non conos ce alcuno originario sfondo di ricordi che possa rammentarci una sua ipotetica priorità; è una memoria che non si conserva né si accumula in ragione della permanenza dei supporti; non conosce debiti, perché vive i suoi obblighi come estemporaneo ri-conoscimento che avviene anche sempre però come travisamento. Accadendo inavvertitamente nella caducità dell’istante, ovvero nella possibilità aperta di un’infinita, e infinitamente produttiva, modulazione obliosa dell’eternità. Questo dossier nasce per cercare di tematizzare la memoria come ricaduta inconsapevole, e tuttavia sapiente, prodotta dallo sforzo di arricchirsi senza conservare, di sapere senza trattenere, di governare il cambiamento senza per questo illudersi di aver fissato una regola che ne consenta la riproduzione identica. Modul iamo questo tema seguendo l’intreccio di tre grandi motivi: il primo, di natura semiotica, approfondisce il rapporto che sussiste tra ricordo e segno, e si giova della collaborazione con la scuola di dottorato dell’Università degli Studi di Bologna, con il prestigioso contributo offerto a Chora dai suoi studiosi illustri così come dai suoi esponenti più giovani. Il secondo motivo, storico-filosofico e teoretico, è a sua volta articolato in due direzioni diverse: da una
parte approfondisce il ruolo che la memoria ha via via assunto durante il corso della storia delle idee – fino a documentarne gli esiti più recenti attraverso la maturazione dei grandi progetti sistematici dedicati alla linguistica universale e alle arti della memoria; per altro verso, questa sezione interroga il ricordo come sfondo impensato – e tuttavia concretamente agito - di ogni storia dei ricordi, ovvero come scrittura narrante che intende ricamare sempre nuovamente, in una trama di storie e di figure, il senso del proprio narrare. Il terzo motivo, di argomento cognitivo e biologico, approfondisce invece – e mette in discussione - il ruolo della memoria come facoltà mentale, come risultato di un percorso evolutivo, come dispositivo formale di trascrizione neuronale, ovvero come strumento per la fissazione e il recupero dell’informazione all’interno di supporti oggettivi quali il cervello e il DNA. Quest’ultimo sviluppo della nostra ricerca assolve un compito che, dal punto di vista delle opportunità filosofiche che esso suggerisce, risulta ironico e perciò potenzialmente autocritico: la filosofia aiuta a ricostruire il senso transeunte sottostante alla storia della scienza, ma interrogare lo sfondo filosofico che è implicito alle tesi del sapere scientifico serve anche a ricordarci, con un gesto filosoficamente necessario, che neanche la memoria filosofica può render salva la verità che ha prodotto. Per questo motivo - una volta interrogata la provenienza delle tracce dei saperi che la filosofia dichiara di pot er custodire - le stesse tracce del sapere filosofico dovranno esaurire, o travisare, la propria intenzione significativa, tramontando nell’oblio. Fondando quindi involontariamente una nuova scienza oggettiva del ricordo, una nuova errabonda narrazione destinata allo scacco di un significato irripetibile.