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Modelli dell’identità sessuale: tra natura e cultura

Authors:
  • University of Perugia. Italy

Abstract

Scopo di questo intervento è quello di contribuire al dibattito sul costrutto di identità sessuale, evidenziando l’esistenza di più di un modello dell’identità sessuale e, dunque, di differenti spiegazioni non solo e non tanto sulla formazione dell’identità sessuale stessa ma, più in generale, sulle dinamiche e sullo sviluppo della più ampia dimensione della sessualità umana. Verranno presentati e discussi due modelli di identità sessuale: il primo, da noi denominato dell’identità-biopsicosociale, distingue all’interno della totalità di una persona i costrutti biologici dell’identità sessuale dai costrutti psicologici; il secondo, denominato dell’identità-comportamentale, definisce l’identità sessuale come l’esito ontogenetico dei comportamenti sessuali dell’individuo attraverso i quali egli costruisce la propria immagine di sé sessuato che include le dimensioni di identità di genere, ruoli di genere e orientamento. The purpose of this Letter is to contribute to the debate on the construct of sexual identity, highlighting the existence of more than one model of sexual identity and, therefore, not only of different explanations on the formation of sexual identity itself but, more generally, the dynamics and the development of the wider dimensions of human sexuality. It will be presented and discussed two models of sexual identity: the first, which we call the biopsychosocial-identity, distinguishes between biological constructs of sexual identity and psychological constructs within the totality of a person; the second, namely the behavioural identity, defines sexual identity as the result of ontogenetic sexual behavior of the individual including the dimensions of gender identity, gender roles and orientation through which one builds his/her own sexual self-image.
MONOGRAFICO
Lettera all'editore: modelli dell'identità sessuale: tra natura e
cultura
Di Stefano Federici e Fabio Meloni
Italian Abstract
Scopo di questo intervento è quello di contribuire al dibattito sul costrutto
di identità sessuale, evidenziando l’esistenza di più di un modello
dell’identità sessuale e, dunque, di differenti spiegazioni non solo e non
tanto sulla formazione dell’identità sessuale stessa ma, più in generale,
sulle dinamiche e sullo sviluppo della più ampia dimensione della
sessualità umana. Verranno presentati e discussi due modelli di identità
sessuale: il primo, da noi denominato dell’identità-biopsicosociale,
distingue all’interno della totalità di una persona i costrutti biologici
dell’identità sessuale dai costrutti psicologici; il secondo, denominato
dell’identità-comportamentale, definisce l’identità sessuale come l’esito
ontogenetico dei comportamenti sessuali dell’individuo attraverso i quali
egli costruisce la propria immagine di sé sessuato che include le
dimensioni di identità di genere, ruoli di genere e orientamento.
English Abstract
The purpose of this Letter is to contribute to the debate on the construct of
sexual identity, highlighting the existence of more than one model of
sexual identity and, therefore, not only of different explanations on the
formation of sexual identity itself but, more generally, the dynamics and
the development of the wider dimensions of human sexuality. It will be
presented and discussed two models of sexual identity: the first, which we
call the biopsychosocial-identity, distinguishes between biological
constructs of sexual identity and psychological constructs within the totality
of a person; the second, namely the behavioural identity, defines sexual
identity as the result of ontogenetic sexual behavior of the individual
including the dimensions of gender identity, gender roles and orientation
through which one builds his/her own sexual self-image.
Egregio Editore,
Siamo stati certamente attratti dall’invito che Lei ci ha rivolto sia perché il
titolo di questo numero della rivista, L’identità sessuale e il lifelong
learning, tocca argomenti che sono stati lungamente trattati nella nostra
ricerca sull’identità sessuale (p.e.: FEDERICI, 2001°, 2001b, 2002, 2003;
FEDERICI, OLIVETTI BELARDINELLI, 2001; MELONI, MELE, FEDERICI,
2010, 2011°, 2011b; OLIVETTI BELARDINELLI, BRUNETTI, FEDERICI,
2002; OLIVETTI BELARDINELLI, FEDERICI, 2004; OLIVETTI
BELARDINELLI, LO PRIORE, et al., 2002), sia perché il modo in cui lei ha
declinato l’invito sulla tematica dell’identità sessuale, ricalcando la
tendenza probabilmente maggioritaria all’interno degli studi in quest’area,
è stato quello di includere all’interno di essa le “tematiche relative
all’identità di genere e all’orientamento sessuale”. È a questo punto che ci
siamo fermati nel redigere un articolo scientifico che riportasse gli esiti
delle ricerche da noi svolte a riguardo per soffermarci, piuttosto, a riflettere
sul significato di identità sessuale, ritenendo che questo meritasse già di
per sé un’attenzione particolare. La ragione di questa nostra lettera è
dunque quello di sollecitare presso la Sua rivista un dibattito sui modelli
che informano la definizione di identità sessuale e come questi si
declinano in differenti progetti formativi e educativi.
