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Essere nel mondo: Io e il mio Doppio
Giuseppe Vitiello
1. Il dilemma di Lashley
Negli anni quaranta, sulla base delle sue esperienze di laboratorio Karl Lashley
osservava: «Qui è il dilemma. Impulsi nervosi sono trasmessi (…) da cellula a cellula
attraverso definite connessioni cellulari. Eppure, tutto il comportamento sembra essere
determinato da masse di eccitazioni (…) entro campi generali di attività, senza riferimento
a particolari cellule nervose (…). Quale tipo di organizzazione nervosa può mai rendere
conto di configurazioni di eccitazioni [che si propagano] senza ben definiti e specializzati
canali di comunicazione cellulare? Il problema è quasi universale nell’attività del sistema
nervoso» (Lashley 1948, pp. 302-306). Lashley arrivava così alla formulazione dell’ipotesi
dell’azione di massa nel memorizzare e nel ricordare informazioni da parte del cervello. Le
osservazioni sperimentali di Lashley sono state ampiamente confermate da numerosi
studiosi, neurologi e neuropsicologi (Freeman 1975; 2000; 2001). Tra questi, Karl Pribram
negli anni sessanta ha avanzato l’ipotesi che per il cervello si possa usare la metafora
dell’ologramma (Pribram 1991). Negli ologrammi la conoscenza di un particolare in un
punto qualsiasi dell’immagine permette di ricostruire tutta l’immagine. Alla base di tale
possibilità c’è la coerenza di fase che caratterizza il laser usato per produrre e per leggere
l’ologramma.1 Pribram dunque propone che anche per l’attività cerebrale si possa parlare
di coerenza. L’osservazione della cooperazione diffusa tra miliardi di neuroni su vaste
zone cerebrali, la loro simultanea reattività a stimoli esterni, la mancanza di riferimento a
particolari reti di comunicazione cellulare (nonostante la fitta rete dendritica) induce infatti
a pensare che i neuroni oscillino in fase.
Utilizzando sofisticate tecniche di analisi dei potenziali misurati con
l’elettroencefalogramma (EEG) e con il magnetoencefalogramma (MEG) si osserva
dunque che l’attività neurale della neocorteccia presenta la formazione di configurazioni
estese di moti oscillatori modulati in ampiezza e in fase. Queste configurazioni emergono
dalla cooperazione di miliardi di neuroni e si estendono su quasi tutto l’emisfero cerebrale
per conigli e gatti e su domini di dimensioni lineari fino ad una ventina di centimetri nel
cervello umano (Freeman 2005a; 2006) e presentano una dispersione di fase quasi nulla
(sono praticamente sincroni, in fase) (Freeman, Gaál, e Jornten 2003; Freeman e Rogers
2003). Tale stato di cooperazione neurale ha una durata che va all’incirca dal decimo al
centesimo di secondo (in termini di frequenza nell’intervallo 12-80 Hz delle onde
cosiddette beta e gamma). Dopo qualche decimo di secondo (3-12 Hz, onde theta e
alpha) dalla dissoluzione di tale stato ne appare un altro in una diversa configurazione
1 Un raggio laser è un fascio di luce monocromatica in cui i fotoni (i quanti della radiazione elettromagnetica)
hanno tutti la stessa fase: in questo consiste la coerenza e l'ordinamento del laser. La luce generata da una
normale lampada non è coerente: i fotoni hanno fasi arbitrarie. È possibile “fotografare” un oggetto
esponendolo a luce laser: si usano due fasci laser identici (emessi dalla stessa sorgente laser); uno di questi
viene riflesso dall'oggetto e convogliato sulla “pellicola”. L'altro convogliato direttamente sulla pellicola. La
figura di interferenza prodotta dalla differenza tra le fasi del raggio riflesso e di quello diretto è l'ologramma.
La “memoria” (immagine) dell'oggetto è dunque codificata nella differenza tra le fasi. Questa può essere
“ricordata” (decodificata) guardando l'ologramma con luce laser simile a quella usata per la produzione
dell'ologramma. La figura di interferenza è completamente determinata dalla differenza di fase e può essere
ricostruita anche partendo da una regione limitata dell'ologramma: una distruzione parziale dell'ologramma
non comporta la perdita della “memoria”. Queste proprietà suggeriscono la possibilità di adottare
l'ologramma come modello per la memoria (cfr. § 6 in Vitiello 1998a).
1
Università di Salerno, Italia. vitiello@sa.infn.it
Pubblicato in "Atque" vol. 5 Nuova Serie, 155-176 2008
(Freeman 2004a; 2004b; 2005a; 2006; Freeman e Vitiello 2006-2008b; Bassett et al.
2006).
Ci si pone quindi il problema di quale possa essere l’agente e come esso riesca «a
vincolare e a portare all’ordine globale nel giro di pochi millesimi di secondo i miliardi di
neuroni che compongono ciascun emisfero umano (…). Le trasmissioni su cui si instaura
la cooperazione coprono distanze che sono mille volte superiori al diametro
dell’estensione assonica e dendritica della stragrande maggioranza dei neuroni (…) e il
tempo necessario per inviare impulsi tra i moduli corticali è troppo lungo per consentire
una sincronizzazione generale dei treni di impulsi» (Freeman 2001).
Rendere conto del comportamento collettivo di un insieme di molti elementi è compito
della Meccanica statistica e nel caso dei neuroni Hopfield (Hopfield 1982) ha posto la
questione della stabilità della memoria e di altre proprietà macroscopiche del cervello
chiedendosi se anche per reti neurali le proprietà funzionali e la loro stabilità possano
emergere facendo ricorso a fenomeni collettivi. I metodi della Meccanica Statistica
classica si sono rivelati estremamente potenti nel dare risposte alle questioni poste da
Hopfield (Amit 1989; Mezard, Parisi, e Virasoro 1987). Ne è risultato un progresso enorme
e rapido nella comprensione e nella progettazione di reti neurali con un vasto campo di
applicazioni pratiche. Tuttavia, questi metodi di analisi in termini di Meccanica Statistica
classica non hanno portato ad una sostanziale comprensione dei fenomeni di
cooperazione neurale nel cervello. In realtà, il campo elettrico e il campo magnetico
associati alle correnti dendritiche risulta essere troppo debole per essere responsabile
della correlazione neurale osservata, e la diffusione di agenti e neurotrasmettitori chimici è
troppo lenta per spiegare l’attività collettiva globale osservata in laboratorio (Freeman
2005b; Freeman e Vitiello 2006 – 2008b).
