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FARMACI ORIGINALI E FARMACI GENERICI: OSSERVAZIONI FARMACOLOGICHE, CLINICHE E CONSIDERAZIONI MEDICO-LEGALI CIRCA L’APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA

Authors:
  • University of Palermo

Abstract and Figures

In the last decade the development of the market for off-patent products, has enabled significant results from the point of view of the containment of pharmaceutical expense and overall National Health Service costs . However despite a fundamental public money- saving it is necessary to examine and address some pressing issues such as substitution, bioequivalence, therapeutic equivalence and post-marketing observations, in order to give as much as complete information on generic drug use. Generic drugs are chemically equivalent to their brand-name counterparts in terms of active ingredients but may differ in peripheral features, such as pill color or shapeinert binders and fillers, and the specific manufacturing process. Generic drugs mustdemonstrate to be “bioequivalent” to the respective branded compounds, butsometimes this experimental bioequivalence does not correspond to therapeuticalequivalence. Numerous studies have evaluated differences in clinical outcomes withgeneric and brand-name medications. This could help physicians to pay attention ongeneric substitution especially when drugs with narrow therapeutic index areinvolved.
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04/09/2012,
Farmaci originali e generici: appropriatezza prescrittiva - Parte 1
FARMACI ORIGINALI E FARMACI GENERICI: OSSERVAZIONI FARMACOLOGICHE,
CLINICHE E CONSIDERAZIONI MEDICO-LEGALI CIRCA L’APPROPRIATEZZA
PRESCRITTIVA. (Parte 1)
Carla Cannizzaro°, Fulvio Plescia° e Salvatore Cocuzza*
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute G. D’Alessandro,
Divisione di
Farmacologia, Università di Palermo
Responsabile UOC medico-legale INPS di Caltanissetta
Key words : generics, bioequivalence, substitution, post-marketing studies,
INTRODUZIONE
L’innalzamento della spesa sanitaria pubblica ha comportato lo sviluppo di differenti
strategie di contenimento dei costi che vedono nell’introduzione sul mercato dei
farmaci generici uno degli strumenti più visibili oltre che socialmente e politicamente
convenienti.
Tuttavia, nonostante l’abbassamento dei costi relativo a questa voce, innegabilmente
vantaggioso, il bilancio complessivo dell’ingresso dei farmaci generici sul mercato
deve tener conto di altri aspetti che, benché di cruciale importanza, sono stati poco
approfonditi primo fra tutti quello dell’appropriatezza clinica e conseguenzialmente
la problematica medico-legale che il loro impiego può comportare per chi li prescrive
e per chi li dispensa.
Questo lavoro è tratto dai numerosi convegni tenuti dagli Autori a diverse categorie di
sanitari (medici e farmacisti), tra cui il III congresso regionale ARCA (Giardini-
Naxos ottobre 2010) durante il quale è stata dedicata un’intera sessione alla
discussione delle tematiche suddette.
SUMMARY
In the last decade the development of the market for off-patent products, has enabled
significant results from the point of view of the containment of pharmaceutical
expense and overall National Health Service costs . However despite a fundamental
public money- saving it is necessary to examine and address some pressing issues
such as substitution, bioequivalence, therapeutic equivalence and post-marketing
observations, in order to give as much as complete information on generic drug use.
Generic drugs are chemically equivalent to their brand-name counterparts in terms of
active ingredients but may differ in peripheral features, such as pill color or shapeinert
binders and fillers, and the specific manufacturing process. Generic drugs
mustdemonstrate to be “bioequivalent” to the respective branded compounds,
butsometimes this experimental bioequivalence does not correspond to
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therapeuticalequivalence. Numerous studies have evaluated differences in clinical
outcomes withgeneric and brand-name medications. This could help physicians to pay
attention ongeneric substitution especially when drugs with narrow therapeutic index
areinvolved.
ORIGINALI” E “GENERICI” – CARATTERISTICHE
FARMACOLOGICHE E FARMACOCINETICHE
Secondo definizione della World Health Organization (WHO) un prodotto generico è
“un prodotto farmaceutico multi source il cui principio attivo non è più coperto da
brevetto; intercambiabile con il prodotto innovatore (prodotto di marca), avente la
stessa composizione quali-quantitativa in termini di principio attivo, stessa forma
farmaceutica e stessa via di somministrazione”(1). Per la sua immissione in
commercio è però necessario dimostrare che il prodotto sia in grado di rispondere ad
alcuni requisiti e in particolare: essere bioequivalente alla formulazione già
autorizzata, avere la stessa composizione quali-quantitativa di principi attivi, avere la
stessa forma farmaceutica, possedere le stesse indicazioni terapeutiche ed essere
prodotto secondo le norme di buona fabbricazione (2).
Le suddette caratteristiche vengono valutate secondo diversi livelli di equivalenza che
garantirebbero l’equivalenza terapeutica ovvero la sovrapponibile efficacia, rispetto
al composto di riferimento. I criteri a cui rispondere sono:
1) l’equivalenza farmaceutica;
2) l’equivalenza in vitro;
3) la bioequivalenza;
4) l’equivalenza terapeutica
Deve essere però specificato che per alcune classi di composti quali compresse a
cessione standard, elevata solubilità, assorbimento intestinale, e indice terapeutico
elevato, non è necessario dimostrare le ipotesi 3 e 4, bioequivalenza ed equivalenza
terapeutica, poichè i primi due criteri sono ritenuti sufficienti ai fini della
dimostrazione di equivalenza terapeutica.
Il primo parametro da verificare è dunque l’equivalenza farmaceutica, ovvero la
presenza delle stesse caratteristiche fisico-chimiche; a questo proposito la WHO nel
2005, non specifica tra equivalente farmaceutico e alternativa farmaceutica, purché
entrambi i composti diano effetti essenzialmente simili.
Un farmaco generico quindi, pur contenendo la stessa quantità molare dei principi
attivi, può essere composto da differenti sali o esteri. E’ d’obbligo sottolineare però
che qualsiasi sostituente chimico del principio attivo influenza inevitabilmente le
caratteristiche della molecola, influenzando parametri determinanti la sua attività
quali per esempio la solubilità (un facile esempio è dato dall’acido salicilico e dal
salicilato sodico ben più solubile di 100 volte)
Considerazioni analoghe possono essere fatte per gli eccipienti o composti inerti: le
autorità regolatorie non dettano norme particolari, ma chiedono che siano
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“generalmente riconosciuti come sicuri”, e che il rapporto tra la massa totale degli
ingredienti inerti ed il principio attivo sia uguale a quello del prodotto di marca. In
realtà, gli eccipienti all’interno di una formulazione farmaceutica, nonostante
l’assenza di attività biologica intrinseca, sono in grado di provocare variazioni
sostanziali nelle proprietà della formulazione farmaceutica stessa, alterando le
caratteristiche del principio attivo, dall’assorbimento alla biodisponibilità nel sito
d’azione.
