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Limiti e capacità della pianificazione dello spazio

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Abstract

A procedere dall'assunto che sia utile distinguere tra governo del territorio e pianificazione dello spazio si sostiene che (a) essenza del governo del territorio sia l'assegnazione autoritativa di diritti; (b) che, anche ridotto alla sua essenza, il governo del territorio sia sempre e comunque indispensabile; (c) che il governo del territorio sia un processo discontinuo e incrementale. Si sostiene, inoltre, (d) che essenza della pianificazione dello spazio sia la suddivisione dello spazio con il disegno di confini; (e) che la pianificazione dello spazio non sia indispensabile e possa non essere applicabile; (f) che la pianificazione dello spazio sia soprattutto pianificazione locale. Infine si argomenta che governo del territorio e pianificazione dello spazio contribuiscano limitatamente alla definizione della qualità estetica degli insediamenti Parole chiave: governo del territorio; pianificazione dello spazio; bellezza urbana Limiti e capacità della pianificazione dello spazio 1 Luigi Mazza Governo del territorio e pianificazione dello spazio Le opinioni che sto per esporvi procedono dall'assunto che sia utile distinguere tra governo del territorio e pianificazio-ne dello spazio. In modo molto schematico potrei dire distin-guere tra politica e tecnica, aggiungendo subito che la piani-ficazione dello spazio come tecnica è radicata nella cultura politica e, pertanto, ciò che è possibile e necessario dividere per ragioni analitiche, torna immediatamente a ricomporsi nelle pratiche. La distinzione tra governo e pianificazione è utile per mettere in risalto quali siano capacità e limiti della pianificazione dello spazio. Per il governo non esistono capa-cità e limiti determinabili a priori, un buon governo del ter-ritorio decide entrambi nell'azione. La pianificazione ha in-vece delle capacità e dei limiti intrinseci alla sua natura, o almeno, questo è quello che cercherò di mostrare. Aspettarsi troppo dalla pianificazione, ignorandone i limiti, non è solo un buon modo per essere delusi, comporta anche una sotto-valutazione e quindi un cattivo uso delle sue reali capacità. L'espressione 'governo del territorio' è stata introdotta nel dettato costituzionale senza particolari motivazioni ed è sta-ta oggetto di diverse interpretazioni. Poiché il controllo del territorio è un presupposto dell'esistenza stessa dello stato ed una manifestazione del suo potere di persuasione, coordi-namento e coercizione, pianificazione e controllo delle tra-sformazioni territoriali sono attività di governo prima di es-sere attività tecniche e amministrative 2 . Solo la potestà della legge e il suo esercizio attraverso atti di governo possono conferire efficacia alle azioni di pianificazione. Se si acco-glie questa interpretazione resta da stabilire quale sia il ruo-lo e il contributo della tecnica al governo del territorio. Le opinioni che sto per esporvi sono in particolare rivolte a ri-spondere a questa domanda e, per farlo, a definire contenuti e ruolo della pianificazione dello spazio. Assumo che le attività tecniche, rilevanti per il governo del territorio, siano le attività normative (valutative e progettua-li) che hanno come oggetto centrale lo spazio e per le quali lo spazio è una risorsa chiave per produrre effetti, anche inconsapevoli, sul ridisegno della cittadinanza nell'area pia-nificata. Ho indicato queste attività tecniche con il termine pianificazione dello spazio o spaziale 3
7 Territorio
A procedere dall’assunto che sia utile
distinguere tra governo del territorio e
pianificazione dello spazio si sostiene
che (a) essenza del governo del
territorio sia l’assegnazione autoritativa
di diritti; (b) che, anche ridotto alla
sua essenza, il governo del territorio sia
sempre e comunque indispensabile; (c)
che il governo del territorio sia un
processo discontinuo e incrementale. Si
sostiene, inoltre, (d) che essenza della
pianificazione dello spazio sia la
suddivisione dello spazio con il disegno
di confini; (e) che la pianificazione
dello spazio non sia indispensabile e
possa non essere applicabile; (f) che la
pianificazione dello spazio sia
soprattutto pianificazione locale. Infine
si argomenta che governo del territorio e
pianificazione dello spazio
contribuiscano limitatamente alla
definizione della qualità estetica degli
insediamenti
Parole chiave: governo del territorio;
pianificazione dello spazio; bellezza
urbana
Limiti e capacità della
pianificazione dello
spazio1
Luigi Mazza
Politecnico di Milano, Dipartimento di Architettura e Pianificazione
(luigi.mazza@polimi.it)
Governo del territorio e pianificazione dello spazio
Le opinioni che sto per esporvi procedono dall’assunto che
sia utile distinguere tra governo del territorio e pianificazio-
ne dello spazio. In modo molto schematico potrei dire distin-
guere tra politica e tecnica, aggiungendo subito che la piani-
ficazione dello spazio come tecnica è radicata nella cultura
politica e, pertanto, ciò che è possibile e necessario dividere
per ragioni analitiche, torna immediatamente a ricomporsi
nelle pratiche. La distinzione tra governo e pianificazione è
utile per mettere in risalto quali siano capacità e limiti della
pianificazione dello spazio. Per il governo non esistono capa-
cità e limiti determinabili a priori, un buon governo del ter-
ritorio decide entrambi nell’azione. La pianificazione ha in-
vece delle capacità e dei limiti intrinseci alla sua natura, o
almeno, questo è quello che cercherò di mostrare. Aspettarsi
troppo dalla pianificazione, ignorandone i limiti, non è solo
un buon modo per essere delusi, comporta anche una sotto-
valutazione e quindi un cattivo uso delle sue reali capacità.
L’espressione ‘governo del territorio’ è stata introdotta nel
dettato costituzionale senza particolari motivazioni ed è sta-
ta oggetto di diverse interpretazioni. Poiché il controllo del
territorio è un presupposto dell’esistenza stessa dello stato
ed una manifestazione del suo potere di persuasione, coordi-
namento e coercizione, pianificazione e controllo delle tra-
sformazioni territoriali sono attività di governo prima di es-
sere attività tecniche e amministrative2. Solo la potestà della
legge e il suo esercizio attraverso atti di governo possono
conferire efficacia alle azioni di pianificazione. Se si acco-
glie questa interpretazione resta da stabilire quale sia il ruo-
lo e il contributo della tecnica al governo del territorio. Le
opinioni che sto per esporvi sono in particolare rivolte a ri-
spondere a questa domanda e, per farlo, a definire contenuti
e ruolo della pianificazione dello spazio.
Assumo che le attività tecniche, rilevanti per il governo del
territorio, siano le attività normative (valutative e progettua-
li) che hanno come oggetto centrale lo spazio e per le quali
lo spazio è una risorsa chiave per produrre effetti, anche
inconsapevoli, sul ridisegno della cittadinanza nell’area pia-
nificata. Ho indicato queste attività tecniche con il termine
pianificazione dello spazio o spaziale3. In un campo di studi
che soffre di continue reinvenzioni del vocabolario, temo che
l’introduzione di un altro termine possa giustamente infasti-
dire, ma urbanistica e pianificazione hanno ormai troppi si-
gnificati per tornare utili in un discorso tecnico, e pianifi-
a p e r t u r e
8 Territorio
Barcellona, Pla Cerdà, 1859
L’aumento nel tempo della capacità insediativa nella ‘manzana’ del Pla Cer
9 Territorio
cazione territoriale risente della ricchezza di senso che la lette-
ratura geografica italiana ha assegnato alla parola ‘territorio’
perché sia possibile ricondurre l’aggettivo territoriale alla spe-
cificità di una pratica tecnica. Infine, rispetto ad espressioni
consolidate come pianificazione degli usi del suolo e delle mo-
bilità, il termine pianificazione dello spazio include qualcosa
di meno ma di più specifico e, quindi, in definitiva, qualcosa di
più.
Le principali opinioni che vi esporrò sono riassumibili in sette
proposizioni:
1) Essenza del governo del territorio è l’assegnazione autoritati-
va di diritti.
2) Anche ridotto alla sua essenza, il governo del territorio è
sempre e comunque indispensabile.
3) Il governo del territorio è un processo discontinuo e incre-
mentale.
4) Essenza della pianificazione dello spazio è la suddivisione
dello spazio con il disegno di confini.
5) La pianificazione dello spazio non è indispensabile e può
non essere applicabile.
6) La pianificazione dello spazio è soprattutto pianificazione
locale.
7) Governo del territorio e pianificazione dello spazio contribu-
iscono limitatamente alla definizione della qualità estetica de-
gli insediamenti.
L’ordine dell’esposizione non è quello delle sette proposizioni,
anche perché esse non esauriscono i temi che verranno toccati.
Per chiarire le mie opinioni farò ricorso molto brevemente dap-
prima a due classici della pianificazione, il piano di Cerdà per
Barcellona e il Greater London Plan di Abercrombie, e succes-
sivamente agli ultimi due secoli della storia della pianificazio-
ne urbana di Milano.
Barcellona 1859, Londra 1944
Il piano per Barcellona di Cerdà e il Greater London Plan di
Abercrombie sono due esperienze di pianificazione separate da
quasi un secolo di storia e sono molto diverse per i caratteri del
territorio a cui applicano, per gli obiettivi che perseguono e il
contesto politico e sociale in cui intervengono4. A Barcellona
l’espansione della città oltre le mura diventa, di fatto, la piani-
ficazione di una città nuova, poiché, nelle intenzioni di Cerdà,
anche il cuore antico doveva essere riassorbito dal disegno del-
la espansione. A Londra, al contrario, il problema è di ridare
forma e funzionalità ad uno smisurato tessuto urbano, ricostruen-
do nell’intiera regione urbana un tessuto di comunità. Malgra-
do queste ed altre differenze le due esperienze rivelano alcuni
tratti comuni che sono utili per comprendere la pianificazione
dello spazio. In entrambi i casi sono decisive le suddivisioni
dello spazio con il disegno di confini.
A Barcellona la suddivisione dello spazio produce il disegno
della famosa griglia di strade ortogonali e il riconoscimento
della griglia labirintica del centro storico. La scelta della gri-
glia è spiegata da Cerdà con motivazioni funzionali e soprattut-
to con motivazioni politiche. Cerdà è un liberale progressista,
non estraneo agli influssi del socialismo umanitario; il suo forte
senso di giustizia costituisce un limite all’individualismo di cui
è peraltro impregnato. Cerdà crede nel mercato, ma anche nel-
la necessità di governarlo. La sua ricerca è rivolta a integrare
gli opposti: libertà e pianificazione, città e campagna. Malgra-
do l’impianto liberale, il modello spaziale di Cerdà per realiz-
zare i suoi obiettivi egualitari ha bisogno di autorità. Grazie
alla sua esperienza personale di governo, Cerdà vede con molta
lucidità il rapporto tra politica e pianificazione, e avverte la
necessità del consenso per procedere nella redazione e nell’at-
tuazione del piano. Ciò nonostante nel momento decisivo non
rifugge dal ricorso all’autorità pur di ottenere il risultato desi-
derato5.
Cerdà persegue due obiettivi principali: ridurre la speculazio-
ne immobiliare per offrire ai gruppi sociali più sfavoriti un
ambiente di vita più salubre e dignitoso, e garantire ai proprie-
tari un eguale trattamento nell’assegnazione dei diritti di tra-
sformazione e uso del suolo. Il modello di ordinamento spaziale
offerto dalla griglia risponde funzionalmente e simbolicamente
a questi obiettivi. Il carattere omogeneo della griglia costruisce
uno spazio sottratto alla discrezionalità delle assegnazioni e alla
gerarchia delle centralità e, con la riduzione dei plusvalori
immobiliari, ridistribuisce ricchezza verso i residenti. Cerdà
ritiene che la griglia ortogonale potrebbe espandersi all’infinito
e diventare la regola spaziale universale, come se il principio
di eguaglianza spaziale potesse aver ragione delle gerarchie
territoriali dentro e fuori della nazione spagnola.
La cultura politica che ispira la griglia si associa ad una cultura
urbana volta a realizzare un ambiente omogeneo, che sia ovun-
que più salubre e dignitoso. Poiché non è possibile offrire ad
ogni famiglia un’abitazione con giardino, si sceglie un modello
di isolato con edifici di quattro piani, una copertura massima
del 50%, aperto verso lo spazio pubblico della strada e ricco di
spazi verdi all’interno. Un modello che abbandona la tradizio-
ne della città storica, e forse ha memoria delle grandi corti
dell’architettura rurale, in ogni caso un modello che serve gli
obiettivi politici perseguiti. La volumetria edificabile degli iso-
lati di Barcellona è stata aumentata di circa quattro volte tra il
1890 e il 1932, di circa cinque volte dal 1933 al 1975, mentre la
copertura consentita dell’isolato passava dal 50% al 74%. Suc-
cessivamente, dal 1976 al 1988, la copertura è stata ridotta al
70% e la volumetria a meno di quattro volte di quella prevista
da Cerdà. Malgrado questi cambiamenti la griglia continua a
garantire alla struttura urbana di Barcellona un carattere simile
a quello pensato da Cerdà, e la variazione omogenea dei diritti
non ha sinora modificato l’assenza di centralità. La vera trasfor-
mazione è avvenuta ai bordi della griglia, dove l’espansione
prodottasi dopo il secondo dopoguerra, ha riproposto delle gri-
glie stradali confrontabili con il tessuto labirintico del centro
storico. Il caso di Barcellona conferma la tesi che, indipenden-
temente dai diritti assegnati, la griglia manifesti una resistenza
al cambiamento che è solo parzialmente scalfita dalla variazio-
ne dei diritti stessi.