La biologia molecolare ha raccolto e continua a raccogliere successi enormi nella
scoperta di costituenti o “mattoni” usati dalla Natura nella costruzione dei sistemi biologici.
Il problema è ora quello della comprensione del come mettere assieme questi costituenti
elementari in modo tale che ne possa risultare il complesso comportamento a livello
mesoscopico e macroscopico del sistema nella sua interezza. In termini molto generali, il
problema è quello della transizione dal naturalismo, cioè dalla conoscenza dei cataloghi
dei componenti elementari, alla comprensione della dinamica che rende conto delle
relazioni che legano tali componenti e descrive il comportamento del loro complesso e
cioè del sistema come un tutt’uno. La fase del naturalismo è ovviamente essenziale e
richiede un enorme impegno di indagine accurata e paziente. Pur essendo essa
necessaria, non è tuttavia sufficiente ai fini della comprensione piena, che si possa dire
scientifica, dei fenomeni oggetto del nostro studio. Sapere non è ancora comprendere. In
proposito, è interessante notare che Schrödinger, nel considerare i sistemi biologici e
l’ordinamento nello spazio e nel tempo in essi manifesto, distingue tra «due modi di
produrre l’ordine» (Schrödinger 1944, p. 80): ordine generato da meccanismi statistici e
ordine generato dalla dinamica nelle interazioni tra componenti quantistici. È esperienza
comune che una successione di reazioni chimiche temporalmente concatenate (ordinate
nel tempo), come spesso osservate nei sistemi biologici, ben presto collassa a causa delle
interazioni casuali con l’ambiente in cui è immersa. La stabilità funzionale e l’efficienza
chimica osservata nei sistemi biologici è ben lungi dall’essere “regolarità solo in media”
(Schrödinger 1944) quale quella ottenibile in un approccio statistico basato unicamente
sugli urti casuali delle molecole. Schrödinger osserva che «non c’è bisogno di
immaginazione poetica ma solo di chiara e sobria riflessione per riconoscere che ci
troviamo ovviamente di fronte ad eventi il cui regolare e rigoroso svilupparsi è guidato da
un “meccanismo” interamente differente dal meccanismo della fisica probabilistica»
(Schrödinger 1944, p. 79).
2
In questo contesto, nel 1967 Ricciardi e Umezawa proposero il modello quantistico del
cervello (Ricciardi e Umezawa 1967) utilizzando la teoria quantistica dei campi (QFT) che
descrive, fornendo risultati sperimentalmente confermati, l’emergere dell’ordinamento in
sistemi quali i cristalli, i ferromagneti, i superconduttori, etc. Nel paragrafo che segue
illustro brevemente tale modello.
2. Il modello quantistico del cervello di Ricciardi e Umezawa
Partendo dal fatto che la Meccanica Statistica classica e l’approccio in termini di forze
con un limitato raggio di azione (a corto range) della biologia molecolare, sebbene
necessarie, non risultano essere strumenti completamente adeguati per descrivere la
dinamica del cervello, Ricciardi e Umezawa (Ricciardi e Umezawa 1967) proposero che
l’ordine emergente nella formazione delle configurazioni di neuroni globalmente correlati
fosse generato attraverso il meccanismo della rottura spontanea della simmetria (RSS)
(Itzykson e Zuber 1980) noto nella fisica della materia condensata e delle particelle
elementari.
È utile ricordare, anche se molto brevemente, che nel meccanismo della RSS le proprietà
di simmetria della dinamica microscopica implicano l’esistenza di campi che propagandosi
su tutto il sistema inducono la formazione di configurazioni ordinate dei componenti
elementari. Nella fisica quantistica, alla natura ondulatoria di questi campi è associata una
particella o quanto il cui ruolo è quello di messaggero, o vettore, responsabile del
propagarsi dell’informazione dell’ordinamento tra i componenti elementari.2 Esso è dunque
un quanto di correlazione dei componenti elementari su grandi distanze (a lungo range). A
tale particella viene dato il nome di quanto di Nambu-Goldstone (NG) e il teorema che ne
dimostra l’esistenza necessaria nell’ipotesi della rottura spontanea della simmetria è detto
teorema di Goldstone. La simmetria si dice ‘spontaneamente’ rotta quando lo stato
fondamentale del sistema non possiede tutte le proprietà di simmetria delle equazioni che
definiscono la dinamica del sistema a livello microscopico.3 Quando questo accade, lo
stato del sistema presenta un certo tipo di ordinamento; ad esempio spaziale, come gli
atomi in un cristallo, o temporale, come le oscillazioni in fase (sincrone) di componenti
2 Sistemi che presentano un ordinamento dei componenti elementari sono ad esempio il cristallo, dove gli
atomi (o molecole) sono “ordinati” in posizioni ben determinate da una legge di periodicità (quella che
individua appunto il reticolo cristallino), il magnete, il laser, i superconduttori, etc. Comune a tali sistemi è la
possibilità di individuare una grandezza che descrive il grado di ordinamento e che viene detta “parametro
d'ordine”: nel cristallo il parametro d'ordine è legato alla densità, nel magnete alla magnetizzazione, etc. Le
proprietà che caratterizzano il sistema nel suo complesso sono a loro volta legate al parametro d'ordine. È
utile sottolineare il fatto che tali proprietà non sono proprietà dei componenti elementari, ma del “modo in cui
essi sono organizzati” cioè della dinamica che regola le loro interazioni e quindi del sistema in quanto tale: in
questo senso si può dire che dalla dinamica microscopica emergono “funzioni” a livello macroscopico: la
“funzione magnete”, la “funzione cristallo”, etc. Ovviamente i medesimi componenti microscopici possono
essere soggetti a dinamiche diverse con diverse proprietà (“comportamenti” o “funzioni”) macroscopiche: ad
esempio, se il cristallo viene riscaldato oltre una certa temperatura (temperatura critica) l'ordinamento
cristallino si perde e gli atomi costituenti assumono a livello macroscopico le proprietà (le “funzioni”) di un
solido amorfo o, a temperature superiori, quelle di un gas (cfr. § 3 in Vitiello 1998a).