Un esempio evidente di tale fenomeno è stato riportato in letteratura, in uno studio
condotto sulla biodisponibilità plasmatica della fenitoina, comparando due differenti
formulazioni, che differivano per un eccipiente: solfato di calcio al posto del lattosio
(Fig. 1).
Fig 1
Resta comunque da sottolineare che benché generalmente ritenuti sicuri, gli eccipienti
non sempre risultano intercambiabili tra loro. I dolcificanti per esempio presentano
controindicazioni per alcune categorie di pazienti come l’aspartame per pazienti che
presentano fenilchetunuria. La presenza di glutine nella formulazione è una
controindicazione importante nel caso di pazienti celiaci. E la sostituibilità tra
farmaci, generici e non, deve assolutamente tener conto anche della natura degli
eccipienti. La sostituzione di un prodotto conosciuto e utilizzato da un paziente con
un generico mai utilizzato prima, potrebbe indurre gravi eventi avversi, come reazioni
anafilattiche proprio per la diversità degli eccipienti.
Al di là delle prove in vitro, la sostituibilità di un farmaco originale con un generico, ,
passa attraverso la dimostrazione dell’assenza di ogni significativa differenza nella
disponibilità del principio attivo rilasciato dalla forma farmaceutica, attraverso
l'assorbimento nella circolazione sistemica, nel sito d’azione, quando il farmaco di
riferimento (o di marca) e il farmaco test, sono somministrati alla medesima
concentrazione e nelle medesime condizioni (1). Deve essere dunque dimostrata la
bioequivalenza. Ricordiamo che fanno eccezione i farmaci ad elevata solubilità
riprodotti nella stessa forma farmaceutica, per i quali non sono necessari gli studi di
bioequivalenza per ricevere l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), ma sono
sufficienti le prove di dissoluzione in vitro.
La bioequivalenza viene calcolata in funzione di tre parametri farmacocinetici
registrati dopo singola somministrazione del farmaco: la concentrazione massima che
il farmaco raggiunge nel plasma (Cmax), il tempo necessario per raggiungere tale
concentrazione (Tmax), l’area compresa sotto una curva di un grafico cartesiano che
rappresenta l’andamento temporale della concentrazione plasmatica del farmaco
nell’organismo (AUC)(Fig. 2).
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Fig. 2
La legislazione attuale prevede che un farmaco generico X, per ricevere
l’autorizzazione ad essere immesso in commercio (AIC) deve mostrare valori simili
nei parametri Cmax, Tmax, e AUC, rispetto a quelli registrati per il farmaco di
riferimento Y; tali parametri possono variare dal’80% al 125%, con un intervallo di
confidenza del 90% tra 0,8 e 1,25 rispetto all’unità rappresentata dal farmaco
originale (Fig 3).
Fig. 3
Gli studi di bioequivalenza, vengono eseguiti secondo un disegno sperimentale crossover
che prevede un campione di soggetti sani (numero minimo ammesso 24) che
deve soddisfare rigorosi requisiti di idoneità: sesso maschile, età compresa tra 18 e 55
anni, massa corporea normale, non fumatori, avere una dieta controllata, non esporsi
a terapie farmacologiche concomitanti o tossicodipendenze. L’uniformità del
campione serve a prevenire eventuali variazioni dei parametri farmacocinetici tra
individui. Tale campione viene diviso in due sottogruppi i quali riceveranno in tempi alterni
un'unica somministrazione del farmaco generico e del farmaco di riferimento,
intercalate da un intervallo o periodo di wash-out di 3 settimane. Questa modalità
sperimentale ha lo scopo di ridurre al minimo la variabilità farmacocinetica intraindividuale.
E’ piuttosto evidente che la scelta di un campione così selezionato, la sua scarsa
numerosità, le procedure di somministrazione dei farmaci in forma acuta, poco
rispecchiano le reali caratteristiche di una terapia. È pertanto presumibile che forme
farmaceutiche giudicate bioequivalenti in volontari sani selezionati, potrebbero non
essere bioequivalenti in sottogruppi di pazienti (es: farmaci con elevata variabilità
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inter-individuale del profilo farmacocinetico) (3,4, 5, 6,7,8).
Inoltre appare fortemente rilevante che, sebbene il range di variabilità accettato per la
biodisponibilità di un farmaco generico rispetto al farmaco originale sia di circa un ±
20%, tale finestra può arrivare al 40% , se vengono confrontati due generici agli
estremi dell’intervallo di confidenza. Qualora fosse attuata una sostituzione tra questi,
i due farmaci non sarebbero dunque né bioequivalenti, né tantomeno
terapeuticamente equivalenti.
In realtà l’unico strumento disponibile per valutare l’equivalenza terapeutica è
rappresentato da osservazioni di farmacovigilanza. Queste sono obbligatorie per i
farmaci di marca, rappresentando la fase 4 della sperimentazione, laddove non
esistono specifici programmi di vigilanza post-marketing per i generici, eccetto che
dopo segnalazioni ricevute dagli organismi competenti.
Così è accaduto per esempio nel Marzo 2010, laddove l’ Agenzia Europea dei
Medicinali (EMEA) ha raccomandato il ritiro dei lotti di 8 versioni del generico di
clopidogrel prodotte in uno stabilimento indiano e commercializzate in alcuni paesi
europei nei quali il brevetto del farmaco è già scaduto. La decisione è stata presa a
seguito di un'ispezione nel corso della quale sono stati riportati dati sulla scarsa
qualità della produzione.
Nel 2008 è stato pubblicato uno studio su 8 formulazioni generiche contenenti l’
enalapril maleato rispetto al prodotto originale in cui i profili di dissoluzione in vitro
dei prodotti generici sono risultati significativamente differenti rispetto a quello del
farmaco di marca, soprattutto a causa di fenomeni di degradazione del principio
attivo (11).
Un ulteriore esempio è rappresentato da uno studio condotto sulle proprietà
farmaceutiche del carvedilolo di marca rispetto al generico (compresse
da 6,25-12,5-25 mg); sono state analizzate 35 formulazioni generiche, prodotte da 20
ditte, vendute in 19 Paesi. I risultati dello studio hanno mostrato: quantità di principio
attivo non corretta (n=3), presenza di impurità in eccesso (n=1), durezza non
conforme allo standard (n=11), profilo di dissoluzione in vitro non equivalente (n=9)
(12 ).
L'Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA) ha revocato con effetto immediato le
autorizzazioni per l'immissione in commercio di 14 preparati a base di omeprazolo,
prodotti da 7 differenti ditte farmaceutiche, perché "gli studi di bioequivalenza presentati a
supporto delle domande di AIC per i medicinali in oggetto, non sono stati
condotti in conformità alle vigenti norme e non hanno rispettato i principi e le linee
guida delle Norme di buona pratica clinica (GCP); pertanto i relativi risultati non
sono affidabili". La decisione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 17
dicembre 2009 e riguarda le confezioni di omeprazolo da 14 compresse rigide da 10 e
20 mg.
