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VOL. 12 - NUMERO 2 2005 105
Genetica e performance sportiva
Giuseppe Vona1, Myosotis Massidda2, Maria Ivana Cireddu2,
Carla Maria Calò1
1
Dipartimento Biologia Sperimentale, Sez. Scienze Antropologiche, Università di Cagliari - Corso di Laurea in Scienze Motorie
2
Corso di Laurea in Scienze e Tecnica dello Sport, Università di Cagliari
cmcalo@unica.it
ABSTRACT
Una vasta letteratura è stata prodotta nel tentativo di individuare e di descrivere quali fossero nelle varie discipline sportive le
caratteristiche morfologiche, antropometriche, fisiologiche e funzionali degli atleti che hanno raggiunto alti livelli nelle gare agonistiche.
Negli ultimi anni la ricerca si è avviata verso l’analisi dei legami esistenti tra fisiologia, biochimica e genetica nel campo dell’esercizio
fisico indagando sull’ereditarietà di vari tratti della performance, sulle basi genetiche e molecolari dell’adattamento all’esercizio e dei
differenti indicatori della performance sportiva. Il numero di geni potenzialmente correlati con la performance sportivi sta aumentando
ogni anno, attualmente comprende 140 geni autosomici, e 4 geni localizzati sul cromosoma X. Inoltre sono stati identificati 16 geni
mitocondriali le cui varianti sembrano influenzare in modo rilevante la performance sportiva. In questa review si vuole passare brevemente
in rassegna alcuni metodi di ricerca in campo molecolare e i risultati conseguiti.
Vona G, Massidda M, Cireddu MI, Calò CM
Genetics and sport performance
Ital J Sport Sci 2005: 12: 105-115
A great number of studies tried to identify and describe which were the morphological, anthropometric, physiological and motor
parameters of the elite athletes. In the last years researchers focused their studies on the analysis of the relations between physiology,
biochemist, genetics and physical performance, investigating on the inheritance of several traits of the performance, on the genetic basis
of the physical adaptation, and on the different indicators of the physical performance. The number of the genes potentially correlated
with sport performance is increasing year after year, nowadays it includes 140 autosomal gene entries and quantitative trait loci, plus
four on the X chromosome. Moreover, there are 16 mitochondrial genes in which sequence variants have been shown to influence
relevant fitness and performance phenotypes. In the present review we are going to summarise some methods of research and the
obtained results.
KEY WORDS: performance sportiva, fenotipi, ereditarietà, marcatori genetici
RASSEGNE E ARTICOLI
INTRODUZIONE
L’esercizio fisico è un insieme complesso di fenome-
ni che comportano l’integrazione di numerosi sistemi
anatomici e fisiologici. L’adattamento necessario per
produrre un movimento coordinato, riducendo al mi-
nimo le possibili perturbazioni dell’equilibrio omeo-
statico, avviene con cambiamenti a livello dei tessuti
e delle cellule e dipende dall’espressione genica. In-
fatti a seconda di come si esprimono i geni il musco-
lo scheletrico può risultare più o meno affaticabile e
il sistema cardiocircolatorio più o meno efficiente.
Nelle ultime decadi sono stati riportati nella letteratu-
ra molti dati descrittivi sul tipo e sull‘ampiezza dei
cambiamenti che si verificano con l’esercizio fisico
sia a livello cellulare sia a livello molecolare. Test di-
versi sono stati impiegati per valutare le capacità di
adattamento e le possibilità di performance. Tra i me-
todi più utilizzati si possono citare le analisi del con-
sumo massimale e submassimale di O2, dell’attività
degli enzimi ossidativi, della percentuale di contra-
zione delle fibre lente (1, 2, 3). Sono parametri che
mostrano una correlazione significativa con la
performance, ad esempio, nell’endurance (4). Il
VO2max è un buon predittore di performance per le
corse di endurance (1, 5, 6), ma non è il solo fattore
che permette di distinguere sulle lunghe distanze i
corridori africani dagli atleti di origine caucasica (7,
8). Un VO2max elevato può essere considerato un pre-
requisito, ma non un fattore predittivo in senso asso-
luto di performance per atleti d’elite.
Infatti entrano in gioco molteplici altri fattori come
l’economia della corsa che è strettamente legata alla
performance nelle lunghe distanze negli atleti ben al-
lenati e che dipende anche dalle caratteristiche antro-
pometriche (9). La statura e la massa corporea ap-
paiono inversamente correlate con l’economicità del-
la corsa.
Un parametro spesso studiato è l’utilizzazione frazio-
nata del VO2max che influenza la performance e che
appare significativamente diversa nei corridori afri-
cani rispetto ai caucasoidi (10). Anche l’analisi della
soglia aerobica è stata largamente impiegata, ma non
sembra essere predittiva in modo invariabile della
performance (11).
Un ulteriore aspetto indagato da varie ricerche ri-
guarda l’area della sezione trasversale delle fibre mu-
scolari, determinante per la capillarità del muscolo e
necessaria per una corretta interpretazione dell’adat-
tamento della capacità ossidativa del muscolo all’al-
lenamento. Una maggiore densità di capillarità insie-
me con un’elevata capacità di contrazione delle fibre
lente favorirebbe la performance nell’endurance (12).