3 In tutta generalità, la simmetria della dinamica può essere rotta in tanti modi diversi. La rottura viene detta
‘spontanea’ per indicare che questi modi sono tutti equiprobabili, ognuno di essi cioè può essere realizzato in
natura. La ‘scelta’ tra di essi viene indotta da un agente (stimolo) esterno. Caso completamente diverso è
quello in cui sono le proprietà di simmetria delle equazioni della dinamica che vengono modificate con
l’inserzione di termini non simmetrici. In tal caso si dice che la simmetria è ‘esplicitamente’ rotta, lo stato
fondamentale del sistema presenta le stesse proprietà di simmetria delle equazioni e non compaiono quanti
di NG.
3
elementari. Questo non deve sorprendere dal momento che ordinare un certo numero di
oggetti significa introdurre un elemento di distinzione tra di essi, per esempio, nel caso di
ordine spaziale, “numerarli” sulla base della loro disposizione spaziale (dandone le
coordinate). Al contrario, una configurazione simmetrica degli stessi oggetti è
caratterizzata dal fatto che scambiando di posto gli oggetti tra di loro si ottiene una
configurazione in tutto equivalente alla precedente. In questo senso gli oggetti sono tra di
loro indistinguibili. L’ordine appare dunque come mancanza (o rottura, appunto) della
simmetria. Chiaramente all’ordine è associato un più alto grado di informazione; nel nostro
esempio gli oggetti diventano tra di loro distinguibili perché ordinati, informazione che non
è presente nel caso di una configurazione simmetrica. Il teorema di Goldstone mostra che
affinché i componenti elementari del sistema si possano organizzare in strutture ordinate,
la consistenza matematica impone che la dinamica generi un campo (di NG appunto) che
si faccia carico dell’ordinare i componenti elementari.4 Quando si dice che nello stato del
sistema (di norma ci si riferisce allo stato di minima energia detto stato fondamentale o
vuoto) sono condensati dei quanti di NG, si intende che in tale stato si osservano delle
strutture ordinate. Il fenomeno della condensazione di quanti di NG comporta dunque il
formarsi di configurazioni in cui i componenti elementari sono correlati su grandi distanze.
Il fenomeno della condensazione comporta un cambiamento di scala, in quanto dalle
dimensioni microscopiche delle interazioni tra i componenti elementari si passa alle
dimensioni mesoscopiche e/o macroscopiche dei domini ordinati. I sistemi ordinati sono
dunque sistemi quantistici macroscopici (Anderson 1984; Umezawa 1993; Vitiello 2001) e
in quanto tali manifestano un comportamento classico. Le proprietà ‘classiche’ che essi
possiedono e manifestano in virtù dell’ordinamento in essi presente non sono derivabili se
non ricorrendo alla dinamica quantistica che permette il meccanismo della rottura della
simmetria.
Il modello di Ricciardi e Umezawa si colloca dunque all’interno di tale scenario della QFT.
Lo stimolo esterno cui è sottoposto il cervello induce la rottura spontanea della simmetria,
la dinamica endogena del cervello quindi genera i quanti di correlazione a lungo range di
NG previsti dal teorema di Goldstone con la loro conseguente condensazione nello stato
fondamentale: secondo il modello è questo il meccanismo che presiede alla formazione
della memoria.
La “memoria” così generata come effetto dello stimolo esterno ha come indice o codice
distintivo la densità della condensazione dei quanti di NG. È utile osservare subito che in
questo processo non viene costruita alcuna “rappresentazione”, nel senso che
4 Il quanto di correlazione di NG è una particella reale, osservata con le stesse tecniche con le quali altre
particelle vengono osservate (tecniche di diffusione o “scattering” in cui si fa collidere una particella “sonda”
(o proiettile) con la particella da osservare (bersaglio) e dagli effetti della collisione si risale alle proprietà del
bersaglio). A differenza di altre particelle, il quanto di correlazione non è tuttavia osservabile “al di fuori” del
sistema ordinato. Per osservare ad esempio il quanto di correlazione nel cristallo, detto fonone (Wolfe 1998),
occorre avere a disposizione un cristallo: il fonone è confinato nel cristallo. Quando il cristallo viene distrutto,
ad esempio riscaldandolo oltre la temperatura critica, il sistema risultante è costituito dall'insieme degli atomi
(già dislocati nei siti del reticolo cristallino prima che il cristallo fosse riscaldato) e solo da questi: non
essendo più questi correlati nella funzione cristallo, ne consegue che non ci sono più i quanti della
correlazione. Il catalogo dei “componenti strutturali” del cristallo include gli atomi e i fononi. Quello del solido
amorfo include solo gli atomi. Il fonone esiste se e solo se esiste la funzione cristallo: è esso stesso
identificabile con la funzione cristallo. In questo senso possiamo parlare di identificazione di funzione-
struttura (cristallo-fonone) (Vitiello 1998b). Il concetto stesso di “completezza” del catalogo dei componenti
elementari diventa così privo di senso: è illusorio cercare “di completare” il catalogo dei componenti
elementari senza cercare al tempo stesso le leggi dinamiche responsabili delle funzioni macroscopiche.
Talvolta si crede che la complessità funzionale del sistema possa derivare unicamente dalla “quantità” dei
componenti elementari, dalla loro diversificazione e dal “numero” delle loro interconnessioni. Da quanto detto
risulta invece che essa appare come manifestazione macroscopica della dinamica microscopica e delle sue
proprietà di simmetria e di rottura della simmetria (cfr. § 3 in Vitiello 1998a).
4
comunemente viene dato a questo termine in neuropsicologia o nelle scienze cognitive,
dello stimolo esterno all’origine del processo di memorizzazione; su questo punto tornerò
in seguito. La struttura ordinata che va a formarsi dipende dalla dinamica interna del
cervello. Anzi, non solo uno stimolo diverso, ma anche lo stesso stimolo esterno può dar
luogo, in condizioni diverse sia esterne che interne al cervello a configurazioni ordinate
diverse (sebbene indicizzate con (quasi) la stessa densità di condensazione di quanti di
NG; questo permette di individuare categorie di stimoli comportamentali), cioè con diverse
caratterizzazioni di oscillazioni in ampiezza e in fase e coinvolgenti non necessariamente
le stesse masse neurali. Una tale situazione concorda perfettamente con quanto viene
osservato in laboratorio, e cioè col fatto che non viene osservata invarianza delle
configurazioni di moti oscillatori modulati in ampiezza e in fase quando il soggetto viene
sottoposto allo stesso stimolo esterno nella stessa sessione o in sessioni diverse.
