Premesse.
I pitfalls sono trappole in grado di alterare i dati numerici citometrici e che bisogna conoscere bene al fine di evitarle. Il riconoscimento dei pitfalls è essenziale per il miglioramento dell’accuratezza e tutto il personale operante in Laboratorio che esegue e referta i test in urgenza deve essere in grado di riconoscerli. Il citofluorimetro Dasit “SYSMEX UF-1000i”, tramite il dimensionamento (FSC), la complessità cellulare (SSC) e la fluorescenza alta e bassa (FLH e FLL), è in grado di fornire citogrammi e distinguere le varie popolazioni cellulari urinarie, con notevole vantaggio nell’individuazione delle micro-ematurie.
Metodi.
In alcuni pazienti, l’analizzatore fornisce un dato numerico da presenza di globuli rossi non confermato né dal controllo biochimico, negativo per presenza di emoglobina, né da quello microscopico. In essi, tuttavia, il citogramma di ricerca FSC/SSC evidenzia la comparsa di una “falce” costituita da elementi che, per complessità e dimensioni, vengono identificati dallo strumento come globuli rossi, determinandone così una sovrastima. Tale flag è simile a quello che gli analizzatori ematologici producono nei campioni di sangue midollare per la presenza in essi di goccioline di grasso. Il pitfall interessa circa l’1,6% dei campioni, è assente nei soggetti di sesso maschile, mentre in quelli di sesso femminile interessa solo donne di età inferiore a 65 anni. Inoltre, si ha una sua riduzione quando vengono raccolti 3 campioni per la conta di Addis.
Risultati.
Valutazioni relative a sesso ed età della popolazione interessata, unitamente al controllo microscopico che evidenzia formazioni che, per rifrangenza ed eterogeneità delle dimensioni, non sono classificabili come emazie, ma orientano per inquinamento da detergenti. L’ipotesi viene suffragata dalla scomparsa del flag, nei soggetti interessati, al controllo eseguito dopo lavaggio dei genitali solo con acqua corrente.
Conclusioni.
La citofluorimetria per l’esame morfologico delle urine è una tecnologia sensibile e accurata che evidenzia in misura maggiore le criticità della fase preanalitica e presuppone buone capacità da parte dell’operatore nell’interpretazione dei citogrammi, al fine di migliorare l’accuratezza del risultato fornito.
Background
. Celiac disease (CD) is a multifactorial disorder characterized by intolerance to gluten and associated to genetic predisposition, mainly with Human Leucocyte Antigens (HLA) class II genes. In the complex pathologies, genetic tests are predictive of susceptibility, but they aren’t diagnostic. However, its determination can be helpful in several cases, for example, refractory celiac disease or in risk groups, as first-degree relatives of patients with celiac disease.
Typing HLA pattern have several limits: elevated cost, execution time too long, difficult interpretation of results. Moreover, genetic tests are limited to specialized laboratories.
In this study we have assessed the performance of two tests: the Celiac Gene Screen and the Celiac Gene Typing (BioDiagene, Palermo, Italy). The two tests are compared with the Eu-Gen Risk Eurospital kit (Trieste, Italy).
Methods
. We have analyzed 95 subjects, 7 of these presented CD. The Celiac Gene Screen is a test for identification of samples susceptible to CD, but it does not discriminate the DQ2 and DQ8 alleles, independently homozygosis or heterozygosis status.
The Celiac Gene Typing is a method for the detection of HLA class II genotype associated with CD. For each sample analyzed, individual alleles are detected by the kit and the corresponding serologic haplotype. Celiac Gene Typing identifies the presence of the alleles that codify for the DQ2 and DQ8 heterodimers that determine the risk of developing CD.
Results
. We have obtained 100% concordance between two BioDiagene tests and Eurospital test.
Conclusions
. This study has underlined excellent performances of two methods. Furthermore, the use of Celiac Gene Screen, to low cost, could be modify diagnostic laboratory flow-chart proposed until now, and it become a test of first level, at least in asymptomatic subjects, but with elevated risk conditions to develop the CD and, even, represent a screening test of population.
Laboratory Analysis and Operating Room (OR) are very similar settings, in which operators of different competence carry out different procedures and receive informations from multiple sources. These complex environments can delay information and help frequent interruptions. Surgical checklists modelled after the aeronautical milieu are designed to promote interdisciplinary communication and to provide a framework for the many perioperative steps involved in patient care.
The article shortly analyzes recent aviation and naval disasters (or miracles) (Tenerife, Rio de Janeiro and Hawaii) were the lack or the correct use of checklist and non technical skills (NTS) resulted decisive tools in influencing staff communications. Checklists have been used in aviation industry for many years to enhance safety, providing clear support in complex environments. The checklists ensure that all procedures are correctly carried out, eliminating redundant steps and reliance on the inherently fallible human memory. The acronym C
4I, borrowed by military environment, explains how the implementation of the following four skills can limit the risks and errors, also in different fields: Command, Control, Communication, Computer and Intelligence. Also the interruptions can cause mistakes both in Operating rooms and in Laboratory and they are greatly increased by the diffusion of smartphones. It is very important to assure a correct use of these devices and physicians and laboratorians must learn to use them with caution avoiding a smartphone addiction dangerous to the health worker and to the organization.
Nel 1831 il medico irlandese William O’Shaughnessy (1808–1889) pubblica un lavoro sulla recente scoperta del rame nel materiale organico in relazione ai casi di avvelenamento e di adulterazioni di alimenti e indaga quale valore debba attribuirsi alle analisi chimiche nelle questioni medico-legali. Basandosi anche sui lavori del chimico francese Sarzeau, che ritiene per certa la presenza del rame nel corpo umano, si propone di dimostrare come il riscontro di piccole quantità di rame nelle viscere di soggetti avvelenati non possa essere motivo di imputazione, essendo già stata riscontrata la naturale esistenza dell’ossido di rame in alcune sostanze organiche.
Nel 1833 Carlo Speranza (1778–1867) asserisce che il rame diventa pericoloso e nocivo solo dopo contatto prolungato con sostanze saline, acide o basiche, mettendo in guardia dal lasciare i cibi, e anche l’acqua, in contenitori di rame. Descrive anche i sintomi dell’avvelenamento da rame.
Nel 1838 il medico francese Marie Guillaume Devergie (1798–1879) sostiene che il rame e il piombo sono naturali costituenti di tutti gli organi dell’uomo, deduzione che viene smentita dagli studi sperimentali di Luigi Ferdinando de’ Cattanei di Momo (1796–1866) nel 1840.
Nel 1841 Edouard Lefortier affronta il nuovo argomento delle modificazioni del rame e dei suoi sali introdotti nell’organismo e gli inconvenienti per la salute del diffuso utilizzo dei contenitori di rame in cucina, i sintomi di avvelenamento e l’uso degli antidoti da somministrare.
Dei contravveleni si occupa anche il farmacista Faustino Malaguti (1802–1878) nel 1841.
Nel 1843 il chimico-tossicologico francese Charles Flandin (1803–1891) e Ferdinand Philippe Danger (nato 1802), con un loro metodo di analisi molto sensibile, ribadiscono la non esistenza del rame e del piombo nell’organismo animale e arrivano anche alla sorprendente conclusione che l’eliminazione del rame non avviene attraverso i reni ma per traspirazione polmonare, con conseguenti nuovi aspetti nel trattamento degli intossicati.
Numerose nelle riviste scientifiche dell’epoca le cronache di casi di avvelenamento che, nella maggior parte, sono senza gravi conseguenze.
La tossicologia del rame nell’Ottocento si può chiudere con una cronaca di Dioscoride Vitali (1832–1917) che ridimensiona la gravità degli avvelenamenti causati dal rame e dai suoi sali con dati statistici che portano a ridurre la casistica dei venefici. Comunica anche i lavori di alcuni studiosi che capovolgono il problema dell’avvelenamento professionale con indizi statistici che proverebbero addirittura dei benefici in alcune malattie negli addetti alla metallurgia del rame e alla lavorazione dei suoi sali.
Background
Erythrocyte sedimentation rate (ESR), though simple and nonspecific, is still the most widely used laboratory test for monitoring the course of infection, inflammatory diseases and some types of cancer. The aim of this study was to compare the performance of the VES-Matic Cube 80, automated analyzer with the traditional manual method with sodium citrate as anticoagulant.
Methods
Both methods were applied to 357 randomly selected samples from inpatients and outpatients referred to our laboratory between February and April 2011. Correlation coefficient, linear regression, paired Student’s t test and Bland-Altman method (for proportional and total accuracy) were examined to compare the accuracy between the automated and the manual method. Precision was evaluated in randomly selected subsamples for the following ESR ranges (10 samples each): low (≤20 mm), intermediate (21 to 40 mm) and high (>40 mm). In the latter case, five replications for each sample were performed with one-hour interval between measurements. Means, standard deviations (SD), 95% confidence interval (CI), coefficient of variation (CV) and Bland-Altman analysis (for proportional and total imprecision) were taken into account.
Results
Results with both methods were significantly correlated (r = 0.91; P < 0.001 on paired t test; slope = 0.955; intercept = +7.24). Bland-Altman analysis showed a systematic bias (−5.89 mm) with 95% CI of 17.2 to −29.05, indicating that ESR values measured by VESMatic Cube 80 may be 17.2 mm above or −29.05 mm below the manual method. Results were highly replicable up to the 5th measurement with VES-Matic Cube 80 (CV = 2.5%; SD = 0.55; 95% CI = 0.33–1.57 for the intermediate ESR range; CV = 1.29; SD = 0.84; 95% CI = 0.5–2.4 for the high ESR range) but not with the manual method (CV = 28.5%; SD = 7.43; 95% CI = 4.45–21.31for the intermediate ESR range; CV = 19.4%; SD = 11.10; 95% CI = 6.65–31.91 for the high ESR range).
