Content uploaded by Mario Cimini
Author content
All content in this area was uploaded by Mario Cimini on Dec 18, 2014
Content may be subject to copyright.
Studi Medievali e Moderni
arte letteratura storia
Anno XIII - Fascicolo II - N. 26/2009
Direttore.
Gianni Oliva.
Com itato scientifico:
Maria Careri, Iole Carlettini, Mario Cimini, Maria Grazia Del Fuoco, Irene Fosi, Valeria Giannantonio,
Paola Montefoschi, Vito Moretti, Roberto Paciocco, Alessandro Pancheri, Giancarlo Quiriconi,
Stefano Trinchese, Alessandro Tornei.
Redazione.
Antonio Appignani, Maria Cristina Ricciardi.
Segreteria am ministrativa-.
Antonia De Luca.
Periodico semestrale - del Dipartimento di Studi Medievali e Moderni Università «G. D’Annunzio»
Via Pescara, 66013 Chieti Scalo - Tel. 0871 355 65 21 - 355 65 24 - 355 65 25, fax 0871 56 30 19
E- maih a.appignani@unich.it - olivagianni@libero.it
Abbonamento annuo: per l’Italia € 40,00; per l’estero € 50,00
Costo di un fascicolo: per l’Italia € 25,00; per l’estero € 30,00
ISSN 1593-0947
Autorizzazione n. 4/96
del Tribunale di Chieti
Iscritta al Registro Nazionale della Stampa
in data 29-07-1985 al n. 1635
Direttore Responsabile.
Alfredo Giuliani.
Finito di stampare nel mese di aprile 2010
presso la litografia Graficarte
Via Castel Belvedere, 221 - Marano (Na)
G CertiCarG raf La Loffredo Editore Napoli Spa è azienda certificata del sistema di qua-
Ztt cartiiicar^ouicnica, Graiica lità aziendale in conformità ai canoni delle norme UNI EN ISO 9001.
© 2009 by LOFFREDO EDITORE S.P.A.
Via Capri 67 8 00 26 Casoria (NA )
http ://w ww .loffredo.it E-m ail: info@ loffredo.it
Studi Medievali e Moderni
Anno XIII, 2/2009
Studi Medievali e Moderni XIII - 2/2009
Atti del Colloque International
D ’A nnu nzio et la mod ernité
Université de Caen Basse-Normandie
IMEC, Abbaye d’Ardenne
10-11 dicembre 2008
a cura di Laura Oliva e Marie-José Tramuta
5 Premessa
7 G ia nn i O liva
«Tra le più moderne vicende»: D ’Annunzio, la macchina, il volo
21 D enis Ferraris
DAnnunzio et la continuité du vivant
37 G erard V it to r i
DAnnunzio et la modernité dans les Ecrits journalistiques
57 G io vanna Caltagiro n e
La modernità di DAnnunzio nel rapporta con le arti visive
71 Epifanio Ajello
DAnnunzio e Micbetti. Esercizi dintorno al fotografico
89 N icolas Bo n n e t
DAnnunzio tra due secoli
101 M arie -J osé T ra m u ta
La cavale et le poète
105 M ario C imin i
«Il bisogno del sogno»: DAnnunzio e i contorni mediatici del fatto letterario
123 Laura O liva
DAnnunzio e la moda
143 Raffaella Castagnola
DAnnunzio moderno: note a margine del Forse che si forse che no
155 Y a n n ic k B u t e l
Saint Sebastien, de Lascaux au Chatelet, dArchacon a Fiume
SmM 1/2009
3
167 C h r isto ph e M ileschi
Etude d’un extrait de Le vergini delle rocce de Gabriele D ’Annunzio
17 9M irko M en na
Il divo. Gabriele DAnnunzio per una strategia della comunicazione moderna
191 M uriel G allot
Découvrir, choisir, traduire le poète, après Herelle
SmM 2/2009
4
Mario C im ini
«IL BISOGNO DEL SOGNO»: D’ANNU NZIO E I CONTOR NI
MEDIATICI D EL FATTO LETTERARIO
«Il faut être absolument modernes»
Rimbaud, Une saison en enfer
I. L’immagine di un D ’Annunzio «di spirito profetico dotato» ricorre con
inquietante frequenza nella sterminata letteratura critica a lui dedicata. A
molti è sembrato che l’“orbo veggente”1, giusta la definizione che egli amava
dare di se stesso negli anni del tramonto, incarnasse non solo e non tanto lo
spirito multiforme della sua epoca — com’è naturale che fosse — ma prean
nunciasse con i suoi comportamenti e con la sua opera (quanto a dire con la
vita e con l’arte) modi e forme che avrebbero caratterizzato i tempi a venire.
D’Annunzio è stato visto di volta in volta come l’anticipatore del linguaggio
lirico del Novecento (se è vero che il primo compito dei poeti di questo seco
lo, per dirla con Montale, sarebbe stato quello di “attraversarlo”), lo speri
mentatore, in tempi non sospetti, della dissoluzione dell’universo narrativo
romanzesco, l’artefice primigenio di un teatro “di poesia” che si muoveva
nella direzione delle avanguardie drammaturgiche novecentesche, l’abile
creatore di un melting po t dei generi letterari secondo un gusto che sarebbe
divenuto caro agli scrittori post-moderni, l’interprete av ant lettre di ruoli
divistici che avrebbero poi contrassegnato l’industria dello spettacolo, e così
via. Ora, se da un lato è innegabile che il “continente D’Annunzio” sia dis
seminato di segnali che proiettano in maniera più o meno intensa la loro luce
in una temperie a lui successiva, credo che dall’altro non si debba cadere nel
l’errore prospettico di sovrapporre arbitrariamente alla sua figura storica cate
gorie ermeneutiche che discendono dalla logica de\Y a-posteriori: il rischio è
di farne una sorta di sciamano dotato di indefinibili poteri di predizione2.
1 Cfr. G. D ’Ann u nz io , L ibr o se greto, in Id., Pro se scelt e, a cura di G. Oliva, Roma, Newton
Compton, 1995, p. 441.
2 Riferimento d’obbligo è alle illazioni di Attilio Mazza in D'A nn unzi o scia man o, Milano, Bietti,
2001 (in particolare il capitolo Pro feta-e g uar itor e, pp. 101-113). Sulla tesi di una sostanza esoterica dello
scrittore è di recente tornato Mazza con il volume D ’A nn unz io orbo veggen te, Pescara, lanieri, 2008.
SmM 2/2009
105
MARIO CIMINI
Il rapporto di D ’Annunzio con la modernità - voglio dire, e non sembri
un ovvietà - va visto essenzialmente come rapporto con la contemporaneità, con
il suo presente storico ed esistenziale, non con un ipotetico altrove. Certo, que
sta esperienza si alimenta di una continua sfida con i limiti da infrangere e di
una perenne tensione agonistica verso il superamento della dimensione imma
nente3. Tuttavia tale aspirazione all’oltranza, di derivazione innegabilmente nic-
ciana, è concepita come un “divenire ciò che si è”, un processo, una trasforma
zione progressiva ed inarrestabile che non taglia i ponti con il passato. Il moder
no mito umano di D’Annunzio è, per certi versi, lo stesso del Faust di Goethe,
ovvero quello di un uomo - come scrive Marshall Berman nell 'Esperienza della
modernità — «che si conosce bene e sa farsi valere», «che diventa se stesso median
te un processo ininterrotto ed infinito di autoespansione»4.