Nel processo di formazione del piano Cerdà ritiene di operare
secondo un metodo scientifico che gli permette di incorporare
nel suo modello di ordinamento spaziale anche le finalità poli-
tiche e di applicare il modello al territorio con poche mediazio-
ni. Nel metodo di Cerdà il territorio viene assunto come uno
spazio quasi vuoto, nel senso che oppone quasi esclusivamente
vincoli dovuti alle caratteristiche della terra e del paesaggio,
e agli insediamenti pre-esistenti. Il metodo di Cerdà esalta il
valore della griglia, in quanto è indipendente dalla forma
della griglia e sarà applicato in modo più o meno radicale e
10 Territorio
Greater London Plan, 1944
con diverse finalità e accorgimenti nella pianificazione di quasi
tutte le città nuove6.
A Londra la suddivisione dello spazio regionale è un processo
selettivo in cui si mescolano, in modo tipicamente geddesiano,
riconoscimento e progetto. Una molteplicità di rappresentazio-
ni è prodotta attraverso il riconoscimento e la classificazione di
diverse variabili fra cui: la localizzazione e le densità territo-
riali di popolazione e insediamenti, il sistema delle grandi aree
verdi e dei loro potenziali ampliamenti, le localizzazioni indu-
striali e le opportunità di una loro rilocalizzazione, le grandi
correnti e direzioni del traffico. Il riconoscimento non è condot-
to secondo un disinteressato approccio ‘scientifico’, ma secon-
do i punti di vista più rilevanti per il modello di ordinamento
spaziale prescelto e per le finalità politiche definite dal Rap-
porto Barlow, approvato dal governo già prima dello scoppio
della guerra7. Il caso di Londra è complicato dalla dimensione e
dai caratteri differenziati della regione urbana. Le suddivisioni
del territorio in corone sono il prodotto della circolarità tra
soluzione e problema, tra riconoscimento e progetto, e sono
direttamente funzionali alle finalità prestabilite dal Rapporto
Barlow e su cui Abercrombie fonda le politiche di contenimen-
to urbano e di riorganizzazione delle comunità locali, il cosid-
detto social grouping, realizzato con un processo di segmenta-
zione, riaggregazione e completamento degli insediamenti. Le
diverse rappresentazioni territoriali concorrono alla definizio-
ne di quattro corone concentriche in cui riconoscimento e pro-
getto sono fusi. Le quattro corone, caratterizzate principalmen-
te dalle differenze di densità, vengono infine assunte come zone
normative in cui operano criteri diversi di trasformazione terri-
toriale. La costruzione del piano avviene sulla base di questi ed
altri riconoscimenti, sovrapponendo e intrecciando queste ed
altre rappresentazioni. La rappresentazione finale del piano
comprende un sistema di assi radiali e concentrici che defini-
scono dei grandi comparti sub-regionali, al cui interno sono
comprese le comunità locali.
In breve, un articolato processo di formazione del piano che si
fonda su una triangolazione tra finalità politiche del governo
del territorio, riconoscimento dei caratteri territoriali esistenti,
e modelli di ordinamento spaziale.
Le finalità perseguite da Abercrombie sono simili a quelle di
Cerdà: migliorare il funzionamento dell’area urbana e miglio-
rare le condizioni di vita. A distanza di quasi un secolo ritrovia-
mo gli stessi problemi di efficienza urbana e della produzione
di un ambiente più salubre e dignitoso. Ma a differenza di
Cerdà, Abercrombie non si pone il problema di promuovere
una qualche forma di egualitarismo spaziale. Anche per Aber-
crombie la cultura politica di riferimento è un liberalismo or-
mai impregnato di preoccupazioni welfariste8 sostenute dal di-
rigismo che si è consolidato durante la guerra. L’approccio ge-
rarchico e dirigista è molto esplicito nel riconoscimento e nel-
l’ordinamento della struttura spaziale della regione e nella sua
convergenza verso il cuore politico e finanziario di Londra. Il
carattere welfarista si manifesta sia nella identificazione e pro-
gettazione delle nuove comunità locali, sia nell’invenzione de-
gli standard urbanistici e nella loro applicazione per la proget-
tazione di un sistema spazialmente articolato di servizi pubbli-
ci.
Rispetto alla chiarezza e all’unitarietà del modello spaziale di
Barcellona, a Londra sono in gioco più modelli di ordinamento
spaziale che richiamano il modello unitario della social city
howardiana: una città centrale a densità decrescente circonda-
ta da una cintura verde e al suo esterno da città nuove. Nella
città centrale si mantiene e potenzia il denso carattere urbano
della City, mentre il resto del tessuto metropolitano è riarticola-
to in comunità locali che devono garantire un’offerta di servizi
e spazi aperti adeguati ad una migliore qualità della vita. In
larga misura si associa una tradizione spaziale urbana con i
modelli suburbani che si sono venuti sviluppando tra la fine
dell’ottocento e l’inizio del Novecento, ridisegnati entrambi con
la regola degli standard e con il controllo delle densità.
Quattro tratti comuni
I due approcci sono diversi, ma meno di quanto appaiano.
Barcellona e Londra mostrano quattro significativi tratti co-
muni che aiutano a capire la sostanza della pianificazione
dello spazio.
Il primo tratto comune è costituito dagli obiettivi di efficienza
funzionale e di migliore qualità ambientale. Barcellona è un
caso speciale perché Cerdà agisce contemporaneamente come
decisore e pianificatore, definisce autonomamente gli obiettivi
e autonomamente li persegue. Abercrombie riceve dal Rappor-
to Barlow le finalità del piano e disegna un piano regionale
funzionale a quelle finalità. A differenza di Cerdà, Howard e
Geddes, Abercrombie non considera la pianificazione come uno
11 Territorio
con la forza della legge.
Riassumendo, i tratti comuni ai due casi considerati sono: gli
obiettivi funzionali; il disegno della griglia; l’assegnazione dei
diritti; il carattere autoritativo conferito a griglia e diritti. Di
questi tratti gli obiettivi funzionali e il disegno della griglia
risultano specifici della pianificazione dello spazio; l’assegna-
zione dei diritti del governo del territorio. Infine è il governo
del territorio che conferisce autoritativamente valore a griglia e
diritti. Questi tratti sono tuttora presenti nella pianificazione
dello spazio e nei processi di governo del territorio.
Il governo del territorio come assegnazione autoritativa
di diritti
Un diritto assegnato concorre in modo determinante alla defini-
zione di un potenziale valore economico della zona di assegna-
zione, pertanto l’assegnazione di un diritto si configura come
un’azione redistributiva che ha un’immediata valenza politica.
Per il loro carattere redistributivo e il conseguente rilievo socia-
le ed economico le scelte di assegnazione dei diritti sono scelte
politiche che il decisore assume nel quadro della cultura politi-
ca a cui fa riferimento, tenendo conto dei vincoli giuridici esi-
stenti e, in minor misura, dei vincoli posti dal sapere tecnico.
Dove con cultura politica si intendono le idee che riguardano la
finalizzazione e l’organizzazione della comunità politica; con
cultura urbana l’esperienza storica di formazione dello spazio:
tradizioni, costumi, gusti, e tecniche. In particolare, le scelte
politiche di assegnazione sono influenzate dalla presenza o meno
di un’idea di interesse pubblico o collettivo, e da qualche con-
vinzione circa le modalità da preferire nell’articolazione dei
rapporti tra spazio pubblico e spazio privato e delle forme fisi-
che da conferire agli insediamenti. Nelle pratiche di governo le
scelte di assegnazione dei diritti sono molto spesso condotte
soprattutto con riferimento a interessi particolari, ma la stru-
mentalità dell’assegnazione dei diritti agli interessi è ispirata e
giustificata dalla cultura politica prevalente e realizzata nei
modi che riflettono un qualche tipo di cultura urbana.
Il carattere autoritativo dell’assegnazione dei diritti è conferito
dalle norme che rendono operativa l’assegnazione. Si tratta di
norme limitative della libertà individuale di uso e di movimen-
to, a cui non è possibile sottrarsi perché hanno forza di legge. È
quasi inutile sottolineare che l’assegnazione di diritti è autori-
tativa perché essa è politicamente e giuridicamente indispensa-
bile per il funzionamento economico e sociale del sistema urba-
no. Quali che siano le procedure e i risultati perseguiti, l’asse-
gnazione costituisce un insieme di garanzie funzionali per la
conservazione e le trasformazioni urbane. Per queste ragioni
un’assegnazione autoritativa di diritti risulta inevitabile anche
in una prospettiva di minimo intervento dello stato nella regola-
zione dei mercati urbani.
Non è difficile cogliere il legame funzionale tra governo del
territorio e pianificazione dello spazio: l’assegnazione dei
diritti richiede l’individuazione delle zone a cui i diritti
possano essere assegnati e dove i diritti possano essere eser-
citati. Il disegno delle griglie individua le zone; il termine
più immediato per indicare la suddivisione dello spazio sa-
rebbe quello di ‘zonizzazione’, ma, da tempo, esso non indi-
ca più la tecnica del suddividere, indica una vera politica
spaziale che incorpora l’assegnazione dei diritti e le sue fi-
strumento per perseguire finalità politiche e di riforma, ma
come una tecnica che va posta al servizio delle finalità politi-
che date. Mentre le finalità politiche del governo del territorio
mutano in funzione dei contesti e della cultura politica dei
decisori, la permanenza nel tempo da Barcellona a Londra degli
obiettivi di efficienza funzionale e di migliore qualità ambien-
tale e la loro presenza anche in casi di pianificazione contem-
poranei porta a considerarli come gli obiettivi classici della
pianificazione dello spazio.
Il secondo tratto comune è la tecnica di suddivisione dello spazio
con il disegno di confini. In particolare il disegno della griglia
che separa spazi pubblici e privati, e disegna le relazioni spa-
ziali di entrambi all’interno di un quadro di riferimento com-
plessivo. A Barcellona la griglia è un disegno unico e definitivo.
A Londra la dimensione regionale ed una maggiore articolazio-
ne dei problemi che devono essere risolti, costringono al dise-
gno di una pluralità di suddivisioni il cui intreccio produrrà il
Greater London Plan. All’interno del piano regionale sono svi-
luppati i piani locali che costituiscono una rete di griglie mino-
ri il cui quadro di riferimento spaziale è costituito dalla griglia
della grande viabilità radiale e circolare. Il Greater London Plan
ha una struttura spaziale gerarchica, estranea al piano egualita-
rio di Barcellona. Applicando gli standard urbanistici Londra
recupera in termini funzionali l’egualitarismo rifiutato in ter-
mini spaziali; struttura portante di questo recupero sono le gri-
glie locali. In entrambi i casi griglia e piano rivelano un’asso-
ciazione inscindibile dove il piano è definito come l’associa-
zione della griglia alle norme che presiedono all’assegnazione e
all’uso dei diritti – al punto che l’uno sembrerebbe riducibile
all’altra, e vedremo più oltre che in una certa misura ciò è vero.
L’elemento decisivo di distinzione tra piano e griglia è l’asse-
gnazione di diritti: la griglia è il supporto spaziale per l’asse-
gnazione di diritti, e l’assegnazione dei diritti trasforma la gri-
glia in un piano.
Il terzo tratto in comune è l’assegnazione di diritti. A Barcellona
l’assegnazione dei diritti è eguale in ogni suddivisione dello
spazio e fa un tutt’uno con la griglia che può essere considerata
un idealtipo di piano. A Londra l’assegnazione dei diritti proce-
de dalla definizione delle densità insediative decrescenti nelle
quattro corone concentriche in cui è suddivisa la regione urba-
na, e si precisa per diventare definitiva nelle zonizzazioni dei
piani locali. A livello locale gli standard sono omogenei, mentre
l’assegnazione è differenziata secondo le caratteristiche delle
comunità locali e le tipologie degli insediamenti. In ogni caso
l’assegnazione dipende dalla rappresentazione nello spazio di
una cultura politica di diritti ed è strumentale alla produzione
di effetti sui diritti civili e sulla cittadinanza.
Il quarto tratto comune è il carattere autoritativo del disegno
della griglia e dell’assegnazione dei diritti. Come qualunque
decisione di governo del territorio, la griglia può essere mo-
dificata e l’assegnazione variata. Ma griglia e assegnazioni
sono decise come termini di riferimento fermi e rigidi. Per-
ché la griglia è il primo passo verso il ridisegno costitutivo
della proprietà; l’assegnazione di diritti è il secondo passo
conclusivo. Poiché griglia e diritti ridisegnano confini e va-
lori delle proprietà, devono essere imposti autoritativamente
12 Territorio
Milano, Piano Beruto, 1884
13 Territorio
nalità, quindi zonizzazione è diventata sinonimo di piano9.