Conclusions
Accuracy and precision with the VES-Matic Cube 80 were significantly better than with the manual method. Bland-Altman analysis revealed a wide degree of scattering between results obtained with the two ESR techniques, which was not clearly demonstrated using the linear regression analysis. Repeatability of results over time was significantly better with the VES-Matic. Advantages of VES-Matic Cube 80 compared to the manual method include a greatly reduced execution time (20 min compared to 60 min). Moreover, VES-Matic Cube 80 is a standardized methodology for ESR viable with a single cell blood counting tube with undiluted blood in EDTA.
L’endocardite da Abiotrophia defectiva è una patologia rara, ma associata ad alti tassi di complicanze e mortalità. La diagnosi eziologica è complessa e insidiosa e spesso associata a emocolture negative. In letteratura sono descritti due casi in assenza di preesistente valvulopatia e un terzo con coinvolgimento valvolare mitro-aortico.
In questo lavoro viene descritto il caso di un paziente con endocardite da Abiotrophia, ricoverato in unità coronarica con diagnosi di distacco di protesi valvolare aortica e sindrome nefrosica.
Il paziente è stato trattato chirurgicamente con sostituzione valvolare aortica, ricostruzione della giunzione mitro-aortica e del tratto di flusso ventricolare sinistro ed esclusione della tasca ascellare con patch di pericardio eterologo; al follow-up a 90 giorni non presentava segni di recidive.
Il decorso particolarmente subdolo di un’endocardite, con difficile identificazione eziologica, dovrebbe far sospettare l’eziologia da Abiotrophia defectiva.
Il carcinoma ovarico è tra le prime cause di morte per neoplasie ginecologiche, con un rischio cumulativo, nella popolazione generale, di sviluppare la neoplasia nell’arco della vita intorno all’1–1,8% e la sopravvivenza globale a 5 anni delle pazienti intorno al 50%. Oltre il 60% dei tumori ovarici, sia benigni che maligni, origina dall’epitelio di rivestimento dell’ovaio. Attualmente, secondo la classificazione patogenetica, i carcinomi ovarici sono distinti in 2 classi: neoplasie di tipo 1, a basso grado e a lenta progressione e di tipo 2, costituite da carcinomi sierosi ad alto grado e a rapida progressione. Recenti dati mostrano come le forme ad alto grado siano caratterizzate da pattern genetici differenti rispetto a quelle a basso grado, per cui si potrebbe ipotizzare che possano esistere due sedi di origine differenti per queste forme tumorali. Per alcuni istotipi ad alto grado è stato ipotizzato, come possibile precursore, il tessuto epiteliale di rivestimento delle fimbrie. Queste nuove acquisizioni potrebbero aiutare a identificare dei biomarker più affidabili, di quelli attualmente in uso, soprattutto per la diagnosi precoce dei carcinomi ovarici. Le ricerche in questo settore hanno permesso di identificare alcuni marcatori molecolari tra cui l’HE4 da poter affiancare al marcatore Ca125, che, oggi, risulta l’unico raccomandato da associare all’ecografia trans-vaginale per la diagnosi differenziale di una massa pelvica. HE4 sembra essere più sensibile di Ca125 soprattutto negli stadi precoci di malattia e nelle pazienti in età pre- e perimenopausale nelle quali è più arduo differenziare una massa annessiale benigna da una maligna.
Background
Previous studies have demonstrated that the presence of serum IgA antibodies against actin filaments (IgA-AAA) in patients with coeliac disease (CD) is strongly associated with mucosal damage and severity of villous atrophy. The aims of the present study were to compare two different substrates to detect IgA-AAA, to correlate IgA-AAA with IgA anti-tissue transglutaminase antibodies (IgA-tTG), and to assess the relationship between the presence of IgA-AAA in serum from CD patients and the severity of intestinal mucosal damage. Methods. Endoscopy was performed in 32 patients for suspected CD on the basis of symptoms, who were also positive for IgA-tTG. IgA-AAA assays were performed by indirect immunofluorescence using Hep2 and VSM47 cells (Euroimmun). IgA-tTG were detected using the Celikey (Phadia) assay. Intestinal specimens were collected by upper endoscopy and classified according to the Marsh-Oberhuber grading system. Autoantibody assays and histological evaluations were performed blindly.
Results
CD diagnosis was confirmed in 32 patients (type I in 3 patients, type II in 2 patients, type IIIA in 6 patients, type IIIB in 6 patients, and type IIIC in 15 patients). Of the serum samples from the 32 patients, 8 were positive in the Hep2 assay and 15 were positive in the VSM47 assay (p<0.001). High levels of IgA-AAA correlated positively with the severity of mucosal damage (p<0.001).
Conclusions
VSM47 cells were more sensitive than Hep-2 cells for detecting IgA-AAA. IgA-AAA positivity correlated both with IgA-tTG positivity and histological damage. IgA-AAA could be an very useful adjunctive tool to support the diagnosis of CD if histology is suboptimal, when biopsy is to be avoided for clinical reasons or when the patient does not consent to endoscopy.
Acute leukaemia is a neoplastic disorder of haematopoietic precursors characterized by a rapid clinical course and a relatively high early death rate in spite of recent therapeutic progress. Prompt and reliable diagnostic and prognostic assessment has a favourable impact on patient outcome. Diagnostic suspicion relies on signs and symptoms of bone marrow failure or quali-/quantitative abnormalities of blood cells, which are accurately detected by modern automated counters. Cytomorphological examination of a stained blood and bone marrow film plays a key role in the diagnostic process, with relevant additional information coming from immunophenotyping of blast cells. Cytogenetic and molecular genetic data are the basis of prognostic stratification. In this context, a coordinated intervention of specialized laboratories combining solid expertise in each field involved in the diagnostic work-up is essential; at the same time, the availability of all the required technologies at the same hospital structure would probably lack efficiency due to the low number of tests performed. The organization of laboratory networks, either at regional or national level, especially in the context of clinical trials, may offer a great opportunity for centralization of more sophisticated technologies in reference laboratories, each highly specialized in a particular field of investigation and all interconnected. The challenge for laboratory haematology is the reorganization of clinical and scientific activity according to this model, without loosing educational potential in favour of new generations of medical doctors, haematologists, biologists and laboratory technicians.
Premesse
La riduzione del rischio di recidive di ischemia cerebrale con la terapia antitrombotica è del 20% circa. Il fallimento clinico è stato imputato a resistenza ai farmaci antiaggreganti. I dati in letteratura sono molto variabili a causa dell’eterogeneità delle casistiche cliniche studiate e dei metodi di laboratorio utilizzati.
Metodi
L’aggregazione piastrinica con il metodo ottico di Born (LTA) rappresenta il gold standard per la valutazione piastrinica in vitro. Gli studi con LTA riportati in letteratura hanno utilizzato agonisti dell’aggregazione piastrinica diversi, a differenti dosi. Abbiamo pertanto deciso di studiare una casistica selezionata di attacchi ischemici cerebrali acuti con LTA utilizzando stimoli specifici per i singoli farmaci antiaggreganti, al fine di verificare l’eventuale associazione del fallimento clinico con l’attività piastrinica residua (APR).
Risultati
Nel campione studiato non ci sono state né recidive cliniche né resistenze alla terapia.
Conclusioni
Sono necessari periodi osservazionali più prolungati per valutare la comparsa di resistenza a distanza nonché studi con popolazione più numerosa per confermare i nostri dati.
Premesse
La malattia autosomica dominante del rene policistico è la principale causa genetica di insufficienza renale cronica e presenta un’incidenza di circa 1:1000 nati vivi. è riconducibile per l’85% a mutazioni in PKD1 e per il restante 15% in PKD2. L’ADPKD è caratterizzata da reni bilateralmente ingranditi e numerose cisti. Attualmente, l’ecografia è il metodo di screening preferenzialmente utilizzato per la diagnosi di ADPKD. Poiché la formazione delle cisti renali è un processo etàdipendente, la diagnosi ecografica può produrre risultati falsi negativi in soggetti giovani. Di conseguenza, il test genetico risulta un valido aiuto nei casi in cui la diagnostica per immagine non sia chiara, in particolar modo nei soggetti giovani e nello screening dei potenziali donatori consanguinei. Questo lavoro propone la messa a punto di un metodo di screening genetico basato sull’analisi di Melt ad alta risoluzione (HRMA) del gene PKD2.
Metodi
L’HRMA consiste nell’amplificazione della sequenza di interesse in presenza di un fluoroforo che si intercala al DNA a doppio filamento e sfrutta la diversa temperatura di Melt delle sequenze nucleotidiche e il loro differente comportamento di dissociazione, durante la denaturazione termica. Ogni amplicone è caratterizzato da un andamento e una temperatura di Melt caratteristici e sequenza-specifici; pertanto, amplificati che differiscono nella loro sequenza sono caratterizzati da profili diversi che li rendono distinguibili e permettono l’individuazione di variazioni.
Per ciascun amplicone di PKD2 si sono messi a punto le condizioni di amplificazione e il range di analisi HRM, in modo da individuare le condizioni migliori, le più riproducibili e le maggiormente utili ed efficaci per la ricerca di mutazione e lo studio di polimorfismi.
Risultati
Sperimentalmente, la messa a punto delle condizioni ottimali è stata eseguita valutando complessivamente i dati eseguendo l’analisi su controlli sani wildtype, precedentemente sequenziati. Durante la fase di messa a punto si sono valutati: il livello di amplificazione, la quantità e la qualità di amplificato prodotto, ovvero l’assenza di aspecifici di amplificazione e l’unicità del picco di Melt.
Tutte le dodici variazioni precedentemente identificate tramite il sequenziamento diretto sono state rivelate e individuate anche dall’analisi con HRM, evidenziando una concordanza del 100% tra i due metodi.
Conclusioni
Dal nostro punto di vista e sulla base dei risultati ottenuti, si può concludere che l’analisi con HRM può essere considerata un ottimo strumento di screening per la ricerca di mutazioni per il gene PKD2, in quanto presenta facilità nella preparazione dei campioni, velocità di analisi, costo ridotto, efficacia, sensibilità e specificità idonee per la ricerca di varianti note e non note in questo gene.