La sostituzione di alcuni antiaritmici con farmaci generici, ha comportato recidive e
decesso; malgrado fosse stata riportata la bioequivalenza, i farmaci coinvolti non
risultavano equivalenti dal punto di vista terapeutico (3).
Allo stesso modo diversi studi canadesi e americani su farmaci antiepilettici di
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vecchia e nuova generazione, originali e generici, hanno mostrato una differenza
nell’efficacia terapeutica, con recidive e tossicità. che ha portato le società
scientifiche a suggerire l’utilizzo dei farmaci antiepilettici solo nella forma originale.
Il British National Formulary, consiglia la prescrizione del Diltiazem idroclorato,
Nifedipina e Teofillina solo nella forma Branded .
Sebbene variazioni nella bioequivalenza non siano sempre correlate a conseguenze
significative e gravi per i pazienti, per farmaci con ampia finestra terapeutica e da
assumere occasionalmente, per altre classi di farmaci, con ristretta finestra terapeutica
o cinetica non lineare, come cardiovascolari, anticonvulsivanti, psicotropi,
formulazioni a rilascio modificato, contraccettivi orali a rilascio modificato, terapia
ormonale, risulta necessaria una maggiore accuratezza ed appropriatezza nella
prescrizione.(3).
CONSIDERAZIONI
Occorrerebbe, alla luce delle riflessioni compiute sulle evidenze riportate, rivisitare i
criteri con i quali sono condotti gli studi di bioequivalenza e adeguarli all’utilizzo
nella pratica clinica.
Le azioni principali da intraprendere dovrebbero mirare: alla riduzione dell’ampio
range di bioequivalenza tollerato; alla conduzione di studi attraverso
somministrazioni ripetute (10); all’estensione della numerosità del campione in
soggetti sani, coinvolgendo anche ristrette popolazioni di pazienti; alla realizzazione,
durante la fase post-marketing, di intensi programmi di monitoraggio dell’impiego
dei farmaci generici ed includere i risultati nei dati della farmacovigilanza.
Un’ ulteriore proposta utile potrebbe essere l’adozione nel nostro Paese della lista dei
farmaci generici realmente sostituibili, come già avviene nei paesi anglosassoni
(Orange Book).
Quello che è certo è che la sostituzione tout court dei farmaci originali con i generici,
soprattutto da parte di personale non medico, rappresenta un atto inappropriato e
inaccettabile; essa va ponderata caso per caso, ponendo l’attenzione sul paziente e
sulle caratteristiche della terapia farmacologia. A maggior ragione una poco circostanziata
e consapevole sostituzione tra generici di diversa origine , espone adelevato rischio di
mancata bioequivalenza, che si traduce in un insuccesso terapeutico o fenomeni di
tossicità. A questo proposito, se lo si ritiene opportuno, il medico può
aggiungere alla prescrizione il timbro “non sostituibile”, e preservare così quella
forma di contratto che è rappresentato dal rapporto medico-paziente in cui la cura
della salute pubblica deve comunque rappresentare il fondamento.
PREMESSE MEDICO-LEGALI E RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE
1. Contratto medico-paziente
Il rapporto medico-paziente è a tutti gli effetti un contratto giuridico tra il paziente
bisognoso di cure ed assistenza ed il medico che riveste, nei suoi confronti, una
“posizione di garanzia”, in quanto garante di un bene esclusivo e personale che è
quello della salute, tutelato dalla Costituzione all’articolo 32 (14).
In realtà la gestione della salute di un singolo individuo è nella disponibilità esclusiva
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dello stesso e nessun altro può disporre di essa. Ma poiché il paziente, in genere, non
ha le cognizioni scientifiche per tutelare la sua salute, si affida ad una figura
professionale in grado, tecnicamente, di risolvere il problema. In definitiva, quindi, la
gestione del bene “salute” integra la fattispecie di un comportamento antigiuridico
che tale non risulta se affidato, previo consenso dell’avente diritto, ad una figura
professionalmente capace, riconosciuta dalla Legge, e, sebbene la Costituzione
sancisca l’assoluta e personale “proprietà” della salute, nel contempo assicura al
singolo la cura delle sue malattie garantendo il servizio tramite personale legittimato.
Ne consegue che l’agire medico è condizionato e delimitato in maniera specifica
dalla Legge.
Quest’ultima consente ad altri la gestione della salute dei cittadini a condizione che il
soggetto “gestore” abbia conseguito la laurea in medicina e chirurgia, sia stato
abilitato all’esercizio della professione medica e che sia iscritto presso un albo
provinciale dei medici. Ma non è tutto. La legittimazione, cosiddetta professionale,
necessita del consenso informato del paziente, cioè di quella autorizzazione
particolare che legittima, previa informazione esplicita, il comportamento
antigiuridico stesso. In pratica qualunque medico, pur legittimato, professionalmente
e tecnicamente, a gestire la salute del singolo, non può esercitare tale dovere se non
preventivamente autorizzato da un paziente che deve conoscere le scelte diagnostiche
e terapeutiche che il sanitario vuole applicare.
Il contratto suddetto, inoltre, differisce da un comune contratto d’opera (ad esempio
tra falegname e committente) in quanto l’esito in medicina è oltremodo incerto ed il
sanitario non può assicurare un risultato certo (ad esempio la guarigione), ma è tenuto
ad utilizzare i migliori mezzi della pratica medica corrente. Viceversa, nel contratto
d’opera, l’artigiano si impegna ad ottenere il risultato voluto dal committente che
può, in caso di diverso esito recedere dal contratto, non pagare l’artigiano e magari
richiedere un risarcimento.
Questa anomalia contrattuale nel rapporto medico-paziente si spiega considerando
che la pratica medica è ad esito incerto in quanto risulta ampia la variabilità di
risposta alle cure ed ai trattamenti, limitati sono i mezzi a disposizione, limitate sono
le conoscenze scientifiche ed imprevedibile è l’evoluzione delle malattie.
L’obbligo di utilizzo dei migliori mezzi della pratica medica corrente consiste “…
nell’uso della diligenza medica del buon padre di famiglia…da valutarsi con riguardo
alla natura dell’attività esercitata…” (15) e deve essere attuato con perizia, diligenza,
prudenza e con l’osservanza di Leggi, regolamenti, ordini e discipline del campo
medico. Ecco, quindi, che il contratto medico-paziente trova la sua giusta
collocazione in un ambito ben preciso che esclude la gestione “paternalistica” del
bene salute ma prevede che al centro del rapporto vi sia il paziente tutelato da una
Legge costituzionale.
