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Le politiche della fiducia. Incentivi e risorse sociali nei Patti Territoriali

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Abstract

Territorial Pacts (TP) aim to improuve those elements of the social context, which can help generalized cooperation and local development processes. The systematic empirical research has pointed to two typical configuration of the local level concertation processes of the TP: the "integrative" TP and the "distributive" TP. This article has two main aims: (i) to argue that public policies can positively increase the social capital and trust of the local production systems, and (ii) that public policies can have positive effect also where the inherited social capital is a very low level. The major analytical framework used in this article tries to combine insights from game theory and network analysis, in the resolution of real world collective action dilemmas. To support the analytical schema, four case studies of TP in the same territorial area, will be sketched.
STATO E MERCATO / n. 63, dicembre 2001
FILIPPO BARBERA
Le politiche della fiducia.
Incentivi e risorse sociali nei patti territoriali
1. Introduzione
Le politiche per lo sviluppo via incentivi hanno, in Italia,
mostrato limiti evidenti (per tutti cfr. Trigilia 1999a). È possibile
individuare almeno due generazioni di politiche di sviluppo: le
politiche mirate alla costruzione di infrastrutture e quelle basate
su incentivi individuali al capitale e al lavoro che utilizzano la
leva fiscale e la fiscalizzazione degli oneri sociali (Cersosimo
2000). Il limite comune a queste due famiglie di policy è stato
l’aver accresciuto più che altro i livelli di reddito e di consumo,
senza influenzare positivamente gli elementi del contesto istitu-
zionale.
Sulla base di questi argomenti si sostiene che uno strumento
in grado di favorire processi di sviluppo locale, influenzando
la dotazione di «risorse sociali» dei territori, è la cosiddetta
«programmazione negoziata». Rispetto alla logica degli incentivi,
si sottolinea, la «programmazione negoziata» avrebbe il vantag-
gio di considerare l’importanza del legame tra sviluppo locale,
apprendimento e crescita di conoscenze specializzate; legame che
può essere adeguatamente sviluppato solo tramite la formazione
di reti tra soggetti locali, pubblici e privati (Trigilia 1999).
In sintesi, due elementi qualificano l’importanza delle poli-
tiche per lo sviluppo basate sulla concertazione territoriale: (i)
prima di tutto, queste sono un esempio dell’attuale e crescente
tendenza a «produrre politiche per mezzo di contratti» (Bobbio
2000) e (ii) si tratta di un esempio, potenziale e da sottoporre
a test empirico, di produzione intenzionale di capitale sociale
e fiducia tramite la leva delle politiche pubbliche
1
(Trigilia 1999).
1
È chiara, in questa impostazione ricavata da Bagnasco (1999), la critica alla
Filippo Barbera
414
Questa impostazione di policy, si basa sulla convinzione che:
«non conta solo la storia lunga, la dotazione culturale sedimen-
tata, le tradizioni civiche ereditate dal passato lontano (...). In
realtà, altrettanto importante è la storia «corta», quella degli
ultimi decenni, del ruolo dei fattori politici e delle causalità più
recenti (...)» (Cersosimo 2000a, 173). In questa prospettiva, il
contratto formale e la transazione economica diventano una
possibile fonte generativa della relazione sociale (cfr. Franzini
1999, 18).
Nella prima parte dell’articolo, con riferimento alla proble-
matica della «costruzione di politiche via contratti», si metterà
in evidenza la particolare struttura degli incentivi configurata
dalle politiche pattizie. Nella parte seguente, in relazione alla
produzione di capitale sociale via politiche, si illustreranno
alcuni possibili esiti dei patti territoriali, mettendone in luce i
possibili effetti perversi, nonché i fattori che possono spiegarne
il successo o l’insuccesso. Nell’ultima parte, illustrerò, a sostegno
delle ipotesi esposte, quattro casi empirici relativi a patti
territoriali nella Provincia di Torino.
2. Due modalità tipiche
Con l’approvazione dei patti in attesa, alcune aree del
territorio italiano saranno interamente coperte da questo stru-
mento. Come messo in luce dall’evidenza empirica sistematica
sui patti territoriali (Cersosimo 2000; Cersosimo e Wolleb, in
questo fascicolo; Sviluppo Italia-Iter 2000; Di Gioacchino 2001),
la configurazione dei patti territoriali individua due diverse
modalità di sviluppo del processo di concertazione territoriale:
una modalità integrativa;
una modalità distributiva.
Nel primo caso, il patto territoriale ha generato o rafforzato,
in linea con gli obiettivi espliciti della politica, coalizioni stabili
tra gli attori locali, aumentandone la fiducia reciproca e le
relazioni orizzontali. Al contrario, nel secondo caso, gli attori
locali hanno intercettato un flusso di risorse pubbliche e le
hanno distribuite nel territorio, ma senza che ciò influisse in
concezione causale di capitale sociale implicita nei lavori di Putnam (1993) e la maggiore
utilità euristica di un approccio intenzionale, così come elaborata da Coleman (1990).
Le politiche della fiducia
415
modo significativo sulla qualità delle loro relazioni. Queste due
modalità tipiche, sono al centro della rilevazione sistematica
condotta da «Iter» per «Sviluppo Italia» sui primi 46 patti in
corso sul territorio italiano. La ricerca individua tre macro-
variabili, determinate attraverso l’analisi delle corrispondenze
multiple di 20 indicatori di percezione del patto
2
. La prima
macro-variabile è indicata come fattore del consenso e, con
riferimento al processo di concertazione territoriale, copre una
fenomenologia che va da situazioni dove: «il processo di
concertazione avrebbe rafforzato i rapporti di fiducia esistenti
tra le parti sociali e dato luogo ad un accordo con caratteristiche
di solidità e stabilità». A casi in cui: «il processo di concertazione
non ha sortito effetti sui rapporti tra le parti sociali, e l’accordo
sugli obiettivi del patto appare debole ed instabile» (Sviluppo
Italia-Iter 2000, 46).
Anche l’altra estesa rilevazione nazionale sui patti, effettuata
da un gruppo di studiosi per conto del Dipartimento per le
politiche di sviluppo e coesione nel 1998, coglie la medesima
dimensione, specificandone più dettagliatamente le diverse e
distinte caratteristiche a livello delle dinamiche di sviluppo della
concertazione territoriale (Cersosimo 2000).
Un interrogativo conseguente riguarda la distribuzione territo-
riale di queste diverse macro-regolarità: sono i «patti integrativi»
diffusi solo nelle aree che hanno già mostrato rilevanti capacità
di micro-concertazione territoriale
3
? In quelle aree, cioè, dove le
relazioni tra gli attori protagonisti del patto avevano già mostrato
la capacità di produrre beni collettivi? E, analogamente, sono i
«patti distributivi» una caratteristica prevalente o esclusiva del Sud
Italia? Su questo punto le evidenze empiriche non sono univoche:
alcuni studi qualitativi (Mirabelli 2000) sui patti in Calabria
forniscono un quadro molto vicino alla modalità distributiva,
mentre le rilevazioni di taglio sistematico mostrano che anche nel
Sud sono presenti casi di «patti integrativi» (Cersosimo e Wolleb,
2
L’analisi in questione è basata su variabili categoriali, che corrispondono ai giudizi
degli attori locali su vari aspetti del patto territoriale a cui hanno partecipato. Per ogni
variabile è stato poi costruito un indicatore sintetico di prevalenza, attribuendo al patto
una determinata caratteristica in virtù della risposta al quesito che presentava la
percentuale maggioritaria. In questo modo sono stati selezionati 20 indicatori di
percezione, da cui si sono poi ricavate tre macro-variabili particolarmente discriminanti.
3
Regini ha messo in luce come, già negli anni ’80, alcuni importanti beni collettivi
(contenimento dell’inflazione, sviluppo delle risorse umane e relazioni industriali
cooperative) siano stati l’esito di processi di «micro-concertazione» (Regini 2000, 104).
Filippo Barbera
416
in questo fascicolo). Inoltre, considerando che l’area di azione del
patto è sub-regionale, e dal momento che negli ultimi anni sono
state rilevate numerose micro-esperienze di tessuti istituzionali
solidi nel Mezzogiorno (Cersosimo 2000a; Viesti 2000), è ragio-
nevole supporre che l’azione virtuosa del patto possa potenzial-
mente diffondersi anche al Sud, vale a dire su tutto il territorio
nazionale. La domanda centrale di questo lavoro, però, non
affronta il problema della distribuzione territoriale delle due
modalità appena illustrate. Piuttosto, intende illustrare i mecca-
nismi da cui dipende l’attivazione di modalità più o meno
integrative o distributive di patto territoriale.
3. Incentivi, risorse sociali e concertazione
I patti territoriali rappresentano un modello innovativo di
incentivazione allo sviluppo locale, le cui caratteristiche emer-
gono nitidamente per rapporto agli incentivi che hanno carat-
terizzato l’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Questi
ultimi, come sottolineato in apertura, erano essenzialmente
incentivi individuali al capitale e al lavoro che utilizzavano la
leva fiscale e la fiscalizzazione degli oneri sociali e il cui limite
principale è stato l’aver accresciuto solo i livelli di reddito e di
consumo, senza influire in modo decisivo sull’ambiente istitu-
zionale. I secondi, invece, sono esplicitamente progettati per
1) Il patto nasce per accelerare la formazione di un sistema locale già in via di sviluppo
2) La sensibilizzazione è stata capillare e diffusa
3) La concertazione ha rafforzato rapporti preesistenti
4) L’accordo è solido e stabile
5) Nel gruppo di aderenti sono rappresentate le componenti utili
6) Le banche sono un soggetto adeguato a valutare l’ammissibilità dei progetti
7) L’insieme degli interventi copre un ventaglio ben articolato
8) I patti costituiscono l’idea più innovativa degli ultimi anni per lo sviluppo locale
consenso debole +
consenso forte
1) La sensibilizzazione è stata parziale
2) La concertazione non ha avuto effetti sulle parti sociali
3) L’accordo è debole ed instabile
4) Nel gruppo di aderenti mancano componenti utili
5) Il ventaglio degli interventi non è adeguato
F
IG. 1. Fattore del consenso.
Fonte: Iter, 2000.
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417
influenzare il contesto istituzionale e per produrre local collective
competition goods (Crouch et al. 2001) e, soprattutto, local club’s
competition goods
4
.
La struttura del patto territoriale, in altri termini, può essere
rappresentata da una matrice dei pagamenti che rende la
cooperazione reciproca una strategia individualmente razionale.
La struttura del patto territoriale, per quanto riguarda i rapporti
tra gli attori collettivi della concertazione territoriale, configura
una matrice dei pagamenti tipo Gioco dell’Assicurazione (GA)
o «caccia al cervo». Confrontiamo la matrice dei pagamenti del
GA con quella del più noto Dilemma del Prigioniero (DP) (v.
fig. 2).
Tre caratteristiche qualificano questo particolare tipo di gioco
e possono costituire una valida base euristica di confronto con
la struttura degli incentivi dei patti territoriali:
sussiste il «principio di influenza» nella produzione del
bene (Macy 1997);
contano le aspettative sulla strategia dell’altro (Parri 1997);
II II
CD CD
C 2,2 0,3 C 3,3* 0,2
II
D 3,0 1,1* D 2,0 1,1*
a. Dilemma del Prigioniero b. Gioco dell’Assicurazione
F
IG. 2. Due dilemmi d’interazione strategica. Matrice dei pagamenti a due giocatori.
* Equilibrio di Nash.
DP. La non cooperazione è la strategia strettamente dominante, ovvero conviene
cooperare qualunque sia la mossa dell’altro. In termini relativi, la mossa migliore consiste
nel defezionare quando l’altro coopera (DC; 0,3), seguita dalla cooperazione reciproca
(CC; 2,2) e dalla mutua defezione (DD; 1,1). L’esito peggiore è cooperare quando l’altro
defeziona (CD; 3,0). Quindi: DC>CC>DD>CD. La situazione di equilibrio è la
combinazione DD, dove gli attori non hanno incentivi a cambiare la loro strategia, data
la strategia dell’altro (equilibrio di Nash).
GA. La mutua cooperazione porta ad una situazione migliore della defezione
unilaterale (CC>DC>DD>CD). Non esiste una strategia strettamente dominante, il gioco
ha due punti di equilibrio: CC (mutua cooperazione) e DD (mutua defezione).
4
Nel primo caso si producono beni non escludibili e soggetti al problema del free-
riding; nel secondo caso c’è invece esclusione del non contribuente e la non cooperazione
è causata dalla cosiddetta «diffidenza razionale» (cfr. Parri 1997).
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418
esistono dei meccanismi di esclusione istituzionale dei non
contribuenti (Taylor 1992).