In the last few years the number of patients on anticoagulant drugs for the prevention and treatment of venous thromboembolism and many cardiovascular diseases has grown exponentially. Within a few months, four new direct oral anticoagulants (DOA), three inhibitors of activated factor X (aXa) and one inhibitor of activated factor II (aIIa), will be available in Italy for the prevention of cardiometabolic stroke in patients with atrial fibrillation, after having being been approved for thromboprophylaxis in orthopedic surgery.
The Laboratory, together with an appropriate management model, has always played a very important role in ensuring the effectiveness and safety of anticoagulant treatment with the conventional anticoagulant drugs (AVK antivitamin K and heparins).
DOA can be administered at fixed doses without routinely laboratory monitoring. However, the Laboratory will continue to have a key role in the management of these drugs, above all in special categories of patients and under particular clinical conditions, to ensure safety and efficacy, reducing severe complications. This article focuses on the role of the laboratory, showing which tests are currently available and recommended for each molecule.
Premesse
L’utilizzo di sistemi di cromatografia liquida ultra veloce, non accoppiata a un rivelatore di massa, consentirebbe il dosaggio accurato delle differenti forme di vitamina D, proprio dei metodi cromatografici, in tempi rapidi, con produttività simile a quella dei metodi immunometrici, senza richiedere investimenti iniziali elevati generalmente tipici dei sistemi LC/MS/MS. In questo studio, utilizzando plasma e siero come matrici, abbiamo confrontato un nuovo metodo cromatografico liquido ultraveloce (UPLC) con un metodo immunometrico e uno cromatografico tradizionale (HPLC).
Metodi
40 campioni di plasma e 50 campioni di siero sono stati valutati tramite kit ClinRep 25-OH-vitamina D2/D3® Recipe (BSN Srl, Castelleone, CR, Italia) su strumentazione UPLC Nexera Prominence LC20 (Shimadzu Italia Srl, Milano, Italia). I campioni di plasma sono stati analizzati con kit LIAISONsr 25-OH-Vitamin D Total (DiaSorin SpA, Saluggia, VC, Italia) su strumentazione Liaison Diagnostic System, mentre i campioni di siero sono stati misurati con kit 25-OH Vitamin D3/D2 by HPLC® Bio-Rad Laboratories Srl (Segrate, MI, Italia) su strumentazione Agilent Technologies (Santa Clara, CA, USA) HPLC serie 1200. Per la valutazione dell’imprecisione e dell’accuratezza sono stati utilizzati un controllo a bassa (LC) e alta concentrazione (HC) e un pool di plasma (PN).
Risultati
Il metodo UPLC presenta una buona precisione per entrambe le forme di vitamina D (5–7%). Sebbene per livelli bassi di vitamina D l’inaccuratezza si attesta a valori del 2%, per concentrazioni nell’intervallo di normalità (>30 ng/ml) essa è pari a 6,5-8,5%. Per il confronto DiaSorin-UPLC su plasma, l’analisi di Bland-Altman ha mostrato una differenza media percentuale pari a 74,5%, con valori circa doppi per il metodo UPLC rispetto al metodo DiaSorin, come confermato dall’analisi di regressione di Passing-Bablok (UPLC = DiaSorin*2.38). Per il confronto HPLC-UPLC su siero, l’analisi di Bland-Altman ha mostrato una differenza media percentuale pari a 11,6%, con valori più elevati per il metodo UPLC. L’analisi di regressione di Passing-Bablok ha evidenziato una relazione UPLC = HPLC*1,09+0,27. Il numero di previsioni non corrette, relativamente agli intervalli <10, 10-30, 30-100, >100 ng/ml, non supera il 20%.
Conclusioni
Il metodo UPLC presenta valori di vitamina D sostanzialmente più elevati rispetto al metodo DiaSorin, non risultando intercambiabile a meno di una modifica degli intervalli di riferimento. Pur presentando un’inaccuratezza superiore al limite desiderabile suggerito dalla recente letteratura, il metodo UPLC fornisce risultati di vitamina D sostanzialmente sovrapponibili al metodo HPLC tradizionale.
Background
In 1982 Fairley and Birch reported that urine erythrocytes dismorfic and with reduced volume are markers for glomerular bleeding, and therefore examination of morphology of urinary red blood cells could direct the diagnosis toward a glomerular or a non-glomerular disease. In addition to the microscopic examination, instrumental tests have been proposed and used to discriminate glomerular hematuria by determining the volume of urinary erythrocytes (uMCV). Since our methodological approach includes the study of morphology in phase contrast microscopy supported by instrumental measurement of uMCV and calculation of the ratio between uMCV and the volume of blood erythrocytes (bMCV), we wanted to compare two different analyzers to assess the size of urinary erythrocytes. We describe the algorithm we use, compare the result obtained with the two instruments and evaluate the results by comparison with the accepted gold standard, that is the morphology of urinary red blood cells by phase contrast microscopy.
Methods
We measured uMCV with two different instruments: a haematologic autoanalyzer (ADVIA 120 — Siemens), and an automated urine cell analyzer (UF100 — Toa Sysmex), which uses flow cytometry technology to measure the cell size. We conducted the study testing the uMCV of 60 urine samples of patients with hematuria, with normal and reduced volume. We also evaluated the correlation between the uMCV/ bMCV ratio obtained with the two methods.
Results
In evaluating the correlation between the two instruments, the dispersion is rather high, especially for samples with normocytic red cells. However, both instruments single out cells with a low uMCV, as we checked with the microscopic observation.
Conclusions
Our study shows that both instrument have good performances and can be used indifferently to help the microscopist to carry out the reference test.
Premesse.
L’esame del sedimento urinario è ancora oggi essenziale per la diagnosi, prognosi e monitoraggio delle malattie renali e delle vie urinarie. Negli ultimi due decenni sono stati proposti strumenti per la lettura automatizzata del sedimento: la citofluorimetria dedicata (UFC) e la microscopia automatizzata (MIA). Abbiamo valutato prima dell’introduzione in routine (valutazione di base) e dopo cinque anni di attività (valutazione di routine) lo strumento MIA iQ200 Iris. Lo scopo del presente lavoro è illustrare la performance analitica e l’accuratezza diagnostica dell’analizzatore di sedimenti urinari Iris iQ200 e il suo ruolo nell’organizzazione del Laboratorio per favorire una strategia diagnostica efficace ed efficiente.
Metodi.
Nella valutazione di base, abbiamo esaminato precisione inter- e intra-serie, linearità, carryover, accuratezza per confronto con metodo di riferimento ISLH e urocoltura su 153 campioni selezionati. Nella valutazione di routine abbiamo esaminato la sensibilità clinica come numero di referti positivi, numero di eritrociturie e numero di cilindrurie segnalate prima e dopo l’introduzione di iQ200 e il potere come screening di infezioni urinarie (UTI) contro urocoltura su un campione di 253 pazienti con formula comprendente i risultati iQ200 batteri e piccole particelle (ASP) e quindi su un campione di 7615 con formula (AND/OR) comprendente ASP e leucociti (WBC) e con il risultato della revisione umana su iQ200. In entrambe le valutazioni abbiamo misurato i flussi operativi in una settimana (285 campioni/die) e in un mese (350 campioni/die), rispettivamente.
Risultati.
Nella valutazione di base, iQ200 ha mostrato precisione leggermente inferiore a UFC, ma migliore o decisamente migliore verso microscopia ISLH e tradizionale (<15% ai limiti decisionali), linearità fin oltre le 2000 cellule/μL, carryover insignificante, accuratezza per confronto molto buona per RBC (r 0,9335), WBC (r 0,9987), cellule epiteliali squamose (r 0,9544), buona per cellule epiteliali non squamose (r 0,7642) e cilindri ialini (r 0,7210), meno buona per cilindri patologici (r 0,3365). Il valore predittivo negativo (NPV) della formula “batteri + ASP ≥12.000/μL” verso urocoltura (CFU ≥ 100.000/mL) è stato 96,4%. Nella valutazione in routine, si è evidenziato un aumento del 18% di segnalazioni patologiche sui referti urinari, prevalentemente a carico di RBC (per la metà al di sopra della soglia di patologia) e in parte a carico dei cilindri, la cui segnalazione è triplicata (da 1,5% a 4,5%) in netta prevalenza per cilindri ialini, anche se i cilindri patologici aumentano del 7%. La valutazione come screening di UTI ha mostrato per la formula “ASP ≥8000/μL o WBC ≥20/μL” un NPV del 98,5% e per i “batteri” rivisti da operatore umano un NPV del 99,7% verso urocoltura (CFU ≥ 100.000/mL). La valutazione dei flussi operativi ha mostrato la necessità di diluizione di meno del 2% dei campioni e di controllo microscopico di meno dell’1%. La necessità di validazione a video è stata del 33%, con i criteri di revisione “patologici + anomali” (27% dopo ottimizzazione degli stessi). Il risparmio di tempo è stato di 60 minuti (14%) con 1 iQ200 e di 160 minuti (37,5%) con 2 iQ200 su una routine di 350 campioni/die.
Conclusioni.
iQ200 è uno strumento che si inserisce in strategie diagnostiche combinate o selettive con buone performance analitiche e ottima sensibilità clinica per malattie renali e UTI, in particolare dopo revisione umana, migliorando l’efficacia clinica (segnalazione di patologia, accurato monitoraggio) e l’efficienza dei flussi di lavoro. La possibilità della revisione a video delle microfotografie, quando è più conveniente ai flussi operativi, e la sua facilità, oltre agli effetti positivi su accuratezza ed efficienza, sono condizioni per approfondimenti, confronto tra operatori e insegnamento della morfologia urinaria.