In caso, quindi, di errata o mancata obbligazione di mezzi e qualora questa abbia
prodotto un danno tangibile alla persona (lesioni o morte) il medico risponde per
colpa e per violazione dell’articolo 32 della Costituzione.
Non sempre, comunque, il danno evidenziato consegue ad una errata obbligazione di
mezzi, in quanto è assai variabile sono la risposta individuale e l’evoluzione delle
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malattie. In questi casi è necessario provare che vi sia un rapporto diretto o indiretto
tra il comportamento commissivo od omissivo del medico ed il danno stesso. In
pratica è necessario che venga provato il nesso di causalità tra l’eventuale
comportamento del medico (considerato errato) ed il danno, compito prettamente
demandato alla medicina legale.
Il nesso di causalità rappresenta il mezzo più importante di prova della colpa
professionale, mancando il quale, seppur presente un danno, questo non può essere
fatto derivare dall’errato comportamento professionale (16). Nella ricerca del nesso di
causalità, ci si imbatte molto spesso in situazioni che da sole interrompono questo
rapporto tra comportamento errato e danno e che da sole sono sufficienti a realizzare
il danno stesso. Esse vengono denominate “concause” ed hanno la caratteristica di
potere agire prima che il danno si realizzi (preesistenti), durante la realizzazione del
danno (concomitanti) o successivamente alla realizzazione del danno (sopravvenute)
(17).
I metodi applicati in sede giudiziaria negli ultimi decenni per acclarare il nesso di
causalità sono stati oltremodo variegati. Nel passato, anche la possibilità di
verificazione di un evento dannoso in ragione del 30% poteva essere sufficiente per
ammettere la colpa professionale in capo al sanitario. Negli ultimi anni, e a partire dal
2002, tramite la sentenza “Franzese” (18), e, successivamente, tramite le numerose
sentenze della Cassazione penale, è stato precisato come non sia da considerare
fondamentale la verificazione statistica di un evento, ma essa, unitamente alla prassi
di comune esperienza, alle circostanze di fatto e all’esclusione di fattori alternativi del
caso in esame, giunge a valorizzare quel criterio di “probabilità logica” che consiste
nell’accertare (oltre ogni ragionevole dubbio) che ipotizzandosi come realizzato dal
medico un corretto e doveroso trattamento profilattico e curativo, impeditivo posteriore o
con minore intensità”.
Ne discende come non è facile provare il nesso di causalità tra comportamento errato
e danno tangibile, ma esso si rinviene solo dopo un’accurata ricerca delle circostanze
del caso clinico in esame e dalle probabilità statistiche di verificazione ad esso
connesse.
Tale metodologia, malgrado l’aumento esponenziale dei processi intentati contro i
medici, rappresenta una salvaguardia ed una garanzia per un processo equo e
razionale stabilendo delle regole che evitino comportamenti speculativi e garantendo
l’operato del medico.
2. La condotta colposa del medico
Il carattere della colpa professionale (mancata obbligazione di mezzi) può dipendere
da imperizia (errata diagnosi, errata scelta della terapia, mancata conoscenza degli
eventi avversi dei farmaci) da negligenza (omissione dell’iter diagnostico o di alcuni
suoi passaggi, omissione nella valutazione degli eventi avversi) o da imprudenza
(scelta farmacologia che privilegi la potenza e quindi l’effetto immediato a scapito
della maneggevolezza nel tempo, non corretta valutazione degli effetti e delle
ricadute delle prescrizioni terapeutiche specie in soggetti con altre patologie).
Nel considerare il carattere della colpa, però, il Legislatore ha operato una grande
distinzione tra imperizia da una parte e negligenza ed imprudenza dall’altra.
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Il comportamento imperito, infatti, afferisce genericamente alla mancata o lacunosa
cultura medica del sanitario che, soprattutto ai giorni d’oggi, non può essere completa
aggiornata. Il medico non può essere onnisciente ma non può non conoscere i
grandi temi della medicina o, comunque, non può non essere a conoscenza di quegli
argomenti che un sanitario con le stesse esperienze e conoscenze culturali deve
conoscere. Tale profilo individua il “professionista medio” cioè quel professionista
che nel proprio campo deve conoscere tutto ciò che la media dei professionisti di pari
cultura ed esperienza devono conoscere. Così, ad esempio, un medico di base non
può non conoscere la diagnosi ed il trattamento del dolore toracico, mentre,
viceversa, potrebbe non essere aggiornato su argomenti di neurochirurgia perché
riservati a personale con altra e più variegata specializzazione. In questo caso
l’ignoranza (cioè l’imperizia) non viene perseguita dalla Legge o viene perseguita in
maniera più mite, non costituendo colpa “grave” per il sanitario. Nello stabilire la
sussistenza di colpa professionale, quindi, il medico deve essere rapportato al
professionista “medio” che è quella figura di sanitario che assume una condotta che la
media dei professionisti, dotati di analoga preparazione, avrebbero adottato nelle
circostanze di tempo, modo e luogo del caso clinico in esame. Quindi, in definitiva, la
colpa deve risultare grave e l’operato del medico inescusabile. Ciò ha dei grossi
risvolti pratici e rappresenta una forma di garanzia per il medico che, in caso
contrario, si troverebbe a rispondere sempre e comunque, di qualunque evento avverso.
A delimitare il giusto comportamento culturale del medico sono state create negli
anni le cosiddette linee guida scientifiche che sono frutto dell’evidenza scientifica del
momento, ma vanno adeguate al singolo paziente, alle condizioni logistiche, alla
disponibilità di mezzi. Sono esse un ottimo strumento di aggiornamento scientifico e
di conoscenza, ma hanno il difetto di fare riferimento a casi standard, non presentano
particolari opzioni in caso di “devianza” dalla media, non tengono conto della
variabilità sia della patologia, dell’età o delle situazioni socio-lavorative, non sono
delle norme perentorie di comportamento scientifico, non possono essere uno
strumento per limitare l’agire medico, ma frutto di evidenze. Nel contempo, però,
delineano la migliore pratica medica e possono essere un mezzo di giustificazione
circa l’operato del sanitario in sede giudiziaria.
Nel caso, invece, dell’imperizia e della negligenza, proprio perché non dipendenti
dalla cultura del medico stesso, ma rappresentando un errore di comportamento, il
Legislatore non specifica la gravità e non lo rapporta a quello del professionista
medio, sanzionando sempre ed in ogni caso l’agire contrario alla Legge.
3. Rapporti tra diverse figure professionali
E’ molto diffusa l’opinione che trasferire per consulto o in cura un paziente presso
uno specialista con competenze specifiche in una determinata disciplina, comporti
non solo il trasferimento della posizione di garanzia, ma anche il trasferimento della
responsabilità.
Non è raro apprendere dalla cronaca di pazienti che vengono dirottati per ambulatori,
laboratori e ospedali al solo fine di realizzare quella che giornalisticamente è
chiamata “medicina difensiva”.