Ciò che invece assume un carattere rilevante è la capacità dannunziana di
guardare a quel presente, di esercitare fino al parossismo la facoltà dell’atten
zione, di leggere i segni della realtà5 per estrapolarne un senso non superfi
ciale e duraturo. Ed è questo un discorso che non investe solo la dimensione
più propria del fare artistico, la sostanza poetica della composizione, ma che
si riverbera anche su aspetti peritestuali dell’attività dello scrittore. In altri
termini, coinvolge l’idea stessa di letteratura, la sua portata sociale, il suo
destino in un mondo che conosce una rapida diversificazione dei bisogni cul
turali e, contemporaneamente, ineludibili processi di massificazione.
A questo riguardo, D ’Annunzio sviluppa ben presto un vero e proprio
istinto, dietro il quale non è difficile scorgere una matura coscienza teorica
dei problemi. Intuisce, in primo luogo, che la difesa delle ragioni della lette
ratura, a fronte di una crescente richiesta di prodotti estetici dal basso e del
sormontare di nuovi e accattivanti codici espressivi (come quelli utilizzati
dalla stampa periodica e quotidiana), non può essere operata semplicistica
mente con la fortificazione della cittadella dell’arte e dell’ hortus conclusus
della tradizione. Occorre una strategia d’attacco, portare l’assedio sul versan
te di quel pubblico senza il quale, come avrebbe detto Sartre in Qu’est-ce que
la literature?, le opere letterarie non hanno ragione di esistere, anzi propria
mente non esistono.
3 Raccolgo qui e condivido le linee argomentative del saggio di Gianni TURCHETTA, I l lim it e e la
to ta lità : u n’ipo tesi su lla sem ant ica d an nu nzi an a, in D ’A nnu nzi o e Le idee, Atti del XXXII Convegno di
studio, Pescara 12 novembre 2005, EDIARS, 2005, pp. 23-38.
4 M. BERMAN, L ’e speri enza de lla mo dern ità [1982], tr. it. di V. Lalli, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 81.
1 «Di tutte le mie facoltà — scrive nel frammento significativamente intitolato D ell’attenzione
(1899) - quella che più assiduamente stimolo e aguzzo è l’attenzione. [...] “Tutte le cose sono piene
d’iddìi” diceva l’Elleno. Egli voleva dire che tutte le cose sono piene di segni, tutte sono significative di
verità, di passioni, di eventi» (G. D ’ANNUNZIO, P rose sc elte cit., p. 275).
SmM 2 /2 00 9
106
«IL BISOGN O D EL S OGN O»: D ’ANNU NZIO E I C ONTORNI MEDIATICI DEL FATTO LETTERARIO
Si tratta di un progetto che D ’Annunzio persegue ed affina progressiva
mente nel corso di tutta sua carriera di scrittore e che conosce anche fasi alter
ne di elaborazione, con accelerazioni più o meno intense. Indubbiamente,
però, il momento decisivo per la sua messa a punto può essere riferito ad un
periodo che va dalla fine degli anni Ottanta - per quanto concerne il livello
teorico - a tutto l’ultimo decennio dell’Ottocento, se si considera il versante
più propriamente produttivo-applicativo.
II. Il primo decennio dell’attività letteraria dannunziana - dal 1879 al
1889 - è, nel complesso, un periodo di esplorazione e ricerca. Poesia, prosa
e soprattutto giornalismo sono concepiti in funzione di una molteplicità di
approcci al pubblico. L’attività giornalistica, in particolare, viene vissuta
come supporto tecnico-reclamistico dell’impegno più genuinamente lettera
rio: «la miserabile fatica quotidiana del giornale - scrive nel 1887
D’Annunzio sulla “Cronaca Bizantina” — [...] vi appare meno dura e meno
inutile poiché v’illumina la speranza che almeno una piccola parte dei vostri
convincimenti e dei vostri intendimenti e dei vostri gusti si diffonda nella
moltitudine e serva a preparare tempi migliori per l’arte che amate»6. Lo
scrittore si rende conto che in quella che si avvia ad essere la civiltà della
comunicazione non è opportuno ignorare strumenti e forme che sono in
grado di garantire il più ampio contatto possibile con il pubblico.
L’artista moderno deve abbandonare la sua «opaca torre d’avorio» per
«immergersi di tratto in tratto nelle medie correnti vitali e mettere la propria
anima in contatto con l’anima collettiva per sentirne la tendenza oscura ma
incessante e inarrestabile, - se egli aspira a divenire l’interprete e il messagge
ro del suo tempo»7. La militanza giornalistica è dunque l’occasione per instau
rare un rapporto dialettico con il proprio tempo, per studiarlo ed interpretar
lo. Tuttavia, dietro l’istanza del contatto con la vita non è difficile ravvisare la
marca tipicamente dannunziana dell’aspirazione a trascenderla, a “continuar
la” o anticiparla lungo una direttrice che rinvia chiaramente al ruolo psicago-
gico ed egemonico sulle masse dell’intellettuale-creatore8: «quello che rappre-
6 II D uc a Min im o, C rona ca b iza nt ina . I l ritor no /, in «La Tribuna», 6 ottobre 1887 (ora in G.
D ’ANNUNZIO, Sc ri tti gi orn al isti ci, voi. I, a c. di A. Andreoli, Milano, Mondadori «I Meridiani», 1996,
p. 931).
7 G. D ’ANNUNZIO, N e lla vi ta e n e ll’art e. Pre ambo lo, in «L a Tr ibu na» , 7 giu gno 189 3 ( ora in G .
D ’ANNUNZIO, Sc rit ti g io rn alis tic i cit., p. 20 0); con qu esto artic olo , tra l’altro , D ’A nnun zio ria wiav a la
su a co llab ora zione a «L a Trib una», abb an donat a nel 1 888, qua nd o si era lett eralmen te licen ziato da
qu ello c he fu l’ uni co pe riodo d i lavor o s alar iato d ella sua vita.
8 Cfr. ibidem, p. 198: «L’idea seminata nel giornale, più che nel libro, o prima o poi germina e pro
duce il suo frutto. E non v’è forse spirito ottuso di lettore, in cui l’insistenza di chi scrive non riesca a
SmM 2/2 009
107
MARIO CIMINI
senta per D’Annunzio il giornale, — nota a questo riguardo Simona Costa -
nella sua carnalità quasi di insorgenza del quotidiano, da questo a un tempo
incenerito e ricreato, potrà essere domani qualsiasi altro proscenio, sia esso
politico, drammaturgico o fino amoroso»9.
