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Implantologia 2011; 2: xx-xx
n INTRODUZIONE
L’impiego di impianti dentali per la riabilita-
zione estetico-funzionale di arcate parzialmente
o completamente edentule è una metodica sicu-
ra, predicibile e ben documentata, con eccellenti
risultati a lungo termine1,2. In Letteratura, studi
con follow-up da 1 a 8 anni hanno dimostrato
come la riabilitazione di monoedentulie con im-
pianti a sostegno di corone singole rappresenti
oggi una tecnica predicibile e di sicura efficacia
clinica, con percentuali di sopravvivenza e suc-
cesso variabili tra il 93,7 e il 100%3-6.
Nonostante l’elevata percentuale di successo
delle riabilitazioni su impianti singoli sia una re-
altà accettata3-6, numerosi lavori clinici hanno
riportato un’alta incidenza di complicanze pro-
tesiche a carico delle stesse, quali l’allentamento
della vite di connessione tra moncone e impian-
to, lo svitamento della vite occlusale o la frattu-
ra delle stesse7-13. In un lavoro retrospettivo su
93 monoimpianti inseriti in 77 pazienti, Ekfeldt
e Coll.7 hanno riportato come la complicanza
in assoluto più riscontrata fosse rappresentata
dall’allentamento della vite di connessione tra
moncone e impianto (43%). In uno studio simile,
Becker e Becker hanno riportato un’incidenza del
38% di allentamento delle viti di connessione di
impianti in zona molare, pur escludendo dal la-
voro i pazienti affetti da parafunzioni (bruxismo
o serramento)8. In un ulteriore studio a 5 anni
su 107 monoimpianti, l’incidenza di perdita di
connessione tra moncone e impianto riportata
era del 12,7%9. In un lavoro analogo, Balshi aveva
Corone singole su impianti
a connessione conometrica:
studio prospettico da 1 a 7 anni
PAROLE CHIAVE:
Connessione moncone impianto, Connessione conometrica, Stabilità meccanica,
Microgap, Spostamento della piattaforma.
Scopo del lavoro: questo studio prospettico ha valutato la sopravvivenza, il successo implanto-pro-
tesico e l’incidenza di complicanze protesiche all’interfaccia moncone-impianto di impianti a con-
nessione conometrica (Sistema Implantare LeoneR, Sesto Fiorentino) a sostegno di corone singole.
Materiali e metodi: gli impianti erano valutati da 12 fino a 84 mesi dall’inserimento. In ciascuna delle
visite di controllo annuali erano valutati parametri clinici, radiografici e protesici. La sopravvivenza
era calcolata con metodo di Cutler ed Ederer. Il successo implanto-protesico prevedeva assenza di
dolore, suppurazione e mobilità clinica; distanza tra la spalla dell’impianto e primo contatto osseo
visibile (DIB) < 2,0 mm; assenza di complicanze protesiche all’interfaccia moncone- impianto. Risul-
tati: in un periodo di 7 anni (gennaio 2003- dicembre 2009) 491 impianti (238 maxilla, 253 mandibola)
venivano inseriti in 367 pazienti (170 uomini, 197 donne, età compresa tra 22-79 anni) in 5 diversi centri
odontoiatrici. I restauri comprendevano 491 corone singole (140 anteriori, 351 posteriori). La sopravvi-
venza cumulativa era del 98,74% (98,31% maxilla, 99,12% mandibola). Il successo implanto-protesico era
del 97,48%. Rare erano le complicanze protesiche a carico dell’interfaccia moncone-impianto (0,41%). Il
valore DIB medio a 7 anni era di 1,15 mm. Conclusioni: gli impianti a connessione conometrica rappre-
sentano una valida opzione terapeutica per il sostegno di corone singole, con elevate percentuali di
sopravvivenza e successo a lungo termine. L’elevata stabilità meccanica della connessione conome-
trica riduce l’incidenza di complicanze protesiche all’interfaccia moncone-impianto.
Carlo Mangano
Professore a Contratto,
Scienze dei Biomateriali,
Università di Varese.
Francesco Mangano
Libero Professionista,
Gravedona (Como).
Alessandro Mangano
Studente in Odontoiatria
e Protesi Dentaria,
Università di Milano.
Aldo Macchi
Professore Ordinario,
Cattedra di Materiali Dentari,
Università di Varese.
Corrispondenza:
Carlo Mangano
P.zza Trento 4,
22015 Gravedona (Como)
Tel-fax 0344-85524
camangan@gmail.com
www.drmangano.com
Carlo Mangano, Francesco Mangano, Alessandro Mangano, Aldo Macchi
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riportato percentuali ancor più elevate (48%) di
allentamento della vite impiegata per la solida-
rizzazione tra moncone e impianto, con conse-
guente perdita di connessione10. Problematiche
analoghe erano descritte da Walton e Coll.11 e da
Wannfors e Coll.12, che rilevavano in due diversi la-
vori una percentuale di allentamento delle viti di
connessione pari al 27 e al 28%, rispettivamente.