La migliore pratica clinica e l’obbligo di impiegare i mezzi migliori per la cura delle
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malattie più sopra menzionate, prevedono che nella cura delle malattie si possa fare
ricorso a specialisti per un maggior approfondimento diagnostico.
In questo caso si parla di “affidamento di incarico” che vige ogni volta che un
paziente venga affidato da un sanitario ad un altro, specialista in una branca diversa o
con differenti competenze professionali. Ci si chiede, in questo caso, se sussiste
sempre un trasferimento di responsabilità nella diagnosi e cura del paziente stesso.
Il principio di affidamento di incarico sussiste quando lo specialista risponde in
maniera esclusiva solo per errori “settoriali” dipendenti da una conoscenza scientifica
non nota al professionista “medio” di cui si è parlato più sopra. Viceversa non può
parlarsi di affidamento di incarico ma, piuttosto, di “cooperazione multidisciplinare”
allorchè al medico richiedente la consulenza o allo specialista stesso è fatto obbligo di
vigilare su errori evidenti e rilevabili tramite le comuni conoscenze scientifiche
rispondendo in maniera solidale dell’eventuale errore causato.
Per fare un esempio si può verificare il caso di un medico di medicina generale che invii
presso lo specialista cardiologo un soggetto con suggestivi segni e sintomi di
ischemia coronarica. Lo specialista senz’altro proporrà degli accertamenti e
prescriverà una terapia ed il paziente verrà riaffidato al curante. Nel caso di eventi
avversi da farmaci o in caso di evidente episodio anginoso, il medico richiedente la
consulenza non potrà non attivarsi (posizione di garanzia) nei confronti del paziente,
variando se necessario la terapia o seguendo un percorso diagnostico e di cura
diversi. Il medico richiedente la consulenza, in questo caso, non può disconoscere un
grande capitolo della medicina che riguarda la cardiopatia ischemica venendo, così,
catalogato come “professionista medio” e rispondendo in caso di errore in maniera
solidale con lo specialista.
Nell’altra fattispecie di affidamento di incarico “esclusivo” il medico proponente il
consulto non risponde degli errori commessi dallo specialista, nel caso in cui
quest’ultimo ha visitato un soggetto affetto da cardiopatia congenita rara, dovendosi
Egli affidare completamente all’esperienza professionale dello specialista stesso.
Concludendo, si può affermare che molte volte il medico proponente il consulto
condivide con lo specialista la responsabilità del trattamento e dei suoi esiti. Tale
comportamento, quindi, se finalizzato alla deresponsabilizzazione del medico
proponente il consulto (medicina difensiva), non risulta congruo alla situazione né
scevro di rischi giudiziari per il medico.
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14) Art 32 della Costituzione Italiana: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure
gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i
limiti imposti dal rispetto della persona umana”;
15) Articolo 1176 c.c.: “Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la
diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti
all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla
natura dell'attività esercitata”;
16) Articolo 40 c.p.: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla Legge
come reato se l’evento dannoso o pericoloso…non è conseguenza della sua azione o
omissione”;
17) Articolo 41 c.p.: “Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità
quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”;
18) Cassazione Penale, Sezioni Unite n. 30328 del 11 settembre 2002;
19) Saffi E. - XXVI CONGRESSO SIMG - Firenze, 26.11.09;
20) Kesselheim AS, Misono AS, Lee JL, Stedman MR, Brookhart MA, Choudhry
NK, Shrank WH Clinical Equivalence of Generic and Brand-Name Drugs Usedin
Cardiovascular Disease. JAMA 2008; 300(21):2514-2526;
21) Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana - Supplemento ordinario, parte I n. 22
del 20.5.2011;
CORP-1048702-0000-UNV-W-07/2014
FARMACI ORIGINALI E FARMACI GENERICI: OSSERVAZIONI
FARMACOLOGICHE, CLINICHE E CONSIDERAZIONI MEDICO-LEGALI
CIRCA L’APPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA (Parte 2)
Carla Cannizzaro°, Fulvio Plescia° e Salvatore Cocuzza*
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute G. D’Alessandro,
Divisione di Farmacologia, Università di Palermo
Responsabile UOC medico-legale INPS di Caltanissetta
12
Key words: generics, bioequivalence, substitution, post-marketing studies
COMMERCIALIZZAZIONE DEI FARMACI ED APPROPRIATEZZA
PRESCRITTIVA
Schematicamente, il percorso finalizzato al commercio di un farmaco è oltremodo
lungo e laborioso, tenendo in conto che, spesso, una determinata molecola dovrà
essere utilizzata su un gran numero di pazienti e per diversi anni. Ne discende che
rigoroso deve essere l’iter per la sua immissione al consumo di massa che deve essere
vagliato dalle Agenzie nazionali ed europee che presiedono al controllo dei farmaci.
In Europa, l’EMEA (European Agency for the valutation of medical products) ed in
Italia l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), diretta dipendenza del ministero della
Salute, dopo avere vagliato le evidenze scientifiche sulla molecola e dopo le
opportune fasi di sperimentazione, autorizzano le Aziende farmaceutiche a
commercializzare il prodotto obbligandole a depositare la scheda tecnica dello stesso
e ad inserire nella confezione il foglietto illustrativo.
Contemporaneamente il Ministero della Salute inserisce il farmaco tra le classi
terapeutiche del prontuario farmaceutico e, contemporaneamente se necessario, limita
la prescrizione a carico del SSN inserendo le note alla prescrizione stessa.
Le note AIFA sono norme ispirate ai criteri di efficacia clinica, sono diretta
dipendenza delle evidenze scientifiche ma contemporaneamente ispirate da obiettivi
di politica economico-sanitaria e vincolo solo per la dispensazione a carico del SSN.
Da rilevare come esse non possono e non devono limitare la scelta e le cognizioni
scientifiche del medico.
Parimenti, il foglietto illustrativo (bugiardino), contiene tutte le informazioni sul
farmaco, è derivazione diretta della scheda tecnica e dell’evidenza scientifica, è
documento rivolto al paziente ma è fatto obbligo al medico di conoscerne i contenuti.
Il medico, quindi, è obbligato a conoscere la scheda tecnica del farmaco, osservando,
così, le regole di buona pratica medica e rispondendo, in caso di eventi avversi, per
colpa per non avere seguito tale principio. Parimenti il medico (in questo caso i
medici autorizzati all’utilizzo del ricettario regionale) è obbligato a rispettare le note
per la prescrizione, in quanto regole dettate da norme rispondendo, in caso di
inappropriata prescrizione, delle sanzioni amministrative previste tramite il rimborso
delle somme al SSN.