1. Il primo elemento indica che la funzione di produzione,
cioè la relazione tra le azioni mirate alla produzione del bene
e la quantità prodotta, è «a gradini». Ovvero è necessaria una
massa critica e un processo di mobilitazione perché il bene sia
prodotto. La normativa sui patti non è priva di ambiguità, ma
è piuttosto chiaro che pone come prerequisito del finanziamento
l’attivazione della concertazione territoriale e la mobilitazione
degli attori locali, composta come minimo da: Ente locale
(Comune o Comuni), associazioni imprenditoriali e associazioni
sindacali. Senza la firma al Protocollo d’Intesa del Comune
interessato, il patto non viene finanziato e anche senza la firma
dell’Unione Industriale o dei sindacati più rappresentativi.
2. L’altra caratteristica importante del GA è che si coopera
in presenza di aspettative positive circa la cooperazione degli
altri giocatori. Nel GA la non cooperazione non è più la strategia
strettamente dominante: conta la cooperazione condizionale. La
seconda ipotesi, quindi, è che gli attori si muovano in questa
struttura degli incentivi con la percezione che conta la coope-
razione condizionale. Nel DP, invece, l’attore si muove «come
se» fosse isolato e in modo indipendente dalla strategia dell’altro
(Sen 1967) e la defezione è la strategia strettamente dominante.
3. Altri autori (Taylor 1992; Parri 1997) hanno qualificato la
differenza tra GA e DP assimilandoli alla produzione di due
tipi diversi di beni: beni di club, dove si può escludere chi non
partecipa, e beni pubblici, dove anche chi non partecipa può
consumare il bene. La logica del DP a N persone, al contrario,
è simile al paradosso olsoniano del free-riding, dove è possibile
consumare il bene anche se non si partecipa alla sua fornitura
(Olson 1965). Questo è un aspetto più ambiguo della normativa
e dell’esperienza dei patti territoriali. Se, da una parte, è vero
che esistono meccanismi di esclusione per chi «non partecipa»
(ad es. le imprese che risiedono nei Comuni che non hanno
siglato il Protocollo d’Intesa non sono ammesse al finanziamen-
to), dall’altra è anche vero che la partecipazione può avere costi
bassissimi (anche solo la firma del Protocollo, alla fine del
processo di concertazione e senza avere mai partecipato in modo
attivo ai lavori del patto) e, dal punto di vista individuale, è
quindi conveniente almeno firmare il Protocollo d’Intesa.
L’insieme di questi tre elementi e la loro concreta applicazione
al caso dei patti territoriali, permette di focalizzare l’attenzione
Le politiche della fiducia
419
sull’elemento cruciale di queste politiche per lo sviluppo locale:
le aspettative, o la fiducia, circa il comportamento cooperativo
degli altri attori locali. E questo è un aspetto virtuoso e
innovativo di tali politiche, che affrontano il problema della
mancanza di cooperazione in modo «indiretto», trasformando
una situazione in cui gli attori locali percepiscono di trovarsi di
fronte ad una matrice tipo DP, dove la defezione è la strategia
strettamente dominante, ad una situazione dove la cooperazione
reciproca è percepita come individualmente vantaggiosa per tutti
i giocatori (Kollock 1998, 209). Allo stesso tempo, la struttura
degli incentivi dei patti configura anche la possibilità di circoli
viziosi: il prerequisito della concertazione territoriale è affiancato
da meccanismi di esclusione istituzionale dei non contribuenti
del tutto virtuali e da bassi costi di partecipazione. A ciò si
aggiunga l’assenza di una reale selezione tra i territori ex-ante
e l’incertezza sui meccanismi sanzionatori ex-post e si può ben
immaginare come la ricerca empirica abbia rilevato due modalità
tipiche, prima definite come «patti integrativi» e «patti distri-
butivi». La concreta applicazione della normativa, cioè, lascia
spazio a due modi di giocare lo stesso gioco: (i) cooperando in
modo attivo e, in presenza di meccanismi che «assicurano» sulla
partecipazione cooperativa degli altri attori locali, anche appor-
tando risorse proprie nel progetto di patto. Oppure, (ii) in
assenza di meccanismi di «assicurazione» reciproca, conviene
comunque partecipare al gioco, in modo però del tutto marginale
e senza particolare impegno, sia in termini di risorse che di
volontà politica. In questo secondo caso, il patto territoriale,
perlomeno dal punto di vista dei rapporti tra gli attori locali,
non avrà modificato più che tanto gli elementi di contesto.
Ma anche nel primo caso, ovvero in quello che abbiamo
definito «patto integrativo», vi è un interrogativo ulteriore:
ovvero, se e quando l’esperienza della cooperazione razionale può
favorire l’apprendimento di regole di reciprocità e la creazione
di strutture relazionali stabili. Qui entra in gioco la problematica
del «patto come istituzione sociale» (Vino 1998), le dimensioni
normative e organizzative della coalizione (Pichierri 2001) e la
fiducia non riconducibile alla massimizzazione dell’utilità attesa
in condizioni di rischio (Granovetter 2001). Come cercherò di
mettere in luce, non è scontato che si attivi la «cooperazione
condizionale» e, inoltre, altrettanto problematico è il passaggio
da questa al «patto come istituzione». In termini teorici, questo
secondo passaggio significa che se gli attori imparano a fidarsi
Filippo Barbera
420
l’uno dell’altro, ciò dipende dal fatto che le politiche hanno prima
aumentato i rendimenti della cooperazione e reso razionale la
fiducia reciproca e, poi, questa fiducia si è istituzionalizzata e
non dipende più in modo meccanico dall’allineamento degli
incentivi. Se si crea questo circuito virtuoso, vi sono allora solidi
argomenti per sostenere che la scarsità di fiducia tra gli attori
locali ostacola la cooperazione solo se i rendimenti relativi della
strategia cooperativa sono poco convenienti rispetto a quelli di
una strategia individualista (Franzini 1999, 21). In altri termini:
la cooperazione non presuppone necessariamente la fiducia. Al
contrario, la fiducia può essere il risultato di un periodo di
cooperazione monitorata tra attori opportunisti (Sabel 1994;
Pichierri 1999, 32).
4. Struttura degli incentivi e capitale sociale pregresso
Per quanto sin ora argomentato, in sintesi, lo sviluppo
«distributivo» o «integrativo» dei patti dipende dall’interazione
tra il disegno degli incentivi prima delineato, con le aspettative
degli attori circa la cooperazione reciproca. Ma da quali elementi
dipendono le aspettative degli attori? Due sono le spiegazioni
più plausibili e teoricamente più interessanti, che disegnano due
scenari idealtipici degli effetti dei patti territoriali. Il primo
fattore riguarda le dotazioni pregresse di capitale sociale delle
società locali, il secondo è relativo alle caratteristiche del
processo di mobilitazione e di concertazione territoriale.
Sostenere l’importanza delle dotazioni pregresse di capitale
sociale per il funzionamento delle politiche pubbliche e delle
istituzioni, richiede qualche precisazione. L’Autore che più ha
sottolineato questo aspetto è Putnam (1993), suscitando reazioni
critiche troppo note per essere riprese in questa sede (cfr.
Bagnasco 1999). Allo stesso tempo, però, non si deve cadere
nella over-reaction e fingere che le politiche pubbliche interven-
gano in una «situazione vuota», pre-istituzionale, dove il passato
non conta. Che le politiche pubbliche possano cambiare i
contesti è un’affermazione auspicabile, teoricamente interessante
e empiricamente controllabile; ma che le caratteristiche del
contesto siano «azzerabili» è una forma di wishful thinking e
non un interrogativo di ricerca. Il capitale sociale pregresso può
essere adeguatamente incluso, abbandonando una prospettiva
causale a favore di una di tipo intenzionale (Bagnasco 1999).
Le politiche della fiducia
421
Ciò comporta spostare l’attenzione analitica dalla struttura
sociale, agli effetti di questa sull’azione reciprocamente orientata
degli attori sociali.
È fuori dagli scopi di questo lavoro entrare in modo appro-
fondito nello sterminato e noto dibattito terminologico e sostan-
tivo sul «capitale sociale» e sulla «fiducia». Per la problematica
che ora interessa, ovvero per la spiegazione dei processi di sviluppo
locale, si utilizzerà la definizione di capitale sociale come «pattern
di relazioni tendenzialmente orizzontali che facilitano il raggiun-
gimento di interazioni cooperative» (Torsvik 2000). Per fiducia,
invece, si intende una disposizione comportamentale che riduce
o elimina il rischio di comportamenti opportunisti. In questi
termini, la relazione tra capitale sociale e fiducia è molto stretta
e ciò può anche spiegare l’uso spesso indistinto dei due concetti.
Il capitale sociale, quindi, è una proprietà delle relazioni tra gli
attori, o della struttura sociale, e che può facilitare l’azione di
attori posizionati entro quella struttura (Coleman 1990; Lin 2001,
23), mentre la fiducia è una caratteristica dell’attore singolo.
In una prospettiva intenzionale, il capitale sociale opera sullo
schema d’azione degli attori intervenendo su tre elementi distinti:
(i) le credenze o aspettative, (ii) i vincoli o opportunità e (iii)
i desideri o preferenze. Nel primo caso il capitale sociale veicola
informazione, nel secondo caso sanzioni sociali e nel terzo caso
influenza. L’informazione cambia la distribuzione di probabilità
dell’attore, rispetto all’evento; la sanzione aumenta i costi
associati ad un certo corso d’azione; l’influenza modifica le
preferenze (cfr. anche Bianco 2001). Due di questi casi (ii) e
(iii) sono stati analizzati da Torsvik (2000). Nel primo esempio
il capitale sociale influenza il comportamento dell’attore tramite
l’attivazione di meccanismi di sanzionamento dell’opportunismo
e di esclusione del defezionatore da future transazioni, cosicché
il comportamento cooperativo diventa una strategia individual-
mente razionale. Nel secondo caso il capitale sociale agisce
attraverso la creazione di identità di gruppo, di solidarietà e di
motivazioni «prosociali». Qui la cooperazione non è frutto di
un calcolo costi-benefici, bensì di meccanismi non consequen-
zialisti di identificazione nel gruppo e di dinamiche di ricono-
scimento intersoggettivo
5
.
5
In questa seconda accezione il capitale sociale designa anche i «processi attraverso
i quali le stesse relazioni interpersonali di riconoscimento vengono prodotte e riprodotte
a formare il tessuto della socialità» (Pizzorno 1999, 387).
Filippo Barbera
422
Ma per la risoluzione del GA configurato dai patti territoriali
integrativi è sufficiente l’azione di un meccanismo più semplice,
di tipo informativo. Non sono richieste né sanzioni, dal momento
che cooperare può essere conveniente, né attori dotati di
preferenze altruistiche. Sapere che l’altro coopera, in un gioco
siffatto, è sufficiente ad indurre un attore egoista e razionale
alla cooperazione. Possiamo immaginare due casi limite: nel
primo caso ho una società locale ricca di capitale sociale
pregresso, ovvero di eventi di cooperazione reciproca veicolati
da reticoli orizzontali, e gli attori hanno aspettative positive che
l’altro coopererà attivamente. In questo caso è probabile che
si configuri un patto di tipo «integrativo». Nel secondo caso
ho un territorio con esigue dotazioni di capitale sociale pregres-
so, le aspettative verso il comportamento cooperativo dell’altro
sono scarse e il patto assume le caratteristiche di tipo «distri-
butivo». Un corollario delle ipotesi appena delineate è che i patti
producono governance solo dove la società locale è già tenden-
zialmente ricca di capitale sociale pregresso. Se così fosse, come
tenterò di mostrare nel prossimo paragrafo, le nuove politiche
per lo sviluppo locale avrebbero «effetti perversi» tendenti ad
aumentare la diseguaglianza tra i territori. Come ho argomentato
in precedenza, però, la presenza pregressa di risorse sociali è
importante in quanto influenza gli elementi dell’interazione, in
questo caso la fiducia nella cooperazione condizionale. Nelle
dinamiche attivate nei contesti d’interazione promossi nei tavoli
di concertazione, cioè, è possibile individuare fattori che hanno
influenzato positivamente il grado di fiducia degli attori, anche
in assenza di capitale sociale pregresso. Come è stato rilevato,
patti di «successo» sono stati localizzati anche là dove non è
stato possibile rintracciare tradizioni o esperienze di qualche
rilievo di cooperazione fra soggetti privati o fra istituzioni locali
(Cersosimo e Wolleb, in questo fascicolo). Prima di esaminare
questo aspetto, però, tenterò di sviluppare alcune implicazioni
del ragionamento sin qui svolto.
5. Il rischio dell’effetto «S. Matteo»
Come è realistico pensare che gli attori locali avessero un
qualche tipo di storia pregressa, è altrettanto utile immaginare che
la coalizione degli attori locali protagonisti del patto territoriale
partecipi, in futuro, ad altri giochi strategici. Il tavolo di
Le politiche della fiducia
423
concertazione affronta, dapprima, altri problemi, diversi dal patto,
ma riconducibili alla medesima struttura degli incentivi. Questo
è il caso dei vari progetti europei dedicati alla formazione, al
finanziamento di azioni mirate ai problemi di riconversione
industriale o di finanziamenti regionali che prevedono piani
urbanistici integrati. Vediamo ora la terza ripetizione del gioco
e ipotizziamo che gli attori si trovino ora a dover affrontare non
più un GA, ma un DP. I fondi e le risorse ottenuti grazie ai
ripetuti giochi dell’assicurazione, possono creare esternalità posi-
tive per gli attori istituzionali e rigenerare un DP a N attori. Ad
esempio:
(i) la produzione di una «atmosfera industriale» positiva ha
conseguenze per tutti gli attori del territorio; (ii) l’area territo-
riale può essere individuata come privilegiata per progetti
regionali o europei, le cui conseguenze riguardano tutti gli attori
locali; (iii) la diminuzione del livello di conflittualità delle
relazioni industriali ha effetti positivi anche per le rappresen-
tanze economiche e sociali che non hanno partecipato, o l’hanno
fatto solo formalmente, al tavolo di concertazione territoriale.