Se con governo del territorio si intendono i processi ammini-
strativi di pianificazione e controllo delle trasformazioni ter-
ritoriali, l’essenza del governo del territorio può essere rin-
tracciata in ogni assegnazione autoritativa dei diritti di tra-
sformazione e uso del suolo, soprattutto dei diritti che intro-
ducono distinzioni tra usi privati e pubblici, segnatamente
gli spazi pubblici aperti (destinati alla mobilità, alle piazze,
ai parchi ecc.). Si noti bene che non sto sostenendo che il
governo del territorio sia solo assegnazione dei diritti, ma
che l’assegnazione dei diritti ne costituisca l’essenza politi-
ca, amministrativa e tecnica. Infatti, senza l’assegnazione
autoritativa dei diritti il governo del territorio perderebbe
gran parte della sua efficacia per assumere un valore indica-
tivo ed esortativo.
Modelli di ordinamento spaziale
Malgrado nei processi di governo del territorio la suddivisio-
ne in zone sia molto spesso subordinata alle scelte del deci-
sore politico, la cultura tecnica per operare la suddivisione
dello spazio dispone di modelli ideali di ordinamento spa-
ziale. Nei modelli di ordinamento spaziale si esprime il sa-
pere tecnico della pianificazione. Questi modelli sono carat-
terizzati dalla convergenza del disegno geometrico delle gri-
glie e dei suoi principi costitutivi: distribuzione nello spazio
di attività e persone e organizzazione dello spazio pubblico
e privato. I principi costitutivi dei modelli sono il frutto del-
l’interazione tra culture politiche e culture urbane. L’elabo-
razione dei modelli è il prodotto, spesso inconsapevole, del-
l’interazione tra le due culture a cui è storicamente ricondu-
cibile l’organizzazione della società nello spazio e l’organiz-
zazione sociale dello spazio.
Le modalità di elaborazione dei modelli sottolineano come la
pianificazione dello spazio radichi la sua autonomia anche
nelle culture politiche, e il sapere tecnico cresca su queste
radici da cui non può essere separato.
Se il sapere tecnico della pianificazione dello spazio è radi-
cato nelle culture politiche, le culture politiche si rivelano
come il tramite linguistico tra governo e pianificazione. In-
fatti, le culture politiche costituiscono il quadro di riferi-
mento delle decisioni di governo e una delle due matrici dei
modelli di ordinamento spaziale. Pertanto, una cooperazio-
ne tra governo e pianificazione è più agevole se la cultura
politica di riferimento del decisore è la stessa o simile a
quella che sta alla base del modello di ordinamento spaziale
a cui fa riferimento il pianificatore.
Cicli e processi di governo del territorio
I processi di governo del territorio hanno un carattere ciclico
e incrementale che può essere colto, ad esempio, osservando
le trasformazioni territoriali di Milano nell’arco degli ultimi
due secoli10. Ogni ciclo ha all’origine un piano o semplice-
mente una griglia, e si conclude quando un nuovo piano o
una nuova griglia risultano necessari a costituire l’avvio di
un nuovo ciclo. In questa prospettiva un piano o una griglia
possono essere considerati un intervento rifondativo che,
come tutti gli atti costitutivi, è un intervento di lunga durata
e tendenzialmente conservativo.
Dal 1880 ad oggi Milano conosce tre cicli di governo del
territorio ognuno dei quali ha una durata di circa settant’an-
ni: dal 1800 al 1876, dal 1876 al 1945, e dal 1945 al 2010. Il
primo non è un vero ciclo perché inizia contrassegnato dal
magnifico progetto dell’Antolini del 1800, un lampo che na-
sce e muore nell’arco di un solo anno. Anche il piano neo-
classico, redatto nel 1807, non ha alcun esito. Per settant’an-
ni le trasformazioni urbane avvengono con decisioni incre-
mentali, senza alcun quadro generale di riferimento. La svolta
avviene nel 1876 con il piano Beruto, deciso per sbloccare
una situazione del mercato immobiliare che rischiava di tra-
dursi in una grave crisi politica e finanziaria. Il piano Beruto
è destinato a segnare il secondo ciclo che terminerà con la
fine della seconda guerra mondiale. Il piano Beruto viene
rivisto nel 1884 e variato più volte. Nel 1912 viene redatto il
piano Pavia-Masera che non introduce significative modifi-
cazioni. Nel 1927 si conclude il concorso per il nuovo piano
di Milano che avrebbe dovuto segnare una decisiva trasfor-
mazione della città. Il piano vincitore viene via via trasfor-
mato sino a diventare nel 1933 il piano Albertini: le modifi-
cazioni sono notevoli, ma la griglia in qualche modo svilup-
pa e continua quella originaria del piano Beruto. Il terzo
ciclo si apre con le proposte dell’immediato dopoguerra che
non riescono a trasformarsi in piano.
Finalmente nel 1953 viene approvato un piano che riceve un
buon accoglimento dagli esperti: è il primo piano di una
grande città redatto con competenza tecnica, e costituisce ad
un tempo un riconoscimento e un manifesto per la professio-
ne. Il piano costituisce un vero cambiamento per Milano: la
forma compatta che aveva resistito per circa settant’anni è
abbandonata a favore di una forma urbana sfrangiata ai bor-
di dalle griglie dei quartieri. Dopo una serie di varianti e il
fallimento di un interessante tentativo del 1969, si giunge
nel 1980 ad un ambizioso piano le cui scelte strutturali ver-
ranno presto lasciate cadere, rimane pertanto, sia pure con
modifiche e variazioni, l’impianto del 1953.
Da allora il ciclo è continuato con un processo incrementale
di modificazioni e varianti che è stato facilitato dall’introdu-
zione legislativa di nuovi strumenti urbanistici, adatti per
operare anche in contrasto con il piano regolatore.
A Milano la griglia risulta decisiva per la caratterizzazione
dei due cicli dal 1876 ad oggi. La griglia di Beruto si caratte-
rizza per la sua compattezza, la città cresce su se stessa come
se fosse possibile riprodurne via via la forma originaria. Questo
modello di crescita viene mantenuto sino alla fine della se-
conda guerra mondiale attraverso ampliamenti successivi
della griglia originaria.
La svolta del piano del 1953 è costituita soprattutto dall’ab-
bandono della griglia compatta che segna la rottura tra cen-
tro e periferia. Col venir meno di un disegno compatto della
griglia urbana, viene meno il raccordo tra le griglie dei quar-
tieri e la griglia urbana; si interrompe la relazione tra centro
e quartieri, non a caso definiti ‘autosufficienti’.
Un cambiamento radicale della forma urbana a cui non si è
più posto rimedio. Naturalmente si può ritenere che la forma
del tessuto urbano debba essere aperta e che i guai di Mila-
no derivino, se mai, dal suo impianto radio-centrico, come è
stato sostenuto per decenni, peraltro senza portare argomen-
14 Territorio
Milano, Piano Albertini, 1933
tazioni convincenti11. L’ultimo tentativo di ricostruire un rap-
porto tra centro e periferia è stato condotto con il Progetto
dei Nove Parchi del 1995 che, sebbene commissionato dalla
giunta comunale, non venne quasi discusso. Il problema del-
la fluidità del tessuto urbano, in senso lefebvriano, sembra
uscito da tempo dall’agenda milanese.
All’interno di ogni ciclo il processo decisionale ha un carat-
tere incrementale, si articola nel tempo come processo di
apprendimento e di adattamento delle scelte del piano origi-
nario al mutare dei bisogni e degli interessi. Le scelte origi-
narie vengono gradualmente modificate. Anche griglia e di-
ritti possono essere modificati e rivisti in reazione ai cam-
biamenti di contesto e alle dinamiche del mercato urbano12.
Le varianti e gli interventi di pianificazione parziale costru-
iscono un processo incrementale che ha il suo riferimento
ineludibile nella griglia disegnata dal piano esistente.
Il processo di governo del territorio continua anche quando
le varianti e gli interventi di pianificazione parziale si sot-
traggono alla griglia del piano esistente. Ma varianti e inter-
venti interrompono il processo di pianificazione dello spa-
zio, a meno che si proceda alla redazione di un nuovo piano
o di una nuova griglia, scelta non indispensabile. L’assegna-
zione dei diritti e il processo di trasformazione urbana pos-
sono continuare anche all’ombra di un piano che non viene
attuato e che ha perso ogni valore come guida strategica del-
lo sviluppo urbano.
Come in ogni processo incrementale la somma delle varianti
e degli interventi parziali che vengono via via introdotti può
portare improvvisamente ad un punto di rottura. La rottura
si determina soprattutto in due casi. Il primo caso si verifica
15 Territorio
quando il quadro di riferimento originario non è più in gra-
do di contenere e ordinare varianti e interventi. Ad esempio,
nella seconda metà dell’ottocento a Milano, dopo quasi set-
tant’anni in cui la città si era trasformata senza un piano, ci
si accorse che non era più possibile ordinare politicamente e
spazialmente i nuovi interventi facendo solo riferimento alla
griglia della viabilità esistente.
In particolare, il caso esplose di fronte al problema della
progettazione dell’area demaniale a nord del castello, quella
che sarebbe dovuto essere sviluppata secondo il progetto
dell’Antolini. Le tensioni e i conflitti indotti dalla competi-
zione degli interessi coinvolti, indussero il consiglio comu-
nale ad affidare a Beruto la redazione del piano con il com-
pito, soprattutto, di dare soluzione al problema della siste-
mazione di quell’area, ma le motivazioni dell’incarico coin-
volgevano il disegno della griglia di tutta la corona periferi-
ca urbana, per la massima parte inedificata. Il secondo caso
si verifica quando un cambiamento negli obiettivi delle clas-
si dirigenti e della compagine di governo, comporti un muta-
mento di programma politico che richieda un nuovo quadro
di riferimento. O ancora perché un nuovo gruppo dirigente
identifica in un nuovo piano lo strumento per affermare e
rafforzare la sua identità politica.
La pianificazione dello spazio come disegno di confini
e il ruolo delle griglie
Sulla scorta di Barcellona e Milano, si può affermare che, se
nel lungo termine le variazioni nell’assegnazione dei diritti
sono incrementali e non drammatiche, il disegno della gri-
glia può avere una determinazione per l’ordinamento dello
spazio che risulta più importante dell’assegnazione dei di-
ritti. È evidente che, se la griglia non viene modificata, l’at-
tenzione e il conflitto si concentrano sulla assegnazione dei
diritti, che in ogni caso mantiene l’importanza politica che
le è stata riconosciuta.
Definito il piano come l’associazione della griglia alle norme
che presiedono all’assegnazione e all’uso dei diritti, è la gri-
glia più del piano a costituire nel lungo termine l’atto fonda-
tivo o rifondativo all’origine di un ciclo. L’atto, per dirla con
Lefebvre, che decide della fluidità del tessuto urbano, della
sua capacità di tenere insieme le molte parti da cui è forma-
to, e di dare senso all’ineliminabile opposizione tra centro e
periferia. Ciò che non può essere negato è la natura tecnica
della griglia, rivelata dal suo statuto linguistico autonomo.
Lo statuto è espresso nei suoi modelli geometrici principali –
ortogonale, radio-centrica, labirintica – e nelle loro possibili
contaminazioni. Anche un diritto è uno strumento tecnico
che concorre alla definizione di un modello spaziale specifi-
co, pertanto la scelta dei diritti può essere ricondotta ai mo-
delli spaziali ideali, ma i diritti non hanno uno statuto lin-
guistico autonomo, non elaborano autonomamente forme,
anche se concorrono alla loro determinazione.
Griglie e diritti, malgrado i diversi tratti in comune, hanno
una natura diversa. Griglie e diritti sono entrambi funzionali
alla realizzazione di determinati modelli di ordinamento
spaziale e quindi riconducibili all’intreccio di culture poli-
tiche ed urbane, ma solo i diritti, pur essendo strumenti tec-
nici, sono sempre direttamente funzionali ad un’azione redi-
stributiva e sono immediatamente oggetto di valutazione e
decisione politica13.
Come s’è visto, la formazione dei piani procede dalla suddi-
visione dello spazio. Dall’intreccio e dalla sovrapposizione
delle rappresentazioni prodotte con le suddivisioni, si giun-
ge a rappresentazioni sempre più sintetiche e semplificate
in cui i confini delle zone classificate sono anche i confini
delle zone a cui applicare le decisioni di piano.
La griglia può essere considerata il prodotto più importante
della suddivisione dello spazio perché è funzionale a diversi
obiettivi di governo del territorio, in particolare, oltre ad
essere lo strumento per l’assegnazione spaziale di diritti, è
lo strumento per distinguere spazio pubblico e spazio priva-
to, spazio per la mobilità e spazio per le attività e per scan-
dire la lunga durata dei processi di pianificazione. Infine,
quando il governo del territorio si riduce all’assegnazione di
diritti, è la griglia il suo supporto tecnico. Pertanto, è possi-
bile identificare nelle suddivisioni dello spazio e in partico-
lare nella griglia l’essenza della pianificazione dello spazio.
La questione se possa essere una griglia la struttura portante
del modello di ordinamento spaziale di un piano (Barcello-
na) o se anche la griglia debba essere il frutto di un confron-
to con i caratteri del territorio (Londra), è un falso quesito.