Da quanto detto emerge il concetto di “appropriatezza prescrittiva” che è il criterio volto a
stabilire come una determinata terapia possa modificare in positivo il decorso di una
patologia a fronte di un rischio accettabile. Ciò implica che vi sia indicazione alla
prescrizione di un farmaco la quale si desume dai suggerimenti scientifici delle linee guida
e dalla consolidata prassi clinica. Implica parimenti che non vi siano
controindicazioni all’uso del farmaco. Quest’ultimo, infatti, può essere indicato per
quella patologia ma essere controindicato per la presenza di altre patologie
concomitanti. Infine, è necessario che il paziente sia al corrente delle terapie e dei
rischi connessi con il loro uso e che dia il consenso all’impiego.
Ricapitolando, e per brevità di esposizione, il medico è legittimato a gestire la salute
13
del paziente e ad instaurare una terapia. Tale attività è vincolata dalla comune prassi
medica e dalle linee guida che prevedono il miglior iter diagnostico-terapeutico e
quindi la migliore pratica medica. Nel contempo, se trattasi di medico convenzionato
con il SSN, Egli è tenuto a rispettare le note AIFA per la prescrizione che
rappresentano un vincolo di politica sanitaria. In definitiva il medico:
Deve essere in grado di diagnosticare una malattia
Deve approntare una terapia adeguata alla patologia
Deve conoscere indicazioni e controindicazioni della terapia
Deve monitorare gli eventi avversi della terapia
Deve conoscere le limitazioni di politica sanitaria alla prescrizione
Deve informare il paziente dei rischi e avere il suo consenso
Deve stilare, se possibile, un piano terapeutico per il paziente
FARMACI BRANDED ED EQUIVALENTI APPROPRIATEZZA
PRESCRITTIVA
In altra parte del lavoro si è già parlato della distinzione terminologica e legislativa
delle due tipologie di farmaci e le caratteristiche stabilite per legge (DLgs 323/96 e L.
425/96) che dispongono come i farmaci generici debbano possedere, rispetto al
farmaco originario (innovatore o di marca) la stessa composizione quali-quantitativa
del principio attivo, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche.
Tutto ciò dovrebbe condurre alla “bioequivalenza” dei farmaci ma in realtà
l’equivalenza “terapeutica” è solo presunta e dipende dalla risposta individuale e
dagli eccipienti contenuti nel prodotto per il quale non esistono disposizioni di Legge.
Inoltre non sempre il foglietto illustrativo riporta fedelmente tutte le indicazioni del
farmaco, rappresentando, così, una limitazione nell’appropriatezza prescrittiva di un
farmaco fonte di ipotetica possibile colpa in caso di eventi avversi. E’ il caso, ad
esempio, delle formulazioni di ramipril in commercio in Italia, che sono correlate da
un foglietto illustrativo quanto mai diverso per indicazioni e controindicazioni (19).
A tal proposito, la maggior parte degli editoriali pubblicati dal 1984 al 2008 (53%)
hanno espresso parere sfavorevole circa la interscambiabilità dei farmaci equivalenti
con quelli branded, malgrado non sia emersa una reale superiorità dei branded
rispetto agli equivalenti (20).
Ne deriva che è compito e responsabilità del medico scegliere per il paziente il
farmaco a suo parere più efficace dovendone Egli conoscere gli effetti terapeutici e
quelli collaterali anche legati alla relativa “diversità” dei prodotti.
Ed a proposito di tale diversità è bene rilevare che anche la pubblicità sulla rete e dei
mass media ha esaltato l’equivalenza anche terapeutica tra i generici ed in farmaci
branded o originari creando confusioni ed equivoci. Più precisamente è dato
osservare come il generico è equiparato in tutto e per tutto al branded (indicazioni e
controindicazioni) differenziandosi da quest’ultimo solo perché ha un altro nome ed
ha un costo minore.
Come è stato possibile dimostrare trattando della farmacocinetica e dei metodi per
comprovare una equivalenza terapeutica, nonché alla luce della non codificata
presenza degli eccipienti nelle due diverse classi di farmaci, viene difficile ipotizzare
14
una uguaglianza terapeutica in tutto e per tutto.
La nostra legislazione consente ed obbliga il farmacista a proporre il farmaco
generico in caso di prescrizione di un branded, ma non spiega se il professionista
debba rendere edotto il paziente/cliente della reale diversità del farmaco proposto. Di
contro, per i motivi su esposti, l’utilizzo di un farmaco incide su quella che è
l’autodeterminazione del Paziente nel senso che solo quest’ultimo può decidere
autonomamente di intraprendere una qualsivoglia terapia e dopo esplicito consenso
informato. Tale pregiudiziale obbliga un qualunque professionista in campo sanitario
a ricevere tale autorizzazione alla gestione del bene salute di cui si è parlato più
sopra. Ne discende che, malgrado la Legge abbia previsto che il farmacista possa
proporre la dispensazione di un generico, è pur vero che Egli ha (o dovrebbe avere)
l’obbligo, costituzionalmente sancito dalla Legge, di illustrare al paziente/cliente che
la differenza tra il branded ed il generico non sta solo nel prezzo, nel nome o nel
colore della confezione, ma che l’equivalenza biologica, stabilita tramite le prove di
laboratorio e farmacocinetiche più sopra esposte, potrebbe non essere tale ai fini
terapeutici. A ciò si aggiunge il fatto che in caso di ulteriore e successiva variazione
del farmaco generico (per indisponibilità di scorte) con altro generico, si potrebbe
assistere ad una variazione dell’effetto terapeutico superiore o inferiore al 40% con le
ovvie ricadute sulla salute del Paziente. Appare ovvio, come del resto più volte
raccomandato, che tali sostituzioni non dovrebbero avere luogo soprattutto per
molecole con stretto indice terapeutico o con farmaci utilizzati per patologie
particolari quali quelle cardiovascolari, psichiche, neurologiche, ematologiche o
infettive perché ovvie e poco felici potrebbero essere le conseguenze.
Di recente l’Assessorato della Salute della regione Sicilia ha pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale regionale (21) le linee guida per la prescrizione di antiipertensivi e
statine. Tale compendio di grosso impatto culturale, tratta tra l’altro anche dell’uso
dei prodotti generici nell’ipertensione invitando a prestare attenzione come “….da
ciò discende che la differenza tra due equivalenti che si trovano agli estremi del
range di variabilità può arrivare fino al 40%. Per tali motivi il passaggio da un medicinale
generico ad un altro, commercializzato da un diverso produttore,
potrebbe causare un’oscillazione molto marcata della biodisponibilità tanto da
influenzare in modo significativo il controllo pressorio del singolo paziente. Si ritiene
pertanto che queste sostituzioni dovrebbero essere evitate con i farmaci
antiipertensivi e in genere con i farmaci che abbiano uno stretto indice terapeutico.
Qualora esse vengano praticate è indispensabile uno stretto monitoraggio della
pressione arteriosa, al fine di cogliere tempestivamente eventuali peggioramenti del
controllo dei valori tensivi od una loro eccessiva riduzione”.