Infine, in uno studio a 2 anni su 81 monoimpianti,
inseriti prevalentemente nelle regioni posteriori
dei mascellari, l’incidenza dell’allentamento della
vite occlusale riportata era del 22,2%13.
Le complicanze descritte in tutti questi lavori
coinvolgono maggiormente gli impianti posizio-
nati nelle regioni posteriori di entrambe le ossa
mascellari, soggetti a notevole carico mastica-
torio, con percentuali riportate di allentamento
della vite di connessione tra moncone e impianto
descritte variabili dal 6 al 48%7-15. È noto infatti
come le forze occlusali nella regione molare, fino
a 3-4 volte superiori rispetto a quelle nella zona
incisiva, possano ingenerare stress elevati a livello
delle componenti implantari7-15.
Al giorno d’oggi, l’introduzione nei più evoluti
sistemi implantari di chiavi dinamometriche, in-
sieme con l’evoluzione tecnologica dei materiali
stessi tesa a una sempre maggior precisione della
componentistica implantare, sembrerebbe avere
ridotto l’incidenza di tali problematiche. In una
recente (2008) revisione sistematica sulla soprav-
vivenza e le complicanze protesiche di impianti a
sostegno di corone singole, infatti, Jung e Coll.3
hanno riportato un’incidenza di perdita di con-
nessione tra moncone ed impianto del 12,7%.
Questo risultato era però influenzato dall’inclu-
sione nella revisione stessa di un vecchio lavo-
ro clinico riportato precedentemente9 in cui viti
d’oro erano utilizzate per connettere il moncone
protesico agli impianti. Tolto questo lavoro, all’in-
terno della stessa revisione sistematica, l’inciden-
za della perdita di connessione tra moncone e
impianto riportata scenderebbe al 5,8%3. Si tratta
di un dato certamente inferiore rispetto a quanto
riportato in lavori precedenti, tuttavia rilevante,
perché emerso da lavori clinici tra i più recenti,
che impiegano sistemi implantari moderni, carat-
terizzati da una componentistica protesica evolu-
ta e di notevole precisione3.
Una delle principali differenze tra i vari sistemi
implantari disponibili oggi in commercio è da-
ta dalla tipologia di connessione presente tra
moncone e impianto16,17. Ad oggi, la tipologia
di connessione tra moncone e impianto più pre-
sente sul mercato rimane quella avvitata. Nelle
connessioni avvitate, la solidarizzazione tra mon-
cone e impianto è ottenuta grazie a una vite di
connessione e dipende essenzialmente dal pre-
carico sulla stessa, generato attraverso specifico
torque di avvitamento durante l’applicazione16,17.
Qualora carichi occlusali o momenti flettenti su-
perino il pre-carico di avvitamento, è descritto
come la vite di connessione possa deformarsi e di
conseguenza allentarsi, o addirittura arrivare alla
frattura16-18. Nonostante i miglioramenti tecnici
introdotti dalle case produttrici di sistemi avvitati
abbiano ridotto l’incidenza di questi problemi,
non è infrequente che il paziente si presenti ancor
oggi in studio lamentando la mobilità del proprio
restauro protesico su dente singolo, per perdi-
ta della connessione tra moncone e impianto.
Il professionista dovrà in questi casi riavvitare la
vite di connessione; se la vite è deformata, tutta-
via, essa tenderà a svitarsi ripetutamente e dovrà
essere sostituita. La necessità di re-intervenire più
volte per ripristinare la connessione rappresenta
senz’altro un fastidio e un costo per il professio-
nista e per il paziente16-18.
L’introduzione di sistemi a connessione cono-
metrica tra moncone e impianto può senz’altro
rappresentare una possibile soluzione a questo
tipo di problematiche18. Diversi studi in Lettera-
tura hanno riportato come l’impiego di una con-
nessione conica tra moncone e impianto sia in
grado di ridurre l’incidenza di complicanze pro-
tesiche19-24, migliorando la stabilità complessiva
della connessione e l’abilità del sistema a resi-
stere alle forze flettenti16-26. Levine ha riportato
percentuali ridotte di perdita di connessione tra
moncone e impianto (3,6-5,3%) in corone singole
cementate su impianti, utilizzando una connes-
sione conica19. Simili risultati sono stati ottenuti
da Sutter20, Norton21 e Felton22, che hanno evi-
denziato come l’introduzione di una connessione
conica tra moncone e impianto possa migliorare
la stabilità del sistema, aumentando la resistenza
a forze flettenti e riducendo così le complicanze
protesiche. Più recenti lavori di Muftu e Chap-
man23 e Morgan e Chapman24 confermano que-
ste evidenze, riportando una notevole riduzione
delle complicanze protesiche in sistemi implan-
tari caratterizzati da connessione conometrica tra
moncone e impianto.