Ogni piano per essere tale comporta il disegno di una griglia,
e la scelta del modello di griglia dovrebbe essere argomenta-
ta con riferimento alle finalità politiche che il piano ha as-
sunto. Il vero problema è che disponiamo di una conoscenza
povera delle relazioni che si instaurano tra il disegno di una
griglia e le forme di controllo spaziale e sociale che la griglia
concorre a definire.
La pianificazione dello spazio non è indispensabile
e non è sempre attuabile
Dalla storia urbanistica di Milano viene ancora un’impor-
tante indicazione. Una città come Milano può crescere senza
tener conto della pianificazione dello spazio, come è succes-
so dal 1876 in poi, nel secondo e nel terzo ciclo, soprattutto
negli ultimi trent’anni. In accordo con quelli che abbiamo
riconosciuto come gli obiettivi classici della pianificazione
dello spazio, è stato sostenuto e si sostiene che, se fosse adot-
tato e rispettato un piano, la città funzionerebbe meglio da
un punto di vista economico e sociale e le condizioni di vita
sarebbero migliori. In realtà a Milano un piano c’è, approva-
to e variato, soprattutto interpretato e variato secondo le con-
venienze. Pertanto, la prima domanda da porsi non è quanto
sarebbe migliore la città governata da un altro piano o ri-
spettando davvero quello esistente, ma perché Milano viva
‘senza piano’ o, più precisamente ‘interpretando’ a seconda
delle convenienze il piano di cui dispone. La risposta a que-
sta domanda è relativamente semplice: griglia e diritti sono
una necessità per il funzionamento di una città e il governo
del territorio può esaurirsi in essi, o può usare un piano
come schermo per procedere solo con griglia e allocazioni di
diritti. Assumere la pianificazione dello spazio come stru-
mento per ordinare lo spazio, non è una necessità assoluta
del governo del territorio, è una scelta politica e imprendito-
riale che pretende un’idea selettiva di ciò che si vuole fare e
di come farlo. Un governo del territorio che non si limiti
16 Territorio
Milano, maglia stradale, Piano del 1953
all’assegnazione dei diritti costituisce un valore aggiunto alla
normale amministrazione della città. Perché ciò sia possibi-
le è necessario il verificarsi di alcune condizioni non sempre
disponibili: innanzi tutto una classe dirigente con un chiaro
progetto politico e con la determinazione ad attuarlo nello
spazio.
La presenza di una classe dirigente con un programma poli-
tico e che voglia rappresentarsi nello spazio è sicuramente la
condizione che determina l’inizio di un ciclo, o può verifi-
carsi anche all’interno di un ciclo già avviato, come nel caso
di Albertini che, prima e dopo l’approvazione del piano del
1933, persegue con determinazione e realizza la trasforma-
zione del centro di Milano. Non bisogna stupirsi del riferi-
mento ad Albertini: anche un programma fondato sulla spe-
culazione immobiliare è socialmente orientato, privilegia la
cittadinanza di alcuni e non di tutti. Albertini ha idee espli-
cite sugli obiettivi funzionali e simbolici dei suoi interventi,
e su quali siano le elite di cui tener conto e che hanno un
ruolo determinante nei processi di trasformazione urbana. In
altre parole, Albertini ha un programma politico. Al contrario
molte iniziative di speculazione immobiliare, come ad esempio
quelle degli ultimi decenni, sono rivolte solo alla pura riprodu-
zione del capitale, non mettono direttamente in gioco questioni
di cittadinanza e di rappresentazione perché non sono concepi-
te all’interno di un programma politico. Gli effetti sulla cittadi-
nanza ci saranno, non potrebbe essere altrimenti, ma saranno
in gran parte non intenzionali. Anche attori locali, e ‘provincia-
li’ nei loro comportamenti e nelle loro attitudini imprenditoria-
li, perseguono quasi inconsapevolmente gli stessi obiettivi fi-
nanziari di una holding internazionale. Quando i processi di
17 Territorio
trasformazione urbana sono affidati ad imprenditori di questo
tipo che hanno come interlocutore un governo locale privo di
qualunque strategia o progetto di carattere collettivo, le propo-
ste e i vincoli della pianificazione dello spazio non possono
avere alcun interesse ed ascolto.
In breve, non si può fare a meno di un governo del territorio che
si limiti ad assegnare diritti, ma si può fare a meno della piani-
ficazione dello spazio. La pianificazione dello spazio serve solo
ad una classe dirigente nel cui programma politico ci sia l’in-
tenzione di usarla per affermare un nuovo progetto collettivo di
cittadinanza.
La dimensione soprattutto locale della pianificazione
dello spazio
Come lo abbiamo definito, un piano è l’associazione di una
griglia alle norme che presiedono all’assegnazione e all’uso dei
diritti. Un piano di questo tipo risulta sempre un piano locale
per due ragioni diverse ma convergenti, una tecnica ed una
‘politica’, anzi geo-politica14. Da un punto di vista tecnico la
suddivisione dello spazio per l’assegnazione dei diritti richiede
una conoscenza diretta e minuta dei luoghi, e la possibilità di
confrontarsi con le caratteristiche del suolo, di derivarne sug-
gerimenti, intuizioni che possono risultare decisive per le scel-
te di suddivisione dello spazio e per il disegno delle griglie15.
Inoltre, se si considera la frammentazione spaziale del cosid-
detto mercato immobiliare, conoscenza analitica dei valori e
della qualità delle aree è indispensabile per una buona asse-
gnazione dei diritti16. Le forme di conoscenza tecnicamente ne-
cessarie non possono essere soddisfatte alla grande scala, co-
stringono ad operare a scala locale. Da questi punti di vista la
pianificazione dello spazio è soprattutto pianificazione locale17.
La necessità di operare localmente ha inoltre una più importan-
te motivazione politica, indotta dal contenuto geo-politico posto
in gioco dal controllo del territorio pianificato da parte della
comunità politica che vi è insediata. Attraverso il controllo spa-
ziale la comunità esercita il controllo sociale che modifica le
condizioni della vita quotidiana e produce effetti sulla cittadi-
nanza nell’area pianificata. È questa capacità il valore costi-
tuente della pianificazione dello spazio, attivo soprattutto a li-
vello locale. Dal carattere fondativo e costituente del piano,
quand’anche limitato al solo disegno della griglia, deriva l’esi-
genza che la redazione e l’approvazione di un piano locale sia-
no il frutto di un processo capace di giungere a scelte, se non
unanimi, almeno largamente condivise. Esigenza rafforzata dal
fatto che un piano locale è destinato a segnare le forme fisiche
e sociali della città nella lunga durata, e pertanto le sue scelte
dovrebbero essere capaci di superare alternanze e contrapposi-
zioni politiche. Il piano che apre un ciclo dovrebbe essere ap-
provato da una maggioranza qualificata. In qualche misura, la
costruzione e la deliberazione di un piano sembrano richiedere
un esercizio che ha alcune caratteristiche della democrazia de-
liberativa, il che pone dei limiti alle dimensioni della comunità
che pianifica e del territorio da pianificare.
Un esercizio assimilabile alla democrazia deliberativa si può
svolgere solo in una comunità di dimensioni tali da permettere
che la popolazione possa essere adeguatamente coinvolta nella
discussione dei temi politici del piano e nel controllo delle
decisioni assunte.
A sua volta la dimensione del territorio deve essere tale da
permettere alla popolazione e ai tecnici una conoscenza ravvi-
cinata dei luoghi e dei problemi che sono oggetto del piano. La
necessità quasi di toccare lo spazio, di poterlo percorrere, non
è solo dovuta alla necessità tecnica di conoscere lo spazio per
poterlo denominare assegnando i diritti, è legata alla dimensio-
ne politica del rapporto possessivo che abbiamo con lo spazio in
cui viviamo e in cui ci rappresentiamo18.
In questa prospettiva o caratteri più specifici del piano locale
appaiono la comprensività e la conservazione.
Il piano locale è comprensivo se con comprensività intendiamo
esteso a tutto il territorio pianificato e rivolto al controllo spa-
ziale di tutti gli aspetti politici, sociali ed economici che si
organizzano e si manifestano nello spazio. Il piano locale è ten-
denzialmente conservativo perché anche quando esprime una
struttura spaziale aperta le conferisce forti caratteri di perma-
nenza. Inoltre, nel confronto con gli interessi di altre comunità
e di altri livelli il piano tende a privilegiare la salvaguardia
degli interessi locali. La dimensione locale non è dunque deter-
minata dalla natura locale dei problemi, è determinata dalla
natura politica della pianificazione dello spazio19.
Riassumendo. Se la finalità ultima, sia pure inconsapevole, del-
la pianificazione dello spazio è la cittadinanza, si deve conve-
nire che la sua natura politica è tale da pretendere un controllo
politico non solo del governo locale ma della popolazione coin-
volta.
Un controllo di questo tipo è possibile in comunità di piccola
dimensione, non sorprende dunque che la pianificazione dello
spazio si riveli soprattutto una forma di pianificazione locale.
Pertanto, l’eventuale trasferimento del suo oggetto tecnico e dei
suoi metodi ai livelli sovra-locali non è agevole e può risultare
inefficace.
La pianificazione dello spazio come pianificazione locale solle-
va il problema della sua praticabilità nelle grandi aree urbane
e lascia irrisolto il problema dei conflitti orizzontali tra locali-
tà, e dei conflitti verticali tra diversi livelli di governo. In altre
parole lascia irrisolto il problema di un sistema di pianificazio-
ne. Ma si tratta di temi che escono anche dai pur generosi limiti
di tempo concessimi.
Pianificazione dello spazio e bellezza urbana
Negli ultimi decenni un tema continuamente dibattuto, anche
per motivi commerciali, è quello della bellezza urbana. Una
delle accuse rivolte alla pianificazione dello spazio e al go-
verno del territorio è di non saper promuovere la bellezza
urbana. Si ignora in questo modo quanto siano limitate le
capacità di entrambi di incidere sulla qualità estetica della
città e si finisce con lo scambiare un sintomo per una causa.
Nel linguaggio degli storici dell’architettura e dell’urbani-
stica e anche nel linguaggio comune ricorre l’espressione ‘la
Milano del Beruto’ per indicare la Milano edificata durante
il ciclo berutiano, tra seconda metà dell’800 e nella prima
metà del ‘900. La trama dei grandi viali e delle strade dise-
gnate da Beruto è risultata decisiva per la costruzione della
Milano di quegli anni, e le varianti successive hanno lascia-
to sostanzialmente invariato o completato il grande impianto
originario. Il piano di Beruto non ha solo disegnato una gri-
glia ha dato anche norme su come edificare al suo interno ed
18 Territorio
Londra, Master Plan di Milton Keynes, 1967
esse hanno certamente concorso a definire la forma fisica
della città costruita, ma non ne hanno determinato la qualità
estetica. Decisivi per la qualità estetica dell’edificato sono
stati la cultura delle elite urbane e la loro volontà di rappre-
sentarsi nello spazio. Volontà, desideri e gusti delle elite
banchieri, investitori, imprenditori immobiliari, costruttori, tec-
nici, risparmiatori, progettisti e la loro idea di ciò che dovesse
considerarsi bello e appropriato hanno determinato la qualità
delle immagini degli insediamenti privati e pubblici e i rappor-
ti tra immagini pubbliche e private nello spazio urbano20.
Ma non è detto che le elite urbane siano sempre intenzionate
e interessate a rappresentare il loro potere nello spazio. La
volontà di rappresentarsi implica una collegialità e un senso
di identificazione con la città che nei decenni trascorsi sono
stati progressivamente cancellati dai processi di forte indivi-
dualizzazione sociale e dal venir meno del senso dell’unità
nazionale. La speranza che le città possano autonomamente
supplire ad una coesione attiva a livello nazionale, è illuso-
ria. Durante la recente crisi le vicende di alcune città im-
portanti sembrano confermare che, proprio sotto la spinta
della globalizzazione, il ruolo dello stato-nazione sia lontano
dall’essere esaurito21. Ad esempio, a Milano non si vede da
molti anni il desiderio delle elite locali di rappresentarsi
nello scenario fisico della città, del resto si tratta di un desi-
derio che non è mai stato forte neppure in passato.
Il tema della bellezza urbana, o meglio il tema della separa-
zione della bellezza dalla vita urbana, ha accompagnato il
novecento sin da quando è stato posto in modo esplicito da
Mondrian e dai neoplastici. Le radici di questo tema sono
rintracciabili nella polemica Ottocentesca contro la città in-
dustriale: è da autori come Carlyle e Ruskin che nasce il
rifiuto del continuum indistinto delle nuove metropoli. Que-
sti autori e poi Morris e Unwin, orientano la ricerca ‘identi-
taria’ verso la ricostituzione di piccole comunità. Dal News
19 Territorio
from Nowhere di Morris e dalla sua Londra verdeggiante vie-
ne un messaggio utopico, che ebbe peraltro il risultato tanto
concreto, quanto del tutto contrario e imprevisto, di rinsal-
dare la tendenza alla diffusione urbana e al tessuto indiffe-
renziato. Poco più di quarant’anni fa il tema è stato ripreso
con un taglio inedito da Henry Lefebvre, impegnato in una
critica spietata delle modalità di costruzione della città nuo-
va. I suoi argomenti contro l’urbanisme, sono argomenti con-
tro le poetiche dell’architettura razionale, funzionale o in-
ternazionale che dir si voglia, e sono gli argomenti che, in
modo più o meno accurato, sono stati ripresi e sono tuttora
usati per criticare la città contemporanea, spesso dimenti-
cando di citare Lefebvre. Il suo contributo è interessante
perché Lefebvre si è interrogato su come restituire alla città
il carattere di opera d’arte. Per la verità Lefebvre parlando
di città usa il termine ouvre, comunicando in questo modo
un duplice significato: la città come opera d’arte vissuta dai
cittadini, e la città come oggetto d’uso in opposizione alla
città come oggetto di puro scambio economico. L’idea di cit-
tà come opera d’arte per Lefebvre non è scindibile dall’idea
del diritto alla città, un diritto che comprende la possibilità
per i cittadini di viverla in tutte le sue opportunità, inclusa
la bellezza.