L’albumina è una proteina di notevole importanza nella fisiologia dell’organismo e alterazioni nella sua struttura e funzione possono avere rilevanti ripercussioni fisiopatologiche. è quanto accade in seguito a processi di glicossidazione che portano alla formazione dell’albumina glicata in concentrazioni elevate in caso di iperglicemia cronica o di picchi iperglicemici rilevanti. L’albumina glicata si presenta quindi non solo come un indice di controllo della malattia diabetica, ma anche come un vero e proprio fattore patogenetico. E in non poche e non poco importanti condizioni il suo utilizzo può risultare più vantaggioso della stessa emoglobina glicata. Tuttavia, a causa dei limiti iniziali di specificità delle tecniche impiegate per misurare genericamente le fruttosamine (l’insieme delle proteine glicate circolanti), e a causa del persistere di una certa confusione tra fruttosamina e albumina glicata, la determinazione di quest’ultima non ha goduto dello stesso successo dell’emoglobina glicata. In verità, con le metodiche più recenti la misurazione dell’albumina glicata nel plasma umano è divenuta sufficientemente precisa e accurata, nonchè semplice ed economica da eseguire. I risultati che stanno emergendo negli ultimi anni in merito ai progressi analitici e alle applicazioni cliniche dell’albumina glicata porteranno probabilmente nel prossimo futuro a una richiesta sempre maggiore, nell’ottica della crescente attenzione all’appropriatezza in laboratorio.
Background
Breath-alcohol instruments are used for testing alcohol-impaired drivers both at the roadside for screening tests and for evidential purposes when the results are used for prosecution
Methods
Concentration-time profiles of ethanol were determined for venous whole blood and end-expired breath during a controlled drinking experiment in which healthy men (n=13) and women (n=2) 55±5 y.o. and body weight 72±13 kg, drank 0,69–0,90 g ethanol per kg body weight in 20–30 min. Specimens of blood and breath were obtained for analysis of ethanol every 20–30, 40–60, 70–90, 120 min starting postdosing. This protocol furnished 150 blood-breath pairs for statistical evaluation. Bloodalcohol concentration (BAC) was determined by immunochemistry method (ILAB 600-IL) and headspace gas chromatography (FOCUS GC-Thermo Scientific) and breathalcohol concentration (BrAC) was determined with three quantitative infrared instruments (SERES, LION, DRAGGER) which are the instrument currently used in Italy by Police for legal purposes.
Results and conclusions
In 9 instances the breathethanol instruments gave readings under 0.50 g/L whereas the actual BAC was over 0.50 g/L.
Premesse
Le reazioni allergiche alla soia e alle arachidi sono in grande espansione e sono spesso gravi a causa della presenza di molecole a elevato potere antigenico, quali le LTP e le proteine di deposito. Nella soia le IgE specifiche (sIgE) vs Gly m 5 e Gly m 6 sono indicative di una sensibilizzazione primaria che può essere responsabile di reazioni anafilattiche, mentre sIgE vs Gly m 4 (PR-10) depongono per una sensibilizzazione primaria alle fagales generalmente associata a SOA. Nelle arachidi Ara h 1, Ara h 2, e Ara h 3 sono markers di sensibilizzazione genuina e rappresentano un elevato rischio di reazioni sistemiche gravi, cosÌ come le sIgE vs Ara h 9 (LTP) possono causare reazioni severe in aggiunta a SOA. Attualmente l’uso della diagnostica molecolare permette di distinguere forme di allergia primaria verso questi alimenti da forme dovute a cross reattività, ottenendo un miglior inquadramento clinico del paziente associato a un corretto giudizio prognostico.
Metodi
È stata eseguita la diagnostica molecolare in due gruppi di soggetti, il primo costituito da 10 pazienti allergici alla soia e il secondo da 11 allergici alle arachidi, prevalentemente di età pediatrica e di ambedue i sessi. Per il dosaggio delle IgE specifiche è stata utilizzata la tecnologia ImmunoCAP® (Phadia® 250. Phadia AB, Uppsala, Sweden). I risultati sono stati quantitativamente espressi in kUa/L di IgE allergene specifiche.
Risultati
Nei 10 soggetti allergici alla soia 2 hanno presentato alti livelli di IgE solo per Gly m 4, 1 solo per Gly m 5; in 4 casi è stata riscontrata una positività a entrambe le proteine di deposito Gly m 4 e Gly m 5, associata alla presenza di IgE vs l’LTP (Gly m 1 omologa). Tra gli 11 positivi alle arachidi, 5 sono risultati primariamente sensibilizzati ad Ara h 1, Ara h 2 e Ara h 3, in 4 la presenza della sensibilizzazione vs queste proteine era associata ad alti livelli di IgE vs l’Ara h 9, mentre in due pazienti erano presenti solo IgE vs l’LTP.
Conclusioni
Il nostro studio, sebbene limitato a pochi casi, conferma la variabilità di sensibilizzazione vs la soia e le arachidi. Nei pazienti allergici alla soia le reazioni più gravi si sono verificate in quelli con sIgE vs Gly m 5 e Gly m 6, cosÌ come tutti i pazienti positivi alle proteine di deposito delle arachidi hanno avuto reazioni severe in seguito a ingestione delle stesse, indipendentemente dalla presenza di sIgE vs LTP. Pertanto si può affermare che la diagnostica estrattiva non è più sufficiente, ma occorre accertare vs quale proteina specifica sia sensibilizzato il paziente per prevenire la comparsa di reazioni gravi in seguito all’ingestione dell’alimento.
Premesse
La formula CKD-EPI (Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration) è stata proposta in sostituzione della MDRD (Modification of Diet in Renal Disease) per stimare la velocità di filtrazione glomerulare (eGFR) nella pratica medica quotidiana. Scopo di questo studio è stato di valutare la comparabilità tra le due formule e di determinare l’effetto dell’applicazione della CKD-EPI sulla riclassificazione dei pazienti negli stadi della malattia renale cronica (CKD), in due vaste popolazioni di 186.575 e 28.349 pazienti ambulatoriali tra 20–70 anni, afferenti ai laboratori di riferimento per l’area di Monza e la Provincia di Lodi e la cui creatinina è stata rispettivamente determinata con due diversi metodi tracciabili IDSM.
Metodi
I valori della creatinina sierica, ottenuti utilizzando rispettivamente un metodo enzimatico e uno cinetico al picrato alcalino secondo Jaffè tra l’1 agosto del 2009 e l’1 agosto del 2010, sono stati ricavati dal database dei laboratori. La comparabilità tra i valori di eGFR stimati con le due formule è stata valutata mediante il metodo di Bland e Altman. Abbiamo anche confrontato la prevalenza della CKD nei singoli stadi ottenuta applicando ciascuna formula sui dati sia generali sia stratificati per età, sesso e valori di eGFR.
Risultati
Nessuna differenza tra la CKD-EPI e la MDRD per valori di eGFR <60 mL/min/1,73 m2, mentre per valori superiori la MDRD sottostima in modo consistente la GFR con entrambi i metodi analitici. La prevalenza di CKD allo stadio 2 era segnatamente più bassa con la CKD-EPI (22,1% vs 43,2% della MDRD e con il metodo enzimatico e 33,7% vs 52% della MDRD con il metodo Jaffè) cosÌ come la prevalenza di CKD allo stadio 3 (4,2% vs 5,2% della MDRD e con il metodo enzimatico e 3,2% vs 4,6% con il metodo Jaffè).
Conclusioni
L’applicazione della formula CKD-EPI rispetto alla MDRD determina una stima di GFR più elevata e una più bassa prevalenza di CKD negli stadi iniziali indipendenti dal metodo di misura della creatininemia. Queste differenze sembrano più rilevanti specialmente nelle donne, nella fascia di età fra 20–30 anni e per livelli di eGFR con la MDRD fra 30–59 mL/min/1,73 m2.
Background
Malignant pleural mesothelioma (MPM) is an aggressive tumour usually associated with the presence of pleural effusion (PE). Differential diagnosis of the PE can be difficult because cytological analysis shows low sensitivity and specificity. Measurement of solubile mesothelin peptides (MS) has been reported to provide a complementary tool to aid in the diagnosis of MPM.
The current study was undertaken to assess whether the levels of MS in PE may provide an additional diagnostic value to cytology and clinical practice.
Methods
MS was assessed by means of the MesoMark™ ELISA kit on a fraction of PE extracted by thoracentesis. Cytology was evaluated on fixed smears stained by Papanicolaou’s method.
Results
We evaluated MS in 52 MPM-PE and 223 PE of other origin. The geometric mean of MS levels in PE was significantly higher in MPM-PE (19.0 nmol/L) than in total other PE (3.5 nmol/L). The cut-off level was 9.30 nmol/L with an AUC of 82.0 (P-value <0.001), Sensitivity=75% and Specificity=87%. We found MS positive cases (-cut-off) in 38/52 (73%) of MPM-PE and MS in 27/223 (12%) of other PE (DOR 21.8; Pearson chisquare test P-value <0.001).
Moreover, in the 5/23 (21.7%) cytology positive/suspicious MPM-PE the levels of SMRP were <9.30 nmol/L (cut-off). In contrast, in the 20/29 (69.0%) MPM-PE in which cytology was found negative the MS levels resulted positive.
Conclusions
MS detection in MPM-PE may provide additional diagnostic value to cytology. The MS test may be incorporated into clinical practice of PE from patients suspicious for MPM.
Premesse
L’aumento delle richieste di determinazione dell’alcolemia a scopo medico legale si è sostanziato in un aumento del carico di lavoro per i laboratori di tossicologia e, in questo contesto, si è altresÌ resa necessaria la ricerca di un metodo rapido e, nello stesso tempo, affidabile per ottimizzare e velocizzare la refertazione.
Metodi
Sono stati analizzati 150 campioni per la determinazione dei valori dell’etanolo. I campioni sono stati processati sia con metodo enzimatico sia con metodica gas cromatografica in spazio di testa, che rappresenta il metodo di riferimento per questo dosaggio.