È appena il caso di sottolineare che questa posizione di D ’Annunzio discen
de da una intensa interazione con il sistema della stampa periodica e quotidia
na - come attestano le sue collaborazioni al «Fanfulla», al «Capitan Fracassa»,
alla «Domenica Letteraria», alla «Cronaca Bizantina», a «La Tribuna»10 - e
soprattutto da una perspicace e capillare osservazione di un vistoso fenomeno
culturale: gli anni Ottanta sono in Italia un periodo di grande espansione del
l’editoria giornalistica, spesso in simbiosi con quella libraria. Un processo che
ovviamente si accompagna alla nascita di un pubblico borghese che, nell’acco
stamento a questo tipo di produzione, vede la possibilità di una propria nobi
litazione culturale11. Del resto, D’Annunzio, già da questi anni, ben conosce
certi ingranaggi dell’editoria “d’assalto”,, ovvero di un apparato di produzione
del libro fortemente orientato sul mercato e già in grado di costituire un siste
ma di condizionamenti del pubblico attraverso lo sfruttamento di nuove
potenzialità comunicative (come quelle offerte dal giornale e dalla pubblicità)
secondo paradigmi che si sarebbero pienamente affermati nel corso del
Novecento. La collaborazione tra il 1882 e il 1884 con lo spregiudicato Angelo
Sommaruga, «l’editore fortunatissimo della “Cronaca Bizantina”, l’eroe della
pubblicità letteraria, l’industriale del libro moderno e borghese»12 - rapporto
da cui esitano, com’è noto, le prime, significative pubblicazioni dannunziane
( Canto novo, Terra vergine, Intermezzo di rime, II libro delle vergini) — è in tal
senso un vero e proprio noviziato per lo scrittore, che, tra l’altro, ne garantisce
già quello che oggi si direbbe il “lancio” mediático. D ’Annunzio vi aggiunge di
suo una personale propensione al divismo, ad una “gestualità” pubblica che
s’intreccia in maniera accorta con le finalità propagandistiche del prodotto. Il
binomio dell’arte come vita e della vita come arte - il logoro cliché & tanta dan-
produrre una qualche fenditura, ad aprire un piccolo varco. Inoltre, la passione ha una efficacia straor
dinaria su la massa popolare. Tutti i sostenitori appassionati di un’idea emanano una forza suggestiva
più cattivante di qualunque sofisma.»
9 S. Cost a , Pe r u na "st rate gia oss idio na le”: D ’A nnu nzi o c ron ista mo ndan o, in Ead., D ’Annunzio
fu na mb olo d el mo derno, Verona, Gutenberg, 1991, p. 172. Una ricerca a tutto campo sull’interazione
dello scrittore con il mondo giornalistico degli anni Ottanta è quella di Maria GaZZETTI, G.
D ’Ann un zio gio rn ali sta n ell a c ult ura eu rope a d el la fin e d el secolo ( 18 8 3- 18 88 ), Pisa, Pacini, 1986.
10 Per il dettaglio di tali collaborazioni, cfr. G. D ’ANNUNZIO, S cr itt i gi orn al ist ici cit.
11 Cfr. a tal proposito G. RaGONE, Verso i l mo derno ( 18 4 5- 19 2 5) , in Id., Un secolo d i lib ri. St or ia
d el l’ed ito ria i n I ta li a d al l’U ni tà a l pos t-mod erno , Torino, Einaudi, 1999, pp. 45-58.
12 E. Rai m o nd i , G ab riele D ’A nnu nzio , in Le tter atu ra i tal ia na , dir. da E. Cecchi e.N. Sapegno, Il
Novecento, Milano, Garzanti, 1969, p. 11.
SmM 2/2 00 9
108
«IL BISO GNO DEL SOGN O»: D ’ANNUN ZIO E I CON TORN I MEDI ATICI D EL FATTO LE TTERARIO
nunzistica - è tuttavia funzionale al progetto di cui s’è detto: il pubblico deve
potersi proiettare nell’opera letteraria, riconoscervi i contorni del proprio
mondo, ma ha bisogno anche di illusioni, di sogni, di miti, di figure alternati
ve al grigiore della quotidianità.
Da molti punti di vista, l’approdo di questo primo segmento dell’itinera
rio dannunziano è rappresentato dal romanzo del 1889, Il piacere. Non solo
perché l’opera si configura come ripresa e rielaborazione di tanti materiali
giornalistici prodotti negli anni romani, ma anche perché - per usare le paro
le di Angelo Conti - essa aspira a costituirsi come «poema moderno»13, ossia
come lettura sintetica della realtà filtrata attraverso l’acuta sensibilità dell’^r-
tifex e offerta alla contemplazione del pubblico. Il piacere, dunque, già incar
na una dialettica, che sarà tipicamente dannunziana, tra aristocratica difesa
delle ragioni dell’arte e della Bellezza da un lato e contatto con la vita, sia in
chiave “genetica” che come stimolo verso i fruitori, dall’altro. «Perché mai
rimanete così lontano dal “gran pubblico”?» chiede Elena Muti a Sperelli-
D ’Annunzio; «il mio sogno - risponde questi - è T'Esemplare Unico” da
offerire alla “Donna Unica”. In una società democratica com’è la nostra, l’ar
tefice di prosa o di verso deve rinunziare ad ogni benefìcio che non sia di
amore. Il lettore vero non è già chi mi compra ma chi mi ama. [...] Che
importa a me di avere, per esempio, cento lettori nell’isola dei Sardi o anche
dieci ad Empoli e cinque, mettiamo, ad Orvieto? E qual voluttà mi viene dal
l’essere conosciuto quanto il confettiere Tizio od il profumiere Caio?»14.
Siamo ovviamente di fronte ad uno dei poli del processo dialettico.
L’aspirazione a scrivere solo per sé o, al limite, per la “Donna Unica”, è fatalmente
contraddetta dal vero e proprio battage pubblicitario che accompagna l’uscita
presso Treves del libro o da trovate reclamistiche come «la famosa acquafòrte dello
Zodiaco di Andrea Sperelli realizzata da Sartorio» e distribuita «nelle librerie col
solo scopo di suscitare curiosità e mistero intorno al romanzo»15. D’Annunzio
insomma gioca con il suo alter-ego e mira, nello stesso tempo, ad attirare nella
partita il maggior numero possibile di spettatori. Ed è talmente attento alle dina
miche del mercato che quando si tratterà di pubblicare la versione francese del
romanzo, non esiterà a rimaneggiarne profondamente il testo16, «par rapport au
public français», sia per adeguarlo alle esigenze della diffusione a puntate sulle
13 A. CONT I, Cose d ’arte . I l poe ma m odern o, in «La Tribuna», 17 luglio 1889. Ma sulla critica con-
tiana al Piacere cfr. G. OLIVA, L a cu ltu ra de ll'este tismo e g li sc ritt i da nn un zia ni d i A ngelo Con ti, in ID.,
D ’Ann un zio e la poe tic a de ll’inve nzion e, Milano, Mursia, 1992, pp. 50-79 e pp. 150-156.
14 G. D ’ANNUNZIO, I l pia cer e, Roma, Newton Compton, 1995, pp. 46-47.
15 G. OLIVA, Introduzione a G. D ’Annunzio, Lett ere ai Treves, Milano, Garzanti, 1999, p. 14.
16 Sulla questione cfr. I. CIANI, No ta i ntr od utt iva a G. D ’ANNUNZIO, I l pia ce re — N el la stes ura p re
p ar at a d a ll’aut ore pe r l ’edi zion e fran ces e d el 1 89 4, Milano, Il Saggiatore, 1976, pp. VI-LIX.
SmM 2 /20 09
109
MARIO CIMINI
colonne della «Revue de Paris»1 sia per intercettare l’“orizzonte d’attesa” dei
lettori d’oltralpe.
III. La riflessione dannunziana su che cosa significhi per l’artista essere «l’in
terprete e il messaggero del suo tempo», sulle modalità di socializzazione dei pro
dotti letterari e su quali siano i coefficienti significativi e futuribili della moder
nità giunge a maturazione nei primi anni Novanta. Proseguendo una sua perso
nale ricerca di identità, ma anche mettendo a frutto le sue più recenti acquisizio
ni culturali - dall’incontro con il pensiero di Nietzsche alla meditazione sulle let
terature europee e slave — lo scrittore aggiorna il suo progetto in maniera presso
ché definitiva. Non è qui il caso di ripercorrere nel dettaglio una vicenda su cui
esiste una ponderosa letteratura critica. Ci interessa, tuttavia, mettere in luce alcu
ni elementi che esplicitino in maniera per quanto possibile inequivocabile il rap
porto di D’Annunzio con la modernità, nella direzione e nel senso che abbiamo
individuato all’inizio. A questo riguardo risultano fondamentali gli articoli che
egli, dopo un silenzio giornalistico di circa quattro anni, ricomincia e pubblicare
dal 1892, per lo più sul «Corriere di Napoli», sul «Mattino» e su «La Tribuna».