La domanda che ci si pone è se questi metodi ed altri
simili sono sufficienti per stabilire se un individuo è
potenzialmente un atleta d’elite. È noto che la perfor-
mance presenta un certo grado di variabilità nella po-
polazione. È possibile che questa variabilità sia
esclusivamente espressione di un diverso grado di at-
tività fisica e di pratica sportiva? In generale la varia-
zione fenotipica di molti caratteri è il risultato di una
combinazione di effetti ambientali e di fattori geneti-
ci, ma molto spesso il contributo e il peso di ognuno
di essi sono poco noti.
Nella maratona di Boston del 2002 erano presenti 14
atleti del Kenia e 13 di essi (93%) finirono la gara tra
i primi 25 classificati. Al contrario dei 1122 parteci-
panti canadesi uno solo terminò la gara piazzandosi
entro i primi 25. L’enorme sproporzione nei piazza-
menti degli atleti dei due diversi gruppi etnici può es-
sere indicativo dell’esistenza di una qualche capacità
innata per correre le lunghe distanze nella popolazio-
ne keniana. L’ipotesi generale è che vi sia una com-
ponente ereditaria nella fitness fisica e atletica in gra-
do di interagire con i fattori ambientali, ad esempio,
con l’allenamento.
Per comprendere gli aspetti biologici della perfor-
mance è pertanto fondamentale approfondirne i ri-
svolti genetici. A tale scopo negli ultimi anni la ricer-
ca si è avviata verso l’analisi dei legami esistenti tra
fisiologia, biochimica e genetica nel campo dell’eser-
cizio fisico indagando sull’ereditarietà di vari tratti
della performance, sulle basi genetiche e molecolari
dell’adattamento all’esercizio e dei differenti indica-
tori della performance sportiva.
L’esercizio fisico può influenzare direttamente sia lo
stato di salute sia la possibilità di performance. Gli
effetti dell’esercizio variano da individuo ad indivi-
duo in base alle diverse caratteristiche genetiche. Si
pensi ad una conseguenza estrema quale la morte im-
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provvisa che può essere provocata dall’esercizio in-
tenso in quegli individui portatori di difetti genetici
che causano la cardiomiopatia ipertrofica o alcune
anomalie dell’arteria coronaria.
L’esercizio ha inoltre effetti indiretti in quanto può
alterare l’espressione o l’azione di uno o più geni, in-
fluenzando un fenotipo che risulta essere importante
per la performance sportiva e per lo stato di salute,
come ad esempio il VO2max o il livello di colesterolo.
Numerose differenti strategie sono state utilizzate per
chiarire i rapporti tra i geni e l’esercizio fisico.Lo
studio delle basi genetiche dei tratti complessi, come
quelli legati alla performance, può essere realizzato
con l’analisi delle somiglianze familiari, quantifican-
do attraverso opportune tecniche statistiche la frazio-
ne di varianza di un fenotipo attribuibile rispettiva-
mente ai fattori genetici e a quelli non genetici.
Un altro possibile approccio al problema è quello
molecolare che si serve dell’analisi delle variazioni a
livello delle sequenze del DNA per identificare i geni
responsabili degli effetti fenotipici.
Prima di passare brevemente in rassegna alcuni me-
todi di ricerca e i risultati conseguiti, è opportuna
un’osservazione preliminare. Gli atleti che presenta-
no un fenotipo in grado di portarli a risultati eccellen-
ti posseggono una combinazione di vari genotipi fa-
vorevoli che determinano un vantaggio genetico. Un
singolo genotipo non può da solo essere responsabile
del fenotipo favorevole, anche se può ridurre o au-
mentare la capacità di performance (13). Va detto an-
che che non tutti i genotipi favorevoli coesistono nel-
lo stesso atleta.
LA VARIAZIONE GENETICA E LA VARIAZIONE
AMBIENTALE: L’EREDITABILITÀ DI UN
CARATTERE
Si deve a Francis Galton (1822-1911) l’introduzione
dei termini “nature” e “nurture” per indicare che nel-
la determinazione di un carattere quantitativo rivesto-
no un ruolo specifico l’eredità e l’ambiente. Di fronte
ad un determinato carattere si pone il problema di de-
terminare in che misura esso sia espressione della
componente genetica e dei fattori ambientali, cioè
quanto di quel fenotipo spetta alla “nature” e quanto
alla “nurture”. Gli effetti relativi dell’eredità e del-
l’ambiente possono essere studiati esaminando la va-
riazione di un carattere tra gli individui e nel determi-
nare quanto di questa variazione sia genetica, cioè
imputabile alle differenze genetiche tra gli individui,
e quanto sia ambientale, ossia legata alle differenze
ambientali.
La frazione di variazione fenotipica attribuibile alle
differenze genetiche può essere misurata mediante la
stima dell’ereditabilità (H) del carattere tramite i se-
guenti parametri:
VT = VG + VA
dove: VT= varianza fenotipica totale;
VG= frazione della varianza fenotipica dovuta
ai fattori genetici (cioè alle differenze geneti-
che tra gli individui);
VA= frazione varianza fenotipica dovuta ai fat-
tori ambientali (cioè alle differenze nelle con-
dizioni ambientali nelle quali gli individui so-
no esposti).
Per determinare gli effetti relativi dei due tipi di fat-
tori l’equazione può essere riscritta:
H = varianza genetica / varianza ambientale
cioè:
H = VG / VA = VG / VG + VA
La quantizzazione della varianza fenotipica totale
normalmente non riveste grandi problemi, mentre
non è sempre semplice separare la frazione genetica
da quella ambientale. Uno dei metodi più frequente-
mente utilizzati nella ricerca sui caratteri quantitativi
è quello dei gemelli e dell’analisi familiare.