Il meccanismo del ricordare o “richiamo di una memoria” viene descritto nel modello
come il processo di eccitazione di quanti di NG dallo stato fondamentale corrispondente
alla densità di condensato di quella memoria. Questo è un processo di “lettura” del
condensato con quella specifica densità nel quale il cervello “prende coscienza”
(consciously feels: Stuart, Takahashi e Umezawa 1978; 1979) dell’avere in epoca
precedente memorizzato quel ricordo. L’agente che provoca il ricordo è uno stimolo
esterno “simile” a quello che ne ha indotto la memorizzazione. Si noti che per tale stimolo
l’essere simile si riferisce non a una similitudine “tra stimoli”, ma al fatto che esso è in
grado di eccitare quanti di NG da uno stato di condensazione simile a quello indotto dallo
stimolo originariamente responsabile della memorizzazione (Freeman e Vitiello 2008a). In
questo modo il modello prevede una molteplicità di possibili fenomeni comunemente
sperimentati, tra i quali, ad esempio, la possibilità che un certo ricordo venga evocato da
stimoli completamente diversi da quello che ne ha indotto la memorizzazione e in
condizioni in parte o del tutto diverse da quelle in cui ci si trovava quando il ricordo veniva
memorizzato.
Si noti che lo stato fondamentale essendo quello di minima energia non è soggetto a
decadimento, è stabile. La condensazione nello stato fondamentale descrive quindi la
“memoria a lungo termine”. La “memoria a breve termine” viene descritta come uno stato
di condensazione “eccitato”, quindi dotato di una vita media finita (e relativamente breve).
Il cervello viene sottoposto a stimoli che riportano il cervello al suo stato di eccitazione con
la pratica del “ripassare” (Sivakami e Srinivasan 1983).
Memorizzare e ricordare, coinvolgendo correlazioni a lungo range, sono dunque attività
“diffuse” su regioni cerebrali estese. Essendo esse legate al processo di condensazione,
che è caratterizzato dalla coerenza dei quanti di NG nello stato fondamentale, sono attività
legate alla coerenza. Il modello quantistico realizza in questo senso la proposta di
Pribram. È da osservare che il modello rende conto del fatto che la funzionalità del
cervello, pur in presenza di attività sia a carattere diffuso che localizzato, appare non
strettamente dipendente dall'attività del singolo neurone (Alfinito 2000). Si osserva
sperimentalmente che l’asportazione di regioni di estensione non trascurabile o il loro
danneggiamento accidentale non influenzano la funzionalità del cervello. Nel modello
questo risultato è ottenuto grazie al carattere collettivo della dinamica, che implica cioè
correlazioni a lungo range.
Occorre ricordare a questo punto che, sulla scia di lavori e proposte teoriche di Herbert
Fröhlich (Fröhlich 1968) sul ruolo della polarizzazione elettrica nella materia vivente e di
Alexander Davydov (Davydov 1982) sul ruolo dei fenomeni quantistici e della nonlinearità
della dinamica in molti settori della biologia negli anni ottanta viene proposto un approccio
allo studio dei sistemi biologici in termini di QFT (Del Giudice et al. 1985-1988). Anche in
questo caso il meccanismo centrale è quello della rottura spontanea della simmetria
indotto da apporti energetici esterni (tipicamente nel processo di alimentazione). La
5
simmetria in questione è quella rotazionale dei dipoli elettrici dell’acqua. Questa costituisce
mediamente oltre l’80% della massa dei sistemi biologici e date le sue proprietà chimico-
fisiche ci si aspetta che condizioni l’attività biochimica delle cellule e delle macromolecole
in essa immerse. È infatti un dato sperimentale che non c’è attività biochimica se non in
ambiente acquoso. La rottura della simmetria rotazionale dei dipoli elettrici comporta la
generazione dinamica dei quanti di NG, che in questo caso sono chiamati quanti delle onde
di dipolo (dipole wave quanta, DWQ), e la loro condensazione nello stato fondamentale. In
questo approccio l'ordinamento macroscopico osservato nella materia vivente è dunque
sotteso dalla dinamica microscopica (quantistica) delle oscillazioni coerenti dei dipoli
elettrici. Facendo ricorso a tale schema, negli anni novanta Jibu e Yasue propongono
(Jibu e Yasue 1992-1996) che anche nel modello di Ricciardi e Umezawa la simmetria che
viene rotta dallo stimolo esterno è quella rotazionale del campo vibrazionale dei dipoli
elettrici dell’acqua e i quanti di NG sono i DWQ.
È infine molto importante notare che nel modello i neuroni e le altre cellule non sono
considerati come componenti quantistici. I gradi di libertà quantistici sono quelli del campo
vibrazionale dei dipoli elettrici e dei DWQ. In questo, oltre che nell’essere fondato sulla QFT
e non sulla meccanica quantistica, il modello è radicalmente diverso da altri modelli
quantistici del cervello presenti in letteratura (Atmanspacher 2006).
Nel modello esiste tuttavia un problema di “capacità di memoria”: sotto l’azione di uno
stimolo la condensazione da esso indotta si sovrappone a quella dovuta ad uno stimolo
precedente. Ne risulta una interferenza negativa tra le corrispondenti “memorie”:
sopravvive solo quella registrata per ultima in ordine temporale. Questo problema viene
risolto estendendo il modello originario in modo tale incorporare un elemento
caratterizzante la dinamica cerebrale, quello della dissipazione. Il cervello è infatti
permanentemente accoppiato con l’ambiente esterno, esso è un sistema intrinsecamente
aperto. Isolarlo comporta l’eliminazione della sua funzionalità, la sua stessa eliminazione.5
Nel prossimo paragrafo espongo brevemente il modello dissipativo quantistico del cervello
(Vitiello 1995).