Per evitare fraintendimenti credo sia necessario precisare
come la città possa essere considerata un’opera d’arte a con-
dizione di non dimenticare almeno due caratteristiche parti-
colari, che, nell’insieme, la distinguono da qualunque altra
opera d’arte. La prima è il rapporto particolare che la città
intrattiene con il tempo. Correggendo in parte una nota affer-
mazione di Geddes la città «più che un luogo nello spazio,
è un dramma nel tempo» si potrebbe dire che la città è un
dramma nello spazio che si riproduce nel tempo. Una città è
un manufatto costruito e ricostruito nel tempo; viene fondata
e poi successivamente rifondata, trasformata, ricostruita. La
seconda caratteristica è il rapporto che lega la città ai suoi
autori. La città è il prodotto di molti autori che nel tempo
contribuiscono a costruirla e ricostruirla; anche in uno stes-
so tempo, anche quando il committente è un unico principe,
gli autori della città sono molti22. Le due caratteristiche de-
terminano un rapporto tra città e società molto più forte e
radicato di quanto non accada per altre opere d’arte. Le due
caratteristiche non impediscono alle città di sopravvivere alle
generazioni che le hanno costruite e, come le opere d’arte,
una volta compiute, di vivere una vita indipendente da chi
le ha commissionate e da chi le ha prodotte. Il risultato è che
noi possiamo osservare un paesaggio urbano conferendogli
un senso estetico che sospende o almeno distanzia il suo va-
lore simbolico originario, e oscura la rappresentazione del
potere che l’ha ordinato; un senso estetico che gli conferisce
una sorta di neutralità politica, agevolata dal fatto che di
solito si tratta di un potere ormai scomparso23. Nell’esperien-
za estetica di una città antica posso evitare di richiamare le
radici morali e sociali del suo paesaggio, posso considerarne
solo le caratteristiche estetiche, così come posso farlo osser-
vando una scultura o un quadro. È come se una città diven-
tasse completamente un’opera d’arte solo dopo che il tempo
ha compiuto il suo corso, quando il paesaggio si è solidificato.
Temo che nel considerare la bellezza di una città sia neces-
sario esercitare una certa dose di cinismo, di indifferenza
morale e sociale, facilitati dalla lunga durata che, detto con
espressione un po’ drammatica, assorbe nel dormiveglia del-
la storia quanto di mostruoso, nel duplice senso latino e ita-
liano, siamo capaci di fare. Nell’esperienza estetica della
città contemporanea le dimensioni morali e sociali non sono
così facili da rimuovere, perché se posso distogliere l’atten-
zione da un’opera d’arte, rifiutarmi di leggerla, sentirla,
vederla, è molto difficile, se non impossibile, che io possa
estraniarmi completamente dal paesaggio urbano e umano
della città che abito, anche temporaneamente. Lefebvre non
ha esitazioni a chiedersi come mai molte fra le città più bel-
le del passato siano state costruite da regimi politici autori-
tari e spesso con sofferenza delle persone che le abitavano.
Non trova una risposta soddisfacente a questa domanda, e la
supera con la tensione utopica che lo spinge a sperare che la
città bella possa essere comunque oggetto d’uso di tutti i
cittadini. Con queste premesse Lefebvre elabora una poetica
urbana: la città per offrire le opportunità di vita che la carat-
terizzano deve essere innanzi tutto densa, densa di popola-
zione, di attività e di informazioni; densa e simultanea. La
densità si accompagna con la centralità. Una città è tale in
quanto ha un centro. Una densità molto alta non elimina
l’opposizione centro-periferia, un’opposizione necessaria che
può essere accolta se la città è fluida, continua e forte di
un’unità simbolica. In breve: densità, simultaneità, centrali-
tà, fluidità, continuità simbolica, sono le caratteristiche ne-
cessarie e privilegiate perché la città possa tornare ad essere
un ouvre.
Principi come quelli di Lefebvre o altre poetiche urbane
possono definire i caratteri essenziali della struttura urbana.
Le regole possono definire almeno in parte la morfologia ur-
bana, ciò nonostante su queste basi è possibile costruire ar-
chitetture molto diverse. È illusorio pensare che bastino prin-
cipi di pianificazione e regole estetiche perché la bellezza
torni nella città contemporanea. Principi e poetiche urbane
possono avere effetto solo se riescono a permeare la cultura
urbana. Infatti, due sono le componenti principali che fini-
scono con l’essere veramente determinanti nella definizione
dello scenario fisico di una città. La prima è la cultura e il
gusto delle elite che nella pratica trasformano e ricostruisco-
no a città. La seconda, quasi più importante della prima, e
più volte richiamata, è costituita dalla volontà di queste elite
di rappresentarsi nello spazio.
In questo contesto intellettuali e tecnici possono svolgere
un’opera pedagogica, come quella che stiamo svolgendo que-
sta mattina, ma non possono pensare o sperare di imporre i
loro criteri estetici alle pratiche di trasformazione urbana.
Anzi può succedere, come è successo alla predicazione di
Carlyle e compagni, di diventare strumento involontario di
culture urbane orientate al mercato e al profitto. Sulla base
di queste considerazioni si può sostenere che lo scenario fi-
sico della città contemporanea possa essere cambiato solo
cambiando la cultura politica e sociale delle sue elite e, più
in generale, la cultura che circola in città. In questo quadro
la messa in opera di una nuova cultura estetica appare so-
prattutto il risultato del cambiamento culturale delle elite
urbane. Ma, così delineato il quadro non è completo, o alme-
no lo sarebbe in una città di democrazia attiva, mentre, come
viene argomentato sempre più spesso, il nostro sistema de-
20 Territorio
Bilbao, Frank Gehry: museo della Fondazione Solomon R. Guggenhein, 1997
mocratico sta assumendo soprattutto le sembianze di un di-
scorso retorico, e la democrazia sta diventano un sistema di
governo a legittimazione passiva.
Bisogna riconoscere che anche in assenza di un principe o di
elite autoritarie, per motivi esterni ed estranei a quanto si è
detto finora, è possibile che un segno ricco e distintivo venga
precipitato in un paesaggio urbano. Si pensi, ad esempio, a
quanto è accaduto a Bilbao, dove un insieme di circostanze
piuttosto estranee alla cultura locale, ha portato la costruzio-
ne di un museo Guggenheim. Non ho alcuna competenza per
esprimermi sul tipo di cultura democratica di quella città e
non so quanto questo evento, che ha segnalato Bilbao al mon-
do, sia stato frutto dell’azione del governo locale e non solo
un’occasione carpita al volo, come una vittoria ad una lotteria.
Del resto, preoccupazioni di questo genere sono destinate a
smarrirsi nel tempo e forse a Bilbao sono già smarrite. Preoc-
cupazioni di questo genere lasciano posto, come in un’acce-
lerazione improvvisa della storia, al nuovo paesaggio urba-
no, ad una nuova ‘identità’ urbana. Le strade della bellezza
urbana sono dunque molteplici, nuovi segni possono preci-
pitare nel territorio con le provenienze più diverse. Una vol-
ta riconosciuta questa possibilità, ha comunque ancora sen-
so chiedersi se sia questo il modo giusto di costruire una
città e fino a che punto i colpi di mano o il marketing urbano
possano ricomporre quella divisione tra bellezza e vita urba-
na che, con ben altri argomenti, preoccupava Mondrian e i
neoplastici già negli anni venti del secolo scorso. Pertanto,
per quanto sia importante, il piano da solo non decide e
soprattutto non produce la bellezza della città.
Per concludere
Dalla vicenda dei cicli milanesi e dai casi di Barcellona e
Londra si possono ricavare diverse indicazioni di rilievo per
21 Territorio
comprendere la natura della pianificazione dello spazio. In-
nanzi tutto la suddivisione dello spazio si rivela l’essenza
della pianificazione dello spazio. In secondo luogo emerge
l’importanza della griglia. In terzo luogo la pianificazione
dello spazio risulta non indispensabile per la trasformazione
urbana, e può essere praticata solo in presenza di certe con-
dizioni. Infine, contrariamente a quanto spesso si ritiene,
pianificazione dello spazio e governo del territorio non han-
no la capacità di determinare la qualità estetica della città
costruita, ma concorrono solo a determinarne la geometria
degli spazi pubblici. Infine, i caratteri principali della pia-
nificazione dello spazio non indispensabile, discontinua,
conservativa, e incapace di determinazioni estetiche indi-
cano che essa è altro dalla progettazione urbana ed edilizia
che sono processi continui che accompagnano, sia pure con
dinamiche diverse nel tempo e nello spazio, il processo con-
tinuo di trasformazione della città e del territorio.
Appendice. Governo del territorio: appunti sulla
provenienza dell’espressione
L’espressione ‘governo del territorio’ ha nella letteratura ita-
liana della pianificazione più di trent’anni di vita. Non è un
caso che si cominci ad usarla nei primi anni ’70 quando i
governi regionali iniziano la loro attività. Nel 1972 si tiene a
Milano un convegno dedicato a ‘La regione e il governo del
territorio’, ma è possibile che una ricerca più paziente rin-
tracci occasioni e documenti precedenti24. Per la verità
l’espressione non compare in nessuna delle relazioni ufficia-
li di Torrani, Berti, Pastori e Pototschnig in cui si scrive inve-
ce di ‘politica del territorio’; la usa invece nel suo breve
intervento Piero Bassetti, allora presidente della Regione
Lombardia25. È probabile che l’espressione sia il risultato
della congiunzione e della sottolineatura politica e tecnica
di due parole chiave del momento – governo e territorio – la
Regione come nuovo ente di governo e il territorio come di-
mensione caratterizzante del governo regionale, oltre che come
nuova dimensione della pianificazione urbana.
La sottolineatura politica identifica una particolare compe-
tenza per distinguersi dallo Stato senza rischiare di turbare i
rapporti tra Stato e Regioni, e, almeno per questi autori, per
affermare un rapporto tra società e governo diverso da quello
tradizionale e statuale. Bassetti afferma che «la Regione è la
struttura di governo della comunità nel suo ancoraggio con-
creto e tortuoso alla terra sulla quale ciascuna popolazione
esprime non soltanto se stessa ma anche i propri ordinamen-
ti politici … per fare del Governo del territorio non un fatto
astratto, ma un fatto vivo e vitale»26. Il territorio come pecu-
liarità politica del governo regionale, come spazio politico in
cui si realizza un nuovo e partecipato rapporto tra cittadini e
governo e insieme un inedito coordinamento delle politiche
pubbliche. Giorgio Berti sostiene, ad esempio, che «la politi-
ca del territorio costituisce l’espressione sintetica di uno dei
modi di aggregazione delle competenze regionali dal punto
di vista della regione come ente di governo» e che «è possibi-
le per la regione proporsi di guadagnare in proprio una poli-
tica del territorio, vale a dire di unificare o coordinare le sue
competenze secondo un siffatto criterio di sintesi»27. Aggiun-
ge ancora: «In breve, alla regione compete programmare e
governare il rapporto tra società e ambiente; allo stato tradi-
zionale invece la disciplina del rapporto tra l’uomo e la so-
cietà anche dal punto di vista dell’ambiente; ed infine al-
l’organizzazione e alla programmazione economica spetta di
governare più propriamente il rapporto della società con se
stessa nel tempo, sulla base di un criterio di sviluppo e di
progresso»28. L’ultimo passaggio è in qualche misura sorpren-
dente, la programmazione sembrerebbe la funzione caratte-
rizzante della Regione, ma poiché la programmazione econo-
mica è anche e soprattutto competenza dello Stato, è sulla
politica del territorio che è necessario concentrarsi e succes-
sivamente si definisce la politica del territorio una sorta di
specializzazione della programmazione. Del resto, nota Gior-
gio Pastori29, tra tutte le attese che hanno circondato la Re-
gione la politica del territorio è la più condivisa.
Se queste sono le ragioni politiche dell’espressione il colle-
gamento con le ragioni tecniche è costituito dall’esigenza di
una politica regionale ‘globale’, visione d’insieme e coordi-
namento30 come ulteriori distinzioni dalla tradizione statale
degli interventi settoriali31. Una politica globale è possibile
se, come osserva Pier Giuseppe Torrani, si conferma la prassi
formatasi dopo la legge ‘ponte’ che vede il territorio non
«come spazio riservato all’attività edilizia», ma come spazio
delle attività economiche e sociali, e dimensione complessi-
va dell’intervento regionale che superi tra l’altro la divisio-
ne tra pianificazione urbanistica e paesistica32. E aggiunge Feli-
ciano Benvenuti: «il tema della politica del territorio, se lo po-
niamo in un termine così vasto e generale come è emerso da
questo convegno … non è più la politica di uno spazio, ma è la
politica di una comunità»33, pertanto «possiamo fare una politi-
ca del territorio se abbiamo una cultura da esprimere»34.