Ma si producono anche esternalità positive per gli attori
economici:
(i) l’occupazione aggiuntiva nel territorio facilita la formazio-
ne di capitale umano generico, che costituisce un bene non
escludibile
6
; (ii) la buona immagine del territorio nei mercati
esteri, raggiunta grazie, ad esempio, alla formazione di consorzi
per l’export, coinvolge positivamente tutte le imprese e non solo
quelle che hanno partecipato al patto.
Per questi ed altri meccanismi, si può ipotizzare che il GA
disegnato dai patti si ritrasformi, principalmente a causa di
esternalità positive generate dal processo di sviluppo e della
conseguente possibilità di free-riding, in un DP a N persone.
Ma, a questo punto, l’informazione veicolata dai reticoli e le
conseguenti aspettative fiduciarie, non sono più sufficienti a
risolvere un DP, sono necessari altri meccanismi. A questo ruolo
sono candidati, per quanto prima sostenuto, la presenza di
sanzioni sociali associate alla defezione, che quindi ne aumentano
il costo, o il cambiamento nelle preferenze dell’attore. In termini
generali, cioè, i dilemmi di azione collettiva attivati da un DP
a N attori potrebbero essere meglio affrontati da quelle aree
6
Su questo punto si veda Streeck (1988).
Filippo Barbera
424
territoriali che hanno rafforzato la presenza pregressa di capitale
sociale. Come prima sottolineato, i «patti integrativi» corrispon-
dono al rafforzamento delle risorse sociali pregresse. Ma se
questi sono una caratteristica esclusiva di quei territori già forniti
di risorse sociali e, di converso, i «patti distributivi» caratteriz-
zano solo i territori con poche risorse pregresse, allora le nuove
politiche di sviluppo locale potrebbero rappresentare un fattore
di aumento degli squilibri tra aree territoriali, perlomeno dal
punto di vista della capacità dei territori di risolvere dilemmi
di azione collettiva.
È possibile schematizzare questo argomento, illustrando l’ef-
fetto delle caratteristiche del reticolo sulla possibilità di forma-
zione di norme e sanzioni sociali. Immaginiamo che gli attori
dei territori debbano, quando si ripresenta un DP, fronteggiare
l’opportunismo del free-rider. I territori che hanno giocato un
«patto integrativo», che nell’ipotesi ora sviluppata corrispondo-
no ai territori già forniti di capitale sociale pregresso, hanno
anche migliorato le condizioni di contesto, ad esempio aumen-
tando il grado di closure del reticolo tra gli attori locali. I territori
che hanno giocato un «patto distributivo», per ora identificati
con i casi in cui la presenza pregressa di capitale sociale era
scarsa o nulla, non hanno invece arricchito la loro dotazione
di risorse sociali (v. fig. 3).
Nella figura (a) l’azione di A1 ha esternalità su A2 e A3, i
quali però non sono in contatto tra di loro ma solo con A4
e A5. Nella figura (b) l’azione di A1 ha lo stesso effetto, ma
A2 e A3 sono in contatto tra loro. Nel primo caso qualunque
eventuale sanzione da A2 o A3 verso A1 deve essere applicata
in modo indipendente e non coordinato, ovvero deve essere una
«sanzione eroica». Nel secondo caso la presenza di una relazione
sociale tra A2 e A3 rende possibile: «(...) imporre una sanzione
su A1, attraverso una qualche forma di azione coordinata che
(b)
A1.
A2.
A3.
(a)
A1.
A2. A4.
A3. A5.
FIG. 3. Relazioni sociali, azione collettiva e norme.
Fonte: Coleman (1990, 269).
Le politiche della fiducia
425
né A1, né A2 sarebbero in grado di portare a compimento da
soli» (Coleman 1990, 270). Se le strutture sono segmentate, non
è possibile coordinarsi per condividere il costo del sanzionamen-
to e, a fronte di una matrice dei pagamenti tipo DP, gli attori
rimangono intrappolati nella mutua defezione
7
. Per questa via,
però, i territori che hanno migliorato la propria dotazione di
risorse sociali, sono anche più attrezzati per risolvere nuovi
dilemmi dell’azione collettiva; mentre i territori già scarsamente
dotati di queste risorse e che non le hanno migliorate nel corso
della politica, si trovano ancora impreparati ad affrontare questi
problemi.
6. Interazione situata e cooperazione: le virtù della compresenza
Quali altri fattori possono influenzare le aspettative fiduciarie
tra gli attori? In seconda battuta, come anticipato, è necessario
considerare quelle condizioni in grado di ridurre l’incertezza
nella cooperazione reciproca anche in condizioni di scarsità di
capitale sociale pregresso. Qui il focus dell’analisi si sposta dai
fattori strutturali a quelli interazionisti; dalla presenza pregressa
di capitale sociale, al processo di mobilitazione e alle dinamiche
d’interazione create nei tavoli di Concertazione territoriale.
Un primo ordine di fattori è costituito dal leader istituzionale,
il quale aiuta gli attori: «a riformulare i (propri) interessi in
un’ottica che si stacca dalla reattività e dal breve periodo e si
sposta alla progettualità e al medio-lungo periodo (Parri 1997,
122-124). Come argomentato da Parri, il GA ha un potente
meccanismo di risoluzione nella presenza del leader istituzionale,
il quale è in grado di prefigurare agli altri partecipanti i vantaggi
della mutua cooperazione. Gli incentivi prefigurati dai patti
territoriali, per essere in grado di promuovere la cooperazione
condizionale, devono essere percepiti dagli attori, entrare nella
loro definizione della situazione. L’introduzione della leadership,
però, pone due ulteriori problemi, uno di ordine empirico e uno
di tipo analitico. Per il primo aspetto, ricordo come le rilevazioni
empiriche sin ora effettuate inducano a ritenere che la costi-
tuzione di una leadership legittimata sia stata cruciale per la
7
In quanto i sistemi di sanzionamento «sono essi stessi dei beni pubblici, in quanto
è possibile fruire dei benefici di un sistema di sanzionamento, senza contribuire alla
sua costruzione o al suo mantenimento» (Kollock 1998, 206).
Filippo Barbera
426
costituzione di fiducia tra gli attori e verso lo strumento pattizio
(Cersosimo e Wolleb, in questo fascicolo). Al contrario, dove
la leadership non è sostenuta dal consenso, i partecipanti sono
più rivolti agli aspetti meramente finanziari del patto. Non è
però completamente chiaro, perchè sia necessario il riconosci-
mento e il consenso verso il leader, al fine di sviluppare fiducia
tra gli attori della coalizione. Un’ipotesi, che sarà vagliata nei
casi di studio e discussa nelle conclusioni, è che sia il grado
di consenso verso il leader, sia la fiducia tra gli attori locali,
dipendano dalle caratteristiche del processo decisionale e dagli
equilibri di potere caratterizzanti la coalizione locale. La seconda
questione, di taglio più analitico, è che con l’espressione
imprenditore sociale si indica anche un attore che ricopre un
«buco strutturale» e connette, per la realizzazione di specifici
obiettivi, parti disconnesse della struttura sociale, creando nuove
aggregazioni (Granovetter 2000). Nella ricerca si forniranno
alcune indicazioni di come il leader istituzionale e l’imprenditore
sociale siano, contemporaneamente, presenti in fasi diverse dei
casi esaminati.
Un secondo, importante, elemento di tipo interazionista è che
la struttura dei pagamenti del GA, a differenza di quella del
DP, dà rilievo a tutti quei fattori drammaturgici che costituiscono
segnali di potenziale interesse per la cooperazione e che possono
svilupparsi in situazioni di compresenza. Fattori che costituisco-
no la quintessenza dell’«ordine dell’interazione» di Goffman
(1983). Seguendo questa linea, è noto come gli esperimenti di
laboratorio sulle problematiche dell’azione collettiva abbiano
messo ripetutamente in evidenza che i livelli di cooperazione
crescono molto se agli attori possono comunicare in contesti di
«interazione situata»
8
(Ledyard 1995; Ostrom 2000). Tramite la
comunicazione, gli attori costruiscono visioni comuni del pro-
blema, ricercano le soluzioni più efficaci e manifestano il loro
disappunto in caso di fallimento dell’azione collettiva. Inoltre,
gli stessi effetti non sono raggiunti se la comunicazione è mediata
dal computer e, quindi, non avviene in situazione di compre-
senza.
8
L’interazione situata è quella in cui: «l’attore è coinvolto (...) in una specifica
situazione fra un numero limitato di attori, in condizione di compresenza in luoghi
specifici o occasionali (...)». Lo studio dell’interazione situata si sforza dunque di
considerare l’attore nella situazione in cui si trova e i comportamenti tipici che in essa
pone in atto, secondo forme osservabili (Bagnasco e Negri 1994, 35).
Le politiche della fiducia
427
Una terza leva di matrice interazionista, riguarda la possibilità
che i «contesti sperimentali» attivati dai tavoli di Concertazione
locale possano costituire l’occasione in cui cambia la configu-
razione pregressa dei reticoli: i buchi strutturali (Burt 1992), che
hanno permesso ad un terzo attore strategico di emergere tra
gli altri due, diventano visibili e possono essere colmati. Infatti,
un problema aperto della teoria dei buchi strutturali riguarda
la loro riproduzione nel tempo, ovvero il mantenimento di una
configurazione dei reticoli che permette ad un tertius di gestire
e riprodurre un vantaggio strategico (Granovetter 2000). I tavoli
possono esprimere alleanze inedite tra attori che, tradizionalmen-
te, avevano relazioni conflittuali o non avevano relazioni di
nessun tipo.
L’insieme di questi argomenti, perlomeno dal punto di vista
teorico, concretizza la possibilità che anche in assenza di pratiche
cooperative pregresse gli attori locali possano sviluppare aspet-
tative fiduciarie e, data la struttura degli incentivi tipo GA,
riescano a dare vita a patti territoriali di tipo «integrativo».
7. Il disegno della ricerca
In generale, per quanto detto, le variabili da analizzare e
mettere in relazione sono:
1. la presenza di pratiche cooperative pregresse e di legami
orizzontali nella società locale;
2. le caratteristiche del processo di mobilitazione e di con-
certazione territoriale;
3. la formazione, composizione e grado di attività dei tavoli
di Concertazione Locale.
Lo strumento principale del lavoro di ricerca è costituito da
interviste semistrutturate agli attori locali, protagonisti del patto
territoriale. Inoltre, si è proceduto alla raccolta di materiale
documentale utile alla ricostruzione del contesto
9
.
La prima variabile sarà stilizzata mediante i seguenti indicatori
al tempo (T0), prima del processo di concertazione territoriale
(T1):
9
Sono state realizzate circa 30 interviste, per quattro casi di studio. Per un caso,
inoltre, si sono utilizzate una ventina di interviste effettuate in precedenza dalla segreteria
tecnica. Il materiale documentale consultato è di tre tipi: (i) verbali dei tavoli di
concertazione e dei tavoli tecnici; (ii) protocolli d’Intesa; (iii) rapporti intermedi.
Filippo Barbera
428
presenza di organismi di partnership sul territorio e com-
posizione di questi organismi;
eventi di cooperazione tra gli attori locali.
La seconda variabile riguarda le dinamiche e le caratteristiche
del processo di mobilitazione e di concertazione territoriale. Qui,
gli elementi considerati riguarderanno: il processo di concerta-
zione, la presenza di conflitti, la quantità e il tipo di organiz-
zazione delle riunioni, le caratteristiche dell’agenda-setting e il
numero degli attori coinvolti. La terza variabile, riguarda l’even-
tuale formazione di strutture di governance locale. Sempre
tramite interviste ai protagonisti del patto, si metteranno in
evidenza alcuni elementi cruciali: si sono formate strutture di
governo del territorio? Il tavolo della concertazione è soprav-
vissuto alla propria funzione contingente? Si sono formati tavoli
specifici, come sono composti? Hanno proseguito la loro
attività?
La ricerca si concentra sui patti territoriali in provincia di
Torino e analizza quattro casi, scelti tramite interviste a testimoni
privilegiati che hanno partecipato a molti dei tavoli di concer-
tazione (Unione Industriale, Segreterie Tecniche dei patti, Sin-
dacato). Le opinioni dei testimoni privilegiati sono servite ad
individuare due casi che contenevano gli elementi caratteristici
dei «patti integrativi», un caso molto vicino alla modalità
«distributiva» e un ultimo caso con caratteristiche intermedie.