3. Il modello dissipativo quantistico del cervello
La matematica di cui disponiamo impone che nello studio di un sistema aperto, diciamo il
sistema A, si debba procedere alla “chiusura” del sistema considerando l’ambiente in cui
esso è immerso, in modo tale da avere costantemente il bilanciamento dei flussi di
materia, di energia, etc. tra il sistema A e l’ambiente. Denotiamo quest’ultimo come
sistema B. Concentrandoci sullo scambio energetico, l’energia in uscita da A, E(A), deve
essere uguale a quella in ingresso in B, E(B), e viceversa. Deve cioè essere in ogni caso
E(A) - E(B) = 0. L’insieme (A,B) dei sistemi A e B si comporta dunque come un sistema
“chiuso”, per il quale cioè non ci sono flussi energetici né in ingresso né in uscita. Con il
formalismo matematico di cui disponiamo, sia classico che quantistico, possiamo trattare
in maniera consistente tale sistema chiuso (Celeghini et al. 1992). Occorre ora solo un
momento di riflessione per convincersi che, ai fini del bilancio energetico (e del bilancio di
5 Non è assolutamente possibile trascurare il fatto che il cervello è un sistema aperto. L'attività della memoria
è intrinsecamente irreversibile. Infatti, “il fatto stesso” di ricevere un'informazione (memorizzare) comporta
che “non si può tornare indietro” (Paci 1965) (rottura della simmetria sotto inversione temporale): “Ora lo sai!”
è l'avvertimento(-minaccia!) che si fa a chi viene a conoscenza di una certa informazione ed il suo chiaro
significato è “ora non sei più lo stesso di quando non sapevi”. Registrare un'informazione individua dunque
“di per sè” un verso del tempo, una “freccia del tempo”, non più invertibile: il “prima” della registrazione è
“definitivamente distinto” dal “dopo”. D'altra parte, molto banalmente, “solo il passato si può ricordare”. Il
cervello è un sistema dotato di “storia” (cfr. § 7 in Vitiello 1998a).
6
flussi di ogni altra quantità scambiabile tra A e B), il sistema B si comporta come una copia
del sistema A, nel senso che si comporta esattamente come il sistema A per quanto
riguarda i flussi a patto di invertire il loro verso: infatti quello che è in ingresso per A, è in
uscita per B, e viceversa. Chiaramente, invertire il verso dei flussi è equivalente a
scambiare A con B, o viceversa. Poiché tecnicamente il verso del flusso si inverte
cambiando il segno della variabile tempo, possiamo dire che B si comporta come la copia
di A per la quale sia stato invertito il verso del tempo (la time-reversed copia di A).
Riassumendo, B è il sistema che descrive l’ambiente per quanto concerne il bilanciamento
del flusso energetico di A ed esso è anche l’immagine speculare di A nello specchio del
tempo (la time mirror image di A): esprimiamo questo fatto dicendo che B è il Doppio di A.
Nel caso del cervello, un modello matematico che tenga conto del fatto che esso è un
sistema aperto non può dunque prescindere dal considerare il suo Doppio. Questo accade
appunto nel modello dissipativo quantistico del cervello e l’apparato matematico che
incorpora il Doppio ci fornisce delle interessanti sorprese.
Innanzitutto il bilanciamento energetico E(A) - E(B) = 0 (qui A denota il cervello e B il suo
Doppio), equivale alla relazione N(A) - N(B) = 0, dal momento che E(A) ed E(B) denotano
le energie dovute al numero dei quanti (DWQ) N(A) e N(B) di A e di B, rispettivamente,
condensati nello stato fondamentale di (A,B), cioè E(A) = Ω N(A), E(B) = Ω N(B), con Ω
l’energia del singolo quanto. Questa relazione, che descrive il bilanciamento energetico tra
A e B, è ricca di significati. Ad esempio essa ci dice che N(A) e N(B) possono certo
variare, a patto tuttavia che queste variazioni si compensino. Lo stato fondamentale del
complessivo sistema (A,B) deve essere cioè il condensato di un ugual numero di quanti
riferibili al sistema A e al sistema B, cosicché il matching N(A) = N(B) valga in ogni istante
di tempo nella “storia” del sistema A (ci mettiamo dal punto di vista del “soggetto”, il
cervello; ma potremmo benissimo assumere il punto di vista di B, il “mondo là fuori”).
Tornerò più avanti su questo continuo “aggiornamento” di A in interazione con B alla
ricerca dell’equilibrio dinamico rappresentato dal costante bilanciamento energetico.