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Lo scopo di questo studio prospettico era valutare
la sopravvivenza, il successo implanto-protesico e
l’incidenza di complicanze protesiche all’interfac-
cia moncone-impianto di impianti a connessione
conometrica (Sistema Implantare LeoneR, Sesto
Fiorentino) impiegati a sostegno di corone singo-
le, in un periodo compreso da 1 a 7 anni.
n MATERIALI E METODI
Selezione dei pazienti
In un periodo compreso tra gennaio 2003 e
dicembre 2009, tutti i pazienti che presentavano
edentulia singola anche in più siti e desideravano
poter essere riabilitati con impianti a sostegno di
corone singole venivano presi in considerazione
per l’inclusione in questo studio prospettico, in 5
diversi centri odontoiatrici. I criteri di inclusione
prevedevano la presenza di altezza e spessore
osseo adeguati, tali da potere inserire impianti di
almeno 8,0 mm in altezza e 3,3 mm in diametro.
I criteri di esclusione erano rappresentati da igie-
ne orale inadeguata, infezioni parodontali attive,
diabete scompensato, bruxismo, forte abitudine
al fumo (più di 15 sigarette al giorno). Tutti i pa-
zienti venivano informati riguardo a questo studio
e firmavano un consenso informato.
Studio Preliminare
Un accurato esame dei tessuti duri e molli
veniva realizzato per ogni paziente. Le radiografie
orto-panoramiche rappresentavano la base per
lo studio preliminare, che veniva completato, ove
necessario, da una moderna tomografia assiale
computerizzata di tipo volumetrico. I dati deri-
vanti dalla TAC volumetrica erano eventualmente
trasferiti a un software di navigazione implantare,
allo scopo di realizzare una ricostruzione tridi-
mensionale delle ossa mascellari. Con l’ausilio di
questo software, era possibile determinare preci-
samente l’altezza, lo spessore e l’angolazione del-
la cresta ossea in corrispondenza di ciascun sito
implantare, insieme con la densità della corticale
e della midollare; veniva quindi simulato l’inseri-
mento dell’impianto. Qualora necessario, inoltre,
sulla base di queste informazioni, veniva realiz-
zata una dima chirurgica stereolitografica per il
corretto posizionamento degli impianti, “guidato”
dal progetto tridimensionale precedentemente
elaborato. Lo studio preliminare includeva natu-
ralmente il montaggio e l’esame dei modelli in
articolatore e un’accurata ceratura diagnostica.
Protocollo chirurgico
L’anestesia locale era ottenuta con infiltrazio-
ne plessica di articaina con adrenalina 1:100.000
(UbistesinR, 3M Espe, St. Paul, MN, USA). Una inci-
sione era realizzata sulla cresta edentula ed estesa
in senso intra-crevicolare ai denti adiacenti, even-
tualmente accompagnata da due incisioni di rila-
sciamento. Venivano sollevati due lembi a spesso-
re totale per poter esporre la cresta alveolare e la
preparazione dei siti d’impianto era realizzata con
frese a diametro incrementale (2 e 2,8 mm per
posizionare un impianto di 3,3 mm di diametro;
2, 2,8 e 3,5 mm per posizionare un impianto di 4,1
mm di diametro e 2, 2,8, 3,3 e 4,2 mm di diametro
per preparare il sito per un impianto di 4,8 mm di
diametro) sotto costante irrigazione. Gli impianti
a connessione conometrica (Sistema Implantare
LeoneR, Sesto Fiorentino) erano posizionati a li-
vello della cresta ossea, da 5 diversi chirurghi (uno
per ciscun centro odontoiatrico coinvolto nello
studio). Completato l’inserimento degli impianti,
i lembi erano riposizionati a copertura totale degli
stessi, e venivano applicate le suture (SupramidR,
Novaxa Spa, Milano). A tutti i pazienti veniva pre-
scritto un antibiotico, 2 g al giorno per 6 giorni
complessivi di trattamento (AugmentinR, Glaxo-
Smithkline Beecham, Brentford, Gran Bretagna). Il
dolore post-operatorio era controllato sommini-
strando 100 mg di nimesulide al bisogno (AulinR,
Roche Pharmaceutical, Basilea, Svizzera) per un
massimo di 2 somministrazioni al giorno, nei soli
2 giorni immediatamente successivi all’intervento.
Venivano date dettagliate informazioni riguardo
all’igiene orale, con prescrizione di sciacqui con
collutorio a base di clorexidina 0,12% per i 7 gior-
ni successivi all’intervento (ChlorexidineR, OralB,
Boston, MA, USA).