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Federici, S., & Meloni, F. (2012). Modelli dell’identità sessuale: tra natura e cultura. Lifelong Lifewide Learning, 8(19).
http://rivista.edaforum.it/numero19/monografico_federici_meloni.html
Modelli di identità sessuale
Chiunque desiderasse approfondire una definizione di identità sessuale si
troverebbe di fronte ad almeno due modelli interpretativi (WIKIPEDIA
CONTRIBUTORS, 2011). Uno, che chiameremo dell’identità-
biopsicosociale, distingue all’interno della totalità di una persona i costrutti
biologici dell’identità sessuale dai costrutti psicologici (identità di genere) e
sociali (ruolo di genere) (MONEY, 1976, 1990; MONEY, EHRHARDT,
1972; SIMONELLI et al., 2006; VAN DOREN, 2011). Con il termine
identità sessuale, nello specifico, ci si riferisce quindi ai fattori biologici e
anatomo-fisiologici della femminilità o della mascolinità di un individuo,
ossia ai cromosomi sessuali, alle gonadi, alla componente neuro-
endocrina, alle strutture riproduttive accessorie interne e agli organi
sessuali esterni. Il modello dell’identità-biopsicosociale considera il
riconoscimento dell’identità sessuale come l’avvio di un processo
esistenziale attraverso il quale l’individuo matura una propria identità
personale psicologica e sociale attraverso continue auto-rielaborazioni.
Pertanto, l’identità sessuale, che caratterizza anche l’aspetto somatico
socialmente riconoscibile del sesso di un individuo, si distingue nettamente
dalle altre dimensioni della sessualità umana, ossia da quelle che
emergono dai processi transazionali attraverso i quali la persona
costruisce una propria soggettiva identità di genere assumendo
comportamenti negoziati con i ruoli sociali (ruoli di genere) attribuiti al
sesso di appartenenza. Data la natura differente dei costrutti e dimensioni
che caratterizzano la totalità sessuale di una persona, l’identità sessuale
biologicamente data e l’identità di genere socialmente negoziata e
psicologicamente maturata, non sono coincidenti se non per quel processo
di maturazione psicosessuale attraverso il quale un individuo costruisce la
propria identità di genere (ROGERS, 2000).
Un altro modello, che chiameremo dell’identità-comportamentale, definisce
l’identità sessuale non come una dimensione distinta da quella di genere,
ruoli di genere e orientamento, ma come l’esito ontogenetico dei
comportamenti sessuali dell’individuo attraverso i quali egli costruisce la
propria immagine di sé sessuato (WHO, 2006). Secondo questo modello,
l’orientamento sessuale assume un’importanza decisiva nella definizione
della propria identità sessuale:
‹‹Sexual identity is the overall sexual self identity which includes how the
individual identifies as male, female, masculine, feminine, or some
combination and the individual’s sexual orientation. It is the internal
framework, constructed over time, that allows an individual to organize a
self-concept based upon his/her sex, gender, and sexual orientation and to
perform socially in regards to his/her perceived sexual capabilities››
(PAHO, 2000, p. 7). Secondo questo modello, certamente sostenuto dalle
organizzazioni internazionali della sanità, e che sembra sottostare alla call
del numero di questa rivista, l’identità sessuale è l’insieme delle
caratteristiche biologiche, ormonali, anatomo-fisiologiche, culturali,
pulsionali e affettive che informano il comportamento dell’individuo e le
transazioni sociali. Per questa ragione l’identità sessuale assume i
connotati di uno schema comportamentale (script culturale) attraverso cui
sé e gli altri sono riconosciuti. Come uno script culturale (GODDARD,
WIERZBICKA, 2004), l’identità sessuale costituisce una rappresentazione
mentale, socialmente condivisa, di una sequenza di azioni e di interazioni,
di valori e norme che si susseguono in modo simile e comparabile nel
tempo e che si associano a vissuti emotivamente connotati. L’identità
sessuale è allora una linea-guida da seguire nella propria interpretazione e
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Federici, S., & Meloni, F. (2012). Modelli dell’identità sessuale: tra natura e cultura. Lifelong Lifewide Learning, 8(19).