La selezione dei casi, quindi, avviene su un range di valori della
variabile dipendente, strategia diffusa nel disegno delle ricerche
di tipo «qualitativo» (King, Keohane, Verba 1994, 142).
I casi scelti saranno quindi costituiti da:
patto del Canavese e patto della zona ovest;
patto del Sangone e patto del Pinerolese.
La tabella 1 riporta, in chiave comparata, l’organizzazione di
ciascun patto e la partecipazione degli attori locali.
Già dall’elenco dei partecipanti e dall’organizzazione del
patto, il cui valore è più che altro descrittivo, si possono trarre
alcune considerazioni. Solo un patto ha previsto la cabina di
regia (zona ovest) e sempre in un unico caso la funzione di
segreteria tecnica è stata svolta dal coordinatore del patto
(Sangone). In alcuni casi è chiara la presenza di un Comune
leader naturale (Canavese e Pinerolese), in altri casi sono invece
compresenti più Comuni di dimensioni simili. La Provincia di
Torino è presente tra i soggetti firmatari di tutti i patti.
Le politiche della fiducia
429
Principali soggetti firmatari
del Protocollo d’Intesa
tavolo di Concertazione
Cabina di Regia
Segreteria Tecnica
Coord. patto
Canavese
122 Comuni;
5 Comunità Montane;
Provincia di Torino;
Associazioni di rappresentan-
za (imprese e terzo settore);
CGIL-CISL-UIL;
Associazioni, enti e autono-
mie funzionali
Comune di Ivrea;
10 Comuni del Canavese;
5 Comunità Montane;
Associazioni sindacali e di
categoria;
Associazioni, enti e autono-
mie funzionali
Non prevista
Società S&T
Comune di Ivrea
zona ovest
11 Comuni;
Provincia di Torino;
Associazioni di rappresentan-
za (imprese e terzo settore);
CGIL-CISL-UIL;
Associazioni, enti e autono-
mie funzionali
6 principali Comuni;
Un rappresentante per ogni
settore economico;
Un rappresentante delle or-
ganizzazioni sindacali;
Associazioni, enti e autono-
mie funzionali
6 principali Comuni;
Organizzazioni sindacali, di
categoria e del terzo settore
Società A.A.STER
Comune di Pinerolo
Sangone
9 Comuni;
1 Comunità Montana;
Provincia di Torino;
Associazioni di rappresentan-
za (imprese e terzo settore);
CGIL-CISL-UIL;
Associazioni, enti e autono-
mie funzionali
ASSOT;
Rappresentanze economico-
sociali;
Organizzazioni sindacali;
Enti e autonomie funzionali
Non prevista
ASSOT
ASSOT
T
AB
. 1. Organizzazione e composizione dei quattro patti
Pinerolese
51 Comuni;
3 Comunità Montane;
Associazioni di rappresentan-
za (imprese e terzo settore);
CGIL-CISL-UIL;
Associazioni, enti e autono-
mie funzionali
Comune di Pinerolo;
3 principali Comuni;
3 Comunità Montane;
Associazioni sindacali e di
categoria;
Enti e autonomie funzionali
Non prevista
Società S&T
Comune di Collegno
Filippo Barbera
430
8. I risultati
Per ogni caso illustrerò in modo sintetico le principali
caratteristiche delle relazioni pregresse tra gli attori locali, le
dinamiche del processo di concertazione e l’attività della coa-
lizione locale successiva alla firma del Protocollo d’Intesa. Non
entrerò nel merito delle caratteristiche economiche del patto,
ovvero quantità di risorse attivate, impatto occupazionale e
progetti infrastrutturali
10
. Il periodo di osservazione degli eventi
copre sino a circa un anno dopo la firma del Protocollo d’Intesa.
Per questa ragione alcuni eventi rilevanti, ma successivi, non
saranno considerati.
Il patto del Canavese
La presenza pregressa di relazioni di collaborazione era
significativa soprattutto nella zona dell’eporediese (Ivrea e
dintorni), grazie all’eredità dell’Olivetti e all’attività della Pro-
vincia di Torino, ma non coinvolgeva le altre zone del Canavese.
Su iniziativa congiunta di Olivetti, Comune di Ivrea e Provincia,
sono nati, ben prima del patto territoriale, alcuni importanti
attori collettivi: il Consorzio per la formazione Carlo Ghiglieno
(ora FO.R.UM), il Consorzio per il Distretto Tecnologico, il Bio-
Parco e l’Istituto per le ricerche di tecnologia meccanica e per
l’automazione (RTM). Tutti gli attori vedevano la partecipazione
azionaria di Enti Locali, imprese singole e associazioni di
rappresentanza. Il sindacato, pur non partecipando formalmente,
aveva un atteggiamento positivo verso le iniziative.
Nell’eporediese, quindi, l’eredità dell’Olivetti ha contribuito
a formare una classe dirigente locale, tanto che vi sono eventi
pregressi di collaborazione in cui alcuni dei protagonisti del
futuro tavolo di concertazione sperimentano forme di collabo-
razione. Uno di questi eventi è costituito dalla firma del
DOCUP regionale 1997-1999, già a ridosso dell’insediamento
del tavolo di concertazione: in quell’occasione i rappresentanti
delle associazioni industriali, le associazioni artigianali, i sin-
dacati, le pubbliche amministrazioni e il Comune di Ivrea
presentano alla Regione delle proposte integrate per il Cana-
10
Neppure tratterò i patti agricoli, compresi in tre dei quattro casi.
Le politiche della fiducia
431
vese da inserire nel DOCUP. Come anticipato, però, sia le
partnership che gli eventi di cooperazione gravitano intorno alla
città di Ivrea e sono più o meno egemonizzati da pochi grandi
attori. Quindi, è vero che l’eredità dell’Olivetti ha contribuito
a formare una sorta di classe dirigente locale, ma è anche da
sottolineare che il patto territoriale coinvolge un territorio
molto più vasto della sola zona di Ivrea e dintorni e il tavolo
di concertazione vede il coinvolgimento e la partecipazione
cooperativa di un numero molto più elevato di attori.
Alcune delle ragioni che spiegano questi risultati, si trovano
nelle caratteristiche del processo di mobilitazione e di concer-
tazione territoriale. La mobilitazione promossa dal Comune di
Ivrea, l’attività di pubblicità dell’iniziativa realizzata dalla segre-
teria tecnica e le dinamiche del tavolo di concertazione hanno
permesso al patto del Canavese di «costruire» un territorio,
coinvolgendo Enti Locali e altri attori prima marginali nella
governance locale. Il 21 marzo 1997 la città di Ivrea ha convocato
un incontro tra Sindaci, Presidenti delle Comunità Montane del
Canavese, Provincia di Torino e Parlamentari del Canavese, per
stabilire le linee d’azione comuni utili a fronteggiare il declino
industriale dell’area e in questa sede viene avanzata la proposta
di attivare il patto del Canavese. Questa data, in verità,
rappresenta anche il punto d’arrivo di un processo di consul-
tazione territoriale avviato nel 1995, in occasione dell’insedia-
mento della Conferenza dei Sindaci e dei Presidenti delle
Comunità Montane del Canavese e anche in seguito ad altre
iniziative territoriali che hanno coinvolto le forze economico-
sociali del territorio. In seguito, il segretariato tecnico viene
affidato alla Società S&T di Torino e nel maggio del 1997 viene
inoltrata richiesta formale di accompagnamento al CNEL. Nel
giugno dello stesso anno, inizia una fase di consultazione mirata
a definire un elenco degli attori locali più rappresentativi e che
si conclude con l’insediamento del tavolo di concertazione.
Questa fase ha richiesto circa 50 incontri per la presentazione/
discussione dello strumento al territorio. Importante è stata
l’azione del Sindaco di Ivrea, G. Maggia e della segreteria
tecnica, che hanno messo in comunicazione parti diverse del
territorio del Canavese, prima solo debolmente o per nulla
connesse.
Il processo di concertazione ha visto la partecipazione di tutti
gli attori rilevanti e non c’è stato uno o pochi attori che hanno
egemonizzato il processo decisionale. La concertazione si è
Filippo Barbera
432
sviluppata con costi specifici per gli attori e la leadership del
Sindaco di Ivrea ha incontrato il consenso degli altri attori locali.
L’attività del tavolo di concertazione si snoda attraverso nume-
rosi incontri, la partecipazione alle riunioni è sempre stata elevata
e ha riguardato tutti gli attori locali. Dall’esame dei verbali del
tavolo di concertazione e dalle interviste non emergono parti-
colari conflitti, durante le riunioni gli attori pianificano le
strategie future e concordano, di volta in volta, azioni collettive
mirate
11
. Accanto al tavolo di concertazione nascono, durante
il processo, cinque tavoli tecnici:
il tavolo della formazione;
il tavolo per il sistema del credito e della garanzia;
il tavolo per lo sportello unico per le attività produttive;
il tavolo per le infrastrutture materiali ed immateriali;
il tavolo per l’economia sociale ed il welfare.
Anche in questi casi, le testimonianze raccolte offrono uno
spaccato positivo dell’attività dei tavoli tecnici. I tavoli tecnici
hanno raccolto gli esperti del settore, includendo anche le
rappresentanze delle parti sociali e dei Comuni dell’area. Altro
elemento caratterizzante il patto è la presenza di protocolli
aggiuntivi, che nel caso del Canavese riguardano la formazione,
l’agricoltura e il credito. La loro presenza è già un elemento
importante, che deve però essere confrontato con l’effettiva
attività dei tavoli dopo la firma del protocollo d’intesa.
Le attività dei tavoli sono continuate con buona frequenza
anche dopo la firma del protocollo d’intesa; i tavoli hanno
assunto funzioni di governance del territorio, coordinando l’at-
tività dei diversi attori in vista di obiettivi specifici. Prima di
tutto, il tavolo ha continuato a riunirsi con cadenza bisettima-
nale, per discutere strategie comuni di governo del territorio.
Tutte le dichiarazioni rese dagli attori vanno in questa direzione:
il tavolo di concertazione si riunisce, discute di temi di rilevanza
11
Riporto due brani di intervista di attori appartenenti a campi diversi, relativi alle
caratteristiche del processo di concertazione: «Conflitti veri e propri non ce ne sono
stati. La nostra controparte, ovvero l’Associazione Industriale del Canavese, non ha avuto
l’atteggiamento di chi si avvicina al tavolo per chiedere all’altro e basta» (Intervista a
rappresentante CGIL Canavese). Dello stesso tono sono le dichiarazioni del rappre-
sentante dell’Associazione degli Industriali: «Secondo me grossi conflitti non ce ne sono
stati. L’iniziativa è nata con il consenso di tutti. L’assemblea comprendeva molti soggetti,
pubblici e privati. Il tavolo di Concertazione è stato fatto molto allargato» (Intervista
a rappresentante Associazione Industriale Canavese). Si tratta di un giudizio diffuso e
che riguarda gli attori pubblici e quelli privati.
Le politiche della fiducia
433
locale e pianifica azioni coordinate. Esempi di questo tipo,
riguardano i progetti per i fondi strutturali, la presentazione di
proposte integrate verso Regione e Provincia e la discussione
e la predisposizione di azioni congiunte in relazione a temi ed
eventi con un forte impatto sulla realtà locale.
Il patto della zona ovest
Nella zona ovest dell’area metropolitana di Torino le relazioni
cooperative pregresse sono caratterizzate, accanto a originali
tentativi di collaborazione tra gli Enti locali, anche da aspetti
problematici. Il patto interessa 11 Comuni, di questi i maggiori
sono: Rivoli (52.447 ab.), Collegno (47.548 ab.), Grugliasco
(40.797 ab.) e Venaria Reale (34.438 ab.). Si tratta di Comuni
piuttosto omogenei dal punto di vista fisico, economico e
culturale e che hanno conosciuto in passato vincoli e opportunità
comuni. A differenza del Canavese, quindi, in questa zona non
c’è un Comune leader naturale, ma vi sono quattro Comuni
medio-grandi su un piano di sostanziale parità. Il primo aspetto
è che le amministrazioni comunali hanno sperimentato in diverse
occasioni l’attitudine al confronto e, in alcuni casi, anche alla
collaborazione. Ciò nonostante, come si evince anche dal lungo
processo che ha portato all’insediamento del tavolo di concer-
tazione, la competizione è stata un elemento costitutivo della
storia dell’area
12
. Questa situazione si accompagna a relazioni
pubblico-privato piuttosto ordinarie e non dissimili da quelle
presenti in tutta l’area metropolitana di Torino. Le azioni
congiunte, cioè, si limitavano a reagire a situazioni di crisi in
atto, senza discussioni strategiche sullo sviluppo locale. Il
risultato del patto territoriale è però in netta discontinuità con
questo stato di cose, tanto che il patto della zona ovest è uno
dei casi più interessanti e innovativi tra i patti della provincia
di Torino
13
. Vediamo le caratteristiche delle diverse fasi.