Innanzitutto chi e come può essere definito artista moderno? In polemi
ca con Nietzsche, «bizzarro filosofo tedesco» - un giudizio che la dice lunga
sulla corriva immagine di un D’Annunzio seguace pedissequo del niccianesi-
mo - nella celebre trilogia di articoli dedicata a II caso Wagner e pubblicata su
«La Tribuna» tra il luglio e l’agosto 1893, D ’Annunzio sostiene che l’artista
emblematico della modernità va visto proprio nel compositore del Tannhàuser.
Wagner esprime magistralmente i sogni, i turbamenti, le inquietudini, le ansie,
le aspirazioni dell’uomo del suo tempo (mentre per Nietzsche, «la prima e l’ul
tima esigenza del filosofo» è «vincere il suo tempo, mettersi fu ori del tempo>>18).
In altre parole egli è l’artista “decadente” per eccellenza:
La musica di Riccardo Wagner è la musica della democrazia socialista in
contrapposto all’arte aristocratica, eroica e soggettiva. Rappresenta l’abdica
zione dell’io e l’emancipazione di tutte le forze vinte. Risponde alle tenden
ze dell’epoca, le quali disconoscono il vero valore della personalità umana
sommergendolo nel complesso della natura e della società 9.
1 L ’enf ant d e vol upté - questo il titolo della versione francese - uscì su tale rivista tra la fine del
1894 e i primi del 1895; in volume, poi, nel maggio dello stesso anno presso Calmann-Lévy. Sulla tra
duzione cfr. Cart eggio D An nun zio -Hé rel le, a cura di M. Cimini, Lanciano, Carabba, 2004, a d indic em.
18 G. D ’An n un z i o , I l caso Wagner. I I, in «La Tribuna», 3 agosto 1893 (ora in Id., Sc ritt i gi orn alis tici
cit., p. 243).
9 G. D ’An n u n z io , I l ca so Wagner. I, in «La Tribuna, 23 luglio 1893 (ora in Id., Sc rìt ti g io rn ali sti
ci cit., p. 237).
SmM 2/2009
110
«IL BISOGNO DEL S OGN O»: D ’ANNUN ZIO E I CON TORNI MEDIATICI DEL FATTO LETTERARIO
Ora, continua D’Annunzio, - ed è qui l’originalità della sua posizione
(spesso misconosciuta dai pregiudizi della critica) — la tendenza verso una
modernità così fatta, non è un «ignobile e intollerabile vizio» in un’opera
d’arte, ma ne costituisce un «grandissimo pregio»20. Wagner è stato capace di
raccogliere nella sua opera la «spiritualità» e le «idealità sparse intorno a lui»,
interpretando un «bisogno metafisico» della sua epoca e intercettando «certe
speciali condizioni dello spirito pubblico».
L’attenzione verso la musica contemporanea costituisce un distintivo della
riflessione estetica dannunziana di questi anni; non per altro, lo scrittore cer
cherà di mettere in atto nella sua opera in prosa certe ricerche di musicalità
dell’espressione (come il Leitmotiv wagneriano che lo ossessiona letteralmen
te nella composizione dell 'Innocente'1), nella convinzione che solo alla musi
ca è «dato esprimere i sogni che nascono dalle profondità della malinconia
moderna»22. Ma, in parallelo, D ’Annunzio porta avanti un discorso non dis
simile anche per quanto riguarda la letteratura.
In particolare, è il pezzo intitolato II bisogno del sogno, pubblicato sul
«Mattino» del 31 agosto - 1° settembre 1892, a costituire una lucida e netta
presa di posizione sul tema del destino della letteratura nel mondo moderno.
D’Annunzio parte da un’osservazione coscienziosa della realtà:
L’Italia — scrive - è inondata di letteratura amena. Le biblioteche econo
miche a una lira il volume hanno avuto in poco tempo una filiazione innu
merevole di biblioteche minime, lillipuziane, diamantine, gialle, azzurre,
verdi, a venticinque centesimi, a quindici centesimi, a dieci centesimi e per
fino ad un soldo. E la concorrenza tra i piccoli editori diventa ogni giorno
più attiva. Essi fanno a gara nell’offrire al lettore italiano la maggior possibi
le quantità di carta stampata per il minor possibile prezzo. Qualcuno aveva
profetato: «Il Giornale ucciderà il Libro». Ed ecco che il Libro si difende, con
incredibili prodigi23.
20 G. D ’An n u n z io , II caso Wagner. I I cit., p. 243.
21 ATreves che gli rimproverava certe ripetizioni nel testo del romanzo, D’Annunzio scrive nell’a
gosto 1891: «Le ri pet izio ni s on o volute, ed hanno una profonda ragione d’arte» (G. D ’ANNUNZIO,
Le ttere a i Treves, a cura di G. Oliva, Milano, Garzanti, 1999, p. 97). In termini analoghi si rivolge anche
ad Hérelle nel marzo 1892: «Vi sarete accorto che nel mio romanzo ricorrono spesso alcuni gruppi di
parole che sono come i motivi dominanti, qualche cosa di simile al lei t moti v wagneriano» ( Carteggio
D ’A nnunzio-Hérelle cit., p. 79).
22 G. D ’An n u n z io , I l caso Wagner. I II, in «La Tribuna, 9 agosto 1893 (ora in Id., Sc rit ti g io rn al i
stici cit., p. 250).
23 G. D ’An n u nz io , No te su ll ’a rte. Il bi sogno d el sogn o, in Id., Sc rit ti g ior na list ici , cit., p. 72 .
SmM 2/2009
111
MARIO CIMINI
Dunque, per lo scrittore, il mercato del libro non solo non è stato dan
neggiato da forme alternative di comunicazione sociale, come quella offerta
dal giornale, ma dal confronto è uscito rafforzato. Questa situazione, egli
nota, fa pensare ad una sorta di grande banchetto in cui un pubblico buli-
mico e per nulla schizzinoso si abbuffa a più non posso di cibi di bassa cuci
na: «L’appetito sentimentale della moltitudine non era mai giunto a un così
rapido consumo di alimenti letterarii». Certo la tavola è imbandita con pie
tanze per nulla raffinate, a parte qualche rara eccezione:
selvaggina un po’ frolla, da cui la corruzione incipiente estrae l’intenso sapo
re essenziale, e pallide fette filacciose di carne bollita in acqua senza aromi;
umili gelatine diafane e fricassee dense di spezie che bruciano il palato; pastic
ci sapienti, in cui si accordano tutte le delicatezze sinfonialmente, e brodi
lunghi ove nuotano inconoscibili rimasugli di cucina24.
La metafora culinaria sottolinea efficacemente come l’alimentazione del
l’immaginario costituisca un bisogno antropologico primario, insopprimibi
le, al pari della nutrizione fisiologica. Tutti devono nutrirsi per vivere, sebbe
ne non tutti abbiamo a disposizione cibi di qualità o siano in grado di colti
vare il loro gusto. Ecco, allora, che
tra il romanzo sottile appassionato e perverso, che la dama assapora con len
tezza voluttuosa nella malinconia del suo salotto aspettando, e il romanzo
d’avventure sanguinarie, che la plebea divora seduta al banco della sua botte
ga, c’è soltanto una differenza di valore. Ambedue servono ad appagare un
medesimo bisogno, un medesimo appetito: il bisogno del sogno, l’appetito
sentimentale25.