Studi sui gemelli e analisi familiare
Il metodo dei gemelli, largamente impiegato in gene-
tica e in biologia, è stato utilizzato anche per analiz-
zare i rapporti che intercorrono tra i fenotipi legati al-
l’attività fisico-sportiva e i fattori ereditari.
È noto che i gemelli monozigoti (MZ), o identici,
possiedono un corredo genetico identico derivando
da un solo ovulo fecondato da un unico spermatozoo,
mentre i gemelli dizigoti (DZ), o fraterni, derivano
da due ovuli fecondati da due spermatozoi e pertanto
possono essere considerati come due fratelli normali.
Nei gemelli identici la varianza fenotipica totale (Vi)
sarà dovuta interamente all’ambiente (Vi = VA). La
varianza che invece si riscontra tra i DZ (Vf) sarà in
parte genetica e in parte ambientale. La differenza tra
le due varianze fenotipiche (Vi e Vf) permette di sti-
mare la varianza genetica, cioè quanto della variabi-
lità del carattere spetta alla componente genetica.
Il massimo consumo di O2(VO2max) è uno degli aspetti
della performance aerobica più considerati nella ricer-
ca. Confrontando i risultati relativi ai gemelli monozi-
goti (MZ) e quelli ottenuti sui i dizigoti (DZ) si è po-
tuto evidenziare che esiste una correlazione statistica
più elevata tra coppie di MZ (r = 0,6-0,9) che tra cop-
pie di DZ ( 0,05-0,5). I valori dei coefficienti di corre-
lazione indicano un elevato contributo dei fattori ge-
netici per la determinazione del VO2max (14).
Nello studio delle famiglie del progetto HERITAGE
(HEalth, RIsk factors, exercise Training And GEne-
tics) a riguardo dell’ereditabilità del VO2max si è deter-
minato che la varianza tra famiglie supera di 2,7 volte
quella calcolata all’interno delle famiglie, suggerendo
una somiglianza tra parenti per il VO2max. L’analisi
delle correlazioni tra genitori e figli e tra fratrie indica
un’ereditabilità del 52%. Un’ereditabilità tra il 48-
72% è stata calcolata nelle stesse famiglie per la ca-
pacità di lavoro o il consumo di O2misurato con un
lavoro submassimale mediante un carico di 50 watts o
al 60% e all’80% di VO2max (15). Nel campione diviso
per sesso e per generazione le differenze per i diversi
parametri fisiologici misurati prima e dopo un pro-
gramma di allenamento sono risultate in ogni caso si-
gnificative (p<.0001). L’analisi statistica ha poi rive-
lato che la percentuale di variabilità dei fenotipi do-
vuta all’eredità varia tra 48 e 74. È interessante sotto-
lineare come una parte consistente della varianza sia
spiegata da una eredità di tipo materno (Fig. 1).
Nella stessa direzione va uno studio canadese con-
dotto su oltre 11.000 soggetti, che ha evidenziato l’e-
sistenza di somiglianze familiari significative per
molti tratti che sono indicativi della performance co-
me, ad esempio, la capacità di lavoro, la forza mu-
scolare, l’endurance muscolare, ecc. (16).
Sono state studiate altre caratteristiche come le pro-
prietà istochimiche e metaboliche dei muscoli schele-
trici. Simoneau e Bouchard (17) hanno rilevato che la
variabilità del numero delle fibre di tipo I del musco-
lo Vastus Lateralis è attribuibile per il 40-50% a fat-
tori genetici. A livello dello stesso muscolo molti en-
zimi, implicati nella produzione di ATP lungo le vie
aerobica e anaerobica, mostrano un’attività diversifi-
cata da individuo ad individuo. Le somiglianze tra i
MZ per l’attività enzimatica varia tra 0,30-0,68, men-
tre DZ e fratelli normali hanno valori di correlazione
che raramente raggiungono la significatività (14).
Quindi le proprietà metaboliche del Vastus Lateralis
hanno una base d’ereditarietà che varia tra il 25-50%.
Le differenze individuali nei cambiamenti indotti
dall’esercizio fisico e nell’allenabilità sono state in-
dagate attraverso l’analisi di vari fenotipi legati alla
performance aerobica e anaerobica (18, 19). Uno stu-
dio sui gemelli MZ (20) ha messo in evidenza che i
cambiamenti del VO2max, in seguito ad un allenamento
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di endurance protratto per 20 settimane, erano otto
volte maggiori nei confronti tra le coppie rispetto a
quelli riscontrati tra gli elementi di una stessa coppia.
Il coefficiente di correlazione intracoppia era pari a
0,77 suggerendo un forte contributo genetico nell’a-
dattamento all’allenamento per l’endurance. Valori
ugualmente elevati di correlazione sono stati calcola-
ti per gli adattamenti metabolici e muscolari (18).
Inoltre studi a livello familiare hanno dimostrato che
i cambiamenti del VO2max (∆VO2),dopo un allenamen-
to di 20 settimane, sono dovuti per il 47% alla com-
ponente genetica (21). Appare evidente quindi che ta-
le aspetto dell’esercizio fisico è fortemente influen-
zato dal nostro bagaglio genetico.