12
«Collegno, Grugliasco e Rivoli sono unici nel panorama della Provincia di Torino.
Nell’hinterland le zone sono comunque caratterizzate da leadership naturali. Qui non
c’è il collegnese o il grugliaschese: c’è la zona Ovest. La rivalità tra Collegno, Grugliasco
e Rivoli è antichissima. Storicamente il Comune dominante era quello di Rivoli, perché
lì c’era la struttura amministrativa decentrata da Torino, dai tempi dei Savoia. E questa
rivalità è rimasta» (Intervista al Vicesindaco di Collegno).
13
Come sostenuto anche da altre rivelazioni (cfr. C.S.A.R. 2000).
Filippo Barbera
434
La mobilitazione si è caratterizzata per alcuni elementi im-
portanti: primo, è stato un processo lungo e che ha dovuto
affrontare il problema della legittimazione del Comune capofila.
Secondo punto, nella fase di mobilitazione si è cercato e trovato
un accordo per la composizione dei conflitti tra i Comuni
dell’area. Nell’insieme, questa fase ha richiesto circa due anni,
dal luglio 1996, data della firma del primo protocollo d’intenti,
al giugno 1998, quando Collegno subentra ad Alpignano come
Comune capofila. Agli inizi del 1996, Alpignano propone di
istituire una sede permanente di confronto tra i Comuni sul tema
dello sviluppo locale. Il confronto ha così inizio ma, date le non
facili relazioni pregresse e a causa di eventi contingenti, il
percorso richiede circa due anni, prima di portare alla legitti-
mazione del ruolo di Collegno come Comune capofila.
Con il passaggio di consegne a Collegno, con la scelta di una
nuova struttura di accompagnamento, dopo aver deciso la
delimitazione territoriale del patto e aver stabilito una linea
condivisa tra le amministrazioni comunali, il patto entra nel vivo
del confronto con le associazioni di categoria, soprattutto per
la definizione del bando di gara per i finanziamenti alle imprese.
L’aspetto qualificante del processo di concertazione territoriale
tra i Comuni e le parti sociali è la ricerca di adeguamento del
modello di finanziamento «standard» previsto dalla normativa
sui patti territoriali, alle esigenze di sviluppo locale specifiche
della zona ovest. Questo ha portato all’inclusione nel bando di
nuovi e originali parametri di patto, rispondenti a precisi bisogni
del territorio, sulla cui definizione si è avuta una discussione
serrata ma che, allo stesso tempo, ha permesso agli attori di
portare risorse nel processo, di rinunciare ai propri obiettivi
ordinari in vista di un obiettivo comune. Su questo punto le
dichiarazioni di tutti i protagonisti sono univoche: il valore
aggiunto di questo patto si è determinato nel processo di
concertazione, in particolare nella predisposizione del bando di
gara e nella scelta delle opere infrastrutturali. Nella zona ovest,
il processo di concertazione territoriale si è svolto in un
sostanziale equilibrio di forze tra gli attori locali. La diffusione
del potere decisionale ha reso possibile un processo di «con-
certazione con costo»: gli attori, in questo patto, hanno potuto
decidere e mettersi in gioco, hanno potuto «rischiare» e,
mostrando fiducia, hanno creato fiducia.
Il patto ha dato vita anche a dei tavoli tematici, la cui
organizzazione riflette questo aspetto. Ogni tavolo è affidato ad
Le politiche della fiducia
435
un Comune diverso e in ognuno sono presenti i rappresentanti
degli attori partecipanti alla coalizione locale. I protocolli del
patto della zona ovest riguardano (i) lo snellimento e la
trasparenza delle procedure amministrative; (ii) il credito, che
impegna i soggetti firmatari a favorire l’accesso al credito per
i soggetti che hanno presentato domanda di agevolazione o
manifestazioni di interesse per il patto territoriale; (iii) la qualità
ambientale; (iv) la costituzione di un patto per il sociale,
finalizzato alla costruzione di un welfare municipale; (v) i saperi
locali. Si tratta del patto, tra quelli qui esaminati, con il maggior
numero di protocolli tematici e i cui impegni sono stati portati
avanti con misure e azioni concrete anche dopo la firma del
protocollo d’intesa.
La fiducia che si è creata nel processo di concertazione, le
relazioni attivate ex novo e i costi pagati da tutti gli attori, hanno
contribuito a creare una coalizione di governance locale che
discute e progetta le strategie per lo sviluppo locale della zona
ovest. I giudizi degli attori sull’attività del tavolo di concertazione
sono molto positivi, anche per la numerosità e l’impatto dei
progetti di cui il tavolo si occupa, tra questi: programma di
riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio
(PRUSST); Costituzione di un Consorzio per la formazione che
permetta la costruzione di percorsi «scuola-lavoro»; Progetto
Horizon, mirato alla costituzione di una struttura locale la cui
funzione principale è quella di migliorare gli inserimenti lavo-
rativi dei soggetti deboli.
Gli attori locali, comunque, mantengono sempre la possibilità
dell’exit dalla coalizione: la leadership di Collegno è continua-
mente contrattata e la sua legittimità deve essere confermata su
ogni singola decisione. Nella zona ovest, in particolare per i
Comuni, le decisioni del tavolo di concertazione sono una
continua contrattazione tra attori su un piano di sostanziale
parità. Questo ha conseguenze ambivalenti: da una parte, come
già sottolineato, fornisce a tutti gli attori la possibilità di decidere
e di rischiare risorse proprie nel processo. Dall’altra parte,
proprio la consapevolezza che la zona ovest si deve muovere
con l’apporto di tutti i grandi Comuni del territorio, stimola
atteggiamenti mirati ad alzare la posta per continuare a restare
all’interno della coalizione. La minaccia di exit richiede, da parte
di Collegno e del Vicesindaco di questo Comune che è, di fatto,
il leader della coalizione, un costante lavoro di compromesso
e di ricucitura. In altri termini, la fiducia e il capitale sociale
Filippo Barbera
436
creatisi durante il processo di concertazione, in effetti il più ricco
tra i casi esaminati, sono risorse sociali soggette a processi di
deterioramento, se sottoposti a continui atteggiamenti di con-
trattazione
14
.
Il patto del Sangone
L’area interessata dal patto del Sangone copre un territorio
identificabile con i Comuni di Beinasco, Bruino, Orbassano,
Piossasco, Rivalta, più i Comuni compresi nella Comunità
Montana della Val Sangone, il cui Comune centrale è Giaveno.
Anche in questo caso non c’è un leader naturale dell’area, ma
si tratta, a differenza del caso precedente, di un insieme di
Comuni medio-piccoli.
La presenza di risorse sociali pregresse è, per la zona del
Sangone, analoga a quella delle altre aree metropolitane. Le
relazioni tra gli attori locali erano assenti o, se presenti, erano
soprattutto orientate alla gestione delle crisi industriali e occu-
pazionali. Di nuovo, le pratiche prevalenti erano quelle carat-
teristiche del resto dell’area metropolitana e, quindi, orientate
alla gestione dell’emergenza
15
.
Nel dicembre 1999 nasce ASSOT, con il compito di dare
impulso alle politiche di sviluppo locale della zona del Sangone.
ASSOT è una società a responsabilità limitata a capitale
pubblico, costituita dalla Provincia di Torino (30%) e dai
Comuni di Beinasco, Bruino, Orbassano, Piossasco, Rivalta e
Volvera. ASSOT nasce senza coinvolgere le parti sociali, che
verranno informate dell’iniziativa tramite l’invio dello Statuto
della società. In questo contesto, si inserisce la proposta di
costituire un patto territoriale, che costituisce anche la prima
importante occasione di sviluppo locale gestita da ASSOT.
L’Agenzia gestisce la mobilitazione come un soggetto «primo tra
14
Per l’importanza di considerare le interazioni sociali come «giochi aperti»,
piuttosto che come «giochi chiusi», si veda il fondamentale lavoro di Boudon (1985).
L’idea che vi sia un limite alle possibilità di contrattare e utilizzare strumentalmente
le risorse innervate nei reticoli sociali è espressa con forza da Granovetter (2000).
15
La testimonianza di uno dei partecipanti al tavolo di concertazione è chiara: «Il
rapporto tra l’azienda e l’Ente locale era del tipo che l’azienda aveva bisogno di qualcosa
e faceva un po’ di pressione per infrastrutture o varianti ai piani regolatori, metteva
un po’ sul piatto il discorso occupazionale. Così era la concertazione sul territorio, non
che ci fosse molto di più» (Intervista a rappresentante sindacale, CISL Torino).
Le politiche della fiducia
437
pari», tanto che la proposta di patto viene prima elaborata
all’interno dell’agenzia e solo in seguito è comunicata agli altri
attori locali. La fase di mobilitazione degli attori locali è piuttosto
breve, circa la prima metà del 1999, e viene gestita da ASSOT
tramite incontri bilaterali. La formula degli incontri bilaterali tra
il soggetto promotore e gli altri attori locali, nella fase di
mobilitazione, è tipica anche degli altri casi analizzati. Nel caso
del Sangone, però, si notano due importanti diversità: (i) la
metodologia degli incontri bilaterali prosegue per tutta la durata
del patto e (ii) le funzioni di segreteria tecnica vengono svolte
da ASSOT. Questa società gestisce, in piena coerenza con il
proprio ruolo di Agenzia di Sviluppo pubblica, il processo di
concertazione mediante una serie di incontri bilaterali, interval-
lati ad incontri «plenari» a carattere assembleare. L’agenda della
discussione viene redatta da ASSOT, discussa individualmente
negli incontri bilaterali e anche nelle occasioni assembleari
16
. Nel
processo, così impostato, diventa difficile, se non impossibile,
decidere: ovvero rischiare risorse proprie e adattare gli obiettivi
dell’organizzazione di appartenenza a obiettivi comuni, definiti
congiuntamente. Ciò nonostante si sviluppano alcuni momenti
di conflitto, che servono a creare una certa coesione tra alcuni
degli attori locali: si sperimentano alleanze inedite e si indivi-
duano nuovi temi di confronto. Il sindacato arriva a minacciare
di non firmare il protocollo d’intesa, ma poi il conflitto rientra.
Non ci sono stati tavoli tecnici specifici, ma il tavolo di
concertazione ha ricoperto di volta in volta il ruolo dei tavoli
tematici, discutendo alcuni problemi puntuali: tra questi ha
avuto particolare rilevanza il trasferimento del Centro Agro-
alimentare nella zona del Comune di Beinasco e il tema della
formazione professionale.
Quali sono le conseguenze di queste modalità di concertazione
sull’attività successiva della coalizione? Ad un livello zero, vi è
chi ritiene che le dinamiche conflittuali abbiamo comunque
16
Il giudizio del sindacato su questa metodologia è netto: «È mancata la concer-
tazione, ASSOT ha fatto tanti incontri bilaterali con gli attori locali: ma la concertazione
è un’altra cosa» (Intervista a rappresentante sindacale CGIL). Ma anche le rappresen-
tanze imprenditoriali sono sulla stessa linea: «Io il vero significato di concertazione non
l’ho mai sentito in questo patto. Anche perché il tavolo di concertazione non era pensato
come un posto dove si individuano i problemi e si cercano le soluzioni, anche con
contrasti. Lì si arrivava e tutto era già deciso, tutto era già fatto da ASSOT. Le decisioni
venivano ratificate, giusto perché era necessario ratificarle ufficialmente» (Intervista a
rappresentante API).
Filippo Barbera
438
avuto un effetto positivo, creando alleanze inaspettate. Il patto,
sostiene l’ex amministratore unico di ASSOT: «ha creato dei
rapporti che prima non esistevano. O esistevano in modo
sporadico. Sovente sindacati e associazioni imprenditoriali si
sono coalizzati, «contro» di noi. Hanno fatto coalizione per la
prima volta». Questo è comunque un elemento innovativo nel
contesto, che riporta alla luce le note «funzioni» sociali del
conflitto. Le possibilità offerte dalla compresenza e dal conflitto
verso un «terzo», hanno attivato, in una certa misura, interazioni
nuove. Ma, come già anticipato in precedenza, si è trattato di
dinamiche che non hanno permesso lo sviluppo di «giochi della
fiducia» soprattutto per il forte ruolo esercitato da ASSOT nel
processo decisionale. Il giudizio degli attori sulla qualità e sui
contenuti dell’attività successiva del tavolo di concertazione è
ancora piuttosto negativo, a indicare come il particolare sviluppo
del precedente processo non sia più di tanto servito a creare
relazioni cooperative. I temi di discussione delle riunioni del
tavolo riguardano principalmente argomenti collegati all’appro-
vazione del patto e, in misura minore, progetti strategici orientati
al futuro. I primi sono però preponderanti, a segnalare che la
coalizione locale fatica ad andare oltre la contingenza del
finanziamento.