Guarigione e carico protesico
Si seguiva un protocollo tradizionale a due
tempi, con guarigione sommersa e successiva sco-
pertura per il carico protesico. Il periodo di guari-
gione variava da 2-3 mesi per la mandibola fino a
3-4 mesi per il mascellare superiore. Una seconda
procedura chirurgica era necessaria per potere
avere accesso agli impianti, e posizionare gli abut-
ment di guarigione. A 2 settimane dalla scopertura,
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contestualmente al posizionamento e all’attiva-
zione dei monconi protesici, venivano collocati i
restauri provvisori in resina acrilica. Lo scopo dei
restauri provvisori era quello di favorire e guidare
la guarigione dei tessuti molli intorno agli impian-
ti, verificando il comportamento degli stessi sotto
carico funzionale, prima della fabbricazione dei
restauri definitivi. I provvisori erano mantenuti in
sede per 3 mesi circa e successivamente venivano
collocati i restauri definitivi in oro-ceramica.
Valutazione dei parametri clinici,
radiografici e protesici
Per ciascuna delle visite di controllo pro-
grammate con scadenza annuale dall’inserimen-
to e per ciascun singolo impianto, da gennaio
2004 fino a dicembre 2010, erano presi in consi-
derazione i seguenti parametri clinici:
- presenza/assenza di dolore - sensibilità;
- presenza/assenza di suppurazione - essuda-
zione;
- presenza/assenza di mobilità dell’impianto,
testata con metodo manuale, utilizzando il
manico di due specchietti dentali27.
Erano inoltre realizzate radiografie endorali peri-
apicali con centratore di Rinn (RinnR, Dentsply,
Elgin, IL, USA), per la valutazione dei seguenti pa-
rametri radiografici:
- presenza/assenza di radiotrasparenza peri-
implantare continua;
- distanza tra la spalla dell’impianto e il primo
contatto osseo visibile (“distance between
the implant shoulder and the first visible
bone contact”, DIB) in mm, come media tra
le due misurazioni nei siti mesiale e distale
all’impianto27. Nell’ambito di questo calcolo,
allo scopo di correggere eventuali possibili
distorsioni dimensionali di natura radiogra-
fica, la lunghezza apparente di ciascun im-
pianto era misurata sulla radiografia e quindi
comparata alla reale (nota) lunghezza del-
lo stesso, in modo da potere stabilire, con
discreta precisione, l’eventuale entità della
perdita ossea verticale attorno all’impianto.
Per la valutazione della funzione protesica, infine,
l’occlusione statica e dinamica veniva controllata
con cartine occlusali standard (Bausch articulating
paperR, Bausch inc, Nashua, NH, USA). Particolare
attenzione era dedicata all’analisi delle complican-
Fig. 1 Rx impianto in zona 22 dopo
l’applicazione della corona definitiva
in oro-ceramica.
Fig. 2 La corona in oro-ceramica.
Fig. 3 Rx di controllo dopo 4 anni.
Fig. 4 La corona dopo 4 anni.
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ze protesiche a carico dell’interfaccia moncone-
impianto (perdita di connessione tra moncone e
impianto, frattura del moncone), che erano consi-
derate un parametro di primaria importanza.
Criteri di sopravvivenza e successo
implanto-protesico
La valutazione della sopravvivenza e del
successo implanto-protesico erano realizzate in
accordo a moderni parametri clinici, radiografici
e protesici28.
Gli impianti erano distinti nelle categorie “soprav-
vissuti” e “falliti”. Un impianto era definito “soprav-
vissuto” se ancora in funzione e sotto carico, al
momento dell’ultimo controllo. Viceversa, gli im-
pianti andati perduti, così come gli impianti che
presentavano dolore alla funzione, suppurazione
o mobilità e che venivano conseguentemente ri-
mossi, erano considerati “falliti”. Le cause del falli-
mento erano mobilità per mancata osteointegra-
zione o sopravvenuta infezione, periimplantite
ricorrente o perdita di osso legata a sovraccarico
protesico. L’analisi statistica della sopravvivenza
implantare cumulativa era realizzata con metodo
di Cutler ed Ederer29.
Nell’ambito degli impianti “sopravvissuti”, si di-
stinguevano 3 differenti e ulteriori gruppi:
• Gruppo 1: successo implantare:
- assenza di dolore sotto carico,
- assenza di suppurazione,
- assenza di mobilità clinica,
- DIB < 2,0 mm,
- nessuna storia precedente di essudazione.
• Gruppo 2: sopravvivenza soddisfacente:
- assenza di dolore sotto carico,
- assenza di suppurazione,
- assenza di mobilità clinica,
- DIB 2-4 mm,
- nessuna storia precedente di suppurazione.
• Gruppo 3: sopravvivenza con compromis-
sione:
- fastidio o sensibilità alla funzione,
- assenza di mobilità clinica,
- DIB > 4 mm,
- storia precedente di essudazione.