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spiegazione di eventi e dei propri comportamenti. In base a questo
schema di sé e degli altri, culturalmente codificato, l’individuo sa come
agire e come rispondere emotivamente seguendo le norme e i valori della
gruppo sociale di appartenenza (ANOLLI, 2004). Si comprende allora il
perché all’interno di questa definizione assuma un ruolo rilevante
l’orientamento sessuale se per questo si intende il comportamento
sessualmente orientato (GROLLMAN, 2010).
Così definiti i due principali orientamenti ermeneutici dell’identità sessuale,
desideriamo elencare quali, a nostro avviso, sono gli elementi di forza
dell’uno e dell’altro modello.
I vantaggi del modello dell’identità-biopsicosociale
1. Il modello dell’identità-biopsicosociale permette un uso univoco e comparabile di
identità sessuale in tutto il mondo biologico date le caratteristiche universali
dell’identità sessuale (VAN DOREN, 2011). Infatti, l’identità sessuale secondo
questo modello è data dalla combinazione di fattori biologici universalmente
condivisi dal mondo animale, a differenza del modello dell’identità-
comportamentale secondo il quale l’identità sessuale essendo determinata anche
da fattori culturali può essere difficilmente comparabile con quella animale e
culturalmente determinata.
2. Corollario alla precedente considerazione sui vantaggi dell’identità sessuale
secondo il modello dell’identità-biopsicosociale è il vantaggio dell’univocità di
senso del concetto di identità sessuale in ambito scientifico che favorisce uno
scambio interdisciplinare. Questo scambio interculturale assume oggi un
particolare rilievo soprattutto all’interno del dibattito relativo alle origini
dell’orientamento sessuale che mutua concetti e scoperte dalle ricerche in ambito
etologico e genetico (CAMPERIO CIANI, 2004).
3. La distinzione dei due costrutti di identità sessuale e identità di genere consente
di meglio comprendere i disturbi dell’identità di genere, come il transessualismo,
nel quale l’accettazione del proprio sesso biologico (identità sessuale) risulta
psicologicamente problematica (identità di genere). Il vantaggio di questo modello
trova riscontro nei criteri diagnostici del DSM-IV (AMERICAN PSYCHIATRIC
ASSOCIATION, 2002).
4. Il modello dell’identità-biopsicosociale spiegherebbe perché le configurazione
dell’identità sessuale in soggetti transessuali risulta invariata anche in soggetti
che hanno fatto il cambiamento di sesso (OLIVETTI BELARDINELLI et al., 2004).
Infatti, secondo ricerche condotte da Olivetti Belardinelli attraverso un test
semiproiettivo per la misurazione delle configurazioni dell’identità sessuale
profonda (OLIVETTI BELARDINELLI, 1982), le persone che hanno fatto il cambio
di sesso manifestano profili di identità sessuale più simili al sesso di partenza
(prima dell’intervento chirurgico) che a quello di arrivo (dopo l’intervento
chirurgico).
5. Secondo Galimberti la perversione è concepibile solo qualora alla persona si
riconosca un’identità sessuale: «Come si potrebbe parlare di perversione senza
un concetto di identità sessuale?» (GALIMBERTI, 1987). Tuttavia, quanto
sostenuto da Galimberti è comprensibile soltanto qualora l’identità sessuale di cui
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Federici, S., & Meloni, F. (2012). Modelli dell’identità sessuale: tra natura e cultura. Lifelong Lifewide Learning, 8(19).