L’insistenza, non solo di questi autori, su programmazione e
politica del territorio globale è molto probabilmente il frutto
dell’influenza della cultura francese dell’aménagement du
territoire, che Berti, ad esempio, cita esplicitamente35. In ita-
liano aménagement du territoire è di solito tradotta con ‘pia-
nificazione territoriale’36, ma con ‘governo del territorio’ si
richiamano molti significati dell’espressione francese, soprat-
tutto dal punto di vista della cultura della pianificazione.
Con aménagement du territoire – espressione che non fa par-
te del lessico tradizionale dell’urbanisme – si intende so-
prattutto una pianificazione regionale capace di contribuire
alla formazione di una politica nazionale per l’organizzazio-
ne spaziale delle attività economiche37 e insieme capace di
cogliere l’impatto regionale delle politiche nazionali38. Se-
condo Michel Beaud l’aménagement du territoire nasce come
ordinatore dello spazio geografico per divenire creatore di
sviluppo economico e sociale oltre che territoriale, attento
alle questioni del decentramento industriale e agli squilibri
regionali; questo passaggio segna il passaggio da l’aménage-
ment du territoire alla planification regionale senza che que-
sta espressione cancelli la precedente39. Negli anni fondativi
le aspettative descrittive e prescrittive dell’aménagement du
territoire sono molto ambiziose, ambizioni che contageranno
gli autori italiani e che erano proprie di una pianificazione
generale come quella espressa dai piani nazionali francesi
del dopo guerra40. Dunque, un programma di economisti e
scienziati sociali rivolto a superare la dimensione locale, fon-
diaria ed edilizia, dell’urbanisme tradizionale41 e a svilup-
22 Territorio
pare una pianificazione regionale capace di produrre risul-
tati significativi di politica economica, sociale e territoriale
a livello nazionale e locale. La cultura regionale italiana as-
sume la dimensione tecnica dell’esperienza francese, ma so-
stituisce l’obiettivo francese di integrazione delle politiche
nazionali e regionali, con la volontà di distinguere, quando
non di contrapporre, governi regionali e governo nazionale,
al punto da far scrivere a Berti «la politica territoriale è in
un certo senso la specializzazione della programmazione ge-
nerale della regione. Onde il programma di assetto territo-
riale deve fermarsi alla regione e lo stato dovrà assumerne le
indicazioni e le risultanze agli effetti della sua programma-
zione economica generale». Agevolata da un governo centra-
le sempre più distratto e lontano dai temi territoriali, questa
ingenuità autonomistica avrebbe prodotto un progressivo in-
debolimento, se non scomparsa, della programmazione re-
gionale e della capacità regionale di regia delle politiche
territoriali locali. La continuità del territorio ha avuto ragio-
ne delle speranze un po’ utopiche di politica globale regio-
nale: l’assenza di una politica territoriale nazionale ha reso
più incerte, settoriali e fragili le politiche regionali.
Due anni dopo il convegno milanese, Michele Sernini pub-
blica Il governo del territorio. Legge speciale contro legge ge-
nerale42. Per Sernini governo del territorio è innanzi tutto
governo: «l’azione dello Stato è sempre azione sull’uso dello
spazio»43 e «siccome il territorio è un elemento o requisito
essenziale e necessario per ogni ente pubblico territoriale
moderno, da un lato esso diventa un poco ‘indifferente’ al-
l’amministratore o al legislatore, in quanto ne è oggetto nor-
male di attività e luogo perpetuo di essa, e quindi le scelte
politiche producono conseguenze sempre anche per il terri-
torio, senza che l’operatore pubblico debba avere particola-
re propensione per norme generali sull’assetto dello spazio»44.
Lo Stato, quindi, secondo Sernini, agendo sul territorio non
ha la consapevolezza di far qualcosa di diverso da un’azione
di governo pura e semplice, e pertanto non deve stupire se
«il modo più usuale e corretto di fare politica per il territo-
rio» è l’intervento caso per caso, se alla legge normale è pre-
ferita la legge speciale. Ciò non impedisce che il governo del
territorio in quanto tale – anzi ‘governo speciale del territo-
rio’ – sia coordinamento e sintesi di politiche economiche
(proprie soprattutto del governo centrale) e politiche urba-
nistiche (proprie del governo locale) con il livello regionale
immaginato come il naturale punto di incontro, «dove la di-
mensione regionale sia l’unica possibile e reale alla quale
un piano, un programma di interventi, di sviluppo, di azione
amministrativa, di organizzazione sociale, possa avere simul-
tanei caratteri economici e urbanistici, possa cioè essere tout
court un piano»45. Ritornano i temi della relazione di Pastori
e in generale del convegno milanese, e la tendenza a consi-
derare la regione come il deus ex machina che avrebbe risol-
to buona parte dei problemi politici e del sistema economico
e sociale della società italiana. In Sernini c’è una sorta di
oscillazione tra il lucido riconoscimento della necessità, quasi
inevitabile degli interventi speciali, sino a considerarli espres-
sione di un eccessivo centralismo46, e la volontà di riafferma-
re il bisogno della legge normale, cioè di un ‘piano’ capace
di dare un senso complessivo all’intervento dello stato e di
coinvolgere tutti i livelli di governo. Forse questa oscillazio-
ne avrebbe dovuto suggerire la difficoltà, in particolare in
Italia, di perseguire secondo l’esempio francese la linea del
piano globale cara ai nostri regionalisti. In breve, per Serni-
ni, il ‘governo del territorio’ è sia l’insieme quasi inconsape-
vole di interventi speciali che sul territorio si esercitano nel-
la quotidiana azione di governo a tutti i livelli, sia l’ipotesi
di un ripristino o almeno di una supremazia della legge nor-
male che, attraverso il piano, restituisca senso e partecipa-
zione democratica (decentramento) agli inevitabili interven-
ti speciali. Nel riconoscimento della legge speciale c’è la
sorpresa e il risveglio di chi aveva creduto che la legge nor-
male potesse essere la (nuova) razionalità del governo demo-
cratico, ma, infine, riconosce con Saraceno che sarebbe un
successo se l’intervento di piano fosse utile non tanto «porre
in atto un insieme compatto e coerente di azioni a lunga
scadenza» ma ad «aumentare la vitalità del sistema»47.
Dopo la pubblicazione del libro di Sernini, ‘governo del ter-
ritorio’ diventa un’espressione standard nel gergo accademi-
co e politico – non si contano le tesi che per almeno vent’an-
ni conterranno l’espressione nel titolo – ciò nonostante il suo
significato rimane incerto, anzi polisemico. Ad esempio, in
due libri pubblicati ad un anno di distanza, Crosta da un
lato e Achilli e Amorosino dall’altro usano l’espressione con
significati molto diversi. Pierluigi Crosta48 introduce l’idea
del governo esercitato dal potere economico e, nel contesto
del suo saggio, ‘governo del territorio’ – o meglio una forma
‘speciale’ di governo del territorio – è l’azione e il controllo
territoriale svolto dalle grandi imprese. La doppia accezione
di governo istituzionale e di governo del potere economico
rimarrà in letteratura negli anni successive. Con Achilli e
Amorosino – in un libro che ha come titolo Governo del terri-
torio49 – torna un uso più vicino alla cultura regionalista, e
l’espressione sta per indicare, alla francese, una pianifica-
zione globale realizzata attraverso una programmazione eco-
nomica e una pianificazione territoriale comprensive e non
settoriali: «Occorre, finalmente che l’urbanistica diventi un
fatto globale, non cultura e tecnica specifica… Occorre insi-
stere su questo concetto globale della pianificazione territo-
riale, come elemento centrale di ogni scelta di modificazio-
ne delle strutture produttive e come modificazione della
qualità della vita degli abitanti»50. Gli autori indicano in due
fattori le cause della disorganicità degli interventi territoria-
li «la mancanza di una vera politica di programmazione, la
scarsa chiarezza dei rapporti tra i diversi livelli istituziona-
li»51. Amorosino, in particolare, sottolinea la frammentazione
dei poteri decisionali tra diversi livelli e enti di governo, e –
con un’anticipazione dei temi della sussidiarietà comune
anche agli autori del convegno milanese – sollecita una chia-
ra distinzione tra ruoli e funzioni e chiede di «dislocare ver-
so il basso la parte maggiore dei poteri di amministrazione
attiva e di lasciare le funzioni di programmazione, indirizzo
e coordinamento allo stato e alle regioni, a seconda delle
materie di specifica competenza»52.
Sull’importanza degli aspetti istituzionali per affrontare il
tema del coordinamento delle politiche pubbliche e sulla
necessità di una corrispondenza chiara tra organo e funzione
era già peraltro intervenuto diversi anni prima Campos Ve-
nuti53. Campos non usa l’espressione ‘governo del territorio’,
ma sottolinea la necessità di un intervento globale che sap-
23 Territorio
pia coordinare le politiche pubbliche e insieme raccordi in-
terventi pubblici e privati. Forse con maggior prudenza di
altri autori indica in «un organismo politico amministrativo
di tipo orizzontale» l’organo a cui affidare in un’unica ini-
ziativa globale intervento economico e intervento urbanistico.
In breve, sembra di poter dire che sia Campos, sia Achilli e
Amorosino sottolineino la necessità di un coordinamento tra
programmazione economica e pianificazione territoriale e che
a tal fine ritengano necessario intervenire sul disegno istitu-
zionale per una maggior corrispondenza tra ruolo e funzio-
ne. Sembra, inoltre, che il coordinamento e l’iniziativa glo-
bale siano in ogni caso attesi da una regia politica espressa
dall’organo istituzionale adatto.
Note
1. Lezione inaugurale del Master «Scuola di Governo del Territorio», Istitu-
to Italiano di Scienze Umane, Firenze, 3 dicembre 2009.
2. Nel dibattito italiano l’espressione ‘governo del territorio’ ha una storia
che risale ai primi anni settanta del secolo scorso quando è usata politica-
mente per rivendicare uno spazio politico regionale nei confronti dello
stato. L’espressione potrebbe essere stata coniata con riferimento a aména-
gement du territoire, termine introdotto un decennio prima nel dibattito
francese per rivendicare uno spazio professionale e politico per la pianifi-
cazione economica e spaziale. In entrambi i casi il territorio è strumento e
oggetto di contesa. La variazione costituzionale che ha definitivamente
introdotto l’espressione nel nostro linguaggio giuridico e tecnico non sem-
bra fare riferimento a nessuno dei due riferimenti citati. Per una storia del
termine l’appendice a questo articolo.
3. La scelta non è particolarmente felice perché richiama il termine spatial
planning in uso da diversi anni nella letteratura internazionale con un
significato meno generale di planning, ma non per questo molto più speci-
fico.
4. A metà dell’800, in un periodo di forte tensione politica e sociale,
Barcellona è una città relativamente piccola soffocata dalle mura che la
circondano e il cui abbattimento segnerà l’avvio di uno sviluppo metropo-
litano. A metà del ‘900, in un periodo in cui la guerra ha creato una forte
coesione politica e sociale, Londra è una grande regione urbana, cresciuta
in modo disordinato; i trasferimenti di imprese e famiglie per sfuggire alla
guerra e le stesse distruzioni dovute ai bombardamenti offrono una straor-
dinaria opportunità di riordinamento spaziale (Mazza, 2006, capp. 6 e 11).
5. Del resto la possibilità di applicare il suo piano è possibile grazie all’in-
tervento di Madrid che azzera i risultati del concorso organizzato dalla
municipalità di Barcellona e impone il progetto di Cerdà.
6. Ad esempio, a Milton Keynes la griglia ortogonale è stata plasmata
deformandola sui rilievi orografici del suolo; in questo caso l’obiettivo
politico della griglia è la massima libertà di movimento, una sorta di egua-
glianza spaziale garantita dalla mobilità individuale; nessuna preoccupa-
zione di eguaglianza dei diritti tra i proprietari e di redistribuzione tra i
residenti; infine, la centralità è espressa dal grande centro commerciale che
emerge anche fisicamente sul resto della città (Walker, 1982; Aa.Vv., 1970).
7. Le finalità principali erano: delocalizzazione industriale, salvo il mante-
nimento delle attività portuali; decentramento della popolazione e suo con-
tenimento nelle aree centrali; speciali poteri per esercitare la pianificazione
e in particolare il controllo dei valori del suolo.
8. Non è un caso che il Greater London Plan (Abercrombie, 1945) sia
pubblicato nello stesso anno in cui viene stampato il Beveridge Report,
Full Employment in a Free Society (1944).
9. L’azione di suddivisione dello spazio attraverso il disegno di confini, al
fine dell’assegnazione di diritti, può essere ricondotta, in qualche misura,
al termine geografico ‘regionalizzazione’: «un caso speciale della procedu-
ra più generale di classificazione. Gli individui della popolazione che deve
essere classificata sono aree e le classi risultanti (regioni) devono formare
unità spaziali contigue. A causa di questo criterio aggiunto, le regioni
definite per un popolazione di aree possono non essere così omogenee al
loro interno come una classificazione delle stesse aree senza il vincolo
della contiguità» (Johnston and Gregory, 1996, p. 72), con l’avvertenza
che l’unico carattere omogeneo della ‘regione’ sarebbe il diritto assegnato.