L’assegnazione a uno di questi 3 gruppi, per gli
impianti sopravvissuti, era definita dai dati clinici
e radiografici raccolti nell’ultima seduta annuale
di controllo. Non ultimo, veniva presa in esame
la funzione protesica, con particolare attenzio-
Fig. 5 Rx impianto in zo-
na 25 dopo l’applicazione
della corona definitiva in
oro-ceramica.
Fig. 6 La corona in oro-
ceramica.
Fig. 7 Rx di controllo do-
po 5 anni.
Fig. 8 La corona dopo 5
anni.
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ne per la connessione moncone-impianto. L’as-
senza di complicanze protesiche all’interfaccia
moncone-impianto (quali perdita di connessione
tra moncone e impianto, o frattura del monco-
ne) era considerata un parametro di importanza
fondamentale, definendo il successo implanto-
protesico come la condizione degli impianti che
presentavano tutte le caratteristiche descritte
per il gruppo 1 (successo implantare), e che in
aggiunta non presentavano e non avevano pre-
sentato alcun tipo di complicazione protesica
all’interfaccia moncone- impianto.
n RISULTATI
In tutto, in un periodo di 7 anni (gennaio
2003-dicembre 2009) 491 impianti erano inseriti
in 367 pazienti (170 uomini, 197 donne, di età
compresa tra 22 e 79 anni, media 59,9) in 5 diversi
centri odontoiatrici. Centoventiquattro pazienti
presentavano indicazioni multiple al trattamento
(edentulie singole in diverse sedi). Un totale di
238 impianti erano inseriti nella maxilla (75 nelle
aree anteriori e 163 nelle aree posteriori), mentre
253 impianti erano posizionati nella mandibola
(65 nelle zone anteriori e 188 nelle zone poste-
riori). Il diametro più frequentemente utilizzato
era il 4,1 mm (293 impianti), seguito rispettiva-
mente dal 4,8 mm (126 impianti) e dal 3,3 mm
(72 impianti). La lunghezza più frequentemente
impiegata era 12,0 mm (232 impianti), seguita da
10,0 mm (151 impianti) e 14,0 mm (74 impianti).
Meno impiegati risultavano gli impianti corti da
8,0 mm (34 impianti). La distribuzione degli im-
pianti per lunghezza e diametro è riportata nella
tabella 1. I restauri comprendevano 491 corone
singole (140 anteriori, 351 posteriori).
Sopravvivenza implantare
Al termine dello studio, 6 impianti (4 maxilla,
2 mandibola) fallivano ed erano rimossi, per una
sopravvivenza cumulativa del 98,74% (98,31%
maxilla, 99,12% mandibola) (Tabb. 2-4). Cinque
di questi fallimenti erano classificati come “preco-
ci”, in quanto si verificavano nel primo periodo di
guarigione, prima della connessione dell’impianto
con il moncone protesico. Le cause di questi fal-
limenti erano attribuite a mancata integrazione
dell’impianto (4 impianti) o periimplantite ricor-
rente (1 impianto) con dolore e suppurazione. Un
fallimento era invece classificato come “tardivo”
Fig. 9 Rx impianto in zo-
na 36 dopo l’applicazione
della corona definitiva in
oro-ceramica.
Fig. 10 La corona in oro-
ceramica.
Fig. 11 Rx di controllo
dopo 7 anni.
Fig. 12 La corona dopo
7 anni.
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e veniva attribuito a progressiva perdita d’osso
legata a sovraccarico protesico tabella 5. In rife-
rimento alla posizione degli impianti falliti, 4 si
trovavano nella maxilla posteriore, 1 nella man-
dibola anteriore e 1 nella mandibola posteriore.
Sette pazienti (7 impianti) erano classificati come
drop-outs, in quanto mancavano di presentarsi
agli annuali controlli clinici, radiografici e protesici
previsti dallo studio.
Successo implanto-protesico
Al termine dello studio, su 491 impianti ori-
ginariamente inseriti, 478 impianti presentavano
un follow-up clinico, radiografico e protesico ad
Tabella 1 Distribuzione degli impianti per lunghezza e diametro (in mm).
8,0 10,0 12,0 14,0 Totale
3,3 9 20 29 14 72
4,1 17 98 147 31 293
4,8 8 33 56 29 126
34 151 232 74 491
Tabella 2 Sopravvivenza cumulativa globale.
Intervallo Impianti all’inizio Drop-outs Impianti Fallimenti Sopravvivenza Sopravvivenza
di tempo dell’intervallo nell’intervallo a rischio nell’intervallo nell’intervallo (%) cumulativa (%)
(mesi)
0-12 491 1 490 5 98,98 98,98
12-24 424 1 423 1 99,76 98,74
24-36 364 - 364 - 100,0 98,74
36-48 307 1 306 - 100,0 98,74
48-60 237 2 235 - 100,0 98,74
60-72 165 1 164 - 100,0 98,74
72-84 97 1 96 - 100,0 98,74
Tabella 3 Sopravvivenza cumulativa nella maxilla.