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parla «sia coincidente con un modello che, conferendo l’identità ad ogni soggetto,
consente di indicare le modalità del suo accesso all’ordine sociale, giuridico,
istituzionale e di giudicarlo, sempre in rapporto al modello, come mancante,
colpevole, deviante, perverso» (GALIMBERTI, 1987). Risulta chiaro, allora, che
secondo l’autore l’identità a cui si sta riferendo è quella definita dal modello
dell’identità-comportamentale. Al contrario, nel modello dell’identità-
biopsicosociale le c.d. perversioni sessuali non possono riferirsi all’identità
sessuale che, in quanto biologicamente determinata, non è moralmente
connotabile, ma all’identità di genere, ossia al vissuto psicologico e
comportamentale dell’individuo che può agire la propria sessualità in modo
“perverso”. Il vantaggio che a riguardo apporta il modello dell’identità-
biopsicosociale è quello di sottrarre al giudizio dell’ordine sociale, giuridico e
istituzionale identità culturalmente ritenute abnormi, come quelle delle persone
nate in stati di intersesso (per casi di intersesso si intende una varietà di
condizioni nelle quali una persona è nata con una anatomia riproduttiva o
sessuale che sembra non coincidere con la definizione tipica di maschio o
femmina – http://www.isna.org/faq/what_is_intersex) (BACKETT-MILBURN,
MCKIE, 2001; DIAMOND D. A. et al., 2006; DIAMOND M., SIGMUNDSON,
1997).
I vantaggi del modello dell’identità-comportamentale
1. Un vantaggio del modello dell’identità-comportamentale è sicuramente quello di
poter sottolineare le dimensioni diacroniche, fenomenologiche e narrative
dell’identità sessuale. Un individuo accede alla propria identità sessuale attraverso
la negoziazione di significati che mutua dagli scambi sociali e culturalmente
determinati. In questo senso l’identità sessuale non è data secondo natura ma è
esperita, non è un qualcosa che è all’origine ma al termine di una conquista
personale.
2. Il modello dell’identità-comportamentale, inoltre, ha il vantaggio di integrarsi
all’interno del paradigma dominante nell’ambito delle scienze sociali denominato
Standard Social Science Model (TOOBY, COSMIDES, 1992). Secondo questo
modello, come lo definisce Durkheim (1895/1962) le rappresentazioni collettive, le
emozioni e le tendenze sono causate non da certi stati della coscienza degli
individui, ma da condizioni nelle quali il gruppo sociale, nella sua totalità, è posto.
Ne risulta che l’individuo è una materia indeterminata che i fattori sociali
plasmano e trasformano. Non c’è nella di innato nell’individuo che possa
predeterminare o influire sui complessi fenomeni sociali. Per il modello
dell’identità-comportamentale, l’identità biologica della sessualità di un individuo è
comprensibile soltanto all’interno di comportamenti sessuali che danno
all’individuo la possibilità di riconoscersi psicologicamente e socialmente con una
propria identità sessuale. Questo spiegherebbe molto bene perché l’identità
sessuale in un caso di intersesso avviene attraverso l’attribuzione di una identità
di genere maschile o femminile che la comunità umana, secondo parametri
culturali, attribuisce all’abnormità di un indefinita identità intersessuata. L’identità
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Federici, S., & Meloni, F. (2012). Modelli dell’identità sessuale: tra natura e cultura. Lifelong Lifewide Learning, 8(19).
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sessuale è qui un’attribuzione sociale che ha ben poco a che fare con il dato di
natura (FEDERICI, 2003; HIRD, GERMON, 2001; HOLMES, 2002; OLIVETTI
BELARDINELLI et al., 2004). Studi etnometodologici sulla costruzione medica del
sesso (KESSLER, 1990; KESSLER, MCKENNA, 1978) analizzando casi di
bambini intersessuati sui quali la scienza medica interviene per correggere
l’ambiguità genitale dei neonati in modo che si conformi ad una dicotomia di
genere culturalmente evidente, indiscutibile, dimostrano come anche l’identità
biologica è di fatto una costruzione sociale: ‹‹Physicians conduct careful
examinations of intersexed infants’ genitals and perform intricate laboratory
procedures. They are interpreters of the body, trained and committed to
uncovering the ‘actual’ gender obscured by ambiguous genitals. Yet they also
have considerable leeway in assigning gender, and their decisions are influenced
by cultural as well as medical factors›› (KESSLER, 1990, p. 24). Un essere
umano non ha possibilità di essere gettato nel mondo se non come maschio o
come femmina. In realtà, però, almeno dal punto di vista delle caratteristiche
biologiche, l’identità sessuale è certamente più varia della mera polarità
socialmente riconosciuta di maschio-femmina. Secondo quanto sostenuto da
Laqueur (LAQUEUR, 1990), anche la struttura binaria del sesso è una struttura
non della realtà, ma della conoscenza, che i soggetti impongono ad un mondo
fatto di gradazioni continue di differenze e somiglianze (FEDERICI, 2003).