Tale annotazione rivela palesemente la non identità terapeutica tra le due classi di
farmaci che possono essere indifferentemente dispensati dal farmacista. Tale
situazione genera dei dubbi sulla liceità dell’atto stesso che sembra ledere, specie per
quei farmaci con ristretto indice terapeutico, il diritto alla salute senza preventivo
consenso informato del paziente.
Ci si chiede allora se il medico può indifferentemente prescrivere un farmaco
generico e se, in caso di danno al paziente, è possibile ravvisare colpa professionale.
E se, ancora, il farmacista può liberamente sostituire un farmaco con un altro dotato
di un effetto terapeutico minore o maggiore senza avere rappresentato al paziente le
reali differenze tra i due composti. La responsabilità prescrittiva è, come accennato,
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di chi prescrive il farmaco e cioè del medico che può apporre sulla ricetta il timbro di
insostituibilità che garantisce al paziente (nel bene e nel male) che il farmaco
dispensato sia quello ritenuto più appropriato. Ma sorge il dubbio se la responsabilità
prescrittiva possa essere attribuita anche al farmacista che autorizzato non è a
prescrivere ma che è, paradossalmente, abilitato a cambiare il prodotto perché
legittimato da una Legge che gli consente, a sua discrezione e solo per motivi di
politica sanitaria, di esercitare un compito (quello prescrittivo) a lui non concesso
dalla Legge stessa. Ci si chiede, allora, in caso di eventi avversi, se il farmacista
possa essere ritenuto responsabile di tale sostituzione specie e soprattutto per non
avere informato il paziente/cliente della reale e possibile diversità dei composti.
CONCLUSIONI
La prescrizione di un farmaco deve seguire le regole dell’appropriatezza previste
dalle linee guida scientifiche, dall’esperienza e dalla possibilità che esso possa essere
controindicato in presenza di particolari fattori costituzionali e patologici. Solo il
medico, per le ragioni su esposte, può prescrivere un farmaco al paziente spiegandone
i motivi ed ottenendone il consenso. All’interno delle varie classi di farmaci è
opportuno sceglierne uno di cui si conosce il meccanismo e che soddisfa le esigenze
terapeutiche. I farmaci innovatori (branded) offrono la garanzia di una seria
sperimentazione e l’impiego su un gran numero di pazienti.
Per il medico è più vantaggioso pretendere la “non sostituibilità” della specialità
spiegandone i motivi al paziente senza avere timore di incorrere in falsi giudizi da
parte dei pazienti stessi. E’ preferibile corrispondere al SSN le eventuali differenze di
prezzo, piuttosto che arrecare un momentaneo ed apparente beneficio al paziente,
determinato dal ridotto costo della specialità, ed incorrere in “incerte” complicazioni
giudiziarie. Infine, è bene ricordare che in taluni casi privare un soggetto della migliore
terapia ritenuta necessaria ed appropriata, è in antitesi con l’art. 32 della
Costituzione.
BIBLIOGRAFIA
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QAS/04.093/Rev.4
2) DL 323 del 20/06/96 convertito in L. 425 del 8/08/96
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enalapril maleate from different commercially vailable tablets: possible therapeutic
implications. Journal of Pharmaceutical and Biomedical Analysis 2008; 47: 924-937.
12) Smith JC, Tarocco G, Merazzi F, Salzmann U. Current Medical Research Opinion
2006; 22: 709-720.
13) Gazzetta Ufficiale AIFA del 17 dicembre 2009;
14) Art 32 della Costituzione Italiana: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure
gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i
limiti imposti dal rispetto della persona umana”;
15) Articolo 1176 c.c.: “Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la
diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti
all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla
natura dell'attività esercitata”;
16) Articolo 40 c.p.: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla Legge
come reato se l’evento dannoso o pericoloso…non è conseguenza della sua azione o
omissione”;
17) Articolo 41 c.p.: “Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità
quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”;
18) Cassazione Penale, Sezioni Unite n. 30328 del 11 settembre 2002;
19) Saffi E. - XXVI CONGRESSO SIMG - Firenze, 26.11.09;
20) Kesselheim AS, Misono AS, Lee JL, Stedman MR, Brookhart MA, Choudhry
NK, Shrank WH Clinical Equivalence of Generic and Brand-Name Drugs Usedin
Cardiovascular Disease. JAMA 2008; 300(21):2514-2526;
21) Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana - Supplemento ordinario, parte I n. 22
del 20.5.2011;
CORP-1048702-0000-UNV-W-07/2014
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Article
Full-text available
Use of generic drugs, which are bioequivalent to brand-name drugs, can help contain prescription drug spending. However, there is concern among patients and physicians that brand-name drugs may be clinically superior to generic drugs. To summarize clinical evidence comparing generic and brand-name drugs used in cardiovascular disease and to assess the perspectives of editorialists on this issue. Systematic searches of peer-reviewed publications in MEDLINE, EMBASE, and International Pharmaceutical Abstracts from January 1984 to August 2008. Studies compared generic and brand-name cardiovascular drugs using clinical efficacy and safety end points. We separately identified editorials addressing generic substitution. We extracted variables related to the study design, setting, participants, clinical end points, and funding. Methodological quality of the trials was assessed by Jadad and Newcastle-Ottawa scores, and a meta-analysis was performed to determine an aggregate effect size. For editorials, we categorized authors' positions on generic substitution as negative, positive, or neutral. We identified 47 articles covering 9 subclasses of cardiovascular medications, of which 38 (81%) were randomized controlled trials (RCTs). Clinical equivalence was noted in 7 of 7 RCTs (100%) of beta-blockers, 10 of 11 RCTs (91%) of diuretics, 5 of 7 RCTs (71%) of calcium channel blockers, 3 of 3 RCTs (100%) of antiplatelet agents, 2 of 2 RCTs (100%) of statins, 1 of 1 RCT (100%) of angiotensin-converting enzyme inhibitors, and 1 of 1 RCT (100%) of alpha-blockers. Among narrow therapeutic index drugs, clinical equivalence was reported in 1 of 1 RCT (100%) of class 1 antiarrhythmic agents and 5 of 5 RCTs (100%) of warfarin. Aggregate effect size (n = 837) was -0.03 (95% confidence interval, -0.15 to 0.08), indicating no evidence of superiority of brand-name to generic drugs. Among 43 editorials, 23 (53%) expressed a negative view of generic drug substitution. Whereas evidence does not support the notion that brand-name drugs used in cardiovascular disease are superior to generic drugs, a substantial number of editorials counsel against the interchangeability of generic drugs.