È interessante notare che il brano che abbiamo appena citato, nelle suc
cessive versioni (sarebbe stato “smontato e rimontato” in un altro articolo,
Elogio d ell’epoca, pubblicato su «La Tribuna» del 23 giugno 189326, e nella
famosa intervista ad Ugo Ojetti del gennaio 18952 ), sia integrato con la
seguente, per nulla “facile”, profezia:
Avendo notato il fenomeno volgare, ne traggo per conseguenza che la let
teratura contro ogni profezia funebre è destinata nel prossimo avvenire a uno
24 Ibidem, p. 73.
25 Ibidem.
26 Cfr. G. D ’An n u n z io , S cr ìtt i gio rn al isti ci cit., pp. 201-207.
27 Cfr. U. OjETTI, A lla sco perta dei lett erat i, Milano, Dumolard, 1895 (vedila ora in Int ervi ste a
D An nu nz io (1 8 95 -1 93 8 ), a cura di G. Oliva, Lanciano, Carabba, 2002, pp. 43-56).
SmM 2/2009
112
«IL BISOG NO DEL SOG NO» : D’ANN UNZIO E I C ONTOR NI MEDIATICI DEL FATTO LETTERARIO
straordinario sviluppo. Come predire l’esaurimento e la fine della nostra arte
in un’epoca in cui si scopre qualche ritornello tenero di antica romanza in
fondo all’anima della più bassa tra le veneri pandemie e qualche ricordo d’i
dillio arcadico in fondo al cuore del più feroce tra gli assassini di vecchie e tra
i violatori di fanciulli? \
È inutile allora, sentenzia lo scrittore, esibire falsi moralismi gridando allo
scandalo di fronte all’affermazione vorticosa di generi popolari come il
romanzo. Indietro non si torna. E poi questo «fenomeno volgare» non signi
fica imbarbarimento della civiltà, né è distintivo di popoli culturalmente e
moralmente arretrati:
Accuse e rampogne di tal genere sono stupide e vane. Il romanziere come
il poeta, come il pittore, come il musico, come tutti gli artisti che educano ed
affinano le nostre sensazioni, non è che un fenomeno irresponsabile28.
In altri termini, è l’espressione più o meno automatica di sentimenti comu
ni e diffusi in una data epoca29. Del resto, pericoli di regressione sono limita
ti dalla incipiente globalizzazione, «dal fatto che nella nostra civiltà europea
l’agevolezza delle comunicazioni stabilisce una sorta di eguaglianza. Donde
scenderebbero dunque i Barbari possenti ad imporci il loro giogo rude?»30
Quel che accade per la letteratura, del resto, accade anche per altre arti,
perché
la folla conserva pur sempre, e conserverà fino alla fine dei secoli, la tenden
za ad elevarsi, per mezzo della Finzione, fuori del cerchio angusto in cui s’a
gita e soffre. L’arte dunque, che nelle sue forme supreme rimane godimento
dei pochi, risponde in realtà ad un bisogno diffuso .
28 G. D ’An n u n z io , No te su ll’art e. I l biso gno del sogno cit., p. 74.
29 È questa, penso, l’interpretazione più corretta che si possa dare della sibillina affermazione che
l’artista è un «fenomeno irresponsabile». Del resto, questa frase, venne dall’autore chiosata secondo tale
direzione ermeneutica in un altro suo intervento su «La Tribuna» del 9 agosto 1893, Il caso Wagner. I l i
(ora in G. D ’ANNUNZIO, S cri tti gio rn ali sti ci cit., p. 249) in cui il riferimento al determinismo di Taine
è esplicito: «L’opera d’arte è determinata dalle condizioni generali dello spirito e dei costumi presenti
nell’epoca. V’è un legame necessario e una rispondenza costante tra i fatti della vita reale e le finzioni
che l’arte produce sotto l’influsso di quei fatti. Certe forme d’arte non possono schiudersi se non in una
special temperatura morale. Ippolito Taine ha magistralmente dimostrato, in pagine definitive, per
quali necessità inoppugnabili in certe epoche e in certi paesi l’arte assume diversi caratteri dominanti e
si sviluppi in un senso piuttosto che in un altro».
30 Ibidem.
31 G. D ’ANNUNZIO, N ell a vit a e n ell ’a rte. E log io d e ll’epoca, in «La Tribuna», 23 giugno 1893, ora in
Id., S cr itt i gio rn al isti ci cit., p. 204.
SmM 2 /2 00 9
113
MARIO CIMINI
Con queste parole sembra che D ’Annunzio colga, in estrema ed efficace
sintesi, uno degli snodi di quello che sarebbe stato il dibattito novecentesco
sulla letteratura “di consumo” (altrimenti detta “paraletteratura” o
Triviallitteratur) o, in genere, sulla democratizzazione dell’esperienza estetica
che è senza dubbio una delle marche distintive della modernità letteraria:
Tutti gli interessi di lettura — ha scritto, per esempio, quasi un secolo
dopo, uno dei protagonisti italiani di quel dibattito, Vittorio Spinazzola -
vanno considerati legittimi. E un bieco pregiudizio aristocratico ritenere che
la letteratura sia fatta solo delle opere che hanno il beneplacito dei letterati.
Anche i prodotti meno raffinati, quando si dimostrino in sintonia profonda
con l’immaginario dei lettori meno colti, svolgono una funzione letteraria: e
con ciò stesso hanno diritto di essere inclusi nei domini della letterarietà; al
posto che loro spetta, s’intende32.
Visto da questa prospettiva, D ’Annunzio appare - per usare due note
categorie messe a fuoco da Umberto Eco sul tema della letteratura “di massa”33
— molto più “integrato” che “apocalittico”. Nel senso che il suo discorso sul
palesarsi di bisogni estetici da parte di folle tradizionalmente escluse dalla frui
zione di prodotti letterari (o artistici, in genere) si presenta all’insegna di una
sostanziale comprensione e non come aristocratica ripulsa verso la marea
montante. La percezione dello sfaldarsi dei confini del chiuso sistema lettera
rio tradizionale, al di là delle inevitabili angosce che può comportare, costi
tuisce insomma, per chi ne intende la portata, un’occasione storica:
la sopraggiunta impraticabilità dei circuiti privilegiati della fruizione artistica
e la sua stessa espropriazione, — osserva a questo proposito Nicola Merola —
svincolando l’arte da qualsiasi codificazione definita (per cui essa vale e signi
fica una volta per tutte secondo un’ottica particolare e immutabile), anziché
impoverirla, ne fondano il valore in termini di universalità e assolutezza,
come un mito e concedono all’artista uno strapotere ignoto fino a questo
momento34.
IV. Sulla base di questa acuta analisi di una situazione di fatto
D ’Annunzio articola, come si diceva, il suo progetto che non va inteso quin
di come una categorica reazione alla hegeliana morte dell’arte quanto piut-
32 V. SPINAZZOLA, L a m ode rnit à let tera ria . » Fo rme d i scr ittu ra e i ntere ssi d i l ettu ra, Milano, Il
Saggiatore, 2 00 5, p. 51 (il saggio da cui si cita risale al 1996).