Risultati
I dati del lavoro di comparazione tra metodiche hanno consentito di rilevare una sostanziale sovrapponibilità di valori, con lieve sovrastima, cosa peraltro nota agli addetti ai lavori, della determinazione enzimatica nei confronti di quella gas cromatografica in spazio di testa (HS-GC).
Conclusioni
Consensualmente all’evoluzione della medicina di laboratorio nel suo complesso, la strumentazione di chimica clinica negli ultimi decenni si è dimostrata particolarmente affidabile, sensibile e specifica ed ha aperto delle prospettive interessanti anche nella determinazione di numerosi analiti di pertinenza tossicologica. La determinazione dell’etanolo potrebbe, entro certi limiti, usufruire dell’elevata affidabilità analitica raggiunta dalla strumentazione di chimica clinica e, in ben definite occasioni, con l’opportuna cautela, potrebbe snellire il lavoro del tossicologo forense nei casi di assoluta e certificata negatività.
Premessa
La ricerca degli anticorpi anti-peptidi citrullinati (ACPA) è un esame di grande utilità nella diagnosi precoce di artrite reumatoide (AR). In questo senso, un test in grado di fornire un risultato rapido già alla prima visita potrebbe trovare applicazione nell’ambulatorio reumatologico. Noi abbiamo valutato sia dal punto di vista analitico che diagnostico un nuovo metodo immunocromogenico da utilizzarsi come point-of-care test (POCT) per un veloce inquadramento iniziale dei pazienti con artrite.
Metodi
Il test CCPoint® (Eurodiagnostica, Nijmegen, Paesi Bassi) è un classico immunodosaggio a flusso laterale su sangue capillare, rapido e qualitativo a lettura visiva per la determinazione degli ACPA di classe IgG. Il nostro studio è stato condotto in due fasi: nella prima, sono stati valutati l’accuratezza analitica e diagnostica del test con uno studio di tipo caso/controllo; nella seconda, è stata esaminata la praticabilità del metodo e la facilità di interpretazione dei risultati da parte di operatori sanitari in condizioni di reale operatività diagnostica. Come riferimento è stato utilizzato il metodo ELISA Immunoscan RA CCP2 prodotto da Eurodiagnostica. Nella prima fase dello studio sono stati studiati 596 soggetti con AR definita secondo i criteri ACR e un gruppo di controllo costituito da 456 soggetti sani, 108 pazienti con malattie infettive e 576 con altre patologie autoimmuni o reumatiche. Nella seconda fase dello studio, il CCPoint test è stato eseguito direttamente da reumatologi o da infermiere nell’ambulatorio di tre reparti di Reumatologia su 224 pazienti con artrite e su 93 pazienti di controllo.
Risultati
438/596 pazienti con AR sono risultati positivi al test CCPoint (sensibilità diagnostica: 73,5%). Dei 1.140 soggetti inclusi nel gruppo di controllo, 11 (0,96%) sono risultati positivi al test (specificità diagnostica: 99%). La concordanza con il metodo ELISA, valutata sui campioni dei pazienti con AR e sui controlli sani, è risultata essere del 99,6%. I risultati ottenuti nei tre centri reumatologici hanno dimostrato una concordanza tra i risultati ottenuti con il CCPoint e il metodo ELISA di riferimento del 96,4%, nei soggetti con AR e con artrite precoce, e del 100%, nel gruppo di controllo. La concordanza globale è risultata del 97,5%.
Conclusioni
Il test CCPoint è il primo metodo rapido attualmente disponibile per la ricerca degli ACPA-CCP in POCT. Il metodo si è dimostrato molto accurato, di facile esecuzione e interpretazione e, come tale, può essere vantaggiosamente utilizzato per un primo screening dei pazienti con artrite all’esordio già in occasione della prima visita nell’ambulatorio reumatologico.
L’angioedema ereditario è causato da una carenza genetica di C1-inibitore, fattore che regola una serie di pathways infiammatori. I pazienti affetti da HAE hanno crisi intermittenti caratterizzate da edemi cutanei o mucosali legati a un malfunzionamento del meccanismo di controllo della produzione locale di bradichinina. L’edema solitamente evolve in diverse ore e persiste per 2–5 giorni. Oltre all’angioedema oro-facciale, edemi non accompagnati a dolore possono colpire i distretti periferici con conseguente alterazione dei connotati e interferenza con il lavoro e altre attività della vita quotidiana. L’angioedema del tratto gastrointestinale e dei visceri addominali causa dolore severo spesso associato a ostruzione edematosa dell’intestino e vomito. Circa il 2% degli edemi coinvolge la laringe e può rivelarsi fatale se non trattato; circa il 50% dei pazienti ha, nel corso della vita, attacchi laringei.
Indicazioni per le analisi includono il sospetto clinico o la storia familiare positiva per HAE. è raccomandato, laddove possibile, uno screening comprendente il dosaggio del C4, del C1 inibitore proteina antigenica (C1 quantitativo) e del C1 inibitore funzionale.
Il trattamento degli attacchi acuti include in Italia, al momento, i seguenti farmaci: concentrato plasmatico di C1-inibitore per infusione endovenosa (dosaggio 20 UI/kg di peso corporeo); icatibant (antagonista della bradichinina) per somministrazione sottocutanea addominale (30 mg/3 ml). La profilassi può essere fatta con androgeni attenuati, agenti antifibrinolitici (acido tranexamico) o concentrato plasmatico di C1 inibitore.
Background
Spontaneous intracerebral hemorrhage (sICH) represents the most feared subtype of stroke. Despite the intracranial bleeding risk associated to oral anticoagulant (OAT) with vitamin K antagonists (VKA) has remained constant, the wider use of VKA over the last 20 years has proven the increasing of OAT related ICH (OAT-sICH).
Aim of the study
To evaluate whether the percentage of OAT-sICH is increased in our hospital and which has been the practical management of OAT urgent reverse and whether this management has changed over the years.
Methods
We retrospectively analyzed data records of patients consecutively admitted in the Internal Medicine ward of our hospital for ICH since 2006. Of these patients we retrieved clinical, radiological and laboratory findings aimed to investigate the severity of sICH, the antithrombotic drugs used before admission, the INR values in OAT-sICH patients at hospital arrival and after OAT reverse and the mortality burden.
Results
In the analyzed period 122 patients, 56 males, with mean age 79.8±9.6 years, were admitted. 25 patients (20.4%) were on OAT, whereas 44 (36%) were treated by antiplatelets agents. The percentage of OATsICH increased from 9% in 2006 to 31.5% in the first ten months of 2011. 39 patients (31.96%) died. Mortality was 56% in OAT-sICH patients, 40.9% in antiplatelets related sICH, while mortality was 12.8% in patients not treated with antithrombotic drugs. Mean values of INR at hospital arrival were 3.55±2.39. One patient (4%) presented INR value <2.0, 48% of patients was in therapeutic range (2.0–3.0), 28% had INR values between 3.0 and 4.0, 8% 4.0–5.0, 12% INR values >5.0 (8%–9.0). OAT reverse was performed by using prothrombin complex concentrate (CCP) in 80% of patients, whereas 12% was treated with fresh frozen plasm. 96% of patients received intravenous vitamin K1. At the end of first dose of CCP mean values of INR were 1.61±0.76. Median number of INR assays until demonstration of OAT reversal was 3.
Conclusion
OAT-sICH is an increasing emergency due to wider use of VKA. Laboratory physicians are called to give quick results of INR as the urgent OAT reverse is imperative. Therefore close collaboration between emergency and laboratory physicians is fundamental.
Premesse
Nella pratica di laboratorio, il tempo di protrombina (PT) viene utilizzato per la diagnostica dei difetti congeniti o acquisiti della coagulazione o per il monitoraggio della terapia con i farmaci anticoagulanti orali. L’espressione del risultato in termini di INR è raccomandata solo nell’ultimo caso, ma in molti laboratori si utilizza lo INR anche per i pazienti non anticoagulati. Inoltre, come denominatore per l’espressione dei risultati del PT viene raccomandato il “mean normal PT” (MNPT), ma questo è spesso sostituito da un plasma “normale” liofilo, con la conseguenza di intervalli di normalità potenzialmente diversi con la stessa combinazione reagente-coagulometro.
Metodi
L’imprecisione di due tromboplastine del commercio (Neoplastin Plus, cervello di coniglio, Roche, e Innovin®, fattore tissutale umano ricombinante, Siemens) è stata testata sul medesimo coagulometro (STA-R, Roche) con plasmi liofili normali e patologici (Roche, control plasma 1 and 2; Siemens, normal and abnormal plasma and INR calibrator L1). L’intervallo di normalità dei rapporti del PT (PT Ratio) con i due reagenti è stato ottenuto per 40 volontari adulti apparentemente sani utilizzando il MNPT (calcolato in precedenza su 20 altri volontari sani) o i plasmi “normali” liofili come denominatore. Il paragone delle diverse modalità di espressione del PT Ratio con i due reagenti è stato condotto su 200 plasmi da pazienti esterni (n=90) od ospedalizzati (n=110) non anticoagulati. I risultati sono stati anche paragonati utilizzando lo INR.
Risultati
L’imprecisione totale (CV%) dei due reagenti, valutata con i plasmi normali e patologici ricostituiti, era simile e variava da 1,1% a 2,5%. Nei controlli, i PT Ratio ottenuti con i due reagenti erano simili e la media non differiva da 1,0 (p ≥0,17) utilizzando il MNPT come denominatore, ma le medie risultavano significativamente diverse da 1,0 con i plasmi normali liofili (da 0,90±0,07 a 1,05±0,08, p ≤0,03). Nei pazienti, i valori di PT Ratio erano simili solo quando si utilizzava il MNPT a denominatore. Utilizzando una procedura WHO semplificata e assumendo Neoplastin Plus (ISI coagulometro-specifico =1,31), come tromboplastina di riferimento, l’indice di sensibilità coagulometro-specifico di Innovin® risultava pari a 0,77 (0,73–0,80, LC al 95%), con correzione di Tomenson (10−d) pari a 1,09. La trasformazione dei PT Ratio in INR dava luogo, indipendentemente dal termine a denominatore, a significative differenze tra le due tromboplastine, e la percentuale dei pazienti con valori anormali di PT con Innovin® saliva da 38,5 a 62,5.