Altra conseguenza della relazione N(A) - N(B) = 0 è che essa non fissa né il valore di
N(A) né quello di N(B). Impone solo che siano uguali. Esiste dunque una infinità di valori
per N(A), e corrispondentemente per N(B), per i quali la nostra relazione è soddisfatta. In
corrispondenza di questi (infiniti) valori esistono altrettanti stati fondamentali di (A,B) da
essi indicizzati, ciascuno ortogonale all’altro (tecnicamente si dice che sono unitariamente
inequivalenti). La relazione di bilanciamento dunque non determina né N(A) né N(B). Essa
tuttavia ha profonde conseguenze: innanzitutto ci dice che siamo costretti ad usare una
teoria che ammetta infiniti stati fondamentali. Una tale teoria è la teoria quantistica dei
campi e non può essere la meccanica quantistica (lo vieta un celebrato teorema che va
sotto il nome di teorema di von Neumann (von Neumann 1931; 1955; Umezawa e Vitiello
1985)). Ci dice inoltre che, essendo il valore di N(A) legato alla densità di condensazione
ed esprimendo quindi il codice associato ad una certa memoria, abbiamo ora (grazie al
formalismo dissipativo!) la possibilità di associare uno stato fondamentale individuato da
ognuno di questi molteplici (in principio infiniti) valori di N(A) alla corrispondente memoria:
abbiamo cioè una immensa capacità di memoria! La dissipazione è la radice della
soluzione del problema della capacità di memoria dell’originale modello quantistico del
cervello. Il fatto che questi stati fondamentali sono tra di loro ortogonali garantisce che non
ci sono interferenze o “confusioni” tra memorie. Tuttavia, una ortogonalità non perfetta,
indotta per esempio da effetti realistici trascurati in prima approssimazione, quali effetti di
volume finito (effetti di bordo), permette una salutare (come sappiamo!) “associazione” di
memorie,6 o anche di “errori” nel ricordare. Evidentemente un eccesso in tale direzione
6 Sono certamente utili quelle “associazioni” di memoria che ci permettono di “ricostruire” un ricordo
passando di “memoria in memoria” come per un sentiero mentale, appunto attraverso la “collezione” degli
stati di memoria del nostro cervello. Una eccessiva “rigidità” nell'ortogonalità tra tali stati renderebbe
7
denota una patologico “stato di confusione” tra le memorie. Paradossalmente, sono
proprio questi “difetti” (rispetto ad una ideale perfezione matematica) del modello
dissipativo che lo rendono flessibile ed utile per descrivere una varietà di situazioni
realistiche.7
Il confronto con le osservazioni sperimentali (Freeman e Vitiello 2006-2008b) mostra che
il modello dissipativo spiega la formazione e la coesistenza di configurazioni di oscillazioni
coerenti, il loro succedersi nel tempo come sequenze cinematografiche, le singolarità nella
fase (vortici) che si presentano nella transizione tra configurazioni AM, e molti altri dettagli
nella dinamica cerebrale in relazione al comportamento del “soggetto” coinvolto (engaged)
nell’accoppiamento con l’ambiente in cui si trova (“il suo mondo”).8 La formazione di
ciascuna configurazione è resa possibile attraverso la rottura spontanea della simmetria
indotta dallo stimolo esterno, la loro molteplicità è permessa dalla esistenza dei molteplici
(infiniti) stati fondamentali della QFT, la loro coesistenza dal fatto che questi stati
fondamentali sono tra di loro ortogonali, il loro succedersi nel tempo dalla dinamica
dissipativa. La dissipazione gioca così un ruolo fondamentale in quanto dà accesso alla
molteplicità degli stati fondamentali della QFT. Infine, le singolarità nella condensazione
dei DWQ descrivono strutture vorticose osservate nelle transizioni da configurazione a
configurazione (Freeman e Vitiello, 2008b).
4. L’essere-nel-mondo e l’arco intenzionale
La dissipazione è dunque una caratteristica intrinseca della dinamica del cervello. La
nostra stessa corporeità si concretizza nella ineliminabile dimensione dell’esperienza
(Desideri 2004), il nostro essere-nel-mondo (to-be-in-the-world) è ineluttabilmente
soggetto al vincolo percettivo, immerso in una rete di scambi, di traffici, che da un lato si
realizza in una dimensione di ascolto (Desideri 1998), dall’altro in un costante riferire a sé,
in una continua ri-composizione del soggettivo e dell’oggettivo, nello stesso fluire della
percezione della corporeità (emozioni), nella non-risolubile, sebbene cangiante, unità col
proprio Doppio. Come vedremo nel seguito, in questa tensione nell’aggiornare un
equilibrio mai definitivo trova la sua radice l’intenzionalità che caratterizza il nostro fare, nel
certamente meno efficiente la “ricerca” dell'informazione da richiamare, richiederebbe stimoli di richiamo ben
più robusti di quanto normalmente sperimentiamo (la ricerca a mezzo computer di un numero telefonico è
notoriamente un'impresa disperata quando una banale variazione sia introdotta nel nome dell'utente cercato.
Ben diversa è la situazione nella ricerca “fatta a mano” sull'elenco vecchia maniera che non esclude la
considerazione, paziente e giudiziosa, di possibili “distorsioni” del nome cercato) (cfr. § 7 in Vitiello 1998a).
7 Un altro vantaggio dell’”imperfezione” del sistema realistico descritta dal modello dissipativo consiste nel
fatto che gli stati di memoria sono di “quasi” minima energia (per effetti di bordo). Questo, pur assicurando
ancora una vita media lunga della memoria, richiede tuttavia la spesa di un'energia non nulla nel registrare e
nel richiamare un'informazione, il che ci induce a “selezionare” le informazioni da registrare (che incubo
sarebbe essere condannati a “ricordare tutto”!) e ci evita di essere travolti da un flusso ininterrotto di ricordi;
anche se talvolta ci richiede uno “sforzo” per ricordare. Poiché il processo di selezione delle informazioni da
ricordare implica una loro valutazione da parte nostra (ricordiamo quello che vale la pena ricordare!),
l’insieme dei ricordi riflette la nostra scala di “valori”, la nostra stessa identità (cfr. § 7 in Vitiello 1998a).
8 È interessante chiedersi se c’è e in caso positivo quale sia la relazione tra il Doppio implicato dalla
dinamica dissipativa del cervello e l’esistenza dei ‘neuroni specchio’ (mirror neurons) scoperti dal gruppo di
Parma (Rizzolati e Craighero 2004). Il comportamento osservato dei neuroni specchio ha ragion d’essere
solo in quanto il cervello è un sistema aperto. È inoltre interessante che lo stesso neurone specchio si attivi
sia quando il soggetto osserva un altro agente eseguire una certa operazione, sia quando il soggetto esegue
egli stesso quella data operazione.
8
tentativo di dare un significato al nostro “essere nel mondo” in una specifica situazione, di
avere cioè “la massima presa” su di esso (Merleau-Ponty 1945).
Poiché gli stati di memoria sono stati fondamentali, cioè di minima energia, la dinamica
interna attivata sotto l’azione dello stimolo esterno procede verso questo stato come verso
un “attrattore”, cosicché in un dato momento della sua storia lo stato complessivo del
cervello, la collezione di tutti questi stati di memoria, appare come un “paesaggio
punteggiato da attrattori” (attractor landscape). Un nuovo input, trascurando dettagli
dell’informazione non essenziali in un processo di astrazione, seleziona uno stato
fondamentale dalla molteplicità degli stessi resi disponibili dalla struttura della QFT (grazie
alla dissipazione) inducendo in esso tramite la RSS la condensazione di quanti di NG. In
altri termini, un nuovo attrattore viene a formarsi con il corrispondente bacino di attrazione
in un processo di generalizzazione che individua la categoria cui lo stimolo appartiene. Nel
collocarsi nel ‘paesaggio’ preesistente il nuovo attrattore non può non esserne
condizionato e non provocarne, al tempo stesso, una riorganizzazione: da questo
processo di rearrangement del paesaggio degli attrattori emerge il significato, che quindi
non appartiene all’input, che in sé stesso è privo di senso, ma appartiene al contesto (al
ridisegnato paesaggio degli attrattori) in cui l’esperienza percettiva si colloca.