10. Mazza, 2009, pp. 24-45.
11. Londra sembra fatta apposta per sostenere la funzionalità di quell’im-
pianto.
12. Nelle pratiche politiche e amministrative l’assegnazione dei diritti può
essere esercitata all’ombra di un piano approvato, e destinato a non essere
applicato, ma variato secondo le esigenze degli interessi in campo.
13. Si potrebbe obiettare che anche le griglie sono strumento di azioni
redistributive, ma il carattere redistributivo di una griglia, a procedere dalla
griglia di Cerdà, si manifesta solo dopo che la griglia è stata caricata delle
norme di uso del suolo e in particolare dei diritti; pertanto sono le zonizza-
zioni, e non le griglie, strumenti di redistribuzione.
14. Per allocare i diritti a scala regionale bisognerebbe estendere a tutto il
territorio una griglia come quella di Cerdà. Una possibilità solo teorica.
15. Si potrebbe sostenere che ciò è vero anche nel caso di una griglia
ortogonale che prevede un’assegnazione egualitaria. Si ricordi, ad esem-
pio, all’accuratezza dei rilievi preparatori di Cerdà per la griglia di Barcello-
na. Se un buon disegno della griglia richiede una scala piccola, 1:5.000,
una buona suddivisione richiede una scala ancora più piccola, 1:2.000 o
1:1.000, che permetta di valutare i caratteri delle singole aree e di selezio-
narle per l’assegnazione dei diritti. Tecnicamente la natura locale della
pianificazione dello spazio si esprime nelle piccole scale delle carte neces-
sarie per gli studi e la redazione dei piani.
16. Gli insegnamenti di autori come Sitte, Geddes, o Unwin, per quanto
diversi hanno in comune la convinzione che per progettare lo spazio è
necessario calpestarlo e osservarlo con cura: non esiste altro modo per
disegnare confini.
17. La stragrande maggioranza dei piani comunali ha le caratteristiche dei
piani locali, ma nei comuni più grandi la difficoltà di conoscenza e control-
lo ha progressivamente allontanato il pubblico dal dibattito sulle attività
della pianificazione. Nella prospettiva delineata è indispensabile prevedere
la suddivisione delle città grandi in municipalità che abbiano dimensioni di
popolazione e territoriali adeguate. Ed è anche possibile il caso di comuni
troppo piccoli per poter pianificare con successo; in questo caso si pone il
problema della loro aggregazione sino a raggiungere una dimensione
soddisfacente per la pianificazione locale.
18. Da questo punto di vista il piano può essere definito come una forma di
territorialità istituzionale. Si possono naturalmente redigere piani senza
tenere alcun conto delle annotazioni svolte, se la loro finalità è, ad esempio,
valorizzare un’area o un gruppo di aree per la riproduzione del capitale, ma
per questo non è necessario scomodare la pianificazione, è sufficiente,
come accade spesso nelle pratiche, che ad assumere le decisioni siano
imprenditori e politici associati, con le idee chiare su come e dove fare
affari.
19. Come indicato da Geddes all’inizio del Novecento, non esistono pro-
blemi locali: anche il problema locale del progetto del parco pubblico di
Dunfermline deve essere collocato e compreso alla scala sub regionale o
regionale del ‘sistema verde’ complessivo, ma questo non sta a significare
che sia possibile pianificare spazialmente, regionalizzandolo col disegno
di confini, l’intero sistema verde (Geddes, 1904).
20. A riprova di queste affermazioni basta considerare come, malgrado
le stesse griglie e le stesse norme, la qualità estetica dell’edificato cambi
al cambiamento delle elite urbane.
21. Inoltre, élite che si muovono nel mercato internazionale, possono
ritenere la rappresentazione nello spazio come un segno di provinciali-
smo; altre elite più legate alla località possono ritenere la rappresentazione
nello spazio un investimento inutile o in qualche caso compromettente, se
proprio necessario, meglio comprare una squadra di calcio.
22. Vale la pena di notare che la città condivide queste due caratteristiche
con il paesaggio e questo spiega forse meglio di altro l’espressione ‘pae-
saggio urbano’, ormai entrata nel linguaggio comune. Paesaggio urbano è
un ossimoro che aiuta a ricordare come la città, quando sia un’opera d’arte,
sia comunque un’opera d’arte molto particolare.
23. Non posso dimenticare a questo proposito un incidente accadutomi a
24 Territorio
Mosca ai tempi di Gorbaciov. Ero ospite del Dipartimento di Economia
dell’Accademia delle Scienze, e incautamente ho mostrato apprezzamento
per il contributo dato dai grattacieli staliniani alla bellezza del paesaggio
urbano. La reazione dei miei ospiti fu sorpresa e irritata, il valore simbolico
di quegli edifici era ancora troppo forte per condividere il mio apprezza-
mento. Per me si trattava, al contrario, della rappresentazione di un potere
crudele, ma che potevo ormai considerare con distacco e anche con un
senso di liberazione: la trasformazione monumentale del potere scompar-
so diventava una compensazione, sia pur parziale, del suo dispotismo.
24. Aa.Vv., 1972.
25. Ivi, p. 76.
26. Ibidem.
27. Ivi, p. 35.
28. Ivi, p. 42.
29. Ivi, p. 49.
30. Il tema del coordinamento è oggetto della relazione di Umberto
Pototschnig, mentre Giorgio Pastori propone il governo regionale come
saldatura tra due ordini di scelte territoriali sinora divise: le scelte
statali e comunali.
31. Ancora Bassetti: «il problema della pianificazione, pianificazione
come fatto globale, mettendo i nuovi termini in rapporto in una comu-
nità e il territorio, inteso come una componente fondamentale dell’am-
biente» (Ivi, p. 77).
32. «…una disciplina complessiva del territorio che, nell’organizzare il
futuro assetto dello stesso, indichi la griglia strategica degli interventi e
fissi le regole per la tutela paesistica e ambientale e ecologica e per la
conservazione del suolo» (Ivi, p. 24).
33. Ivi, p. 87.
34. Ivi, p. 88.
35. «In funzione dell’aménagement du territoire … occorre fare la regione
come ente di governo» (Ivi, p. 25).
36. Il titolo italiano del libro di Cravier del 1964 è La pianificazione
territoriale in Francia, mentre oggi si sarebbe tradotto aménagement du
territoire con ‘governo del territorio’, vedi, ad esempio, il saggio di Franco-
is Priet, in Civitarese Matteucci, Ferrari, Urbani, 2003.
37. Courtin, Maillet, 1962.
38. Delmas, 1964, ne trova le radici nell’esperienza del ‘Comité d’Etudes et
d’Aménagement’ un gruppo privato fondato nel 1943 con il programma di
promuovere lo sviluppo economico della regione di Reims, a cui fece
seguito nel 1946 un comitato analogo per la Mosella, fino all’avvio decisi-
vo costituito dal primo ‘Plan de Modernisation et d’Equipement, 1947-50’.
Michel Beuad richiama l’attenzione sulla creazione dal 1950 dei ‘Fonds
National d’Aménagement du Territoire’ a cui fanno seguito i comitati regio-
nali e poi le società di sviluppo regionale. Secondo Pierre Massé (1965),
sarebbe stato Claudius-Petit nel 1952 ad introdurre per la prima volta
l’espressione affermando fra l’altro che «L’aménagement du territoire est in
realité l’aménagement de notre société». A sua volta Meyer-Heine nel 1957
individua nell’aménagement du territoire un’articolazione e una regia dei
programmi di intervento tali da soddisfare l’insieme dei bisogni economici
e sociali (cit. da Auzelle, 1964).
39. Michel Beaud, Problemes techniques de la planification regionale en
France, in Aa.Vv., 1969.
40. Il contributo disciplinare più incisivo viene dalla geografia economica,
come risulta, ad esempio, dalla struttura del libro di Jean Francois Gravier,
1964, e, sempre, nel 1964 Claude Delmas introduce la nozione del re-
amenagement e indica come obiettivo primario della nuova forma di pia-
nificazione soprattutto il tema delle disparità regionali. I temi della regiona-
lizzazione e del decentramento francese saranno ripresi da Gravier (1972)
nel libro più noto.
41. Un anno prima della pubblicazione del saggio di Delmas, esce, nella
stessa collana, L’urbanisme di Gaston Bardet (1963, pp. 27-28) dove non
compare l’aménagement du territoire, ma è ripresa un’espressione, l’amé-
nagement de l’espace, coniata dall’autore nel 1946 in uno ‘schizzo per una
dottrina del ruralismo’, capitolo finale di Pierre sur Pierre (Editions Lcb.,
Paris, c. 1946). Dunque, nel 1946 l’amenagement de l’espace è l’urbani-
sme che fuoriesce dalla città e pianifica la campagna; nel 1963 l’espressio-
ne è usata per rivendicare agli urbanisti lo studio di tutte le forme di
localizzazione umana sulla terra e la pianificazione degli usi del suolo a
tutte le scale. Il termine aménagement de l’espace sembra poi scomparire
in letteratura, mentre rimane la distinzione tra aménagement e urbanisme,
ad esempio, in Sdau, Schéma directeur d’aménagement et d’urbanisme.
42. Sernini, 1974. Il libro è ripreso da un saggio comparso un anno prima,
«Il governo speciale del territorio» (Sernini, 1973, pp. 3-59.
43. Sernini, 1974, p. 32.
44. Ivi, pp. 57-58.
45. Ivi, p. 32.
46. Sino a scrivere: «L’articolazione, il pluralismo amministrativo e norma-
tivo, servono bene … a chi dal centro vuol pianificare l’intera realtà sociale
oltre che economica del paese» (Ivi, p. 58).
47. Ivi, p. 65.
48. Crosta, 1979.
49. Achilli, Amorosino, 1978, pp. 19-42.
50. Ivi, p. 27.
51. Ivi, p. 20.
52. Ivi, p. 28.
53. Campos Venuti, 1967, pp. 85-87.
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Architectural Press, London.
... Questi primi appunti cercano di evidenziare il rapporto tra pianificazione e carrying capacity, ripercorrendo alcune interpretazioni di quest'ultima e valutandone le ricadute sui modelli di pianificazione e di governo del territorio (Mazza 2010) 4 . Allo stesso tempo, forse in modo 3 Il modo di utilizzare l'espressione usable accanto a concetti, figure e radici del pensiero (sulla pianificazione) è preso in prestito da quello in cui Giancarlo Paba lo propone «edificando una figura di usable Mumford, con lo stesso metodo che Mumford aveva messo a punto per costruire un usable past, come fondamento storico sul quale edificare la sua visione della società americana» (Paba 2003: 20). ...
... Seguendo lo stesso criterio, nei paragrafi successivi saranno proposte soltanto quelle definizioni del concetto di carrying capacity che appariranno utili a porre le premesse per definire un modello di pianificazione a misura di territorio. 4 Per una definizione dei termini citati sopra si veda Mazza (2010). Luigi Mazza nel testo intitolato Limiti e capacità della pianificazione dello spazio, costruisce un'interessante disamina sul ruolo e sulle differenze tra governo del territorio e pianificazione dello spazio nell'intento specifico di definire i limiti e le capacità della seconda. ...
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The text proposes several approaches for reflection on the subject of the governance of territorial consumption, addressing two critical issues: the dimensioning of planning and the concept of territory as a common good. The latter is understood as the outcome of cooperative behaviour and interactive practices aimed at recognition of the value of the places and the definition of rules of settlement for the protection of increasingly scarce collective resources. Exploring the relations between the limits of efficacy of the mechanisms for dimensioning the plans and responsibilities of the policies for governance of the territory – increasingly torn between public and private interests and not sufficiently "shared" - the book offers food for thought on the role of a "territorial-size" type of planning in the acknowledgement and management of the common goods.
... Mazza 2010, p. 15. 15 Campos Venuti 1967 ...