33 Cfr. U. Eco, A poc ali ttic i e in teg rati, Milano, Bompiani, 1964.
34 N. M er ola , In trod uzio ne a. D Ann un zio e la po es ia di m assa , Bari, Laterza, 1 978 , p. 39.
SmM 2 /2009
114
«IL BISO GNO DEL SOGN O»: D’ANNUN ZIO E I CON TORNI MEDIATICI DEL FATTO LETTERARIO
tosto come una rimodulazione della sua natura e delle sue finalità sociali. Il
problema da risolvere è questo: conciliare le necessità del Bello con gli inte
ressi e i bisogni di un dato pubblico entro un ben definito orizzonte storico.
Detto altrimenti, bisogna «ricomporre le regole interne del fare arte e le
necessità oggettive dell’industria culturale [...] che sembrano irrimediabil
mente divaricate»35. Questo non significa, però, che la letteratura debba
appiattirsi sulle richieste del mercato e che lo scrittore debba degradare la sua
funzione al soddisfacimento automatico di bassi istinti fagici. Tutt’altro. Il
ruolo di interprete del proprio tempo si esplica per l’artista veramente tale
con l’«essere il messaggero di una vita che gli uomini presentono ma non
comprendono ancóra» ’. Ossia, non rinunciando alla carica di “alterità”
rispetto alla massa e mirando a farsi guida, non in senso meramente pedago
gico, di processi di elevazione culturale della società. Tale programma può
essere attuato secondo D’Annunzio solo agendo all’interno del mercato e
pensando soprattutto ad una sua “torsione verso l’alto”, ovvero spingendo il
pubblico al confronto con idee e figure del sistema letterario che siano real
mente alternative alla quotidiana medietas.
Potrebbe sembrare questo un discorso scontato, ma non lo è affatto, in
primo luogo se consideriamo l’epoca in cui D ’Annunzio lo elabora. La mag
gior parte degli scrittori contemporanei non condivide affatto queste posi
zioni. Luigi Capuana, per esempio, polemizza apertamente con le proposte
di D ’Annunzio, sostenendo che, specie in Italia dove il pubblico medio è di
scarsa consistenza, non è opportuno insistere su forme “alte” di letterarietà
che si risolvono in artifici che solo certe elites intellettuali possono apprezza
re (come accade per Le vergini delle rocce in cui dominano «l’eccezione fog
giata di maniera, il simbolo sforzato»37). Occorre, invece, per lo scrittore sici
liano valorizzare la semplicità e la spontaneità della composizione che meglio
possono coinvolgere lettori dotati di basse potenzialità di decodifica.
D’Annunzio è, al contrario, pienamente convinto che la modernità lette
raria debba fondarsi su una dialettica tra “basso” e “alto”, ma che necessaria
mente debba tendere al sublime tesaurizzando altresì i ponderosi lasciti della
35 G. Fabre , D ’Ann un zio est eta p er l ’info rm azio ne (1 8 80 -1 90 0 ), Napoli, Liguori, 1981, p. 145.
36 G. D ’ANNUNZIO, I l ro manz o fu tur o. Fra mm ento d ’uno s tud io su l ’ar te n uova , in «La Domenica
del Don Marzio», 31 gennaio 1892, ora in Id., S cr itt i gi or na list ici cit., p. 21. Ma l’espressione ricom
pare identica nell’articolo U na t ende nza pubblicato un anno dopo su «Il Mattino», 30-31 gennaio
1893, ora in Id., Sc rit ti g io rn ali stic i cit., p. 126.
37 L. CAPUANA, Ne vros i a rt isti ca, in Id., Cro nach e l etter arie , Catania, Giannotta, 1899, p. 237. La
polemica con D ’Annunzio (in particolare con le idee da lui espresse nell’intervista ad Ojetti nel 1894)
è, invece, contenuta in L. Capuana, Ide alis mo e Co smop olitis mo [1898], in Id., G li « ism i» co ntem pora
nei, Milano, Fabbri, 1973, pp. 8-39.
SmM 2/2009
115
MARIO CIMINI
tradizione. In tale operazione il fattore “mediático” della letteratura come
processo comunicativo globale svolge un ruolo fondamentale, secondo piani
molteplici di significazione che coinvolgono dimensioni di tipo non solo let
terario. Proviamo a metterne a fuoco alcuni.
Io. Una letteratura che possa definirsi moderna deve mantenere un
costante contatto con l’avanguardia della scienza e farsi crogiolo di elementi
propulsivi di conoscenza:
Alla scienza che va coordinando le verità esperimentate, — si legge ne II
romanzo futuro — l’arte proporrà ipotesi, fornirà indizii di verità ancora nasco
ste, presenterà documenti rivelatori. E la scienza renderà all’arte l’antico ele
mento che oggi le manca: il meraviglioso^.
E si tratta di un’idea chiosata da D’Annunzio in numerosi altri interven
ti tra il 1892 e il 1895. Alla specializzazione dello scienziato, gli artisti pos
sono opporre le loro capacità di saper «fondere i termini che sembrano esclu
dersi: analisi e sintesi, sentimento e pensiero, imitazione e invenzione». Per
questo, «essi soltanto possono essere uomini rappresentativi [...] nelle socie
tà moderne; essi soltanto possono essere gli esemplari, gli interpreti e i mes
saggeri di questo tempo poiché la scienza non è per loro una formula ma la
vita stessa» . In particolare, lo scrittore pensa, in accezione simbolista e deca
dente, alle possibilità di sondare «la vastità e la profondità dell’anima con
temporanea», la quale «non soltanto contiene l’immenso flutto delle idee,
delle sensazioni, e dei sentimenti definiti - accumulato dalle innumerevoli
generazioni anteriori - ma anche un oscuro viluppo di germi nuovi, dei quali
taluno già si va schiudendo con vigore subitaneo e sta per invadere le più
lucide sfere della conscienza»40. Viene quasi d’istinto pensare alla declinazio
ne operativa di questi principi in quell’«ideal libro di prosa moderno» che è
il Trionfo della morte, in cui D ’Annunzio mira ad armonizzare «tutte le varie
tà del conoscimento e tutte le varietà del mistero», alternando «le precisioni
della scienza alle seduzioni del sogno», con l’obiettivo ultimo di «non imita
re ma continuare la Natura»41.
38 G . D ’An n u n zi o , I l rom anz o fut ur o. Fram me nto d ’un o stu dio su l ’a rt e nuo va, in «La Domenica
del Don Marzio», 31 gennaio 1892, ora in Id., Sc rit ti g ior na lis tici cit., p. 20
39 G. D ’ANNUNZIO, N ell a vit a e n ell ’a rte. E log io d e ll’epoca , in «La Tribuna», 2 3 giugno 1 893, ora in
Id., Sc rit ti g io rn ali stic i cit., p. 205.
40 Ibidem, pp. 2 04 -205.
41 G. D ’ANNUNZIO, A Franc esco Pa olo M iche tti, in Id., Tr ionfo de lla mort e / Le vér gini de lle rocce,
Roma, Newton Compton, 1995, p. 10.
SmM 2 /2009
116
«IL BISOGN O DEL S OGN O»: D ’ANNUNZIO E I CON TORNI MEDIATICI DEL FATTO LETTERARIO
2°. La rappresentatività dell’artista moderno non va confusa con una sorta
di sindacalismo delle masse. Lo scrittore deve essere un “segno totale”, sepa
rato dal pubblico e da questo ben riconoscibile nella sua diversità. La dimen
sione che fonda e legittima la “segnicità” emblematica dell’artista risponde ad
una duplice logica di natura tecnica, al cui fondo permane comunque un’i
stanza eminentemente comunicativa: la capacità di essere e di farsi “stile” da
un lato e, dall’altro, l’abilità nel proporsi sulla scena mediatica favorendo pro
cessi di visibilità o spettacolarizzazione dell’opera e dell’autore.