Conclusioni
I plasmi liofili commerciali “normali” non sono un valido sostituto del MNPT nel determinare gli intervalli di normalità del PT, e dovrebbero essere utilizzati solo per il controllo di qualità. L’espressione dei risultati del PT come INR nei pazienti non anticoagulati dà luogo a falsi valori anormali e andrebbe evitata nella pratica di laboratorio.
La terapia anticoagulante è utilizzata per la prevenzione e la cura del tromboembolismo venoso. I nuovi farmaci anticoagulanti (NOA) possono essere somministrati a dosi fisse, senza la necessità di un monitoraggio costante. Tuttavia il laboratorio manterrà comunque un ruolo fondamentale nel management di questi farmaci. Questo articolo rappresenta il documento di consenso di tre società scientifiche italiane che si occupano di diagnostica di laboratorio nell’ambito dell’emostasi e della trombosi. Vengono discussi (i) quali test dovrebbero essere utilizzati per valutare l’effetto di ciascuna molecola disponibile (per es. dabigatran, rivaroxaban e apixaban); (ii) quali pazienti devono essere valutati e (iii) i timing delle analisi.
Background There is now evidence that the advantages of screening for prostate cancer based only on prostate specific antigen (PSA) are probably offset by the health and economic disadvantages arising from over-diagnosis and over-treatment. Among novel and promising biomarkers, attention has recently been focused on the PSA isoform p2PSA, alone or in combination with free PSA (as %p2PSA), and in combination with total and free PSA as the prostate health index (phi). Methods We performed an electronic search for original articles published in English, French, Spanish and Italian reporting studies that assessed the diagnostic performance of %p2PSA for prostate cancer screening in direct comparison with PSA, using the keywords “Prostate Cancer”, and “Measurement” or “Screening”, and “proPSA” or “p2PSA” or “[-2]proPSA”. Titles, abstracts and full texts were carefully read, and articles not matching the inclusion criteria were excluded. Heterogeneity was evaluated by the I-squared test. The pooled estimates of accuracy and the resulting area under the receiver operator characteristic curve (AUC) were calculated using a random effect model. Results On the basis of the electronic search, 11 articles and 12 studies, including a total of 5,139 subjects (2,338 with prostate cancer) and with modest heterogeneity (Isquared, 66%) were selected. The %p2PSA pooled estimates were always greater than those of PSA, and so was the cumulative pooled AUC (0.687 versus 0.538; p Conclusions These findings provide a rationale for planning further studies to assess whether %p2PSA testing may generate more favourable outcomes in terms of mortality and quality of life. Direct comparison does not permit the conclusion that the phi is globally superior to %p2PSA for detecting prostate cancer.
L’automonitoraggio della glicemia mediante utilizzo di strumentazione point of care testing costituisce una componente essenziale nella gestione del paziente diabetico, al fine di: (a) raggiungere e conservare nel tempo il buon controllo glicemico, onde prevenire le complicanze dell’iperglicemia; (b) prevenire e individuare episodi di ipoglicemia, talora più gravi dell’iperglicemia per le gravi conseguenze a breve termine; (c) evitare la comparsa di iperglicemia severa, fino al coma ipersomolare; (d) modulare cambiamenti idonei nello stile di vita del paziente; (e) stabilire la necessità di iniziare il trattamento con insulina nel diabete mellito gestazionale.
I fattori che possono compromettere l’accuratezza della misurazione dei glucometri e in buona sostanza di tutti i dispositivi per le analisi decentrate concernono essenzialmente tutte le fasi del processo diagnostico, dalla pre-analitica alla post-analitica. Inoltre, l’automonitoraggio della glicemia può avere un ruolo determinante nel migliorare il controllo metabolico se è parte di una strategia educativa più ampia. Poiché l’accuratezza della misura ottenuta con il glucometro dipende sia dallo strumento sia dall’utilizzatore, viene raccomandato che i pazienti ricevano un’educazione iniziale al corretto utilizzo della strumentazione e all’interpretazione dei dati per aggiustare la terapia, competenze che dovranno poi essere rivalutate nel tempo.
Background
We considered some aspects of laboratory medicine and occupational medicine, with special reference to biological risk, looking for those elements that could be essential parts of both medical fields.
Methods
We evaluated the national and international literature on biological risk with particular attention to the main features of laboratory and occupational medicine, including errors sources, quality, concept of risk, guidelines and risk reduction.
Results
Risk management, training, communication, involvement and participation of different professionals are characteristics of both disciplines, and it is important to promote a risk culture in order to mitigate biological risk.
Conclusions
The study of biological risk should include risk assessment and management, through a multidisciplinary approach aimed at eliminating and/or reducing risks. The spread of new methodologies has led to improvement in the study of biological risk and better integration between laboratory and occupational medicine.
Crohn’s disease (CD) and ulcerative colitis (UC) are the major forms of inflammatory bowel diseases (IBD). Laboratory markers can be used for their diagnosis, for assessment of disease activity, for prediction of relapse and for monitoring of the effects of therapy effects.
We distinguish between serological and faecal markers of inflammation. C reactive protein (CRP) is the most studied serological marker as it has been shown to have the best overall performance. Faecal markers should be more specific in detecting gut inflammation and, among them, calprotectin and lactoferrin are the most promising tests. Other important serological biomarkers in IBD are antibodies that have been associated with IBD. The most commonly described are is anti-Saccharomyces cerevisiae (ASCA), but their list is rapidly expanding and includes the newly identified anti-microbial antibodies (anti-outer mMembrane porin C, anti-12, anti-flagellin), new anti-glycan antibodies (anti-chitobioside IgA, anti-laminaribioside IgG, anti-mannobioside IgG) and the antibodies against the two major chemically synthesized oligomannose epitopes.
Classical autoantibodies in IBD are p-ANCA (atypical perinuclear anti-neutrophil cytoplasmic antibodies), which are used to differentiate CD from UC. The specificity of anti-pancreatic antibodies for Crohn’s disease has recently been emphasized. These new markers serve as valuable complimentary tools to the old biomarkers like including ASCA and ANCA, not only to for diagnose diagnosing IBD and to differentiate differentiating between CD and UC, but also to for identifying the phenotypic aspects of the disease and to predicting the risk of complications and surgery.
Premesse.
In Italia, come nella maggior parte dei Paesi più evoluti, l’Educazione Continua in Medicina (ECM) è finalizzata a migliorare conoscenze e competenze del personale sanitario per erogare cure di elevata qualità, centrate sul paziente. La formazione svolta dalla Società Italiana di Medicina di Laboratorio (SIMeL) gioca un ruolo fondamentale per la divulgazione di linee guida e dell’Evidence-Based Laboratory Medicine (EBLM). Allo scopo di ottenere una maggiore efficacia formativa, in SIMeL abbiamo realizzato un progetto ECM sperimentale, finalizzato a rilevare i bisogni formativi dei soci, stimolando motivazione, partecipazione e condivisione di esperienze professionali.
Metodi.
La pianificazione del progetto ha preso avvio nella Commissione Formazione (CF) Permanente SIMeL. Il progetto pilota è stato rivolto alla sezione SIMeL laureati specialisti in discipline scientifiche di laboratorio biomedico (DSLB) della regione Piemonte. Il programma, 7 ore in presenza, si è articolato in lezioni frontali (mission, gruppi di studio societari, teoria e sistemi di rilevazione dei bisogni formativi) ed esercitazioni pratiche di problem solving. Il corso è stato accreditato da SIMeL Provider, come formazione residenziale, ottenendo 7,6 crediti ECM. Durante le esercitazioni pratiche è stato creato un questionario in cui è stato applicato un modello sperimentale di autovalutazione, che misura scostamenti (gap) tra conoscenze e competenze attese (Importanza) e osservate (Padronanza), come indicatori del fabbisogno formativo. Importanza e Padronanza sono state misurate con score in scala da 0 a 5. Score e gap sono stati standardizzati in scala 0–100. In seguito sono stati analizzati i questionari e i test di gradimento ECM.
Risultati.
Hanno partecipato al corso 22 soggetti. Il bisogno formativo medio è risultato maggiore nell’area relazionale-comportamentale (gap: 23), seguita da quella tecnico-scientifica (gap: 20) e da quella gestionale-organizzativa (gap: 18). La “Comunicazione efficace” (gap: 30) e la “Teoria e pratiche EBLM” (gap: 31) sono risultati gli argomenti con score assoluto più elevato. La formazione residenziale in presenza, con numeri limitati di partecipanti, è stata la tipologia formativa preferita. Costi e carenza di personale sono stati ritenuti i maggiori ostacoli alla formazione. I test di gradimento hanno rilevato che l’88% dei partecipanti ha giudicato l’evento rilevante o abbastanza rilevante, il 95% ha ritenuto buona o eccellente la qualità educativa e il 100% ha valutato utile o molto utile l’evento ai fini dell’aggiornamento.
Conclusioni.
Il questionario di rilevazione dei bisogni formativi ha mostrato una buona performance nell’individuare gli argomenti prioritari per la formazione futura e le tipologie formative preferite. I test di gradimento hanno mostrato risultati incoraggianti, suggerendo la riedizione dell’evento in altre regioni italiane e l’estensione dello stesso a tutte le professioni della Medicina di Laboratorio presenti in SIMeL.
Background
Thiopental, as many other centrally acting drugs, can depress the electroencephalogram, so serum levels of these drugs must be well below their therapeutic range for a reliable diagnosis of brain death. While for many of these drugs fast and simple immunossays are available, for thiopental only chromatographic tests are available.
Methods
We compared a high-performance liquid chromatographic method with an ultraviolet detector (HPLCUV) and a gas chromatographic method with a flame ionization detector (GC-FID) for the quantification of serum thiopental.