3. Il modello dell’identità-comportamentale risulta assai vantaggioso nel sostenere il
diritto ad una vita sessuale delle persone disabili (STELLA, FEDERICI, MELONI,
2011) in quanto un sano sviluppo sessuale è perseguibile soltanto qualora si
riconosca ad ogni individuo, disabile e non, il potere di vivere la propria identità di
genere: ‹‹To be sexual is far more than a matter of physiology and sexual activity.
Being sexual is very much about who we are, what we feel, what we value, what
we think, and what we desire. […] Programmes must consider which cultural
practices, traditions, beliefs and values are beneficial and promote sexual health.
Factors such as sexual orientation, illness, culture, age or disability must be taken
into account in the design of programme interventions and services›› (WHO,
2006, pp. 6, 20). In una indagine condotta in diversi centri italiani che accolgono
persone con disabilità, sulla modalità di riconoscimento, accoglienza ed
educazione della sessualità, vale a dire, sulle influenze socioambientali nello
sviluppo della sessualità di persone disabili in Italia si è evidenziato come nei
centri d’accoglienza delle persone disabili, siano essi pubblici o privati, religiosi o
laici, e nelle stesse famiglie di figli con disabilità, il problema dell’educazione
sessuale rimanga, per così dire, latente, sommerso e come, perciò, esso non
rientri nelle finalità esplicite del progetto educativo dei medesimi (FEDERICI,
2002; MELONI et al., 2011°, 2011b). Il modello dell’identità-comportamentale può
certamente favorire il richiamo ad una questione urgente e sempre attuale della
vita sessuale delle persone disabili, promuovendo l’elaborazione di progetti
formativi per professionisti che operano con persone disabili e genitori affinché si
abbattano quelle barriere culturali che impediscono alle persone disabili di
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Federici, S., & Meloni, F. (2012). Modelli dell’identità sessuale: tra natura e cultura. Lifelong Lifewide Learning, 8(19).
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riconoscere ed esprimere i propri desideri sessuali, secondo il proprio
orientamento al fine di maturare una identità sessuale sana e salutare. Ben
compresa all’interno di questo modello, la maturazione di un’identità sessuale può
costituire un processo di empowerment della persona disabile.
Conclusione
Al termine dell’esposizione delle caratteristiche e dei vantaggi dei due
differenti modelli interpretativi dell’identità sessuale, ci auguriamo che
questa nostra lettera possa contribuire all’apertura di un dibattito sui
modelli formativi e pedagogici che possono scaturire dai due differenti
approcci all’identità sessuale da questa comunità scientifica da lei
rappresentata in qualità di Editore. Abbiamo cercato di contribuire a
questo dibattito sul costrutto di identità sessuale, evidenziando ciò che
spesso le diverse discipline che se ne occupano a livello scientifico
sembrano ignorare, ovvero l’esistenza di più di un modello dell’identità
sessuale e, dunque, di differenti spiegazioni non solo e non tanto sulla
formazione dell’identità sessuale stessa ma, più in generale, sulle
dinamiche e sullo sviluppo della più ampia dimensione della sessualità
umana. A partire dai vantaggi che ciascun modello può offrire in relazione
ai fenomeni a cui ci si accosta, e che qui sono stati delineati, a noi pare
un obiettivo rilevante, all’interno di un dibattito stesso, che ogni studio o
ogni indagine che tenti di far luce sui meccanismi della sessualità umana,
così come ogni intervento educativo o terapeutico nello stesso ambito,
espliciti sempre le premesse da cui muove, ovvero dichiari il modello di
identità sessuale su cui è fondato lo studio o l’intervento stesso. La
ragione di ciò non sta semplicemente nella possibilità di favorire una
validità multidisciplinare all’interno della comunità scientifica, per quanto
già questo si configurerebbe come un risultato non di poco conto.