Questo tipo di studi sebbene sia in grado di stimare il
contributo genetico alla variazione interna ad una po-
polazione, mostra dei limiti quando si devono con-
frontare popolazioni diverse (22). Infatti l’influenza
della base ereditaria varia in rapporto all’ambiente
che può essere diverso per le varie popolazioni e ciò
spiega perché la stima dell’ereditarietà può presenta-
re in molti casi un range ampio di variabilità. Inoltre
non è corretto ritenere che tutti i genotipi rispondano
in modo e in misura identici ad ambienti simili.
L’ANALISI MOLECOLARE
Quantitative Trait Locus” (QTL)
Lo studio dei tratti complessi sino intorno agli anni
’90 del secolo scorso si era potuto realizzare preva-
lentemente tramite l’analisi della varianza preceden-
temente ricordata. Solo recentemente si è potuto ini-
ziare ad indagare sui caratteri complessi utilizzando
le tecniche della biologia molecolare. I caratteri
quantitativi, cioè quei tratti misurabili su una scala
quantitativa lineare, sono il risultato di un’interazione
geni-fattori ambientali e sono tipicamente controllati
da più di un gene.
La regione cromosomomica che può contenere i geni
responsabili di un determinato carattere quantitativo
viene indicata con il termine “quantitative trait locus”
(QTL). Vengono esaminate molte centinaia di
markers di un QTL nei fratelli e se possibile nei loro
genitori allo scopo di individuare gli alleli presenti
sia nei fratelli sia nei loro parenti. Il legame di un
QTL ad un fenotipo implica che le differenze fenoti-
piche saranno piccole all’interno di una coppia di fra-
telli, se questi sono portatori di una variante del mar-
catore ricevuta dallo stesso genitore. Le differenze
invece saranno maggiori se i loro alleli derivano da
ambedue i genitori. Attraverso approcci statistici si
può determinare se esiste un’associazione tra un mar-
catore di un QTL e un fenotipo. Questo tipo di anali-
si, largamente impiegato per identificare i geni colle-
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gati a vari tipi di patologie, è stato utilizzato anche
per identificare regioni genetiche che mostrano asso-
ciazioni significative con la variabilità umana di tratti
legati alla performance fisica.
Numerosi QTL sono stati associati con fenotipi che ri-
guardano l’attività fisica e sportiva e nella tabella 1
sono riportate le associazioni ritrovate tra alcuni di es-
si e le variazioni del VO2max e della potenza espressa,
in soggetti di origine caucasica sottoposti a specifici
programmi di allenamento. Le associazioni tra i QTL
riportati e il ∆VO2max risultano tutte molto significative
come indicano i valori della probabilità (p), con la so-
la eccezione del gene ATP1A2 (23, 24, 25) (Fig. 2).
In un recentissimo studio ricavato dai dati del proget-
to HERITAGE sono stati analizzati ben 289 microsa-
telliti dislocati sui 22 cromosomi autosomici (26). Il
campione di sedentari era costituito da un numero
ampio di coppie di fratelli e/o sorelle distinti in base
alla loro origine etnica. Il lavoro mirava all’identifi-
cazione delle regioni del genoma umano associate al
VO2max e alla massima potenza espressa (MPO) per
verificare la capacità di risposta ad un programma
standardizzato di allenamento dell’endurance per un
periodo di 20 settimane. I risultati della complessa
analisi hanno rivelato che nei soggetti sedentari bian-
chi la variazione del VO2max sembra essere influenzata
da un locus sul cromosoma 11 (11p15), mentre i loci
sui cromosomi 10 (10q23) e 13 (13q33) sembrano in-
fluenzare la MPO. La variazione della MPO nei bian-
chi sarebbe in parte effetto del locus 5q23. Tra i neri
la variazione di VO2max risulterebbe influenzata da un
locus del cromosoma 1 (1p31). Come conclusione
generale gli autori indicano che i loci 11p15 e 10q23
sono in linkage con il VO2max e la MPO, mentre i loci
1p31 e 5q23 sarebbero responsabili della capacità di
risposta all’allenamento.
La mancanza di concordanza tra i risultati ottenuti
nei due gruppi etnici viene spiegata con la differente
numerosità dei due gruppi studiati.
Sarebbe interessante poter replicare queste analisi
in altre popolazioni verificando se le relazioni os-
servate siano presenti anche in altri gruppi etnici o
se per alcuni di essi vi è una specificità di popola-
zione o magari di particolari condizioni ambientali.
Un precedente studio che aveva come fenotipo di ri-
ferimento il VO2max ugualmente analizzato in una
coorte di famiglie HERITAGE (24) i numerosi mi-
crosatelliti di cromosomi autosomici esaminati ave-
vano permesso di identificare:
1) 4 QTL legati al VO2max situati sui cromosomi 4,8,
11 e 14.
2) 5 QTL collegati al ∆VO2max presenti nei cromoso-
mi 1, 2, 4, 6 e 11.
Gli autori erano pervenuti alla conclusione che esi-
stono geni differenti in grado di influenzare il VO2max
e che i geni che influenzano l’allenabilità del fenoti-
po VO2max, cioè il ∆VO2max, sono diversi da quelli che
determinano l’endurance cardiorespiratoria misurata
nei sedentari.