L’apprendimento consiste in questo processo di aggiornamento del paesaggio degli
attrattori preesistente, che a sua volta riassume in sé il significato delle anteriori
esperienze percettive. In questo processo il flusso di informazioni scambiato nella
relazione comportamentale col mondo diventa conoscenza. Questa comporta una
prospettiva, misura l’esperienza accumulata in esperienze percettive passate e crea
aspettative che orientano il soggetto in quelle future, nella ricerca mirata, intenzionale, di
situazioni esperienziali soddisfacenti (come ad esempio nella ricerca di cibo lì dove lo si è
trovato in passato). Il nostro fare ne risulta dunque condizionato e al tempo stesso esso
verifica l’attendibilità delle aspettative, mettendo così alla prova (‘sperimentale’) la
credibilità stessa della conoscenza. L’“arco intenzionale” (Merleau-Ponty 1945) che così si
chiude appare come la manifestazione dell’arco azione-percezione descritto in neurologia
(Freeman 2001).
Il paesaggio di attrattori si presenta dunque come la realizzazione della
contestualizzazione dell’esperienza nel suo complesso sempre nuova del cervello aperto
sul mondo. Questo processo di contestualizzazione costituisce uno dei tratti più salienti del
modello dissipativo quantistico del cervello. Esso descrive in modo fedele le osservazioni
di laboratorio in cui il soggetto esaminato, animale o uomo, reagisce alle situazioni in cui
viene a trovarsi in modo non meccanicistico, come invece farebbe un computer che
acquisisce nuovi dati e li aggiunge al catalogo di quelli già posseduti senza modificare
questi ultimi, semplicemente aumentando la quantità di informazioni registrate, senza
riuscire a produrre un contesto, pur creando nessi tra di esse come prescrive un modello
associativo. L’osservazione mostra, ed è esperienza comune, che il cervello non
acquisisce mai una nuova informazione senza inquadrarla in un contesto: il rosso del
semaforo non è il rosso della copertina del libro sul mio tavolo, anche quando si tratta,
come riscontrerebbe il mio computer, dello stesso rosso dal punto di vista fisico (la stessa
composizione spettrale, in termini di frequenze o lunghezze d’onda caratteristiche di quel
rosso). Osservo per inciso che questo della contestualizzazione è uno dei problemi più
difficili da affrontare ed è attualmente irrisolto nel programma di studio dell’intelligenza
artificiale (Freeman 2001; Dreyfus 2007).
Riassumendo, il cervello rimette in discussione in ogni suo atto percettivo tutto il suo
assetto esperienziale, ridisegna tutto il paesaggio di attrattori. L’evoluzione nel tempo dello
stato complessivo del cervello attraverso il formarsi, il coesistere, il dissolversi, il
succedersi, appunto come in una sequenza cinematografica, delle configurazioni di
oscillazioni neurali coerenti è descritta come una traiettoria che minimizzando l’energia
9
libera definisce un percorso nel paesaggio degli attrattori che talvolta si attarda in uno di
questi, subendone appunto l’attrazione; sempre, tuttavia, tentando di evadere da esso,
evitando di restarvi intrappolato, in una tensione dinamica costante verso il
raggiungimento del bilanciamento dei flussi alla frontiera mente/mondo, interno/esterno.
Nel modello dissipativo questa frontiera è realizzata come “ponte” non barriera, dialogo
continuo tra il soggetto e il suo Doppio, in uno sforzo incessante ed inevitabile di
aggiornamento di entrambi. È in questo dialogo tra il sé e il Doppio, in questo entre-deux,
che probabilmente ha sede l’atto della coscienza (Vitiello 1995; 2001), fatto di solo
presente, di frontiera appunto (Vitiello 2001; 2004a).9
È interessante notare come nel modello dissipativo i percorsi nel paesaggio degli
attrattori che esprimono questa ricerca di equilibrio nel nostro essere nel mondo hanno il
carattere di traiettorie classiche. La natura quantistica della dinamica si manifesta così in
termini classici quando si consideri l’insieme degli stati del cervello. Questi percorsi sono
inoltre estremamente sensibili alle variazioni delle condizioni di partenza individuate dalla
nostra esperienza, dal nostro percepire il mondo in quello specifico momento. Il modello
dissipativo mostra infatti che essi sono percorsi caotici (Vitiello 2004b; Pessa e Vitiello
2003; 2004). Questa caoticità, da un lato rende possibile una elevata capacità risolutiva,
un elevato potere di discernimento tra percorsi divergenti (con legge esponenziale, come
prevede il loro essere caotici (Hilborn 1994)) e corrispondenti quindi a “ricerche” diverse;
dall’altro apre uno scenario fortemente attraente sull’errare e il pensare (Minati e Vitiello
2006),10 sul ruolo di piccole fluttuazioni percettive e il dischiudersi di orizzonti totalmente
nuovi (divergenti) rispetto a quelli attesi sulla base di esperienze precedenti. Forse sono
questi aspetti del modello quelli che descrivono la novità, la sorpresa, la dimensione dello
stupore associata al vedere d’un tratto, inaspettato (Vitiello 2004a; 2006; cfr. n. 9).