Piuttosto, partiamo dalla convinzione che in un’epoca di globalizzazione
anche del sapere, di confronto tra discipline differenti in contesti sociali,
ambientali e culturali molto diversi, ciò che conta scientificamente non sia
tanto l’univocità delle premesse ovvero delle variabili oggetto di studio o di
intervento, quanto l’affermazione del principio che siano l’oggetto di studio
e il suo contesto a determinare la definizione stessa delle variabili in
campo. Non dunque una pretesa di ridurre il pluralismo “democratico” degli
approcci ad un regime “monarchico” assolutistico nel quale un modello
“vince” sempre sugli altri ma, al contrario, l’affermazione che più modelli
possano coesistere a patto di renderli espliciti e, pertanto, oggetti e
soggetti di dialogo. Ciò potrebbe contribuire sia alla chiarezza del discorso
scientifico, sia alla confrontabilità multidisciplinare, sia alla riduzione della
confusione e dell’indeterminatezza che non di rado si riscontrano nei
processi educativi e trasformativi nell’ambito della sessualità umana.
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Book
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Con ‘Sessualità alterabili’ vogliamo esprimere la complessità di un fenomeno psicosociale che riguarda il rapporto tra sessualità e disabilità. ‘Sessualità alterabili’, si riferisce innanzitutto allo sviluppo dell’identità sessuale e dell’immagine del proprio corpo, come corpo sessuato di un soggetto con disabilità, che è in larga parte alterato, compromesso e frustrato da stereotipi sociali riconducibili a miti discriminanti comunemente diffusi nelle più diverse culture mondiali. ‘Sessualità alterabili’, però, intende anche sottolineare come la sessualità di una persona con disabilità debba essere riletta all’interno di quelle specifiche e differenti esperienze di cui gli individui con disabilità sono gli unici testimoni. Nella misura in cui la persona con disabilità manifesta abilità fisiche, psichiche, spirituali, artistiche e culturali specifiche, altre da quelle di una cultura occidentale, bianca, patriarcale, medio-boghese, la diversità di prospettiva che nasce dal corpo e dalla mente di un disabile è un’altra, differente (e nella sua differenza, criticamente dialettica) visione del mondo e, di conseguenza, della normalità di un corpo e dei suoi bisogni e funzioni. Infine, ‘Sessualità alterabili’ significa che la sessualità di un disabile, attraverso il suo modo di sentire e vivere i bisogni del suo corpo come sessuato, amabile e amante, altera gli stereotipi della normalità, del concetto di ‘natura’, di ‘fisiologico’, di ‘sessuologico’, affermando la differente bellezza naturale, esperienziale e sessuale di una normalità della devianza, di un’ontologica contro-naturalità dell’esserci. Il libro raccoglie i dati di una rilevazione effettuata in diversi centri italiani, che accolgono persone con disabilità, sulle modalità di riconoscimento, accoglienza ed educazione della sessualità, vale a dire, sulle influenze socioambientali nello sviluppo della sessualità di persone disabili in Italia. Lo studio porta ad un livello critico ciò che è facilmente riscontrabile nell’ambito della disabilità, ovverosia, come nei centri d’accoglienza delle persone disabili e, spesso, nelle stesse famiglie di figli con disabilità, il problema dell’educazione sessuale rimanga, per così dire, latente, sommerso, non rientrando, di conseguenza, nelle finalità esplicite del progetto educativo dei medesimi.
Article
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This work aims to illustrate an overview of homophobia and disability in scientific literature. All of these studies seem to follow a prevailing theoretical perspective based on the social model of disability, which is often associated with the Queer and Feminist theories. We found that both LGBTQI (lesbian, gay, bisexual, transgender, queer and intersex) people and people with disabilities live in a condition based on two socially shared values which are the basis of prejudice, i.e. the compulsory able-bodiedness and the compulsory heterosexuality. If on the one hand the self-affirmation of the LGBTQI community is often grounded on the tyranny of the perfect body (body fascism), on the other hand, the disabled community’s assertion is often supported by the compulsory heterosexuality. The spread of inter-community prejudices ends up thus mutually reinforcing the stereotypes they battle, specifically to the detriment of homosexual people with disabilities living in health-care centres. The experimental studies confirm this phenomenon: despite the existing international intervention policies aimed at supporting the sexual, emotional and relational needs of people with disabilities, health-care operators and communities do not provide proactive support for their LGTBQI clients due to inadequate training programmes and a strengthened attitude of moral condemnation towards homosexuality.