Intervallo Impianti all’inizio Drop-outs Impianti Fallimenti Sopravvivenza Sopravvivenza
di tempo dell’intervallo nell’intervallo a rischio nell’intervallo nell’intervallo (%) cumulativa (%)
(mesi)
0-12 238 1 237 4 98,31 98,31
12-24 214 1 213 - 100,0 98,31
24-36 198 - 198 - 100,0 98,31
36-48 162 - 162 - 100,0 98,31
48-60 112 1 111 - 100,0 98,31
60-72 84 - 84 - 100,0 98,31
72-84 45 - 45 - 100,0 98,31
Tabella 4 Sopravvivenza cumulativa nella mandibola.
Intervallo Impianti all’inizio Drop-outs Impianti Fallimenti Sopravvivenza Sopravvivenza
di tempo dell’intervallo nell’intervallo a rischio nell’intervallo nell’intervallo (%) cumulativa (%)
(mesi)
0-12 253 - 253 1 99,60 99,60
12-24 210 - 210 1 99,52 99,12
24-36 166 - 166 - 100,0 99,12
36-48 145 1 144 - 100,0 99,12
48-60 125 1 124 - 100,0 99,12
60-72 81 1 80 - 100,0 99,12
72-84 52 1 51 - 100,0 99,12
Tabella 5 Fallimenti.
Intervallo Mancata Periimplantite Perdita Totale
di tempo (mesi) osteointegrazione ricorrente progressiva d’osso
0-12 4 1 - 5
12-24 - - 1 1
24-36 - - - -
36-48 - - - -
48-60 - - - -
60-72 - - - -
72-84 - - - -
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almeno un anno dall’inserimento (6 fallimenti,
7 drop-outs) ed erano pertanto inquadrabi-
li in uno dei tre gruppi prestabiliti nei criteri
di successo implanto-protesico (successo im-
planto-protesico, sopravvivenza soddisfacente,
sopravvivenza con compromissione) in base
alla specifica situazione evidenziata nell’ultimo
controllo. Tra tutti questi, 466 impianti (97,48%)
erano classificabili nel gruppo del successo
implanto-protesico (Figg. 1-12). Questi impian-
ti infatti non presentavano dolore alla funzione,
né suppurazione o essudazione, né mobilità
clinica, rivelando un DIB < 2,0 mm e non pre-
sentando alcuna complicanza protesica all’in-
terfaccia moncone-impianto. Dieci impianti
(2,09%) erano invece classificati nel gruppo del-
la sopravvivenza soddisfacente, perché pur non
presentando dolore né suppurazione o mobilità
clinica, avevano un DIB compreso tra 2-4 mm
(8 impianti) o avevano presentato problematiche
protesiche a carico della connessione tra mon-
cone e impianto (2 casi). Questi ultimi 2 casi si
verificavano nella mandibola posteriore ed era-
no rappresentati da perdita di connessione tra il
moncone e l’impianto. I monconi protesici erano
reinseriti e attivati e non venivano più osservate
a carico degli stessi problematiche simili. Tutta-
via, data l’importanza di questo dato nell’ambi-
to di questo studio, questi 2 impianti non po-
tevano essere inseriti nel gruppo del successo
implanto-protesico. L’incidenza della perdita di
connessione tra moncone e impianto nell’am-
bito dello studio era quindi complessivamente
dello 0,41%. Due soli impianti (0,41%), infine, ve-
nivano collocati nel terzo gruppo, ovvero quello
della sopravvivenza con compromissione. Questi
impianti presentavano sensibilità o fastidio al-
la funzione, e pur non avendo suppurazione o
mobilità clinica, avevano una precedente storia
di essudazione e una perdita ossea sostanziale
(DIB > 4,0 mm) accompagnata da sondaggio pa-
rodontale profondo. Nel complesso, la valutazione
radiografica rivelava una distanza media tra la spalla
dell’impianto e il primo contatto osseo (DIB) di 0,81,
0,85, 0,95, 0,93, 1,01, 1,03 e 1,08 mm rispettivamen-
te a 12, 24, 36, 48, 60 e 74 mesi dall’inserimento. A
7 anni, il riassorbimento osseo marginale medio
(DIB) si attestava a 1,15 mm (± 0,30). Le modificazio-
ni della distanza tra la spalla dell’impianto e il primo
contatto osseo da 1 a 7 anni risultavano complessi-
vamente minime e contenute (Tab. 6).