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Questa è la versione finale, con cui rendo conto di quattro anni di riflessioni sull’importanza dell’urbanistica come impegno civile. La prima bozza è lasciata come testimonianza della profondità della revisione. Sono stato allievo di “Campos” e compagno di studi di Federico, ora posso solo ricordarli. Hanno ragionato e lavorato insieme, hanno proposto piani urbanistici e organizzato uffici tecnici, e ora non ci sono più, ma la loro eredità sta nei contributi che hanno diffuso attraverso piani, conferenze, riviste e libri. Il mio percorso è stato un continuo intreccio con l’urbanistica e il mio racconto di quella storia è articolato in sei parti. La prima parte è dedicata all’urbanistica e l’università, ovvero Campos e il Gruppo Campos. Attraverso memorie personali traccio il mio percorcorso universitario di studente, ricercatore e professore, scandendo i tempi in relazione ai miei rapporti con Campos Venuti e con gli amici compagni di studi e dei primi anni universitari. Nella seconda parte, come un intermezzo, riporto un paio di lettere scambiate negli ultimi tempi con Federico Oliva: sono lettere in attesa di risposte, con cui stavamo avviando un discorso complessivo sulla disciplina. Nella terza parte spiego il senso che ho dato ai contributi di Campos in quanto teoria operativa dell’urbanistica, poi sviluppata nella Parte IV come invenzione dell’urbanistica riformista. La quinta parte è un secondo intermezzo dedicato al concorso Prix de Rome, come pretesto per discutere del piano regolatore di Roma del 2001-2003. La sesta parte conclude le riflessioni sottolineando la necessità di esplicitare le visioni politiche dell’urbanistica, dimenticando l’ossessione fallace della neutralità del piano. This is the final version, with which I account for four years of reflections on the importance of urban planning as a civic commitment. The first draft is left as evidence of the depth of the revision. I was a pupil of Campos and a fellow student of Federico, now I can only remember them. They reasoned and worked together, they proposed urban plans and organized technical offices, and now they are gone, but their legacy lies in the contributions they have spread throughout plans, conferences, magazines and books. My path has been a continuous intertwining with urban planning and my narration of that story is divided into six parts. The first part is dedicated to urban planning and our university years, namely Campos and the origin of the Campos Group. Through personal memories I trace my university career as a student, researcher and professor, marking the times in relation to my relationships with Campos Venuti and with friends who are fellow students and early university years. In the second part, like an interlude, I report a couple of letters exchanged recently with Federico Oliva: they are letters awaiting answers, with which we were starting an overall discussion on the discipline. In the third part I explain the meaning I gave to Campos’s contributions as an operational theory of urbanism, then developed in Part IV as the invention of reformist urbanism. The fifth part is a second interlude dedicated to the Piranesi Prix de Rome competition 2016, as a pretext to discuss the Rome master plan, and to Madrid master plan 1985. The sixth part concludes the reflections by emphasizing the need to clarify the political visions of urban planning, forgetting the fallacious obsession with the neutralities of the plan.
... 8 banistica praticata; oggi essa è una sorta di rumore di fondo, un po' fastidiosamente citato quando necessario, a vantaggio di altri approcci e pratiche oggi più che mai al centro dell'attenzione e delle iniziative; eppure i piani, nel bene e nel male, ci sono; eppure ai piani, solo ai piani, è affidato quanto meno il fondamentale compito di stabilire lo stato di diritto dei suoli.2 Ma se è impossibile non avere un piano, sebbene se ne possa prescindere (Mazza 2014), è difficile averne uno all'altezza delle problematiche e delle sfide di questo tempo. E quindi come pianifichiamo? ...
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The purpose of the book is, on one hand, to try to trace a method and some working perspectives for post-growth planning, and on the other hand, to testify, through a concrete experience, the old and new questions and the interpretative and visionary effort that the territory poses to planning today. In a region like Apulia, which has followed an innovative path in the government of the territory and the landscape, the experience of knowledge and project for the city of Ugento is an opportunity to reflect on how today the construction of the plan can accompany the government of the territory in its development, rather than claiming to direct it, penetrate its policies and interact with its various instruments in a dynamic and even experimental way. In this way the construction of the plan can provide for a system of values to refer to in order to navigate the change and the design vision to be placed at the base of urban policies, tactics, individual interventions, thus coming to be a tool at the service of local development.
... -the dichotomy that exists, on a temporal level, between these tools capable of producing concrete results in the medium-long term (for the need, for example, to find funds or proceed with more specific project insights) and the expectations of local administrations, often conditioned by the "life cycle" of local administrations. This consideration is associated with the "traditional" risk of loading plans, as for strategic planning experiences, of excessive expectations (Mazza, 2010) and rhetoric, jeopardizing the implementation phase due to the loss of interest by local institutional subjects. -the limited cogency that characterizes the indications of the PTRA. ...
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This paper analyses the planning implementation conducted by the Lombardy Region, in two different inter-municipal realities, as a useful example in a local context: the Area Regional Territorial Plan Alpine Valleys and the Area Regional Territorial Plan of the Franciacorta geographical area. These two complex experiences suggest positive conditions for the implementation of policies of Urban-Rural/Mountain partnerships to reach common goals and enhance urban-rural relationships, and complex institutional/administrative frameworks for activating multi-level governance processes.
... What is at stake is spatial consciousness as a necessary condition for territorial governance, and thus also for urban and regional planning. In an effort to assess the potential of spatial planning as a government tool, Luigi Mazza (2010) the relationship between the individual and society, or individual rights in relation to public action. This relationship is structured by a state and based on a constitution. ...
Chapter
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Spatial consciousness may refer to individual or collective awareness about real-world spatial phenomena and processes.This entry begins by framing the “spatial” while linking it with the realm of the “conscious” by proposing a conceptual articulation that differs between three distinct but interrelated perspectives on consciousness in relation to space, namely phenomenal, representational, and intentional. The entry then elaborates an account of spatial consciousness from the perspective of planning as a spatial discipline, departing from the early experiences of planning as a modern project, followed by contemporary understandings and illustrative examples. On the basis of these respectively conceptual and applied accounts, the entry finally reflects on the role of spatial consciousness in practice and in the expanding canon of academic planning literature, from its Western tenets to a postcolonial, global perspective, and considers a series of theoretical and practical implications.
... The potential transformation of the intended use of a land from agricultural to urban produces the granting of a exchangeable credit in the financial market, independent of actual demand for housing, business and services. Land has become pure reproduction of capital [13]. Faced with the shortage of public resources and the mirage of secure income against low investments, the land is often used as bargaining chip by local governments. ...
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Sono stato allievo di "Campos" e compagno di studi di Federico, ora posso solo ricordarli. Hanno ragionato e lavorato insieme, hanno proposto piani urbanistici e organizzato uffici tecnici, e ora non ci sono più, ma la loro eredità sta nei contributi che hanno diffuso attraverso piani, conferenze, riviste e libri. Il mio percorso è stato un continuo intreccio con l’urbanistica e il mio racconto di quella storia è articolato in sei parti. La prima parte è dedicata all’urbanistica e l’università, ovvero Campos e il Gruppo Campos. Attraverso memorie personali traccio il mio percorcorso universitario di studente, ricercatore e professore, scandendo i tempi in relazione ai miei rapporti con Campos Venuti e con gli amici compagni di studi e dei primi anni universitari. Nella seconda parte, come un intermezzo, riporto un paio di lettere scambiate negli ultimi tempi con Federico Oliva: sono lettere in attesa di risposte, con cui stavamo avviando un discorso complessivo sulla disciplina. Nella terza parte spiego il senso che ho dato ai contributi di Campos in quanto teoria operativa dell’urbanistica, poi sviluppata nella Parte IV come invenzione dell’urbanistica riformista. La quinta parte è un secondo intermezzo dedicato al concorso Prix de Rome, come pretesto per discutere del piano regolatore di Roma del 2001-2003. La sesta parte conclude le riflessioni sottolineando la necessità di esplicitare le visioni politiche dell’urbanistica, dimenticando l’ossessione della neutralità del piano. [Title: The reasons and the charm of urban planning. Tribute to the lectures of Giuseppe Campos Venuti at the Politecnico di Milano.] I was a pupil of Campos and a fellow student of Federico, now I can only remember them. They reasoned and worked together, they proposed urban plans and organized technical offices, and now they are gone, but their legacy lies in the contributions they have spread throughout plans, conferences, magazines and books. My path has been a continuous intertwining with urban planning and my narration of that story is divided into six parts. The first part is dedicated to urban planning and our university years, namely Campos and the origin of the Campos Group. Through personal memories I trace my university career as a student, researcher and professor, marking the times in relation to my relationships with Campos Venuti and with friends who are fellow students and early university years. In the second part, like an interlude, I report a couple of letters exchanged recently with Federico Oliva: they are letters awaiting answers, with which we were starting an overall discussion on the discipline. In the third part I explain the meaning I gave to Campos's contributions as an operational theory of urbanism, then developed in Part IV as the invention of reformist urbanism. The fifth part is a second interlude dedicated to the Piranesi Prix de Rome competition 2016, as a pretext to discuss the Rome master plan, and to Madrid master plan 1985. The sixth part concludes the reflections by emphasizing the need to clarify the political visions of urban planning, forgetting the obsession with the neutralities of the plan.
Article
The paper analyses some cases of corruption which, according to a judicial inquiry, took place with reference to the drawing and implementation of the 2009 Master Plan of Desio. These cases of corruption occurred in a context characterized by the presence of the’Ndrangheta. This analysis builds hypotheses on the main institutional determinants of corruption in the planning domain, and it is an opportunity to raise questions about anti-corruption and anti-organised crime actions in the planning field.
Chapter
This chapter presents a summary of the findings of the book and conclusions for the same. In the various shapes urban welfare has taken, it always remained a central issue in the discipline of planning and there are many reasons for continuing to examine it from a European perspective. The central focus of this chapter is to reflect on how to reframe European urban facility planning efficiently, effectively and sustainably to better respond to complex new social problems and deal with fiscal austerity. On the one hand, this situation reveals the need to reshape the traditional approach to urban facility planning in favour of openness and flexibility. On the other hand, it encourages the growth of private initiatives all over Europe for the supply of urban facilities, where citizens are more and more engaged in identifying issues and needs jointly as well as in trying to solve problems with innovative and inclusive responses. This book proposes to reframe urban welfare planning inside a “framework-rule” perspective, i.e. planning of urban welfare does not start from the urban facilities themselves but rather from the regulations connected with them. Briefly, this proposal is based on new rules and responsibilities as a path to change for urban welfare planning. These would enable cities to respond to new circumstances through innovative actions. In light of this, the private sector could promote new ideas, while institutions could innovate themselves by taking on new responsibilities. These dynamics become expressions of urban resilience, i.e., the innate capacity of territorial systems to propose innovative ideas that the public sector will accept among its traditional planning policies. If we reframe urban facility planning in this perspective, urban welfare could actively reduce inequalities and revive social dialogue, leading to more inclusive, collaborative and participative societies in European cities.
Article
337 pages, 29 cartes et graphiques Le survol d'un siècle d'histoire montre que la prolétarisation a été refusée d'abord par des catégories sociales et l'est aujourd'hui par des communautés territoriales. Tout comme les mineurs et les cheminots revendiquaient naguère une condition meilleure, l'Indonésie ou le Cameroun - mais aussi la Bretagne ou le Mezzogiorno - réclament maintenant les moyens de l'expansion. Dans les deux cas, de telles aspirations ne seraient pas manifestées si l'évolution technique n'avait pu laisser espérer leur satisfaction. Les enrichissements matériels amenés par la première révolution industrielle permettaient aux salariés d'exiger un régime social moins oppressif. De même, les mutations apportées par la seconde révolution industrielle depuis les années 1930 autorisent la croissance économique de contrées qui semblaient à jamais déshéritées. En même temps, de vieilles régions manufacturières, pays noirs et rues sans joie, qui régnaient jadis sur les marchés mondiaux, sont menacées par le déclin de leurs activités traditionnelles, mais aussi par la défaveur des hommes, moins résignés à vivre dans la laideur. Les grandes agglomérations denses subissent une paralysie circulatoire et une pollution atmosphérique qui ont entraîné une faim d'espace génératrice d'éclatement urbain. La cause de l'aménagement se confond ainsi avec celle d'un humanisme qui n'est plus contraint de s'effacer devant les déterminismes physiques de l'ère charbonnière et que les nouvelles formes du progrès rendent libre de s'épanouir. L'homme du vingtième siècle se détourne des faubourgs lépreux et des cités ouvrières pour se tourner vers les espaces verts, l'eau, la neige, le soleil. Il abandonne les gisements miniers pour les gisements touristiques. Après un long et douloureux désordre, il rêve d'un ordre et d'une harmonie.
«L'articolazione, il pluralismo amministrativo e normativo , servono bene … a chi dal centro vuol pianificare l'intera realtà sociale oltre che economica del paese» (Ivi
  • Sino A Scrivere
Sino a scrivere: «L'articolazione, il pluralismo amministrativo e normativo, servono bene … a chi dal centro vuol pianificare l'intera realtà sociale oltre che economica del paese» (Ivi, p. 58).
323 citations sur l'urbanisme
  • R Auzelle
Auzelle R., 1964, 323 citations sur l'urbanisme, Freal, Paris.
Greater London Plan 1944. A Report prepared on behalf of the Standing Conference on London Regional Planning by Professor Abercrombie at the request of the Minister of Town and Country Planning. His Majesty's Stationery Office
  • P Abercrombie
Abercrombie P., 1945, Greater London Plan 1944. A Report prepared on behalf of the Standing Conference on London Regional Planning by Professor Abercrombie at the request of the Minister of Town and Country Planning. His Majesty's Stationery Office, London.
La pianificazione territoriale in Francia
  • J Cravier
Cravier J., 1967, La pianificazione territoriale in Francia, Marsilio, Padova (ed. or. 1964).
«Il governo speciale del territorio
  • M Sernini
Sernini M., 1973, «Il governo speciale del territorio», Archivio di studi urbani e regionali, n. 3-4.
The Plan for Milton Keynes
  • Aa
  • Vv
Aa.Vv., 1969, La pianificazione regionale: problemi di teoria e metodo nelle esperienze italiana e straniera, Marsilio, Padova. Aa.Vv., 1970, The Plan for Milton Keynes, Milton Keynes Development Corporation.