Sono state adottate altre strategie per identificare i
geni responsabili dei tratti complessi che caratteriz-
zano la performance sportiva. Vengono comunemen-
te impiegati studi di associazione allo scopo di iden-
tificare i geni candidati e di testare quali effetti possa
avere la variazione in un determinato locus sui tratti
della performance. Il gene candidato ideale è quello
che si può legare ad un effetto funzionale, ad esem-
pio, la concentrazione di una proteina, la sua funzio-
nalità o la sua efficienza, oppure la possibilità di dare
risposte adattative all’ambiente. Quindi una delle vie
per identificare i geni candidati può essere quella di
partire dai sistemi fisiologici e biochimici conosciuti
per la loro influenza sul fenotipo studiato.
I primi studi di tipo molecolare della performance fu-
rono basati sul confronto delle frequenze di diversi
polimorfismi eritrocitari, enzimatici e antigenici, noti
come marcatori genetici classici, tra atleti olimpioni-
ci e campioni di controllo. I risultati non mostrarono
alcuna correlazione tra le frequenze e lo status d’atle-
ta di elite (27, 28, 29, 30). L’introduzione della tecni-
ca molecolare della PCR (Polymerase Chain Reac-
tion), che permette di moltiplicare il DNA che si vuo-
le studiare in un numero praticamente infinito di co-
pie, ha fatto avanzare in modo sorprendente anche gli
studi genetici nel campo della performance sportiva,
come si deduce dalla Figura 2 che mostra la crescita
numerica dei lavori pubblicati proprio in questo set-
tore della ricerca biologica nel triennio 2000-2004.
Di seguito viene riportata una breve rassegna riguar-
dante alcuni marcatori genetici con brevi indicazioni
sui risultati ottenuti.
Varianti del DNA mitocondriale
I mitocondri sono il sito di conversione dell’O2in
energia biologica per la cellula, utilizzabile sotto for-
ma di ATP. Tra i componenti del mitocondrio vi è an-
che del DNA. Il DNA mitocondriale (mtDNA) diffe-
risce dal DNA nucleare per la struttura della moleco-
la e per avere un’ereditarietà uniparentale materna
non-mendeliana. Il mtDNA codifica 13 dei 67 poli-
peptidi implicati nella catena respiratoria oltre a 2
RNA ribosomiali e a 22 RNA di trasporto. È stato di-
mostrato che per il VO2max esiste un’associazione si-
gnificativa tra figli e madri, ma non tra figli e padri.
Così i loci del mtDNA, ad esclusiva eredità materna,
che codificano per gli enzimi della fosforilazione os-
sidativa sono loci che possono influenzare le capacità
di performance nell’endurance e in particolare il
VO2max.
Nel 1991 Dionne e collaboratori studiarono 25 siti
polimorfici del mtDNA e la loro possibile relazione
con il VO2max. Solamente uno dei siti risultò associato
significativamente con la soglia minima di VO2max e
tre con quella massima. Gli stessi siti sembravano in-
fluenzare anche l’incremento del VO2max dovuto al-
l’allenamento. Gli stessi autori trovarono in alcuni
individui del loro campione di sedentari la presenza
di una mutazione nella sub-unità 5 della NADH dei-
drogenasi (MTDN5). Questi soggetti avevano un
VO2max per kg di peso corporeo significativamente più
elevato dei soggetti non portatori della mutazione,
mentre il ∆VO2max appariva più basso. I portatori di
un’altra mutazione nella sub-unità 2 della NADH
avevano invece un VO2max inferiore a quello degli in-
dividui non mutati. Tuttavia occorre dire che tali va-
rianti sono presenti solamente nel 6% della popola-
zione generale e la bassa numerosità dei campioni
studiati non permette di trarre delle conclusioni defi-
nitive.
In uno studio successivo Rivera e coll. (31) esamina-
rono quattro polimorfismi, ma non trovarono alcuna
differenza per tre di essi tra atleti e controllo.
Altri geni del mtDNA, come ad esempio il KpmI del-
la regione non codificante del D-loop, furono studiati
in atleti con VO2max medio di 78,9 molto più elevato
di quello del controllo (39,8), ma le frequenze alleli-
che si distribuivano senza differenze significative
(31).
Nonostante i primi risultati non incoraggianti ottenu-
ti, poiché è evidente il legame biologico tra il meta-
bolismo mitocondriale e il VO2max, le ricerche sulle
varianti del mtDNA e la loro influenza sul VO2max non
si sono interrotte.
Murakami e coll. (32) hanno messo in luce interes-
santi legami tra il mtDNA e la capacità di endurance
e di allenabilità. Il tratto non codificante della mole-
cola del mtDNA è stato da essi esaminato mediante
sequenziamento in un campione di sedentari sottopo-
sto ad un programma di allenamento di endurance
per otto settimane. Ad una parte dei soggetti esami-
nati fu prelevato, tramite biopsia, un campione di tes-
suto del muscolo Vastus Lateralis e furono misurate
la quantità di mtDNA e l’attività della citrato sintasi
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(CS) prima e dopo l’allenamento. Il VO2max era passa-
to da 42,1 al 48,2 ml/min/kg, incrementando signifi-
cativamente. Per quanto riguarda le sequenze del
mtDNA furono trovati rispetto alla sequenza di riferi-
mento di Cambridge (CR) 125 siti con una mutazio-
ne. I portatori di mutazioni differivano rispetto ai non
portatori in modo particolare per i cambiamenti ritro-
vati nei siti 16298, 16325 e 199 per il VO2max e per il
∆VO2max nei siti 16223 e 16362. I soggetti sottoposti a
biopsia presentavano differenze significative per l’at-
tività CS, la quantità di mtDNA e il VO2max in relazio-
ne alla presenza di mutazioni rispettivamente ai siti
194, 514 e 16519.