La strada scelta da ASSOT, ovvero il modello dell’Agenzia
di sviluppo pubblica che dialoga direttamente con le imprese
locali, è un strada difficile. Alcuni importanti risultati e discon-
tinuità con l’assetto precedente sono stati prodotti, come la
rinnovata collaborazione con gli istituti di formazione locali e
l’apertura dello sportello unico per le attività imprenditoriali. Si
tratta di una strada, però, che contrasta con le aspettative
generate dall’impianto concertativo delle politiche pattizie e che
presuppone, per funzionare, una tradizione di pubblica ammi-
nistrazione dotata di risorse e competenze molto elevate nel
campo dello sviluppo locale.
Il patto del Pinerolese
Il territorio di interesse per il patto del Pinerolese comprende
una zona situata tra la pianura e le valli montane, con il Comune
di Pinerolo in posizione di cerniera tra le due aree. Dal punto
di vista amministrativo, l’area è caratterizzata dalla presenza di
tre Comunità Montane e dalla pianura del pinerolese, che conta
Le politiche della fiducia
439
14 Comuni per un totale di 40.466 abitanti. Inoltre, la coalizione
del patto è stata estesa a nord ad alcuni comuni a vocazione
industriale della pianura ai confini con l’area di influenza del
torinese (None e Volvera), a sud a due comuni dell’alto cuneese
(Barge e Bagnolo) e, verso la Val Chisone, a un Comune
Montano (Sestriere). Il Comune di dimensioni maggiori è
Pinerolo che, con i suoi 34.412 abitanti, assume di fatto il ruolo
di leader naturale dell’area, essendo gli altri Comuni tutti al di
sotto dei 10.000 abitanti. Diverso è il peso delle Comunità
Montane, la cui rilevanza nel territorio è, sia in termini
demografici che politici, cruciale. L’area vasta del patto com-
prende in totale 52 Comuni e contava, alla fine del 1997, 158.100
abitanti.
Il territorio, a parte la recente esperienza del «FORUM per
il rilancio del Pinerolese», su cui tornerò qui di seguito, non
aveva avuto sostanziali occasioni di discussione sullo sviluppo
locale. Le relazioni pubblico-privato erano anche qui estempo-
ranee e orientate alla gestione dell’emergenza generata dalle crisi
industriali e quelle pubblico-pubblico registravano la sostanziale
indifferenza del Comune di Pinerolo per il territorio del
Pinerolese. Il Comune di Pinerolo era il grande assente di un
territorio caratterizzato dalla compresenza di una pluralità di
attori forti e organizzati. Questa potenziale autonomia degli Enti
Locali è uno dei fattori che giustificano la frammentazione che
il territorio ha vissuto sino alla metà degli anni ’90. Questa
situazione inizia a cambiare intorno alla metà degli anni ’90: c’è
un ricambio nella classe politica pinerolese, viene eletto un
nuovo Sindaco (A. Barbero) e le Comunità Montane attivano
relazioni di collaborazione in vista di obiettivi che coinvolgono
l’intero territorio. Nella seconda metà degli anni ’90 nasce un
coordinamento tra Comunità Montane, Comune di Pinerolo e
alcuni soggetti privati in vista dei mondiali del Sestiere. Un paio
di anni dopo nasce il «FORUM per il Rilancio del Pinerolese»,
che inizia un’attività politica di discussione sulle strategie per
lo sviluppo locale. Del FORUM facevano parte: i due parlamen-
tari del Pinerolese, il Sindaco di Pinerolo, i rappresentanti delle
tre Comunità Montane, un rappresentante dei Comuni della
pianura (Cavour) e un rappresentante della Provincia di Torino.
Nei mesi successivi, l’invito viene esteso anche alle rappresen-
tanze sindacali e all’Ufficio Studi dell’Unione Industriale. L’at-
tività del FORUM è prevalentemente di tipo politico e program-
matico e il principale risultato della coalizione è la produzione
Filippo Barbera
440
di un paio di documenti sulle problematiche dello sviluppo
locale.
Nel settembre del 1998 il FORUM lascia spazio alla segreteria
tecnica che, su mandato del Sindaco di Pinerolo, attiva il
processo di mobilitazione degli attori pubblici e privati. La
sensibilizzazione è diffusa su tutto il territorio e coinvolge i
principali attori dell’area. La segreteria tecnica svolge gli incontri
con gli attori locali, illustrando caratteristiche e finalità del patto
territoriale. Gli incontri raccolgono l’adesione degli Enti locali
e delle rappresentanze economiche.
I giudizi degli attori sulle dinamiche sviluppatesi all’interno
del tavolo di concertazione sono diversi e, in parte, contrastanti:
alcuni rappresentanti del FORUM, rimarcano il carattere ecces-
sivamente «tecnico-procedurale» e non «politico» della coalizio-
ne locale. Ne sottolineano l’eccessiva attenzione per la procedura
«verso Roma», a scapito della discussione su un progetto
integrato di sviluppo locale. Altri attori, al contrario, sostengono
la bontà delle scelte effettuate, anche in direzione sostanziale
e non solo procedurale: «gli elementi tecnici sono quelli che ci
hanno permesso di arrivare in porto», sostiene il Sindaco di
Pinerolo.
Come già anticipato, Pinerolo occupa nel territorio una
posizione strategica sia in quanto è il Comune di dimensioni
maggiori e anche perché ricopre il ruolo di «cerniera» tra le
Valli e la pianura. Come prima argomentato, però, nel passato
Pinerolo si era sostanzialmente disinteressato del territorio del
Pinerolese, non aveva mai assunto il ruolo di leader del territorio,
dando anzi l’impressione di voler usare la propria posizione
dominante per accentrare servizi e decisioni strategiche. Questa
tendenza cambia durante il processo di concertazione locale. In
sintesi: durante la fase di concertazione, il Comune di Pinerolo
compie dei significativi passi per legittimare la leadership nel
territorio, pagando dei costi specifici per la concertazione (cioè,
non assume un atteggiamento «pigliatutto»). Il «primo passo»
in termini di costi della concertazione toccava proprio al
mancato leader dell’area, al Comune che in passato, pur
avendone le potenzialità, non aveva mai mostrato interesse per
il territorio.
Un altro evento importante nel processo di concertazione
territoriale del patto del Pinerolese è la discussione sul proto-
collo del credito. L’importanza del protocollo del credito è
duplice: prima di tutto, costituisce un momento in cui gli attori
Le politiche della fiducia
441
locali, pubblici e privati, si trovano uniti in una discussione,
anche accesa, con gli istituti bancari per ottenere condizioni
agevolate di accesso al credito per le imprese che partecipano
al patto territoriale. In secondo luogo, si tratta di un protocollo
che verrà poi esportato su altri patti territoriali e che verrà, con
qualche modifica, esteso a tutte le imprese che, sul territorio
provinciale, richiedono finanziamenti all’interno di un patto
territoriale.
Altri importanti elementi che segnalano la volontà di inter-
vento nel territorio della coalizione locale riguardano la presenza
di tre tavoli tecnici, formazione, sportello unico e infrastrutture,
oltre al già citato tavolo per il credito.
Un ultimo elemento utile per caratterizzare il processo di
concertazione locale è, qui come negli altri casi, la strutturazione
del processo decisionale. Si tratta, in sintonia con gli elementi
del modello analitico qui utilizzato, di un fattore cruciale per
capire la possibilità che gli attori hanno avuto di prendere
decisioni autonome, di decidere e quindi di rischiare. Come già
sottolineato, il patto del Pinerolese è stato caratterizzato da una
conduzione non accentratrice del Comune di Pinerolo e, quindi,
da un adeguato margine di libertà nel processo decisionale. La
concertazione è stata caratterizzata soprattutto per le relazioni
tra gli Enti Locali e con minore intensità per gli altri attori, tanto
che il sindacato, in una seduta del tavolo di concertazione,
minaccia di non firmare il protocollo d’intesa. Ciò che, in parte,
stupisce è che l’attività successiva del tavolo è più segnata dalla
presenza degli attori privati (sindacati, rappresentanze impren-
ditoriali) che da quella degli attori pubblici. Sono proprio quegli
attori che più avevano dialogato in modo costruttivo tra loro,
ovvero gli Enti Locali, a mostrare una certa caduta nella
partecipazione all’attività successiva del tavolo. Al contrario, le
rappresentanze economico-sociali che più avevano mostrato
segni di insoddisfazione in alcune fasi del processo di concer-
tazione, penso soprattutto a CGIL, Unione Industriale e Coldiretti,
sono invece le più attive nella partecipazione ai lavori del tavolo.
La coalizione, quindi, ha mostrato segni di debolezza proprio
dove più incisivi erano stati gli sforzi per costruire alleanze
durevoli. Questo mette in evidenza un nuovo elemento, non
previsto dallo schema teorico prima illustrato: il costo dell’exit
dalla coalizione pattizia. Il Pinerolese è infatti un territorio
caratterizzato dalla compresenza di numerosi attori forti e
potenzialmente autonomi: tre Comunità Montane, il Comune di
Filippo Barbera
442
Pinerolo e il consorzio dei Comuni della pianura. Per gli attori
pubblici, quindi, l’uscita dalla coalizione del patto ha dei costi
minori, essendo attive sul territorio coalizioni alternative
17
.
9. Conclusioni
Gli incentivi formali e le politiche pubbliche possono influen-
zare positivamente il capitale sociale dei territori. Lo sviluppo
di «patti integrativi», mediante meccanismi di «assicurazione»
e strategie di «cooperazione condizionale» non è una prerogativa
esclusiva dei territori dotati di livelli consistenti di capitale
sociale pregresso. I casi di studio hanno messo in evidenza i
meccanismi di produzione, via interazione, di «patti integrativi».
In sintesi: nei casi esaminati, i fattori relativi al processo di
mobilitazione e a quello di concertazione territoriale hanno
esercitato un ruolo decisivo. Di minore rilevanza, sembra il ruolo
esercitato dai fattori cooperativi pregressi. Infatti, anche dove
la loro presenza era modesta, si sono sviluppati «patti integrativi»
di successo (ad es. zona ovest) e anche dove il patto si è innestato
su elementi cooperativi preesistenti, la mobilitazione e la con-
certazione territoriale sono comunque state importanti per l’esito
finale (Canavese). Nondimeno, il capitale sociale pregresso ha
un certo peso: ma la sua importanza si manifesta soprattutto
nell’influenzare la fiducia che gli attori ripongono nella proba-
bilità della cooperazione condizionale, in una matrice dei
pagamenti tipo GA. L’importanza del capitale sociale pregresso,
quindi, non conduce a ragionamenti deterministi, lasciando
spazio alla possibilità che questa fiducia si generi durante il
processo stesso.
Per questo aspetto, relativo alla produzione contingente di
risorse sociali due sono gli elementi più rilevanti: il ruolo della
leadership e la presenza di costi specifici di concertazione. Nel
Canavese e nella zona ovest, tramite percorsi diversi, il patto ha
portato alla costituzione di una leadership legittimata, rispettiva-
mente del Sindaco di Ivrea e del Vice Sindaco di Collegno. Nel
17
Il Sindaco di Pinerolo racconta così la caduta di partecipazione: «Quando ho
cominciato a fare il sindaco nel ’97 ho trovato un parco amministratori delle Comunità
Montane molto consolidato. Ho lavorato con loro fino al maggio-giugno del ’99, quando
c’è stato il cambiamento nel personale politico. Dopo è stato più difficile raccordarsi.
Sono cambiate le persone».
Le politiche della fiducia
443
Pinerolese, il Sindaco di Pinerolo ha, partendo da una situazione
di forte diffidenza verso il ruolo del Comune, compiuto un buon
lavoro di legittimazione del ruolo di Pinerolo; nel Sangone non
si è creata una leadership legittimata e consensuale.
Il ruolo del leader è importante in quanto:
a) cambia le mappe cognitive degli attori, prefigurando i
vantaggi della cooperazione reciproca;
b) unisce e connette parti in precedenza disconnesse della
struttura sociale, creando nuove aggregazioni.
Dai casi di studio, emerge che nel processo di mobilitazione
le funzioni del leader ricordano le caratteristiche della figura
dell’imprenditore sociale, mentre in quello di concertazione
assume maggiore rilevanza quella del leader istituzionale. Nella
fase di mobilitazione è importante compiere un’opera di con-
nessione orizzontale sul territorio, arrivando anche a definire i
confini della zona interessata dal patto. Durante la fase di
concertazione, la coalizione è già definita e il ruolo del leader
è rivolto verso le regole costitutive del GA (Parri 1997). Un
elemento cruciale, poco considerato nel modello analitico ma
di grande rilevanza nella ricerca empirica, è che la legittimità
del leader dipende anche dalla scelta dei Comuni di assumersi
la responsabilità politica diretta del processo. Un aspetto impor-
tante, in altri termini, è se i Comuni includono il patto territoriale
in un disegno politico, dove cioè Sindaci, Vice-Sindaci e
Assessori hanno un ruolo primario, oppure se i Comuni trattano
il patto da un punto di vista sostanzialmente tecnico-finanziario.