Conference Paper
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Il presente lavoro ha l’intento di illustrare la produzione scientifica nazionale ed internazionale sul fenomeno dell’omofobia in relazione alle persone disabili. La ricerca bibliografica, condotta sui principali database di riferimento (Medline, PsycINFO e PsycARTICLES) ha individuato 30 studi [1-4, 7, 10-17, 19-25], pertinenti con le keywords combinate “homophobia”, “disability” e “homosexuality”. Di questi lavori, 16 sono focalizzati sulla definizione del fenomeno a partire da differenti prospettive teoriche, tra le quali prevale il modello sociale di disabilità, spesso associato alla Queer Theory e alla riflessione di matrice femminista. Gli altri 14, invece, sono lavori sperimentali, prevalentemente sugli atteggiamenti di operatori sanitari, caregivers e familiari, nei confronti di persone disabili LGBTQI (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer and Intersex). Dal punto di vista teorico, emerge una complessa relazione tra le differenti culture espresse i) dalla comunità LGBTQI, ii) dalla comunità dei disabili, iii) dalla società in generale. La condizione di esclusione che sia i disabili che i LGBTQI vivono, affonda le sue radici in due miti/valori socialmente condivisi: la compulsory able bodiedness e la compulsory heterosexuality [18, 36]. Entrambi, in misura diversa, sono alla base dei pregiudizi omofobici. Tuttavia, le risposte che le due comunità minoritarie producono, al fine di neutralizzare le barriere socioculturali, sono spesso conflittuali fra loro e rendono reciprocamente inospitali i rispettivi spazi: se per la cultura LGBTQI l’affermazione di sé è spesso fondata sulla tirannia del corpo perfetto, body fascism [28], come estremizzazione della compulsory able bodiedness, al contrario, le rivendicazioni di normalità dei disabili sono sovente sostenute dalla compulsory heterosexuality [5, 7, 8]. La diffusione dei pregiudizi intercomunitari finisce così per rafforzare i valori e gli stereotipi della società nel suo complesso [3]. Gli studi a carattere sperimentale confermano, almeno in parte, tutto ciò: gli operatori dei centri di assistenza e delle comunità residenziali per disabili non forniscono un supporto proattivo ai bisogni affettivi e sessuali dei loro assistiti LGTBQI [1, 6, 7, 8, 9, 22] sia per la mancanza di un percorso formativo adeguato, sia a causa di atteggiamenti di condanna morale verso l’omosessualità, la cui espressione, direttamente o indirettamente, è negata [23]. Colui che sembra emergere come portatore del maggior carico di sofferenza è, dunque, la persona disabile omosessuale che vive in istituzioni o centri [7]. In conclusione, nonostante a livello internazionale siano state avanzate politiche di intervento mirate al supporto della sfera sessuale, affettiva e relazionale degli utenti con disabilità, permane l’urgenza di mettere in atto iniziative formative rivolte all’attenuazione del pregiudizio specificamente degli operatori dei centri di assistenza e dei caregivers delle persone disabili.
Chapter
In what we have heard about the effects of developmental deprivation in two species, monkey and man, it has become apparent that there is remarkable cross-species parallelism. Investigatively, for ethical reasons, there are fewer options in human than in animal studies: unplanned “experiments of nature” take the place of designed experiments.
Chapter
Do we truly need a true sex? With a persistence that borders on stubbornness, modern Western societies have answered in the affirmative. They have obstinately brought into play this question of a ‘true sex’ in an order of things where one might have imagined that all that counted was the reality of the body and the intensity of its pleasures (Foucault 1980: vii).
Article
Kessler and McKenna convincingly argue that gender is not a reflection of biological reality but rather a social construct that varies across cultures. Valuable for its insights into gender, its extensive treatment of transsexualism, and its ethnomethodological approach, Gender reviews and critiques data from biology, anthropology, sociology, and psychology.
Sex assignment for newborns with ambiguous genitalia and exposure to fetal testosterone: attitudes and practices of pediatric urologists
I., & RETIK A. B., Sex assignment for newborns with ambiguous genitalia and exposure to fetal testosterone: attitudes and practices of pediatric urologists, «The Journal of Pediatrics», vol. 148, 4, 2006, pp. 445-449.