Questi risultati evidenziano l’importanza del mtDNA
nelle variazioni individuali della performance e più
in particolare la sua possibilità di influenzare la capa-
cità di endurance e di allenabilità. Un recentissimo
lavoro (33) riporta differenze aplotipiche mitocon-
driali tra atleti d’elite di endurance e delle corse velo-
ci affermando l’esistenza di una variabilità tra gli
atleti in base al tipo di disciplina.
Gene di Conversione dell’Angiotensina (ACE)
Nella Tabella 2 vengono sintetizzati parte delle asso-
ciazioni significative messe in luce recentemente tra
il marcatore genetico ACE, il cui locus è situato sul
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cromosoma 17, e diversi fenotipi. Sono stati studiati
alcuni tratti implicati nella performance sportiva e i
campioni esaminati non sono necessariamente costi-
tuiti da atleti, poiché molti dei caratteri che interessa-
no il raggiungimento di una buona performance ri-
guardano in generale anche lo stato di salute dei non
atleti. Per questo motivo nella review proposta dalla
tabella compaiono anche dei campioni formati da in-
dividui affetti da patologie diverse.
La prima evidenza del rapporto tra genotipi dell’ACE
e l’attività fisica venne da uno studio che mise in lu-
ce un effetto sostanziale dell’allenamento fisico sul-
l’incremento della massa del ventricolo sinistro (VS)
(34). L’ACE è un polimorfismo ALU d’inserzione
(I)/delezione (D) presente nell’introne 6. I due alleli
dell’ACE determinano tre genotipi: gli individui
omozigoti D/D e gli eterozigoti I/D dopo un allena-
mento programmato presentavano un incremento me-
dio della massa del VS di circa 40 gr. I soggetti omo-
zigoti per l’inserzione (I/I) non davano alcun segnale
di incremento e quindi risultavano più resistenti ai
cambiamenti della morfologia cardiaca. Va ricordata
l’abbondante letteratura che ritiene il genotipo D/D
consistentemente legato a numerosi eventi cardiova-
scolari deleteri.
Il gene dell’ACE, che si esprime in tessuti diversi,
compresi i muscoli scheletrici, è responsabile della
conversione dell’angiotensina I nella forma II, un im-
portante vasocostrittore implicato nella regolazione
della pressione arteriosa, nella crescita dei tessuti e
nell’ipertrofia cardiaca. Per questo motivo è stato
messo in relazione con la performance aerobica otte-
nendo i seguenti risultati:
1) una più elevata frequenza dell’allele I negli atleti
olimpici (57%) rispetto al controllo (43%) (35), e
ugualmente negli scalatori in grado di affrontare,
senza il supporto di bombole di ossigeno, vette ol-
tre i 7000 metri (36);
2) la forza muscolare testata in un campione di mili-
tari risultava 11 volte maggiore nei portatori del
genotipo I/I rispetto ai portatori dei genotipi I/D e
D/D (36);
3) a livello olimpico i corridori di distanze lunghe, da
5000 m in poi, erano caratterizzati da una frequen-
za maggiore dell’allele I rispetto ai corridori di di-
stanze medie (400-3000 m) e agli sprinters (200m
e meno) con frequenze rispettivamente di 0,62 -
0,53 - 0,35 (37).
Vi sono però alcune ricerche che non hanno riscon-
trato alcun legame tra genotipi ACE e performance
(38, 39, 40).
In generale i risultati dimostrano l’esistenza di un’as-
sociazione tra il gene ACE e la performance fisica e
suggeriscono che i portatori dell’allele I sarebbero
avvantaggiati sul piano dell’endurance cardiorespira-
toria. Infatti gli atleti di endurance con il genotipo I/I
presenterebbero alcuni parametri riguardanti l’elasti-
cità aortica significativamente superiori a quelli dei
sedentari e degli atleti con genotipi D/I e D/D (41)
Il polimorfismo ACE sembrerebbe influenzare la
performance atletica producendo effetti anche sulla
funzionalità dei muscoli scheletrici. L’allele D può
favorire le attività di potenza e di velocità aumentan-
do la forza muscolare in conseguenza agli effetti
ipertrofici dell’incremento dell’angiotensina II (42).
L’allele I favorirebbe la performance nell’endurance
incrementando l’efficienza muscolare attraverso
un’azione sulle proporzioni dei diversi tipi di fibre
(43).
Creatina Kinase (CK)
Un altro locus che è stato esaminato in rapporto alla
performance fisica è quello della creatina kinase.
La creatina kinase muscolare è un enzima importante
essendo implicato nel trasporto del substrato per la
produzione di ATP nelle cellule muscolari. I risultati
ottenuti mostrano:
1) due polimorfismi analizzati CKMM-NcoI e TaqI
non presentavano differenze alleliche e genotipi-
che significative tra atleti (VO2max 73ml O2/Kg pe-
so) e controllo (VO2max = 30) (44);
2) nelle famiglie HERITAGE gli omozigoti per gli
alleli rari avevano un VO2max e una risposta all’alle-
namento significativamente più bassi (p = 0.007)
degli eterozigoti e degli omozigoti per gli alleli più
frequenti (45).