Questo punto è collegato ad un ulteriore aspetto, centrale nei
casi esaminati: il forte ruolo della Provincia di Torino. La
Provincia ha partecipato a tutti i tavoli di concertazione, siglato
tutti i protocolli d’intesa e sostenuto le richieste delle coalizioni
locali verso il «centro». Di nuovo, si tratta di un impegno di
tipo politico e non solo tecnico. Il particolare attivismo della
Provincia di Torino, potrebbe, inoltre, essere dovuto alla
necessità di ricavare un’area di governance locale, alternativa alle
competenze della Regione e alle potenzialità della «città metro-
politana». Questa ipotesi andrebbe però approfondita, in par-
ticolare attrezzando l’analisi con comparazioni verso altre aree
di patto.
Tra i fattori relativi al processo, è sembrato davvero cruciale
lo sviluppo di processi di «concertazione con costo»: è impor-
tante che l’obiettivo del patto mostri anche un significativo
apporto di risorse proprie e di costi specifici pagati dagli attori.
Filippo Barbera
444
Gli attori, in altre parole, devono poter rischiare: assumersi un
rischio è un atto di fiducia che stimola ulteriore fiducia. Per
poter rischiare, gli attori della coalizione devono poter decidere:
prendere decisioni reali e non fittizie permette di creare obiettivi
comuni, punto di incontro degli obiettivi dei singoli. Alcune
delle condizioni che favoriscono un processo decisionale poli-
centrico e dove tutti gli attori hanno un ruolo nel processo, sono:
(i) la presenza di relazioni di potere equilibrate e di legami
trasversali, che limitino l’opportunismo di un attore «terzo» (ii)
la necessità per il leader di legittimarsi nei confronti della
coalizione e di utilizzare la concertazione come strumento di
legittimazione, (iii) un periodo ragionevolmente lungo per lo
svolgimento del processo di concertazione, così che gli attori
possano sperimentare alleanze e risolvere i conflitti.
Dal punto di vista del ruolo dei reticoli sociali, può essere
particolarmente importante collegare la presenza di fiducia
orizzontale tra i membri della coalizione, al ruolo delle catene
verticali di relazioni dirette tra i componenti della coalizione e
il leader: «dove simili catene esistono, si attiva un flusso di
informazioni atte a rassicurare i partecipanti circa la bontà delle
intenzioni dei leader e, nello stesso tempo, di controllare il loro
eventuale opportunismo (...)» (Granovetter 2000, 371). In pre-
senza di catene di controllo dell’opportunismo, quindi, gli attori
possono accollarsi dei rischi nel processo decisionale. L’analisi
sinora condotta non permette di verificare questa ipotesi, ma
questa plausibile relazione tra fiducia e potere può dare conto
della connessione empirica tra presenza di una leadership
consensuale e processi di concertazione con costo, rilevata dalle
ricerche sistematiche sui patti territoriali.
Nel Canavese e nella zona ovest il processo di concertazione
ha visto un reciproco avvicinamento degli obiettivi parziali degli
attori, verso un obiettivo generale. Tutti hanno rinunciato a far
valere esclusivamente un proprio interesse di parte e hanno
cercato la mediazione con gli interessi degli altri attori locali.
Nel caso del Canavese, in un certo senso, l’operazione era
piuttosto semplice, anche se non scontata, data l’eredità di
rapporti e di eventi di cooperazione che caratterizzava il
territorio. Nel caso della zona ovest, per così dire, si partiva
invece da più lontano. Ad esempio, il rappresentante degli
industriali e la sindacalista della CGIL, che agiva su delega anche
per CISL e UIL, non si erano letteralmente mai visti. Nel
processo di concertazione, però, gli attori erano effettivamente
Le politiche della fiducia
445
investiti di autonomia decisionale e ciò ha permesso loro di
rischiare risorse proprie, mostrare fiducia e generare ulteriore
fiducia. Nel patto del Pinerolese i costi sono stati parziali, il
Comune di Pinerolo ha rinunciato molto nelle scelte relative alle
opere infrastrutturali, mentre tra le parti sociali il dialogo non
è stato così proficuo. Nel caso del Sangone, invece, il processo
decisionale è stato impostato «a raggiera» con incontri bilaterali
tra ASSOT e gli altri attori locali, affiancati da momenti
assembleari a carattere semi-pubblico.
L’elemento non previsto dal modello teorico è che anche se
si crea fiducia nel processo di concertazione, cioè se il processo
decisionale è tale da permettere agli attori di accollarsi costi
specifici, il sistema delle convenienze degli attori rimane un
elemento decisivo. Se il costo dell’exit dalla coalizione del patto
è basso, cioè, la coalizione può perdere incisività (Pinerolese).
Inoltre, la coalizione si può indebolire, anche se il costo dell’exit
è alto, perché la continua contrattazione e il rilancio della posta
per partecipare ai progetti comuni può consumare le risorse
create in precedenza (zona ovest). In sintesi: il capitale sociale
e la fiducia createsi durante la fase di concertazione si possono
consumare. Il problema del consumo di capitale sociale e fiducia
richiederebbe maggiori approfondimenti. Per ora, si possono
evidenziare due dimensioni del consumo. Rispetto al consumo
di fiducia, è stato argomentato che la fiducia si esaurisce proprio
quando non è usata (Hirschman 1984). Un maggiore dettaglio
analitico richiede di precisare che vi sono particolari modi di
usare la fiducia da parte di coloro che ne sono, allo stesso tempo,
anche formidabili consumatori. In particolare, un uso esclusi-
vamente contrattuale della fiducia, ovvero fidarsi se e solo se
gli incentivi sono allineati, oltre che ad essere teoricamente
problematico (Granovetter 2000, 356), può avere anche conse-
guenze pratiche deleterie. Argomenti simili, sono stati utilizzati
a proposito del consumo di capitale sociale: l’ipotesi avanzata
dai sociologi dell’economia (cfr. Bagnasco 1999, 117; Steiner
2001, 86) è che i risultati economici ottenuti tramite i reticoli
interpersonali, siano in realtà l’effetto secondario di relazioni
attivate per altri fini, di natura espressiva o affettiva. L’uso
eccessivamente strumentale delle relazioni sociali, tenderebbe a
distruggere la stessa fonte del vantaggio economico.
Queste brevi e parziali considerazioni inducono a concludere
che i patti si trovino in realtà ad avere una doppia sfida: la prima
è rendere conveniente la cooperazione reciproca, impedendo la
Filippo Barbera
446
collusione. Per questo obiettivo, rimane centrale una maggiore
attenzione per meccanismi di selezione ex-ante e di controllo
ex-post, come mette del resto in luce tutta l’economia degli
incentivi. Ma la seconda sfida è di attivare relazioni cooperative
consolidate e stabili al di là della convenienza contingente.
Promuovere una cooperazione che vada oltre lo stretto allinea-
mento degli incentivi e attivare il «patto come istituzione» è il
secondo obiettivo di queste politiche. I patti, cioè, per soprav-
vivere alla contingenza dell’incentivo devono essere in grado di
creare un nuovo attore collettivo, le cui componenti sono unite
non solo grazie ad una logica delle convenienze. Pichierri (2001)
ha chiamato questo processo «creazione di strutture organizza-
tive di implementazione», la Nuova Sociologia Economica vi si
riferisce con l’espressione «embedded ties» (Uzzi 1997) e la
Sociologia dell’organizzazione ha coniato la formula «logica
dell’appropriatezza» (March 1998). Dal punto di vista dei micro-
fondamenti, si tratta di stimolare la nascita di motivazioni non
consequenzialiste (Granovetter 2000) o di un tipo di «equità
seriale» (Ouchi 1980) che permette agli attori di continuare a
cooperare anche se sarebbe nel loro interesse immediato non
farlo. Non si tratta solo della considerazione che gli attori
devono, per intraprendere processi cooperativi, avere un orien-
tamento di lungo periodo. Piuttosto, gli attori devono essere
disposti a sospendere il calcolo razionale e agire come se gli
incentivi fossero allineati e la cooperazione fosse sempre con-
veniente: «la fiducia comincia (...) agendo come se ci fidassimo,
almeno fino a quando non si formino convinzioni più stabili
su base più solida» (Gambetta 1989, 305).
Il successo dei distretti, del resto, è stato segnato anche
dall’azione di elementi siffatti: la cooperazione nei distretti non
era solo funzione dell’allineamento degli incentivi, o degli «effetti
reputazione» dei reticoli sociali. Cooperare era un fine in sé,
che costituiva l’identità dell’attore, e la defezione negava questa
stessa identità. Su questo stretto crinale, i patti e le politiche
per lo sviluppo locale si trovano oggi a dover transitare.
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Vino, A. (1998), patti territoriali e progettazione istituzionale, in Nord e sud,
anno XLV, settembre.
Summary: Territorial Pacts (TP) aim to improuve those elements of the social context,
which can help generalized cooperation and local development processes. The systematic
empirical research has pointed to two typical configuration of the local level concertation
processes of the TP: the «integrative» TP and the «distributive» TP. This article has
two main aims: (i) to argue that public policies can positively increase the social capital
and trust of the local production systems, and (ii) that public policies can have positive
effect also where the inherited social capital is a very low level.
Le politiche della fiducia
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The major analytical framework used in this article tries to combine insights from
game theory and network analysis, in the resolution of real world collective action
dilemmas. To support the analytical schema, four case studies of TP in the same
territorial area, will be sketched.
... In un contesto come quello illustrato e alla luce dei contenuti riassunti, appare utile chiedersi se e come un Patto sottoscritto nel 2015 e poi nel 2020 abbia la stessa natura e struttura della ricca storia pattizia che ha caratterizzato diverse stagioni delle politiche territoriali italiane. Questo anche perché il riferimento empirico di molta della letteratura che li ha approfonditi è relativo ai patti sottoscritti localmente a partire dagli anni Novanta (De Rita e Bonomi, 1998; Barbera, 2001;Cersosimo e Wolleb, 2001;De Vivo, 2004;Bottazzi, 2005). Questi sono stati intesi principalmente come modalità in cui le politiche pubbliche hanno potuto, o almeno tentato, di incidere sui comportamenti delle istituzioni sociali ed economiche. ...
... Non è questa la sede per approfondire e analizzare nel dettaglio le differenze e le analogie tra i patti della seconda metà degli anni Novanta e dei primi Duemila e il Patto emiliano. Quello che emerge ai fini di un inquadramento generale, che occorre per poi approfondire la sua natura e i suoi contenuti dal punto di vista delle relazioni industriali, è che è un patto principalmente di natura «integrativa» (Barbera, 2001), che pure intercetta però importanti risorse pubbliche, senza però condizionare la sua ratio a obblighi istituzionali come prerequisito per il loro utilizzo. Vi è quindi una libera adesione da parte dell'elevato numero di firmatari che non risponde a una stretta logica di concertazione, quanto più ad una condivisione di obiettivi e linee di intervento che spinge gli attori a partecipare piuttosto che restare ai margini. ...
... Questo sia per l'ampio spettro di iniziative che, ruotando intorno al perno del lavoro (e poi del lavoro e del clima) compongono il Patto, sia per l'ampio numero di attori stesso. Il tutto con un meccanismo di assicurazione (Barbera, 2001) che ruota intorno al ruolo di garanzia dell'amministrazione pubblica, ideatore e proponente del Patto e toccata direttamente da una riforma, contenuta nel Patto stesso, della sua burocrazia (Bianchi et al., 2020). Con questo non si vuole sostenere un superamento della logica concertativa, quanto piuttosto una sua evoluzione soprattutto rispetto all'oggetto del Patto che riguarda non più, come negli esempi passati, azioni particolari di protezione del lavoro quanto piuttosto la condivisione collettiva, aperta ad un'ampia sfera di attori, di azioni strategiche che vedono l'appoggio e il sostegno delle parti sociali. ...
Article
L'autore analizza il Patto per il lavoro firmato in Emilia Romagna nel luglio del 2015 e rinnovato nel dicembre del 2020 nella prospettiva delle relazioni industriali. In particolare si concentra sui contenuti del patto e sulle ragioni che hanno spinto le parti sociali a sottoscriverlo. L'autore mostra le differenze con il ricco panorama di patti degli anni Novanta, nei quali i contenuti erano più focalizzati su singole azioni connesse alle politiche del lavoro. Nel Patto per il lavoro l'autore individua un più ampio approccio delle parti sociali alle tematiche del lavoro con un interesse per le politiche industriali, le politiche del mercato del lavoro e le politiche della formazione. Emerge che le parti sociali agiscano per legittimare la loro azione specifica a livello aziendale o territoriale attraverso una partecipazione attiva nella definizione del più ampio scenario delle politiche territoriali insieme all'attore pubblico.
... Important driving forces were the end of active, central intervention to develop the Mezzogiorno and the fall of the first republic. Given the bleak circumstances, many regional and social actors attempted to break down or weaken the existing local institutional architecture by searching for alternative models of development characterized by less "top-down" intervention, and more local territorial concertation and multilateral contracts (Cersosimo 2000;Melo 2000;Barbera 2001;Cersosimo and Wolleb 2001). ...