n DISCUSSIONE
L’elevata stabilità della connessione co-
nometrica è garantita dall’ampia superficie di
contatto e dalla frizione generata all’interfaccia
tra moncone e impianto16-18,25,26. Nelle corone
singole supportate da impianti, il mantenimen-
to della stabilità nella connessione tra moncone
e impianto riveste un ruolo di primaria impor-
tanza. La frequenza della perdita di connessione
tra moncone e impianto è ridotta dall’elevata
stabilità meccanica delle connessioni conome-
triche16-26,30-33. Ciò determina maggiori garanzie
in applicazioni cliniche complesse quali la sosti-
tuzione di un dente singolo, in aree ove il carico
protesico è elevato (settori posteriori di entram-
bi i mascellari)16-26,30-34. In un lavoro a 6 anni su
233 impianti singoli a connessione conometrica,
inseriti nelle aree posteriori di entrambi i mascel-
lari, Weigl ha riportato un’incidenza molto bassa
(1,3%) di perdita di connessione tra moncone e
impianto31. Nessun altra complicanza meccani-
ca, quale frattura del moncone o frattura della
ceramica, era descritta31. Questi ottimi risultati
erano confermati da un ulteriore lavoro a 8 anni
su impianti a connessione conometrica a soste-
gno di 275 corone singole, condotto da Doring
e Coll.32, nel quale non veniva descritta alcuna
complicanza di natura protesica (0,0% di perdita
di connessione tra moncone e impianto e nessun
Tabella 6 Distanza tra la spalla dell’impianto ed il primo contatto osseo (DIB) in mm. Media, deviazione standard, mediana
ed intervalli di confidenza.
Tempo (mesi) Media DS Mediana Intervallo Confidenza (95%)
84 1,157 0,302 1,15 1,114 - 1,20
72 1,082 0,336 1,10 1,046 - 1,118
60 1,036 0,32 1,05 1,007 - 1,065
48 1,011 0,315 1,01 0,986 - 1,036
36 0,930 0,34 0,97 0,905 - 0,955
24 0,857 0,348 0,88 0,834 - 0,88
12 0,819 0,356 0,78 0,797 - 0,841
Mangano C, Mangano F, Mangano A, Macchi A
73
Implantologia 2011; 2: xx-xx
altra problematica descritta). Anche le più recenti
evidenze della Letteratura sembrano confermare
questi dati e rinforzare il concetto che, attraverso
l’impiego di una connessione conometrica, i pro-
blemi a carico dell’interfaccia tra moncone e im-
pianto possano essere notevolmente ridotti33,34.
In un recente studio prospettico a 4 anni su 307
impianti a connessione conometrica a sostegno
di corone singole, e impiegati soprattutto nelle
regioni posteriori dei mascellari, è stata riportata
una bassa percentuale di complicanze (0,66%)
protesiche all’interfaccia tra moncone e impianto
(due monconi mobili che necessitavano di essere
ri-attivati)33. I risultati di tutti questi lavori sono in
accordo con quelli del presente studio su 491
impianti a connessione conometrica impiegati
a sostegno di corone singole, nelle zone ante-
riori (140) e posteriori (351) di entrambe le ossa
mascellari, in cui rare sono state le complicanze
meccaniche a carico dell’interfaccia moncone-
impianto, quali la perdita di connessione tra la
fixture e l’abutment (0,41%).
Per anni si è riconosciuto come negli impianti
con connessioni tradizionali, dopo un anno di
carico funzionale, il primo contatto osseo fosse
posizionato 1,5-2,0 mm al di sotto della connes-
sione tra moncone e impianto35, al punto da es-
sere considerato questo limite come parametro
di successo. Benché il preciso meccanismo lega-
to alla perdita di tessuto osseo periimplantare
sia ancora poco conosciuto36, alcuni Autori han-
no suggerito come eventuali micro-movimenti
all’interfaccia tra moncone e impianto possano
essere responsabili del riassorbimento osseo37.
Se questa ipotesi venisse confermata da ulteriori
lavori, la connessione conometrica, caratterizzata
da elevata stabilità meccanica16-26,30-34, potrebbe
rappresentare una soluzione ideale, riuscendo a
prevenire o limitare il riassorbimento dell’osso
crestale intorno agli impianti.
È inoltre noto come in tutti gli impianti con con-
nessioni avvitate esista inevitabilmente un mi-
crogap di dimensioni variabili (40-100 micron)
all’interfaccia tra moncone e impianto38,39. Que-
sto microgap può essere colonizzato da batteri,
capaci di penetrare e stabilirsi nella porzione in-
terna dell’impianto39,40. Laddove la connessione
tra moncone e impianto è localizzata in prossimità
della cresta alveolare, la colonizzazione batterica
del microgap interfacciale può essere responsa-
bile della genesi di uno stimolo chemotattico, in
grado di iniziare e sostenere il reclutamento di cel-
lule infiammatorie39,40. Ciò può portare alla genesi
di processi infiammatori a carico dei tessuti peri-
implantari, con conseguente perdita d’osso39,40.