I genotipi della CK possono quindi influenzare il
VO2max e i suoi cambiamenti spiegando il 9% della
variazione, ma come risposta ad un allenamento di
breve termine e non quando gli atleti si sottopongono
ad allenamenti prolungati.
Locus dell’enzima sodio potassio adenosina trifosfa-
to (Na+ K+ ATPase)
L’enzima sodio potassio adenosina trifosfato (Na+
K+ ATPase) è implicato nel trasporto attivo degli ioni
sodio e potassio attraverso la membrana cellulare e
quindi nella propagazione del potenziale d’azione nel
muscolo durante la contrazione muscolare. Svolge un
ruolo importante nel mantenimento dell’equilibrio
elettrolitico nel muscolo scheletrico durante il lavoro
e la sua attività aumenta durante l’esercizio. L’enzi-
ma è composto da 2 subunità, αe β, e da tre isofor-
me per subunità che sono codificate da tre differenti
geni. Il gene codificante per la subunità α2
(ATP1A2) è situato nel cromosoma 1 (1q21-q23) e si
esprime essenzialmente nel muscolo scheletrico. So-
no stati identificati recentemente altri polimorfismi
negli esoni 1, 21 e 22 in associazione con il VO2max e
con l’allenamento (25). È risultato che:
VOL. 12 - NUMERO 2 2005 111
1) la presenza della variante dell’esone 1 sembra ri-
durre la risposta all’allenamento del 40-50%;
2) le varianti degli esoni 21 e 22 favorirebbero una ri-
sposta più elevata del 30-40%.
Questo enzima potrebbe quindi giocare un ruolo im-
portante nell’adattamento fisico e influenzare l’incre-
mento del VO2max conseguente all’allenamento e con-
tribuisce alla performance nell’endurance.
Gene ACTN3
Le alfa actinine sarcomeriche sono le maggiori com-
ponenti della linea Z e svolgono una fondamentale
funzione organizzatrice e regolatrice nella contrazio-
ne delle miofibre. Le alfa actinine 3 svolgono un’im-
portante funzione nei muscoli scheletrici ed è stato
messo in evidenza che nella nostra specie gli indivi-
dui con differenti genotipi che controllano le ACTN3
possono avere differenze nella funzionalità dei mu-
scoli scheletrici. Se le alfa actinina 3 giocano un ruo-
lo importante nelle fibre muscolari veloci, i diversi
genotipi che esprimono differenti alfa actinina 3 po-
tranno determinare alcuni vantaggi o svantaggi negli
individui che portano differenti genotipi. Alcuni au-
tori hanno infatti osservato una significativa più bas-
sa frequenza del genotipo X/X (α-actinina-3-defi-
ciente) negli atleti d’elite delle corse sprint e di po-
tenza rispetto al controllo (46). I portatori omozigoti
del gene variante X risultano totalmente privi della
proteina α-actinina-3. In questi individui è presente
solamente la proteina α-actinina-2 e questa sembra
fornire la possibilità di sostenere per lungo tempo
una determinata attività fisica. Quindi la presenza
dell’α-actinina-3 aumenterebbe la performance nelle
attività collegate allo sprint. Al contrario l’assenza di
α-actinina-3 sarebbe un vantaggio tale da favorire la
performance negli sport di endurance.
Infatti gli stessi autori hanno notato un aumento della
frequenza del genotipo X/X tra gli atleti d’elite di en-
durance e in particolare tra le donne. La differenza
tra i due sessi è imputata all’influenza del testostero-
ne che diminuirebbe negli uomini l’impatto dell’α-
actinina-3 sulla prestazione sportiva.
Quindi i genotipi R/R e R/X sono più vantaggiosi ri-
spetto al genotipo X/X in termini di velocità e di
performance di potenza. L’allele R, che determina la
proteina funzionale α-actinina-3, favorirebbe la con-
trazione rapida del muscolo a differenza dell’allele X
che sarebbe vantaggioso nella contrazione lenta. Era
già stato riscontrato (47) che l’allele X era sovrarap-
presentato negli atleti praticanti sport di endurance,
mentre l’allele R lo era tra gli sprinters e i praticanti
discipline di potenza.
Un’ulteriore indicazione sulla importanza del locus
ACTN3 nell’espressione della forza muscolare viene
da un recentissimo studio (48) dal quale appare che
112 ITALIAN JOURNAL of SPORT SCIENCES
le donne con l’allele X mostrano uno svantaggio per
la capacità di produrre forza isometrica. Esse però
hanno il vantaggio di sviluppare forza muscolare di-
namica in risposta ad un programma d’allenamento
progressivo alla resistenza.
Il gene ACTN3 contribuisce a determinare la variabi-
lità della performance muscolare e delle risposte agli
allenamenti rivolti alla resistenza che si riscontra sia
a livello individuale sia a livello di popolazione.
Analisi aplotipica
Sono stati condotti numerosi studi sulle frequenze al-
leliche di loci polimorfici e le frequenze dei geni can-
didati nei soggetti con specifiche caratteristiche di
elevata efficienza fisica sono state confrontate con
quelle di gruppi di controllo che presentavano carat-
teristiche contrastanti.
Tra i geni candidati devono essere inclusi quelli che
sono impegnati nello sviluppo, nel mantenimento e
nella regolazione dei sistemi coinvolti nell’attività
fisica.
Cambiamenti nelle sequenze codificanti o regolatrici
dei geni possono alterare il fenotipo di un individuo
producendo, ad esempio, variazioni del colore degli
occhi o malattie, come la fibrosi cistica. Ma non tutte
le variazioni determinano cambiamenti: alcune pro-
ducono piccoli effetti o non ne producono affatto.