... Therefore, institutional decentralisation is a way of upgrading and making more efficient the centre"s decision-making process (Amendola et al. 1997). 38 There is ample literature on territorial pacts, for instance, refer for example to Barbera (2001), Ministero dell'Economia e delle Finanze (2003), Dipartamento della Funzione Pubblica per l'efficienza delle amministrazioni (2004), Cerase (2005), Piera (2005), Magnatti, et al. (2005), and De Vivo (2006 In this context, the eminent failure of traditional developmental models to close the North-South gap, as well as the availability of European resources, are determinant factors in transferring powers to sub-national entities (Fargion et al. 2006). More specifically, to truly understand and capture recent trends in Italy, we must take into account several interconnected issues: decentralisation and devolution, modernisation of the PES, the design of ALMP, and developmental policy (to close the Central-North/South gap). ...
Research
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An emerging body of literature contends that we are witnessing an increasing decentralisation of welfare states and that this is due to the resurgence of sub-national identities and loyalties (e.g. McEwen and Moreno 2005). To explore alternative hypotheses regarding the factors driving the decentralisation of labour market and employment policies, this paper studies cross-national differences on the types and degree of decentralisation in Germany, the United Kingdom, and Italy. We argue that to capture current trends, vertical decentralisation must be examined in combination with horizontal decentralisation (e.g. the outsourcing of services to the private and voluntary sector) and be regarded as a key aspect of a "welfare state governance" reform agenda. In contrast with recent findings, we claim the resurgence of sub-national identities is not the main reason for decentralisation, but rather efficiency calculations are the main drivers of labour market and employment policy decentralisation in the these countries. Finally, we find that is not accurate to talk of general trends towards centralisation or decentralisation of the welfare state, rather it appears as if there is an increasing inter-linkage of different layers of government and actors in which certain levels take over specific roles regarding certain policy-making functions.
... Mentre nella maggior parte delle Regioni del Centro-Nord gli apparati di governo -pur se con importanti differenze di colore politico -si interfacciano con una borghesia produttiva e grup-pi di interesse locale organizzati, nelle Regioni del Mezzogiorno dove la spesa pubblica rappresenta ancora il pilastro dell'economia, la classe politico-amministrativa fatica ad assumere il ruolo «manageriale» che le è richiesto e a promuovere l'interazione fra attori. Va tuttavia sottolineato come, nonostante i risultati modesti 36 e territorialmente molto differenziati della stagione dei Patti territoriali (Mirabelli, 2001), alcuni di questi mettano in moto nel Mezzogiorno importanti processi di costruzione della fiducia, di formazione di reti fra attori pubblici e privati e di apprendimento istituzionale (Barbera, 2001;De Vivo, 2003;2004;Magnatti et al., 2005;Cerase, 2005;Cersosimo e Wolleb, 2006;Sacco, 2011). Lo stesso avviene anche per alcuni dei programmi di iniziativa comunitaria, in particolare i «Leader», che generano in alcune aree del Mezzogiorno virtuosi processi di formazione di partenariati territoriali e capitale sociale. ...
Chapter
This chapter draws a genealogy of the word ‘protocol’ and its various meanings. It shows that this word, since its origins, has meant both a material object and the function of certifying the authenticity of something or someone. A typology of the varieties of protocols made of five types is then proposed, which shows that the different items called ‘protocols’ historically appear as alternative expressions of normative power. In order to grasp these expressions and their implications, the ways protocols regulate several spheres of social life are explained in their main features. As will emerge, the ‘essence’ of the function of protocollary devices is basically made of three actions: formalising, standardising, and certifying.
Article
According to the Liaison Entre Actions de Développement de l’Economie Rurale (LEADER) approach, Local Action Groups (LAGs) empower the creation of social capital by enabling social relations among local actors. Re- cent studies have investigated the socio-economic aspects driving this phe- nomenon, but there is a lack of research on the internal dynamics occurring within LAGs. This study aims to investigate this aspect by focusing on an Italian LAG as case study, and using Social Network Analysis to understand how LAG’s internal communication dynamics relate to the activities imple- mented on the territory. Our results show that the LAG operates as an inter- mediary between municipalities and local associations, but it is not able to foster direct relationships between these actors; moreover, the LAG is not able to make the relational elements prevailing over the socio-economic and geographical aspects of the territory.
Article
Questo contributo si pone l'obiettivo di analizzare i modi in cui le Regioni gestiscono il cambiamento, attraverso quali modelli di governance e con quali esiti trasformativi. Per farlo, si è scelto di utilizzare gli atti amministrativi con cui gli enti dispongono la messa in opera delle proprie politiche. Il contesto di analisi è quello della Regione Emilia-Romagna in cui, nel 2015, ha preso avvio un processo di ripensamento «sistemico» (Bianchi, 2018) delle politiche di formazione professionale, culminato - nel 2018 - con l'individuazione dell'Infrastruttura formativa ER-Educazione e Ricerca come uno dei driver principali dello sviluppo locale. L'approccio teorico e la metodologia adottati sono approfonditi nel secondo e terzo paragrafo. Il quarto propone una ricostruzione storica delle politiche regionali in tema di formazione professionale in Emilia-Romagna, come contesto entro cui le trasformazioni analizzate hanno preso corpo. Nel quinto paragrafo vengono restituiti i principali risultati dell'analisi condotta sugli atti amministrativi che trovano sistematizzazione nelle conclusioni.
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Immaginare il futuro è una delle funzioni, forse la principale, della politica. La democratizzazione del futuro è una priorità per le nostre società. Come sarà la città di Torino nel 2030? Quali trend demografici, tecnologici, ambientali e occupazionali stanno disegnando il perimetro dei suoi assetti? Quali le sfide, gli scenari e le missioni collettive per il territorio torinese? Attraverso queste e altre domande, un gruppo di ricercatrici e ricercatori del Politecnico e dell’Università di Torino ha individuato 6 sfide, 12 missioni e 48 azioni volte a affrontare i problemi sociali, economici, ambientali e territoriali dell’area vasta metropolitana. Si è così messo a tema il supporto all’innovazione alla base della riconversione del sistema produttivo in chiave ecologica e digitale; la necessità di una visione metromontana, basata su policentrismo e interdipendenza tra territori; una concezione nuova dei luoghi e delle infrastrutture sociali, culturali e tecnologiche, come prerequisito di una piena cittadinanza sociale; un'economia dei beni e degli spazi comuni come contesto per l’azione collettiva; la de-carbonizzazione e il paradigma della città circolare alla luce degli effetti del cambiamento climatico e, infine, il ripensamento della produzione culturale e creativa dell’area metropolitana come settore strategico. Il lavoro è frutto di uno sforzo lavoro collettivo e interdisciplinare, affiancato dal contributo metodologico dei future studies. Incontri pubblici, tavoli di lavoro con esperti interni ed esterni al territorio torinese hanno messo a fuoco scenari, problemi e opportunità la cui soluzione richiede una classe dirigente coesa e capace di mettere a valore la diversità e i saperi diffusi che caratterizzano il tessuto economico, civile e culturale del territorio.
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Il presente lavoro prende spunto dal Disegno di legge "Misure per il sostegno delle attività economiche, agricole, commerciali e per la valorizzazione del patrimonio naturale e storico-culturale dei piccoli comuni lucani con popolazione inferiore a 5.000 abitanti" ponendosi l'obiettivo di analizzare i piccoli comuni lucani in un'ottica socio-economico territoriale. Il lavoro presenta: - una fotografia delle caratteristiche dei piccoli comuni lucani; - un'analisi delle trasformazioni strutturali, le problematicità e le opportunità di sviluppo.
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Lo studio che si presenta in questo volume costituisce la prosecuzione di un precedente lavoro di ricerca dedicato all’analisi della spesa agricola della regione Basilicata (Analisi e monitoraggio della spesa agricola. La Basilicata, INEA, 2004), edito nell’ambito della Collana “Spesa agricola regionale”, nella quale sono raccolti i diversi lavori prodotti dall’INEA, in questi anni, sullo specifico argomento. Con il presente lavoro, l’INEA si propone, a fronte di un’analisi del quadro generale a livello nazionale, di indagare il processo di adeguamento al nuovo quadro istituzionale decentrato, da parte della Regione Basilicata, al fine di recare un contributo che possa risultare utile ai fini, non solo della conoscenza delle trasformazioni in atto, ma anche e soprattutto della loro realizzazione in funzione della realtà del territorio regionale.
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I processi di regionalizzazione dello Stato sociale caratterizzano, seppure in modi differenti, tutti i paesi europei, e hanno avuto un'accelerazione importante negli ultimi dieci anni.1 In Italia, uno dei vettori della regionalizzazione delle politiche sociali (assistenziali, socio-sanitarie e di supporto alle responsabilità familiari) è dato dal rilancio della programmazione sociale a livello locale: le Regioni hanno il mandato e la responsabilità di scrivere dei Piani regionali e di regolare e promuovere i Piani di zona, strumenti dell'integrazione e della territorializzazione delle politiche. Questo processo mette in gioco nuove dinamiche di rapporto fra livelli di governo, nonché differenti modalità di esercitare la potestà regionale in materia di politiche sociali (...).
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The paper tries to explain why social capital has become more important in the current organization of the economy. The search for flexibility and quality production, in the context of a growing globalization, enhanced the role of cooperation among both individual and collective actors at a local level. However, it seems necessary to consider social capital as a network of social relations rather than a mere cooperative culture based on shared values. This view allows to better understand not only the positive effects of social capital for a self-sustained local economic development, but also the possible negative consequences in terms of rent-seeking, collusion, or even criminal economy. The paper points to the crucial role of political factors - of the "embedded autonomy" of political action - in favoring a positive role of social capital in local economic development, as showed by some cases of regional development in Europe, or by some success stories in East Asia. This may open up new possibilities for more effective policies aimed at fostering local economies in the era of globalization.
Chapter
Environments with public goods are a wonderful playground for those interested in delicate experimental problems, serious theoretical challenges, and difficult mechanism design issues. In this chapter I will look at one small but fundamental part of the rapidly expanding experimental research. In Section 1, I describe a very simple public good experiment - what it is, what some theories predict, what usually happens, and why we should care - and then provide a methodological and theoretical background for the rest of the chapter. In Section 2, I look at the fundamental question: are people selfish or cooperative in volunteering to contribute to public good production? We look at five important early experiments that have laid the foundations for much that has followed. In Section 3, I look at the range of experimental research which tries to identify and study those factors which increase cooperation. In order to help those new to experimental work I have tried to focus on specific experimental designs in Section 2 and on general results and knowledge in Section 3. The reader will find that the public goods environment is a very sensitive one with much that can affect outcomes but are difficult to control. The many factors interact with each other in unknown ways. Nothing is known for sure. Environments with public goods present a serious challenge even to skilled experimentalists and many opportunities for imaginative work.
Article
Economic sociology is no longer a novelty. Born in the late 19th century and reborn in the 1970s, it has produced a long run of exciting studies and promising leads. As the century turns, it is timely to look beyond our accumulation of important empirical studies and reassess what theoretical agenda a structural economic sociology might pursue, and where this agenda fits with the main concerns of sociology and economics. Though sociology should develop its own agenda and argument, rather than react to neoclassical economic analysis, concepts can be sharpened by clarifying where they stand in relation to those developed by economists. A unified theory should build on what both have accomplished. This article is divided into three parts: in the first, I point out that incentives alone are a fragile base on which to erect explanatory structures. Even this relatively micro-level point moves the initial analytic focus away from individuals, since the crucial explanatory complements to incentives - trust, power, norms and identity - are enacted in horizontal and vertical relations. Only by confining analysis to individuals can one easily sustain a narrow instrumentalist view. In the second part, I move to the second problem, identifying social spaces and institutions or institutional sectors within which people act, and sketching arguments about how such spaces arise, are coupled or decoupled, and how resources flow among them. This second point does not privilege structure over agency, as individuals who find themselves in situations determined by forces beyond their control, and often far beyond their lifespan, may nevertheless turn these situations to advantage and make a deep imprint on future actions and institutions. In the third part, I try to sketch how we might draw together these micro and macro strands how individual actions, conditioned by incentives, trust and cooperation, power and compliance, and norms and identities that affect these states and actions, are shaped by and themselves reshape larger institutional configurations.
Article
I. The isolation paradox and the assurance problem, 112. — II. Optimum savings, 116. — III. The rate of discount, 120. — IV. Rich they, poor us, 121. — V. Conclusions, 122.
Article
A growing set of policies tend to be formulated and implemented through contractual devices in Italian public administration. Unilateral administrative decisions are often replaced by bilateral or multilateral agreements, both among public agencies and between private and public actors. The article outlines the evolution of these practices (which started in the mid-1980s) and presents the main types of contracts that are in use in different policy areas, such as local economic development, environment protection, services provision, infrastructures, urban security. The rise of "decisions through formal agreements" seems in sharply contrast with both the traditional legal culture of the Italian administration and the widespread tendency to under-the-counter bargain. Do these tendencies imply that Italian administration is moving to a more open pluralistic process? Only partly. The contractual innovations were introduced more with the aim to simplify the procedures than to reach better and more integrated decisions. But the development of such contractual practices is likely to entail a process of learning that can undermine old attitudes and behaviours, and promote new ones.