La connessione conometrica tra moncone e im-
pianto, riducendo sensibilmente le dimensioni
del microgap (1-3 micron) interfacciale16-18, può
rappresentare un sigillo capace di contrastare la
penetrazione microbica41.
Negli ultimi anni, infine, è stato dimostrato come
la stabilità dell’osso crestale intorno agli impian-
ti dipenda largamente dalla formazione di una
ampiezza biologica (tessuti molli) adeguata all’in-
terfaccia tra moncone e impianto42. Con la con-
nessione conometrica, il profilo di emergenza del
moncone possiede tutte le caratteristiche van-
taggiose descritte attraverso il moderno principio
dello “spostamento della piattaforma” (“platform
switching”)43,44. L’eventuale microgap all’interfac-
cia è infatti spostato verso l’interno, e conseguen-
temente allontanato dalla cresta ossea43,44.
Questo è un aspetto di grande importanza, per al-
meno due diversi motivi. In primo luogo, i batteri
eventualmente presenti sono più distanti dalla cre-
sta ossea. Secondariamente, la guarigione dei tes-
suti molli è eccellente, con un tessuto connettivale
più ampio e spesso. Questo sigillo trans-mucoso
protegge la cresta ossea e previene a sua volta fe-
nomeni di riassorbimento a carico della stessa43-45.
Nel presente lavoro prospettico su 491 impianti a
connessione conometrica a sostegno di corone
singole, la sopravvivenza implantare cumulati-
va a 7 anni è stata del 98,74% (98,31% maxilla,
99,12% mandibola). Questo dato soddisfacente
è in accordo con quanto rilevato nei precedenti
lavori clinici su sistemi implantari con connes-
sione conometrica tra moncone e impianto30-34.
Elevata stabilità meccanica, assenza di microgap
e spostamento della piattaforma rappresentano
i principali vantaggi della connessione conome-
trica tra moncone e impianto. Tutti questi aspetti
contribuiscono a una notevole stabilità del livello
del tessuto osseo periimplantare nel tempo, co-
me confermato dal presente lavoro, nel quale il
valore DIB medio a 1 e a 7 anni era rispettivamen-
te di 0,81 e 1,15 mm, con minima differenza rile-
vata tra 1 e 7 anni. Il successo implanto-protesico
descritto in questo studio (97,48%), non dissimile
da quanto riportato in Letteratura30-34, è probabil-
mente determinato dalla positiva convergenza di
tutti questi fattori.
Mangano C, Mangano F, Mangano A, Macchi A
Implantologia 2011; 2: xx-xx
74
CONCLUSIONI
Gli impianti a connessione conometrica rap-
presentano una valida opzione terapeutica per il
sostegno di corone singole nelle regioni anteriori
e posteriori di entrambi i mascellari, con elevate
percentuali di sopravvivenza (98,74%) e succes-
so (97,48%) a lungo termine. L’elevata stabilità
meccanica della connessione conometrica ridu-
ce l’incidenza di complicanze protesiche (0,41%)
all’interfaccia moncone-impianto.
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Carlo Mangano, Francesco Mangano, Alessandro Mangano, Aldo Macchi
Single tooth Morse taper connection implants: a 1- to 7- year
prospective study
KEY WORDS: Implant-abutment connection, Morse taper implant-abutment connection, Mecha-
nical stability, Microgap, Platform switching.
Purpose: this prospective study evaluated the implant survival, the implant-crown success and the
incidence of abutment loosening of Morse taper connection implants (Sistema Implantare LeoneR,
Sesto Fiorentino, Italia) used for single tooth replacement. Materials and methods: implants were
evaluated from 12 to 84 months after insertion. In each annual follow-up control, clinical, radiogra-
phic and prosthetic parameters were assessed. The implant survival was calculated with life table
analysis of Cutler and Ederer. Implant-crown success criteria included absence of pain, suppuration
and clinical detectable implant mobility; distance from the implant shoulder to the first visible bone
contact (DIB) < 2.0 mm; absence of abutment loosening. Results: over a 7-year period (january 2003-
december 2009) 491 impiants (238 maxillary, 253 mandibular) were inserted in 367 patients (170
men, 197 women, aged between 22 and 79 years) at 5 different clinical centers. The sites included
anterior (140) and posterior (351) teeth. The cumulative implant survival rate was 98.74% (98.31%
maxilla, 99.12% mandible). The implant-crown success rate was 97.48%. A very low percentage of
implant-abutment loosening was reported (0.41%). Mean DIB was di 1.15 mm (7 years). Conclusions:
Morse taper connection implants represent a valid treatment option for single-tooth restorations,
with excellent long-term survival and success rates. The high mechanical stability of Morse taper
implant-abutment connection reduces the incidence of abutment loosening.