Oltre ai singoli geni si possono studiare le associa-
zioni di loci che segregano assieme, cioè le combina-
zioni alleliche possibili conosciute come aplotipi.
Questi possono variare da popolazione a popolazione
e alcuni di essi possono essere specifici di una popo-
lazione. È possibile che un aplotipo più che un singo-
lo gene sia fenotipicamente significativo (49). È una
strada che potrebbe condurre a risultati molto interes-
santi.
Indagando su una delle regioni più polimorfiche del
genoma umano, il complesso degli antigeni leucoci-
tari (HLA: Human Leucocyte Antigen) situata nel
cromosoma 6, è stato segnalato (50) che gli individui
con il genotipo HLA A2-A11 avevano un VO2max si-
gnificativamente più elevato di coloro che erano por-
tatori di altri genotipi. Gli autori non hanno però ap-
profondito la natura di tale associazione e non hanno
studiato gli aplotipi che il genotipo in questione può
formare in associazione con gli alleli degli altri loci
del sistema.
È noto che la massa ossea di un individuo è sotto il
controllo di fattori sia genetici sia ambientali che in-
teragiscono tra loro con un’ereditabilità intorno al
60%. In un campione di donne giapponesi, che prati-
cavano da almeno tre anni attività fisica per 6 ore set-
timanali, è stato analizzato il contenuto minerale del-
le ossa e la massa ossea in rapporto agli aplotipi del
sistema HLA. I risultati hanno evidenziato che le
portatrici dell’aplotipo HLA-A*24-B*07-DRB1*01
erano caratterizzate da una più bassa densità ossea
(51).
NOTE CONCLUSIVE
Dai pochi esempi sopra illustrati si possono ricavare
alcune osservazioni generali.
Sebbene sia stato evidenziato da vari ricercatori che
esiste un ampio numero di associazioni tra geni e
performance fisico-sportiva, è opportuno richiamare
che molti dei geni associati alla performance da soli
non sono in grado di predire chiaramente se un atleta
sia potenzialmente un atleta di rango elevato. Attual-
mente la determinazione delle caratteristiche geneti-
che sembra non apportare, in generale, contributi de-
finitivi alla scoperta di talenti o nella programmazio-
ne degli allenamenti che esaltando le potenzialità ge-
netiche permettano all’atleta di pervenire a risultati di
eccellenza. Va ricordato però che l’applicazione dello
studio genetico nel campo dell’attività sportiva è re-
centissima e in costante, anche se lenta espansione. I
geni sono responsabili di circa il 50% della variabi-
lità della performance fisica e della risposta all’alle-
namento tra gli individui di una popolazione (52).
Essi sono probabilmente molto più importanti del-
l’allenamento nello spiegare le differenze nella
performance tra atleti. È infatti evidente che non tutti
gli individui che si allenano nello stesso modo e con
la stessa intensità raggiungeranno un pari livello di
performance e uguali risultati. Ciò perché essi eredi-
tano le loro capacità di risposta all’allenamento e l’e-
redità non è identica.
Solo nel caso in cui un gene influenzi in modo evi-
dente una particolare funzione fisiologica allora l’a-
nalisi genetica può considerarsi un elemento preditti-
vo determinante. Anche quando, ad esempio, i test fi-
siologici siano non del tutto consistenti per rivelare il
potenziale atletico dei ragazzi, se cioè da adulti essi
assurgeranno al rango di atleti d’elite, l’analisi gene-
tica può essere di grande aiuto. Essa può essere util-
mente impiegata per orientare un giovane rispetto al-
la disciplina da praticare. Ad esempio, i genotipi del-
l’ACE e dell’ACTN3 possono essere importanti gui-
de per individuare se un atleta ha la possibilità di di-
venire uno sprinter o se primeggerà in uno sport di
endurance.
I risultati di associazione vanno interpretati con mol-
ta cautela (53) per motivi diversi. Occorre verificare
se l’associazione non sia in realtà attribuibile al caso
e pertanto un falso positivo. L’associazione tra gene e
fenotipo della performance potrebbe essere anche
conseguenza di una mancanza di omogeneità del sub-
strato genetico dei campioni studiati provenienti da
popolazioni diversificate geneticamente o da gruppi
etnici differenti. Il gene associato potrebbe essere
coinvolto in un significativo linkage disequilibrium
con altre varianti polimorfiche (46).
Probabilmente le limitazioni attuali potranno essere
progressivamente eliminate con uno studio sistemati-
co e ampio di geni che abbiano evidenti legami con i
tratti anatomo-fisiologici e biochimici della perfor-
mance su un numero vasto di atleti. La strada da per-
corre è ancora lunga per poter comprendere a pieno
le relazioni che legano la genetica con l’attività fisica
e la performance atletica. Abbiamo appena iniziato
ad intravedere che le componenti genetiche sono pie-
namente coinvolte nella determinazione dei fenotipi
correlati all’attività fisico-sportiva e la genotipizza-
zione degli atleti diverrà in futuro un’opzione neces-
saria, ance se alcuni considerano tale pratica non del
tutto etica (52).
RINGRAZIAMENTI
Il lavoro è stato finanziato dalla Regione Autonoma
della Sardegna (R.A.S.) con i fondi L.R. n. 17 art. 40.
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