Article
The whole concept of bioequivalence is based upon the existence of a clear relationship between drug concentration and clinical effect. To date there are insufficient data available in the form of publications to support this concept. Both the pharmaceutical industry and the regulatory authorities could do more to promote this issue and publish relevant information. The pharmaceutical industry could provide more information on concentration-effect relationships in volunteers and patients. Upon expiry of the patent, regulators could provide estimates of the inter- and intra-subject variability in the pharmacokinetics of a drug in volunteers and patients, asessment of therapeutic windows for drugs and drug classes and their impact on bioequivalence acceptance criteria. Current regulatory guidelines refer to rate and extent of absorption BUT there is no rate parameter which allows products to be compared for both pharmaceutical quality and safety and efficacy.
Article
For economic reasons, the use of generic substitution is increasingly being supported by health authorities. Potentially, this may be problematic for drugs with a narrow therapeutic window if quality control and/or bioequivalence is not optimal. Many developing countries do not have the resources or expertise to carry out appropriate quality control resulting in widespread distribution of substandard or even counterfeit drugs. Even in countries where procedures are well regulated, substandard drugs reach the market from time to time. Interchangeability of drugs is determined by bioequivalence studies comparing the serum concentration versus time curves for the products following single dose administration to fasting volunteers in a randomised crossover design. A number of reports, largely anecdotal, of treatment failure or increased adverse events after switching brands has cast some doubts upon whether bioequivalence testing is sufficient in all cases. These reports have covered cardiovascular, respiratory, hormonal, psychotropic, anticonvulsant, anti-infective and anti-inflammatory drugs. Equivalence is particularly difficult to obtain with many sustained-release formulations. The WHO has initiated programs to prevent the distribution of substandard preparations and has drafted guidelines for testing bioequivalence based on internationally accepted reference products. Until such time as means can be provided-first, to enforce internationally accepted production standards, and second, to permit uniform testing of therapeutic agents-the safest clinical choice, particularly in countries where registration requirements and quality control are minimal, must remain the branded product.
Article
Specific safeguards to guide the approval process and substitution practices for generic immunosuppressive agents are necessary for the effective delivery of patient care. Currently, the Food and Drug Administration (FDA) requires the demonstration of bioequivalence of generic drugs to innovator drugs in normal healthy subjects, a criterion that may be insufficient for critical-dose drugs. For generic equivalents of critical-dose drugs and for innovator critical-dose drugs, there should be a requirement for replicate studies measuring intrasubject variability and subject-treatment interactions to establish that bioequivalence holds true. Extensive testing of generic drugs in all target patient types is impractical and should not be required. However, when evidence suggests that the bioavailability of a critical-dose drug may vary substantially in certain subgroups, the FDA should require a demonstration of bioequivalence of generic versions to innovator products in these representative target populations. Changes in the approval process for generics should be accompanied by more consistent substitution practices. Pharmacists should notify the prescribing physician and patient whenever a critical-dose drug (generic or brand name) is dispensed in a different formulation from the one the patient has been taking. Therapeutic substitution for such drugs should not be made unless the prescribing physician has granted approval. The health care provider should consider instituting appropriate monitoring whenever patients are switched between generic formulations or between innovator drugs and generic formulations. Patients should be well informed about generic substitutes so that they can participate in treatment choices.
Article
Formulation substitution using generic preparations for innovator products is becoming increasingly prevalent in the name of cost containment. So long as generic substitutes are truly clinically equivalent to the innovator compounds, patient harm should not ensue. However, for drugs with a narrow therapeutic index, serious concerns about generic equivalence are beginning to arise, particularly with neurologic, immunosuppressive, anticoagulant, and antiarrhythmic drugs. This article reviews the guidelines used to approve a generic compound and their limitations and provides case-based information as to the adverse clinical consequences-arrhythmia recurrence, proarrhythmia, and death-that have now been reported in association with generic substitution of antiarrhythmic compounds. Additionally, guidelines for allowance or avoidance of antiarrhythmic drug formulation substitution are suggested.
Article
This study examined inappropriately prescribed drugs, inappropriate dosages of drugs, inappropriate combinations of drugs, and numbers of drugs and their potential for causing adverse drug reactions (ADRs) in the elderly. The study also looked at whether the number of diagnoses made a difference in the drugs' potential to cause ADRs. A retrospective audit was made of 146 patients diagnosed with congestive heart failure (CHF) who were admitted to a suburban community agency. Significant correlations were found between the number of medications prescribed and the number of inappropriate medications, the number of medications prescribed and the number of inappropriate dosages of medications, and the number of medications prescribed and the number of potential drug interactions. Multiple diagnoses did not make a difference.
Article
To review the major scientific issues embedded in the generic drug approval process. Articles indexed initially under terms such as generic medications, generic drugs, bioequivalence, and bioinequivalence. These terms were used to search indexing services such as MEDLINE, International Pharmaceutical Abstracts, CINAHL (a database of nursing and allied health literature), and Science Citation Index. Additional data sources included the Code of Federal Regulations and regulatory guidances from the Food and Drug Administration (FDA) Center for Drug Evaluation and Research. Performed by the authors. Not applicable. Despite the fact that regulations regarding bioequivalence have been in place for more than 20 years, controversies over bioequivalence continue to arise. Consensus on many of these issues is driving the development of new FDA guidances regarding bioequivalence. Still, despite the issuance of new guidance and consensus building among scientists, many clinicians and consumers remain uninformed regarding the scientific basis for establishing bioequivalence and the generic drug approval process in general. Although some have suggested that the generic drug approval process is flawed, overall, it appears that the process works. Understanding the generic drug approval process and the issues surrounding bioequivalence is of paramount importance to both clinicians and scientists.
Article
Stability of enalapril maleate formulations can be affected when the product is exposed to higher temperature and humidity, with the formation of two main degradation products: enalaprilat and a diketopiperazine derivative. In this work, stability and drug release profiles of 20 mg enalapril maleate tablets (reference, generic and similar products) were evaluated. After 180 days of the accelerated stability testing, most products did not exhibit the specified amount of drug. Additionally, drug release profiles were markedly different from that of the reference product, mainly due to drug degradation. Changes in drug concentration and drug release profile of enalapril formulations are strong indicators of a compromised bioavailability, with possible interferences on the therapeutic response for this drug.
  • J C Smith
  • G Tarocco
  • F Merazzi
  • U Salzmann
Smith JC, Tarocco G, Merazzi F, Salzmann U. Current Medical Research Opinion 2006; 22: 709-720.
Shrank WH Clinical Equivalence of Generic and Brand-Name Drugs Usedin Cardiovascular Disease
  • A S Kesselheim
  • A S Misono
  • J L Lee
  • M R Stedman
  • M A Brookhart
  • N K Choudhry
Kesselheim AS, Misono AS, Lee JL, Stedman MR, Brookhart MA, Choudhry NK, Shrank WH Clinical Equivalence of Generic and Brand-Name Drugs Usedin Cardiovascular Disease. JAMA 2008; 300(21):2514-2526;