L’attenzione alla caratura stilistica dello scrittore assume tratti quasi ossessi
vi per il D ’Annunzio degli anni Novanta. Se ne hanno testimonianze concrete
negli articoli che abbiamo più volte citato, nelle interviste, nelle lettere, specie
quelle con l’editore Treves e con il suo traduttore francese Georges Hérelle. La
nozione di stile passa innanzitutto attraverso lucide prese di posizione sulla
questione della lingua. Esternando il suo giudizio sulla letteratura contempo
ranea in Italia, nella citata intervista di Ojetti, D ’Annunzio condanna senza
mezzi termini quegli scrittori che non hanno «padronanza» del proprio «stru
mento d’arte», ovvero della «Lingua Italiana»42. Uno scrittore, insomma, non
può essere tale se non conosce profondamente i mezzi di cui si serve:
È necessario, soprattutto, acquistare la maggior possibile ricchezza di lin
gua genuina e porre ogni studio nello scoprire i più nascosti pregi dell’acqui-
stata ricchezza. Una parola non concede intera la sua forza se non a colui il
quale ne conosca le sue origini prime43.
Solo una volta che è divenuto padrone «dell’elemento materiale» lo scrit
tore potrà formarsi uno “stile” che divenga il distintivo della sua personalità
artistica. In altra sede ho dimostrato come la concezione dello stile costitui
sca da ora in poi per D ’Annunzio una sorta di dato “ontologico”, un conno
tato specifico della sua integrità d’artista, il suo “segno” che nessuno dovrà o
potrà mai violare44. L e style est inviolable, comme La personne dont il est l’ex-
pression è la massima attinta da Hernest Hello43 che risuona innumerevoli
42 U. OjETT l, A lla sco perà de i len era ti [1895], in In ter vist e a D ’A nn unz io cit., p. 47.
43 Ibidem, p. 312.
44 Cfr. M. C lMINI, «Le style est in vio lab le! »: il D ’A nn unz io a uto crit ico de l carte ggio con George s Hér elle,
in Ah. Vv., G abr iele D ’A nnu nzi o: d u g este a u te xte, Atti del Colloque International di Caen-Basse
Normandie, 10-12 gennaio 2002, Numero monografico di «Studi Medievali e Moderni», 1/2002,
Napoli, ESI, 2002, pp. 21-48.
45 Poligrafo francese di tendenza cattolica, Hello (1828-1885) aveva scritto libri di teoria dello stile,
come Le style (T héo rie et hist oire) , Paris, Palme, 1861; D ’Annunzio ne ammirava e condivideva la forte
sottolineatura dell’inscindibile nesso che lega l’artista e lo stile a cui riesce a dar vita.
SmM 2/2009
117
MARIO CIMINI
volte negli scritti dannunziani del periodo 1894-1900. Ed anche la vera e
propria battaglia che egli ingaggia con gli editori per non farsi “ferire” - ovve
ro, perché non si modifichi neppure un minimo elemento della sua opera -
è dunque non un mero capriccio del bizzoso artifex ma una necessità che sca
turisce dalla precisa volontà di difendere ad oltranza la propria immagine di
creatore46. È quasi superfluo aggiungere che tale prepotente affermazione di
una inconfondibile individualità estetica è funzionale all’obiettivo di intera
gire da posizioni di forza con un sistema della comunicazione letteraria che
tende all’entropia, secondo le linee d’analisi che abbiamo sinteticamente
ricostruito nella prima parte del nostro intervento.
Non meno collimanti con questo obiettivo sono poi le strategie di promo
zione che investono l’extra-testo. L’artista deve essere ben riconoscibile nondi
meno in quelle che Gerard Genette ha definito le “soglie” del testo47, ovvero
l’insieme degli elementi e delle pratiche che accompagnano la produzione e la
ricezione del libro. Anche per quanto riguarda la “confezione” del paratesto
D ’Annunzio, in effetti, profonde una cura maniacale: dalla scelta dei titoli a
quella dei caratteri di stampa e della carta; dallo studio della grafica (con il fre
quente corredo di immagini richieste a celebri illustratori o di fregi che crea
no uno stile indubbiamente dannunziano) a quello dei testi liminari e degli
“epitesti” (recensioni, interviste, ecc.). In estensione, il processo di visibilità
fisica dell’opera deve coinvolgere la figura dell’autore, creando così un circui
to virtuoso che riverberi i suoi effetti positivi sul prodotto. D ’Annunzio è dun
que pienamente convinto - sebbene, in questo caso, il suo convincimento si
evinca più dall’azione che da dichiarazioni programmatiche — che nel mondo
moderno non sia più possibile pensare alla letteratura come istituzione e asso-
lutizzazione dei soli valori stilistici della scrittura. Sarebbe questa una strategia
perdente perché non in grado di rispondere ai gusti di un pubblico sempre più
orientato verso linguaggi spettacolari.
3°. In ultima istanza, l’elemento che può fungere da collante tra il “segno”
dell’artista e i bisogni estetici delle masse, tra la langue del creatore e la paro
le dei fruitori, tra il sublime e il quotidiano va indubbiamente ravvisato nel
codice mitico. D ’Annunzio è un cosciente interprete di quello che Kàroly
46 «Al pensiero che la mia opera debba essere castrata per un fine commerciale, - scrive D’Annunzio
ad Hérelle il 3 maggio 1893, commentando le intenzioni dell’editore Calmann-Lévy di modificare o
tagliare alcune parti della traduzione dell’Innocente - io provo la stessa indignazione che proverei se
qualcuno venisse a farmi una proposta ignobile» (C arte ggi o D ’An nun zio -Hé relle cit., p. 131). Il riferi
mento ad una umiliante “castrazione” dell’opera e dell’autore compare diverse volte anche nel carteg
gio con Treves (cfr., per esempio, G. D ’ANNUNZIO, Le ttere a i Treves cit., p. 288).
47 Cfr. G. GENETTE, So glie. I din to rni de l te sto [1987], Torino, Einaudi, 1989.
SmM 2/2 00 9
118
«IL BISO GNO DEL SOG NO» : D’ANNUN ZIO E I CON TORNI MEDIATICI DEL FATTO LETTERARIO
Kerény ha definito mito “tenicizzato”48, ossia un mito non “genuino”, che
non nasce spontaneamente dall’anima collettiva, ma che è «evocato intenzio
nalmente dall’uomo per conseguire determinati scopi»49. Nella fattispecie, l’o
biettivo è quello di rilanciare l’incidenza sociale dell’arte attingendo ad un
repertorio millenario di forme che solo l’artefice “peritissimo” può rimodula
re includendovi persino i contenuti più prosaici della modernità.
«Bisognerebbe - annuncia il D ’Annunzio-Effrena all’amico Conti-Glauro nel
Fuoco - che il mito si rinnovasse perché ci fosse dato di creare l’arte nuova»50.
Se il mito antico finisce per oggettivarsi nel linguaggio attraverso la sua
decantazione lungo l’asse diacronico (riduce insomma la sua arbitrarietà con
il sostanziarsi nella memoria collettiva), il mito “tecnicizzato” (o moderno)
deve fare appello a tutta la potenza comunicativa del linguaggio per limitare
i margini di soggettività. I “miti d’oggi”, come ha ben dimostrato Roland
Barthes, portano alle estreme conseguenze i meccanismi di deformazione del
codice linguistico, esaltando al massimo grado la trasformazione del «senso
in forma»: solo cosi, «divenendo forma, il senso allontana la sua contingen
za; si svuota, si impoverisce, la storia evapora, resta la lettera». Si ha insom
ma «uno scambio paradossale delle operazioni di lettura, una regressione
anormale dal senso alla forma, dal segno linguistico al significante mitico»51.