Probabilmente, alla possibilità offerta dalla fluttuante, non sempre univocamente definita
dimensione percettiva grazie a gradi di libertà, seppur minimi, nei vincoli percettivi11 è da
attribuirsi la genesi stessa dell’immaginazione ed il suo ruolo attivo nel determinare
traiettorie nello spazio degli attrattori alle quali corrispondono paesaggi diversi, un vedere
diverso (Desideri 2007). Per questa via il modello dissipativo, e le stesse osservazioni di
9 L’aggettivo latino conscius ha il suo corrispondente greco in σϋνειδώς che enfatizza il vedere assieme e
immediato. Il Doppio è il ‘testimone’, e anche il ‘confidente’, il ‘complice’. Questo vedere assieme e
immediato sottolinea l’indiscernibile unità del sé/Doppio, dove l’atto di coscienza diventa non suscettibile di
essere risolto in passi razionali o imbrigliato in strutture logiche e cognitive come quelle linguistiche (un atto
inconoscibile). La proiezione progettuale resta frammentata nel flusso delle emozioni. L’immagine è quella di
Sartre (1948): «l’esistenza mi penetra da tutte le parti, dagli occhi, dal naso, dalla bocca (…). E d’un tratto,
d’un sol tratto, il velo si squarcia, ho compreso, ho visto». Lo stupore, la sorpresa di questo vedere è tanto
maggiore perché esso è d’un tratto, non mediato, non anello preceduto da anello in una successione logica
di passi, non pre-visto e non pre-vedibile, preceduto solo dal non-vedere, dal velo non ancora squarciato,
dalla ‘cecità’ (blindness). Un presente che (ri-)assume in sé il passato, ma non è da questo univocamente e
deterministicamente determinato, come appunto è ogni atto di coscienza (Vitiello, 2004a; 2006). L’atto di
coscienza si presenta infatti completamente autonomo, infedele, inattendibile e impredicibile, inaffidabile.
Probabilmente, se mai sarà possibile costruire una macchina dotata di coscienza, essa dovrà avere in sé «il
meglio del modello umano: un pensare imprevedibilmente erratico, capace di imparare, ma infedele, sempre
dubbioso, sospettoso, totalmente radicato nel mondo, ma irriducibilmente libero. E la si dovrà chiamare
Spartaco (Vitiello 2004a).
10 Sono grato ad Arkady Plotnitsky per stimolanti conversazioni sull’errare e il pensare.
11 Desideri (Desideri 2007) individua tre gradi di libertà all’interno del vincolo percettivo suscettibili di
fluttuazioni associate in qualche misura alla inadeguatezza, alla fluidità o alla frammentazione degli stimoli
sensoriali rispetto alla vastità del mondo in cui il soggetto è immerso. In tale connessione si ricorda che nel
modello dissipativo gli stati di memoria sono stati coerenti “squeezed”, per i quali, cioè, l’incertezza (o
varianza) sulle “coordinate coniugate” (gradi di libertà) che li specificano può subire variazioni controllate da
trasformazioni che ne preservano il prodotto (Vitiello 1995).
10
laboratorio con cui concorda, accoglie il punto di vista secondo il quale l’esperienza
estetica «si presenta come una dimensione che permea l’intero campo della nostra
esperienza (e la trama percettiva che ne configura il “paesaggio”)» (Desideri 2007). Quella
estetica non sarebbe quindi una esperienza in qualche modo ‘particolare’, né
un’esperienza qualsiasi, ma un’esperienza che guardando in se stessa, riconosce «il
perfetto scambio tra interno ed esterno», una «connessione favorevole» tra «me e
l’oggetto» e nel prenderne atto si determina nel giudizio estetico che «implica sempre la
prima persona» (Desideri 2007). Il bello è il mio bello. Il percorso nel paesaggio di attrattori
è determinato dalle sue specifiche condizioni iniziali. In questo senso queste sono gravide
di senso (Desideri 2007), in esse è anticipato, per così dire, il percorso nel suo evolversi
ed esse definiscono quindi un orientamento, quello di «gettare un nuovo sguardo sul
mondo», non estraneo, anzi concorrente con la dimensione cognitiva.12 Il determinismo
del percorso attribuisce il carattere dell’inconfutabilità a questo vedere diverso, che quindi
non rappresenta una credenza, una ipotesi che possa essere discussa e dimostrata falsa
(Desideri 2007): l’emozione estetica non è un opinione; il percorso che le compete, nato
da impalpabili fluttuazioni percettive, quindi per loro natura imprevedibili, è divergente da
ogni altro percorso nella dinamica caotica del paesaggio degli attrattori. Per questo
l’esperienza estetica è sempre nuova, eversiva rispetto al consolidamento, per altro
sempre disatteso, di paesaggi già esplorati. Essendo l’equilibrio dei flussi, di cui essa è
espressione e di cui si compiace, mai definitivo perché dinamico, l’orientamento che essa
esprime «attende sempre di venir rinnovato» (Desideri 2007). Da qui una tensione che
conferisce all’esperienza estetica una ‘valenza performativa’ nell’arco intenzionale, che
indirizza verso una ‘risposta emotiva’ all’esperienza percettiva da cui nasce.
5. Io e il mio Doppio
Nella sua dinamica intrinsecamente dissipativa, il cervello è permanentemente allacciato
(entangled) con l’ambiente. Nel dialogo, talvolta nel conflitto tra il sé e il Doppio si sviluppa
la dinamica del sapere, del comprendere, del sentire, del vivere. Le influenze reciproche,
dell’uno sull’altro, richiedono un aggiornamento continuo del loro rapporto. Ciascuno di
essi è esposto allo sguardo dell’altro. Significative sono in proposito le “riflessioni” (del
Doppio!) che seguono (Borges 1996):
È all'altro, a Borges, che accadono le cose (…). Sarebbe esagerato affermare che fra noi c'è ostilità; io
vivo, io mi lascio vivere, perché Borges possa tramare la sua letteratura e quella letteratura mi giustifica
(…). Del resto, io sono destinato a perdermi, definitivamente, e solo qualche istante di me potrà
sopravvivere nell'altro (…). Spinoza capì che tutte le cose vogliono perseverare nel loro essere; la pietra
eternamente vuole essere pietra e la tigre una tigre. Io resterò in Borges, non in me (ammesso che io sia
qualcuno) (…). Qualche anno fa ho cercato di liberarmi di lui passando dalle mitologie dei sobborghi ai
giochi col tempo e con l'infinito, ma quei giochi ora sono di Borges e io dovrò ideare altre cose. Così la mia
vita è una fuga e io perdo tutto e tutto è dell'oblio, o dell'altro.
Non so chi di noi due scrive questa pagina.
Bibliografia
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12 A proposito dell’essere l’esperienza estetica non disgiunta dalla dimensione cognitiva e a proposito del
ruolo giocato dall’immaginazione è interessante notare come Diodato (Diodato 1997), ponendosi all’interno di
un’ottica spinoziana, individui un nesso tra l’estetica e la “scienza intuitiva”, “conoscenza di natura estetica
(…) al tempo stesso corporea e mentale”.
11
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