Results
From January to July 2011, serum samples collected from 25 critically ill patients were processed either by both HPLC-UV and GC-FID for the quantification of serum thiopental. A satisfactory correlation was found between the methods.
Conclusion
Although both methods were reliable, easy to perform and fast enough, the GC-FID method seemed to fit to our needs better than the HPLC-UV method. This was due to the extreme sensitivity of GC in quantifying serum thiopental well below the therapeutic level, and also because GC is easier and faster to perform in a setting which usually needs a rapid turn-around time.
L’intubazione endotracheale permette l’introduzione del tubo nella trachea del paziente per permettergli di respirare; per questa manovra è indispensabile l’utilizzo del laringoscopio, uno strumento che ha rivoluzionato la gestione delle vie aeree. Le fonti attendibili sull’origine del laringoscopio sono scarse; sono numerosi, invece, gli aneddoti al riguardo. Partendo dalla prima “laringoscopia rudimentale” attribuita ad Aulo Cornelio Celso, arriviamo alla dettagliata descrizione anatomica dell’intubazione a opera di Andreas van Wesel, italianizzato in Andrea Vesalio nel 1543. Dopo le esperienze degli inglesi Robert Hooke e Benjamin Guy Babington, con la parentesi italo-germanica di Philipp Bozzini, la storia del laringoscopio viene scritta soprattutto dal maestro di canto spagnolo Manuel Patricio Rodríguez García, che dette un enorme impulso allo sviluppo della laringoscopia. Lo strumento di García fu perfezionato dal medico tedesco Alfred Kirstein, che lo costruÌ cosÌ come lo conosciamo e utilizziamo oggi. Con Henry Harrington Janeway il laringoscopio assume la sua forma odierna e perde ogni funzione diagnostica, diventando lo strumento indispensabile per l’intubazione orotracheale. Le lame furono successivamente perfezionate da due anestesisti, Robert Arden Miller e Robert Reynold Macintosh, rispettivamente nel 1941 e nel 1943. Dopo essere passato nelle aule di canto liriche il laringoscopio ha conosciuto innumerevoli ritocchi e perfezionamenti, fino alla sua forma elettronica, con l’invenzione del videolaringoscopio, a opera del chirurgo americano John Allen Pacey.
La presenza di emolisi in un campione biologico è causata principalmente da anemia emolitica o emolisi in vitro. La seconda circostanza è conseguente ad attività inappropriate per la raccolta e il trattamento del campione biologico che possono inficiare l’attendibilità dei risultati di molti esami di laboratorio. L’emolisi è valutabile mediante la determinazione dell’emoglobina libera, il cui limite è 20 mg/L nel plasma e 50 mg/L nel siero. L’emolisi si rende visivamente palese quando la concentrazione di emoglobina libera supera 300 mg/L. Poiché i campioni emolizzati sono la causa più frequente di non conformità dei campioni biologici nei laboratori clinici, con prevalenza prossima al 3% di tutti i campioni ricevuti, queste raccomandazioni di consenso sono state redatte specificatamente per assistere i professionisti di laboratorio nella rilevazione e gestione dei campioni emolitici. In sintesi, l’approccio raccomandato si basa su: (i) rilevazione e quantificazione sistematica dell’emolisi mediante ispezione visiva e successiva determinazione dell’indice di emolisi in tutti i campioni con emolisi visibile; (ii) immediata notifica al reparto della presenza di emolisi del campione secondo modalità definite localmente; (iii) soppressione di tutti i test influenzati dalla presenza e/o grado di emolisi; (iv) richiesta tempestiva di un secondo campione sul quale eseguire gli esami precedentemente soppressi.
Background
The detection of antinuclear antibodies (ANA) by indirect immunofluorescence assay (IFA) on HEp-2 cells is a fundamental step in the diagnosis of autoimmune diseases. We report the case of five patients that, on IFA for detection ANA (Nova Lite™ HEp-2, Inova Diagnostics), presented an unusual cytoplasmatic pattern.
Methods
Serum samples belonging to 5 patients (3 women and 2 men, age 45–69 years). All the samples were analysed with ELISA for detection of antiextractable nuclear antigens (ENA) (anti-Sm, RNP, SSA/Ro, SSB/La, Scl-701 and anti-Jo-1) (ENA Screen, Inova Diagnostics). ANA detection was performed also with IFA using HEp-2 cells from different manufacturers (MBL and Alphadia). Furthermore we performed the detection of anti-mitochondrial antibodies, antismooth muscle antibodies, anti-gastric parietal cell antibodies, anti-liver/kidney microsomal and anti-liver cytosol antibodies on IFA on rat tissue (Inova Diagnostics), and the detection of anti-Sm, RNP, SSA/Ro, SSB/La, Scl-70, Jo-1, PM/Scl, Ku, Cenp-A/B, PCNA, LKM-1, Lc-1, SLA, F-actin and AMA-M2 with Dot Blot (Alphadia).
Results
Four patients showed a nuclear speckled pattern at 1:80 dilution, while the fifth patient was negative (<1:80), but all of them showed a cytoplasmic pattern with a round-shaped body of relatively large dimension in about one third of the cells. Detection of all other autoantibodies assayed was negative.
Conclusions
We contacted the clinicians of these five patients to obtaine clinical information. Two patients had no definite clinical diagnosis; one was affected by chronic gastritis and one was affected by duodenal ulcer; both the latter patients were in therapy with protonic pump inhibitors. The fifth patient suffered of hypothyroidism and was treated with substitutive therapy.
Background Chronic kidney disease (CKD) is a major public health problem worldwide. According to available guidelines, the estimated glomerular filtration rate (GFR) should be reported by hospital and commercial laboratories preferentially using the Modification of Diet in Renal Disease (MDRD) study equation. Although the clinical performance of the newer Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration (CKD-EPI) equation has been assessed against directly measured GFR, the correlation between this new equation and the MDRD equation and the Cockcroft-Gault (C-G) equation, which is largely used for estimating GFR by general practitioners and hospital physicians, has not been fully evaluated. Methods We automatically generated 14 classes of serum creatinine values (from 0.7 to 2.0 mg/dl in increments of 0.1 mg/dl) each containing 68 classes of age (from 18 to 85 years in increments of 1 year) and 46 classes of body weight (from 40 to kg in increments of 1 kg), for both genders. In each case, GFR was estimated with the C-G, MDRD and CKD-EPI equations. Results The data generation procedure resulted in 87,584 different virtual cases representing Caucasians. The median estimated GFR values generated with each of the three equations were 56.4, 56.8 and 60.7 ml/min/1.73 m2 for the C-G, MDRD and CKD-EPI equations, respectively, in men (all p2 for the C-G, MDRD and CKD-EPI equations, respectively, in women (all pversus 0.811 in men and 0.842 versus 0.811 in women), and the overall diagnostic performance (AUC 0.91 versus 0.89 in men and 0.93 versus 0.91 in women; both p Conclusions With careful consideration of the inherent drawbacks of serum creatinine for assessing GFR, but due to a good correlation with the reference method and a better correlation with the C-G equation than with the former MDRD equation, we suggest that the novel CKD-EPI equation might be appropriate to use in laboratory reports for reporting the estimated GFR.
Professionals working in a clinical laboratory collaborate in using increasingly powerful technologies to appropriately answer increasingly complex clinical queries. Laboratory tests are very important for many diagnoses although, according to Hallworth, the fact that between 70% and 85% of clinical decisions are based on the results of laboratory tests is not “evidence based”. Technological progress during recent decades has increased the availability of new diagnostic tools that have encouraged an increase in requests and an increase in costs without a proportional benefit in health.
Evidence-based medicine (EBM) is the driver of clinical governance for the proper management of a complex activity with a high risk of error, and evidence-based laboratory medicine (EBLM) may be particularly helpful in providing the proper tools. Laboratory medicine must be based on good quality evidence and the best clinical outcome must be “proved”. It is difficult to assess the outcome of diagnostic tests because EBM is concerned more with treatment than with diagnosis (this has been considered the “black hole” of EBLM). The evidence is scarce and the clinical outcomes in laboratory medicine cannot easily be identified and assessed (e.g. how long does it take to assess a screening test? How long does it take to assess the clinical outcome of the use of HbA1c in the follow-up of diabetic patients?).
Laboratory professionals, according to EBLM, must investigate the processes most prone to errors, i.e. not the analytical phases that have improved a lot as a result of technological progress, but in particular the pre-preanalytical and preanalytical phases. These phases are becoming increasingly important (e.g. setting up new tests and discarding obsolete tests, developing guidelines and clinical pathways that improve the appropriateness of requests). The same considerations apply to the postanalytical phase (e.g. the report must address specific clinical questions). These goals can be obtained only through collaboration between laboratory professionals, clinicians and health system managers. The technology available today allows logical and effective collaboration among those working at different sites. Clinical governance is helped by the consolidation of medium size and small laboratories, as exemplified since 2009 by the eight laboratories of Romagna (a region of 6,380 km2 with a population of about 1.2 million and four HMOs (Health Maintenance Organizations): Ravenna, Rimini, Cesena, Forlì).
The most important features of this spoke and hub model are:
A single laboratory information system (with the same units of measurement and format for reports and comments)
The same analysers and methods used in the hub laboratory and the spoke laboratories
Guidelines prepared with the collaboration of clinicians from the entire area
Concentration in the Romagna hub laboratory of the professionals with the greatest expertise (graduates and technologists)
Three years after the activities of the hub laboratory began real clinical governance has been achieved through information and data management as a result of the introduction of software for monitoring activity data using process, appropriateness and economic indicators. In conclusion EBLM, guidelines and clinical pathways have been used successfully for the clinical governance of the wide Area Romagna.
Il tema della consulenza suggerisce in primis la necessità di cogliere, in ambiente clinico, la complessità della persona e ricomporre i suoi diversi aspetti, anche se analizzati in dettaglio da diversi rami della disciplina medica.