D’Annunzio già lavora in questa direzione che sarebbe divenuta l’asse por
tante della moderna civiltà dell’immagine. Gli orizzonti mitici nel cui peri
metro l’artista-scrittore può chiamare a raccolta il suo pubblico si costitui
scono innanzitutto sul gioco delle forme verbali o meglio, della loro «teatra
lizzazione»52; poi assumono declinazioni specifiche, a partire dal mito del
poeta-creatore capace di assorbire in sé la vita universa:
la scrittura (il linguaggio, come dice il D’Annunzio) - ha scritto a questo pro
posito Barberi Squarotti - costituisce lo strumento dell’appropriazione uni-
48 Cfr. K. K erÉNY, D a l m ito gen uin o a l mito te cnic izza to, in A tt i d el co lloqu io i nte ma zio na le su
“ Tecnica e ca sist ica ”, Roma, Istituto di Studi Filosofici, 1964, pp. 153-168.
49 F. Jesi, Le tte rat ura e mit o, Torino, Einaudi, 1968, p. 36.
50 G. D ’An n u n z io , I l fu oco / For se che s ì for se che no, Roma, Newton Compton, 1995, p. 122. È
interessante osservare come, a partire da Le verg ini de lle rocce e fino al Notturno, il termine “mito” (o,
al plurale “miti”) si accompagni con significativa frequenza nell’opera dannunziana agli aggettivi
“nuovo” (“nuovi”), “novello” (“novelli”) o ai verbi “rinnovare”, “rinovellare”: è il segno di come l’idea di
un’applicazione mitografica ai contenuti della modernità contrassegni in maniera forte la riflessione
estetica dello scrittore nel periodo della sua massima creatività.
51 R. Ba r th es, M i ti d ’oggi [1957], Milano, Lerici, 1962, p. 211.
52 Di «teatralizzazione verbale» a proposito della scrittura dell'ultimo D ’Annunzio parla G.
Bec caria, F igu re rit mic o-si ntat tich e ne lla p ro sa da nn un zia na , in Id ., L ’a uto no mia de l s igni fica nte,
Torino, Einaudi, 1975, p. 289.
SmM 2 /2 00 9
119
MARIO CIMINI
versale che egli compie: letteratura, natura, arti figurative, musica [...], vita,
memoria, passato, storia, azione, per l’immenso museo che, un poco babeli
camente [...] Y artifexsupremo, quello che sa fare di ogni cosa scrittura, mette
insieme con un’enorme operazione di assorbimento in sé di ogni cosa. Così,
si rivela un altro carattere del mito àe\Y artifex come appropriatore di tutto
l’universo scritto, agito, parlato, dipinto, scolpito musicato sull’orlo dell’e
stremo attentato a ogni valore quale compie la legge economica del mondo
borghese [...]53.
Consustanziato al mito del supremo “espressore” è quello di un uomo che
va oltre la sua umanità attingendo a qualcosa di divino, di quell’ Uebermensch
tante volte evocato da D’Annunzio nella sua opera a partire dai primi anni
Novanta:
Così talvolta — annota il D’Annunzio-Cantelmo delle Vergini delle rocce —
io mi credeva di vivere un mito formato da me medesimo a simiglianza di
quelli che produsse la giovinezza dell’anima umana sotto i cieli dell’Ellade54.
Ma in chiave mitologica possono essere declinate anche le moderne forme
della civiltà tecnologica ed industriale. L’ultimo romanzo dannunziano, Forse
che sì forse che no, è in tal senso una sintesi altamente significativa di come la
letteratura possa essere in grado di tenere insieme passato e presente e di
generare strutture mitiche facendo leva sulla tecnologia:
Il mondo dei miti e dei sogni - si legge nel primo capitolo del romanzo,
a commento dell’esibizione aerea di Giulio Cambiaso e Paolo Tarsis — rioc
cupava la cavità del cielo, evocato dal nuovo sogno e dal nuovo mito55.
Non diversamente il mito industriale e “macchinolatrico” campeggia nei
versi della Preghiera ad Erm e (in M aia)C>), dove D ’Annunzio opera una «san
tificazione ermetica»57 della tecnologia celebrando macchine che come
«giganti impigri» obbediscono «ai fanciulli e alle femmine», telai moderni
53 G. Barb eri Sq u a r o t t i, Il sim bolo d el l’«ar tife x» , in Aa. Vv., D ’An nu nzio e i l sim bol ismo eu ropeo,
Atti del Convegno di Studi, Gardone Riviera, 14-16 settembre 1973, Milano, Il Saggiatore, 1976, p.
193.54 G. D ’ANNUNZIO, Tri onfo de lla m orte / Le v erg ini dell e rocc e cit-, p. 380.
55 G. D ’ANNUNZIO, I l fu oco / Forse che sì fo rse ch e no cit., p. 298.
56 G. D ’ANNUNZIO, Preg hier a a d Erm e, in Id., Tutt e le poesi e, voi. I, ac . di G. Oliva, Roma, Newton
Compton, 1995, pp. 60-73.
5 R. TES SARI, I l mito de lla mac china , Milano, Mursia, 1973, p. 167.
SmM 2 /20 09
120
«IL BISO GNO DEL SOGN O»: D ’ANNUN ZIO E I CON TORNI MEDIATICI DEL FATTO LETTERARIO
che rinnovano il mito della «lidia Aracne», officine che sembrano aver confi
nato il «sudor d’Efèsto» ad una risibile reminiscenza poetica58.
«Solo un orizzonte cosparso di miti raccoglie nell’unità un intero movi
mento di cultura» aveva scritto Nietzsche nella Nascita della tragedia’'*. In que
sto assioma l’imaginifico sembra riconoscersi pienamente, se è vero - com’è
vero - che tutta la sua opera può essere letta come un cosciente tentativo di
conciliare le dissonanze della modernità nell’universale valore dell’arte.
58 Viene in mente, a questo proposito, il celebre brano in cui Marx s’interroga sul perché la mito
logia classica, nonostante siano ampiamente tramontate la società e la cultura che l’avevano espressa,
continui ad aver seguito nel mondo moderno: «È possibile - si chiede il filosofo - la concezione della
natura e dei rapporti sociali che sta alla base della fantasia greca, e perciò dell’arte greca, con le filatri
ci automatiche, le ferrovie, le locomotive e il telegrafo? Che ne è di Vulcano a petto di Ro bert s & Co.,
di Giove di fronte al parafulmine, di Ermete di fronte al Cr éd it m ob ilier i Ogni mitologia vince, domi
na e plasma le forze della natura nell’immaginazione e mediante l’immaginazione: essa svanisce quindi
quando si giunge al dominio effettivo su quelle forze. Che cosa diventa la Fama di fronte a Prin-
tinghousesquaréì» (K. Ma r x - F. En g els , S cr itti su l l’art e, a cura di C. Salinari, Laterza, Bari, 1967, pp.
53-54). La conclusione di Marx — amiamo la mitologia antica perché amiamo la fanciullezza dell’uo
mo e del mondo — sembra singolarmente collimante con la posizione dannunziana: la mitologia moder
na, per quanto “artificiale”, come quella antica soddisfa un “bisogno di sogno”, un’aspirazione a torna
re pascolianamente fanciulli.
59 F. Nie t z s c h e , L a n asc ita d ella t rage dia , Bari, Laterza, 1967, p. 197.
SmM 2/2009
121