In questo senso, la Medicina di Laboratorio sostiene e interagisce con le altre forme di conoscenza per contribuire a una corretta valutazione dello stato di salute individuale, orientando il processo diagnostico in modo appropriato. Nei laboratori moderni la consulenza è rivolta a pazienti e medici, e il Patologo Clinico svolge in qualità di specialista il suo ruolo, basato sulla conoscenza dei materiali biologici, delle metodologie e delle tecnologie. In questo modo si delinea una zona in cui le informazioni sulla gestione dei problemi tecnici, le interferenze e loro risoluzioni sono fornite per tutte le diverse fasi del processo di laboratorio (pre-analitica, analitica, post-analitica); lo stesso ruolo è presente, in post-analitica, con l’interpretazione dei risultati.
La consulenza in Medicina di Laboratorio presenta rapporti diretti con vari attori: scenari principali per questi momenti di incontro consistono in rapporti con gli studenti, risposte ai pazienti, dibattito e collaborazione in un ruolo complementare con altri professionisti della diagnostica, dialogo con le istituzioni, per lo più su aspetti organizzativi e medico-legali. Le applicazioni spaziano dalla definizione dello stato di salute alle procedure diagnostiche e al follow-up delle malattie e possono contenere la richiesta di second opinion. Sono presenti campi d’interesse particolare in materia di prevenzione, screening e specifici counseling (ad esempio genetica e malattie infettive).
Nel laboratorio clinico, i temi principali riguardano l’appropriatezza prescrittiva e l’interpretazione del test nel contesto del singolo paziente, mentre la comunicazione dei valori critici e la gestione degli errori di laboratorio sono spesso il tema dell’informazione clinica. Programmi di formazione dedicati a specifiche conoscenze tecniche e a metodologie di comunicazione devono essere previsti e fortemente perseguiti.
Il referto finale costituisce anch’esso materia di consulenza e fornisce un “valore aggiunto” come sintesi di risultati, dettagli di informazioni tecniche e interpretative e note e commenti, che offrono un contributo innovativo. In questo scenario, gli specialisti diventano attori di governo clinico e della sanità.
Background.
Thrombin is a pivotal player in the coagulation system. The activity of thrombin is the measurement of its concentration in function of time. The area under thrombin generation curve is called the endogenous thrombin potential (ETP). ETP is a global test and reflects the functions of the haemostatic system much better that the classical clotting tests. ETP increases in each ipercoagulability condition and decreases in each ipocoagulability condition.
The measurement of ETP is the potentially applicable to clinical laboratories, but the technical limits haven’t made it possible the routinely use, also if many clinical studies are executed in research and/or specialistic laboratories. Recent developments offer the possibility to evaluate ETP in automated coagulometers. In this study, we evaluate the possibility of application of ETP on an automated coagulometer and compare ETP value with the classical screening parameters of coagulation.
Methods.
ETP was measured in 106 subjects: 60 males and 56 females, between 31–50 years of age, not using drugs known to affect the coagulation system and without history of thrombosis or bleeding disorder. Blood was taken by venipuncture and collected into sodium citrate (3.2%) tubes. Plasma was obtained by centrifugation at room temperature for 15 min at 2500 g and used immediately after centrifugation or frozen at −80 °C and then defrosted at 37 °C for 5 min. The dosage of prothrombin time, activated partial thromboplastin time, fibrinogen, d-dimer, ETP are performed on an automated coagulation analyzer BCS XP System (Siemens Healthcare Diagnostic, Marburg, Germany), with reagents and protocols from the manufacturer (Siemens Healthcare Diagnostics).
Results.
In about three hours it is possible analyzer 106 subjects. No statistically significant difference is observed between results in women and men. The ETP values are expressed as AUC% and reference range is 80–110%.
Conclusions.
Our study clearly shows the possibility to use automated coagulometer for ETP assay. ETP performed with a automated coagulometer is a rapid, suitable and reliable tool for screening coagulation, making possible this test in routine laboratory. This new opportunity has to carefully evaluate and could be made it possible to measurement ETP routinely at high throughput and thus transformed it from a research tool into a tool for clinical use for management of hemorrhagic or thrombotic diseases; hemorrhagic or venous thrombosis risk; congenital coagulophaties; use of conventional or new anticoagulants. This study represents the first step to build normal range for automated coagulometer. The potential utility of measurement of ETP in clinical settings should be investigated on a major number of subjects.
Nel 1859 il giovane medico italiano Paolo Mantegazza, rientrato in Italia dopo una permanenza di quattro anni nell’America meridionale, pubblica una memoria sulle osservazioni di carattere medico sull’uso delle foglie dell’Erythroxylon coca delle popolazioni dei luoghi in cui ha soggiornato ed esercitato la professione. Il primo effetto importante che osserva negli indigeni, che masticano costantemente un bolo di foglie di coca e ne ingeriscono il succo, è la grande energia che in essi genera rendendoli resistenti alla fame, al freddo, all’umidità, alle intemperie e ai lavori pesantissimi e debilitanti anche in luoghi di notevole altezza.
Le proprietà terapeutiche su cui si sofferma maggiormente riguardano i benefici effetti delle foglie di coca, assunte come infuso o masticate, sulla digestione e sulle disfunzioni dello stomaco. Riporta la descrizione medica di numerosi casi di pazienti guariti dalle più varie affezio ni gastroenteriche. Anche sul sistema nervoso l’uso delle foglie di coca ha notevoli influenza però l’argomento abbisogna di maggiori approfondimenti. Riferisce casi di abuso e quindi di insorgenza della dipendenza dalla coca e sui risultati degli esperimenti che ha effettuato su sé stesso con la ingestione di quantità crescenti del succo delle foglie di coca masticate.
Il lavoro di Mantegazza sarà ampiamente citato dal famoso neurologo austriaco Sigmund Freud nella sua opera Über Coca (1884) che però riguarda gli studi degli effetti sull’uomo della cocaina, l’alcaloide estratto dalle foglie di coca dal chimico Albert Niemann nel 1859 e che ne costituisce il principio attivo.
Per la memoria “Sulle virtù igieniche e medicinali della coca e sugli alimenti nervosi in generale” Mantegazza riceve il prestigioso premio Dell’Acqua nel 1858 e sarà riconosciuto da molti studiosi come il primo ad aver approfondito gli effetti terapeutici delle foglie di Erythroxylon coca.
Nel 1839 il dottor Nauche pubblica un lavoro su alcune interessanti indagini relative a una particolare sostanza, che denomina kiesteina, che egli rileva nelle urine delle donne in gravidanza e che reputa quindi un segno utile per diagnosticare con sicurezza questo stato fin dai primi mesi di gestazione.
La kiesteina viene ritenuta un nuovo componente dell’urina ed è subito studiata da numerosi ricercatori, che espongono le loro teorie sulla sua formazione, sulla sua natura e sulla sua stessa esistenza, teorie sulle quali non sempre gli studiosi si trovano in accordo.
Viene comunque considerata, con gli altri classici segni clinici, un valido esame di laboratorio per supportare la diagnosi di gravidanza.
Premesse
L’esame del liquido seminale rappresenta un punto cruciale nell’iter diagnostico di valutazione della fertilità maschile; tuttavia non offre informazioni diagnostiche esaustive sulla funzionalità e vitalità spermatozoaria e non è predittivo nei confronti della capacità fecondante degli spermatozoi, soprattutto in quadri patologici complessi. In questo studio sono stati presi in esame e messi a confronto due test di valutazione della vitalità spermatozoaria: l’Eosin test e l’Hypoosmotic swelling test. Entrambi utilizzati per lo studio della vitalità, il primo viene di norma eseguito come test routinario unitamente allo spermiogramma, il secondo viene impiegato, invece, come test addizionale.
Metodi
Sono stati analizzati 100 campioni di liquido seminale sottoposti preliminarmente all’analisi di base dei parametri seminali, e successivamente a entrambi i test di vitalità. La vitalità degli spermatozoi è definita dalla percentuale di cellule vive, determinata rispettivamente dall’esclusione del colorante e dal test di swelling (rigonfiamento) ipoosmotico. L’Eosin test è stato effettuato mediante l’utilizzo di un kit commerciale per la valutazione della vitalità spermatozoaria; l’Hypoosmotic swelling test, invece, mediante incubazione in soluzione ipotonica bilanciata. Successivamente i campioni sono stati osservati al microscopio, fissando come limite di riferimento inferiore una vitalità del 60%.
Risultati
Le analisi effettuate hanno evidenziato per 65 campioni su 100 (65%) una concordanza tra i risultati dei due test di vitalità. Tali campioni, infatti, hanno mostrato risultati analogamente inferiori o superiori al valore soglia, mostrando altresÌ valori simili di percentuali di vitalità. I restanti 35 campioni hanno mostrato, al contrario, risultati discordanti. Utilizzando il metodo HOS tali campioni presentavano percentuali di vitalità nettamente inferiori al valore soglia, mentre con l’Eosin test gli stessi campioni mostravano una percentuale di vitalità non alterata. Tuttavia, l’analisi statistica effettuata sulla totalità dei dati ha evidenziato una scarsa correlazione tra gli insiemi di valori ottenuti dai due test.
Conclusioni
I limiti diagnostici presenti nello spermiogramma hanno indotto lo sviluppo di test aggiuntivi che rendono più completo l’esame seminale di base, primi fra questi l’Eosin test e l’Hypoosmotic swelling test, che apportano un contributo importante alla valutazione dei parametri seminali. Il presente studio ha evidenziato un’adeguatezza diagnostica equiparabile per entrambi i test di vitalità, come risulta dalla discreta percentuale di concordanza dei risultati. Tuttavia, analizzando i dati nel complesso, si evince l’importanza dell’impiego in parallelo di entrambi i test di vitalità. I due test, infatti, pur utilizzando parametri differenti, possono valutare aspetti diversi di funzionalità spermatozoaria, migliorando cosÌ l’accuratezza diagnostica di questo esame.